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RENZO SCOPA  "Nel segno del sacro"
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Renzo Scopa. Nel segno del sacro

Francesco Santaniello

 

Personale, solitaria e profondamente intimista è stata la ricerca espressiva di Renzo Scopa. Un percorso artistico, che coincide con quello esistenziale, nel quale l'autore ha riversato la sua urgenza creativa, ma soprattutto l'esigenza di esternare riflessioni, sensazioni, dubbi, tormenti e tutti quei moti del suo animo inquieto, riflessivo e poetico. Per fare ciò Renzo Scopa ha usato diversi mezzi: dalle tecniche calcografiche alla pittura, dalla scrittura in versi alla prosa, senza tralasciare l'immediatezza delle notazioni diaristiche. La sua vasta produzione, ancora in gran parte inedita, documenta una continua, incessante ricerca. Dicendo ciò non voglio semplicemente alludere alle sperimentazioni tecniche e formali delle pratiche artistiche, ma all'attività di un uomo che ha guardato il mondo e molti aspetti della vita, sia biologica che spirituale, setacciandoli attraverso il filtro della memoria, della sua peculiare sensibilità d'artista e di un'intima religiosità. Scopa non di rado si è spinto oltre la mera apparenza delle cose e degli umani accidenti - non a caso sin dalle prime opere ha scelto un lessico marcatamente espressionista - per cercare di comprendere ciò che siamo. Il suo è stato un cercare che di per sé è già un trovare, come sosteneva sant'Agostino, perché dimostra una profonda vita dello spirito.

Considerando la produzione di Renzo Scopa mi viene spontaneo fare un altro riferimento alla teologica filosofia di Agostino d'Ippona, che ha scritto: «Nessuno può attraversare il mare del secolo se non è portato dalla croce di Cristo». Ebbene questa frase, che è stata scritta all'inarca diciassette secoli fa ma che rimane sempre di stringente attualità, richiama quello che è stato il tema cardine del percorso creativo di Scopa: la Crocifissione. Un motivo iconografico, assunto come estrema metafora delle sofferenze umane e di quel male di vivere che virulento attraversa tutto il Novecento, che l'artista ha indagato a partire dalla giovinezza fino agli ultimi lavori. Un motivo iconografico sottinteso nel sanguinolento volto di Cristo coronato di spine (Ecce Homo, 1967-, che fa da sfondo alla disperazione della Maddalena (Deposizione, 1960-. Un tema che è inserito, per essere attualizzato, entro scenari urbani o industriali (La nostra guida, 1961- e che a livello tecnico è tradotto in pittura  con l'irruento espressionismo - memore della maniera del gruppo Cobra e della cifra di Rouault - nel ciclo Gesù e le maschere del 1968-69 ed infine proposto con la maniera del dripping, in quella che Floriano De Santi ha chiamato L'ultima stagione della produzione di Scopa.

Coloro che sono abituati alla visione romantica dell'artista bohémien, dissipatore delle esperienze esistenziali, potrebbero considerare quella di Renzo Scopa una biografia senza eventi. Costoro, tuttavia, si ricrederebbero immediatamente se potessero rendersi conto del considerevole patrimonio umano e artistico lasciatoci dall'autore. Un'eredità preziosa fatta principalmente di conoscenze tecniche, testimoniata dalle opere e ancora oggi tramandata dai suoi allievi.

La vita di Scopa si è svolta tutta tra Urbino, città natale e luogo della sua formazione artistica avvenuta presso la prestigiosa Scuola del Libro, e Città di Castello dove per decenni ha insegnato, chiamato nella seconda metà degli anni Cinquanta del Novecento dall'allora Scuola per le Arti Grafiche e poi dal Centro di Addestramento Professionale "G.O. Bufalini" e da varie altre scuole ed istituti del territorio.

Fedele a quei principi ispirati dagli studia humanitatis che furono alla base dello splendore culturale dell'Urbino rinascimentale, Scopa ha condiviso il suo sapere, ma soprattutto il saper fare (ineguagliabile patrimonio della nostra nazione- con gli allievi, formando generazioni di abili ed esperti professionisti che hanno alimentato a loro volta la rinomata e nobile arte tipografica tifernate. Parallelamente all'attività di docente, Renzo Scopa ha condotto la sua ricerca pittorica, senza lasciarsi irretire dalle dispute teoriche o dai compiacimenti estetici dei differenti stili e tendenze artistiche, concentrandosi sul suo sentire, fisico e poetico insieme, e rimanendo coerentemente fedele alle sue idee.

Sin dalle prime prove Scopa si è affidato all'icastica carica espressiva del segno - e non poteva essere altrimenti data la sua formazione - alternando l'asprezza del tratto di alcune acqueforti all'armonia degli andamenti curvilinei quando si è trovato a descrivere elegiaci soggetti come la Madonna col Bambino del 1978. Un segno che si fa disgregante riducendo le figurazioni all'essenza strutturale dell'immagine, come nei dipinti del ciclo Deserto umano del 1965. Un segno reiterato e sfilacciato, aspro e tagliente, come nel Volto di Cristo (1957-58-. Un segno-colore che diventa, a volte, una sorta di scrittura automatica, illeggibile, ma non per questo priva di significante come nel ciclo Città di Dio del 1980. Un segno atomizzato, negato e poi ritrovato, nelle deflagranti esplosioni cromatiche del dripping, di quelle sgocciolature di colore che in parte si ricompongono per far emergere dall'indistinto caos delle superfici (e del mondo- immagini evocative e dense di significato, come le vedute delle amate città di Urbino e Città di Castello o i temi sacri della passione di Cristo

 
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L'artista segreto che fu Renzo Scopa

Mirna Ventanni

 

«Gli artisti non sono soli neanche quando creano l'opera fisicamente»: partiamo da questa definizione per capire l'artista di cui stiamo parlando. I libri di storia dell'arte, di critica e le biografie sui personaggi di quest'affascinante mondo sono stracolmi di vite particolari, ricche di eventi, avventure, passioni. Quando si parla di un artista automaticamente ci immaginiamo un personaggio eclettico, fuori dai canoni dell'epoca in cui è vissuto, impavido, fidente, a volte anche un po' arrogante, ma destramente affascinante. L'artista non è mai solo perché è in continuo contatto con il mondo e la realtà che lo circonda, che capta e trasforma attraverso la propria abilità, compiendo quel processo di metamorfosi che trasforma l'idea - l'incipit - in opera d'arte. Ma non tutti gli artisti rispecchiano questa definizione, anzi: spesso l'arte migliore nasce dalle mani di chi non si inventa personaggio, ma lascia che le proprie opere siano le protagoniste assolute del proprio pensiero, del proprio ego, riuscendo a cogliere non ciò che l'esterno detta loro, bensì ciò che è al loro interno: con un processo inverso non rubano alla natura per creare arte, ma implodono. Ed è questo l'esempio in cui possiamo identificare Renzo Scopa, un outsider, un personaggio che ha fatto arte pur rimanendo fuori dai canoni, che ha fatto storia, pur rimanendone fuori, che ha lasciato forti testimonianze del suo fare pur non svelando mai la sua arte. Renzo Scopa è un art/sta, ma per tutta la sua vita mai si è menzionato tale, e mai ha dato modo ad altri di identificarlo come tale: numerosissime sono state le sue creazioni, degne di apparire appese su ogni parete dedita ad un dipinto, ma per tutta la sua vita Scopa non ha mostrato a nessuno, se non familiari o amici a lui molto vicini, le sue creazioni. Forse per insicurezza, per modestia, per gelosia o egoismo, questo non lo potremmo mai sapere purtroppo, Renzo Scopa non si è mai voluto fregiare di un titolo che avrebbe ricoperto con merito: quello di artista. Renzo Scopa muore a Città di Castello nel 1997 a 64 anni. L'Alta Valle del Tevere non è la sua terra natale, ma è qui che ha vissuto nei suoi ultimi quarant'anni, insegnando. Un uomo tranquillo, taciturno, a volte schivo, così lo ricordano i più: un ottimo insegnante, dedito al lavoro e alla famiglia e, in solitudine, quasi in segreto, all'arte. Scrive Renzo e dipinge. Cerca, fin da giovane di esprimere le proprie emozioni attraverso le sue mani. Lo fa perché è timido ed introverso forse, definizioni del suo carattere che emergono dalle varie testimonianze, ma lo fa anche, e soprattutto, perché l'arte è parte di sé. Non è per Scopa un passatempo o un hobby: l'arte è il suo modo di parlare al mondo e del mondo, il pennello è l'occhio con cui vede la realtà e la tela ne diventa la visione. La forza e l'energia con cui il professore si getta sulle tele non è puro impulso: Renzo Scopa, uomo ed artista, ha una gran cultura, sia letteraria che pratica e la sua creatività si basa sullo studio ferreo e sistematico che ha compiuto, in materia, fin da giovane e che perfeziona e matura di quadro in quadro, raggiungendo, forse, la perfezione nelle sue ultimissime opere che, per significato e pathos, sembrano svelare l'epilogo finale. Ma torniamo ora indietro, alla giovinezza, cercando di ripercorrere la vita di questo personaggio insolito e segreto.

È Urbino la città dove, nel 1933, nasce Renzo Scopa: il ducato che fu del Montefeltro e che vide nascere Raffaello Sanzio resterà per sempre nel cuore del nostro artista e riecheggerà, nello spirito e nelle fattezze, in numerose sue opere. Renzo è il terzogenito di tre fratelli, è tra loro «il più pacioso e sognatore. Robusto di corporatura, col viso tondeggiante, la parlata scandita» (così è descritto nella testimonianza di Vittorio Emiliani-. L'infanzia trascorre serena, tra le vie del quartiere e di piazza del Tribunale, dove abita e cresce, giocando a biglie con gli amici. Ha l'opportunità di assaporare, giocando e crescendo, l'atmosfera densa di storia e cultura che ha accarezzato la città dei Montefeltro. Poi arriva, anche per Renzo, l'età di decidere che cammino intraprendere per il suo futuro: arriva il momento di formarsi. Urbino offriva diverse possibilità, ma non per chi, come Renzo, era figlio di un usciere del Tribunale, e facilmente optava per un percorso meno aulico e più pratico. La città che vantava i natali di Raffaello, però, offriva anche ai figli dei non benestanti un'ottima formazione, grazie alla Scuola del Libro, nata per volere del regio commissario delle Marche nel 1861, e che fin dall'inizio si era specializzata sulle tecniche incisorie, calcografia, litografia, xilografia e nell'illustrazione. Scuola del Libro di Urbino aveva permesso il rilancio del libro classico, con l'accurata scelta dei caratteri e dei testi letterari migliori. Quando Scopa iniziò a frequentare la scuola nata per «l'illustrazione e la decorazione del libro, che lo avrebbe formato, assicurandogli un mestiere», ne era direttore Francesco Carnevali, uomo di grande cultura e sensibilità che aveva fatto dell'insegnamento la sua ragione di vita, scrittore e anche illustratore di numerose copertine del prestigioso Giornalino della Domenica.

Leonardo Castellani, acquafortista tra i più validi del Novecento, Carlo Ceci, litografo, e Pietro Sachini, xilografo, assieme ad altri valenti professori, sono tra i docenti che insegneranno al giovane Scopa. All'interno di questo scenario il nostro artista consegue prima la qualifica di Maestro d'Arte Ornatore del Libro nel 1953, poi, l'anno seguente, il diploma di Abilitazione all'Insegnamento della Calcografia. La commissione esaminatrice dell'Istituto Statale di Belle Arti di Urbino in occasione dell'abilitazione all'insegnamento della calcografia annotava il seguente giudizio: «Renzo Scopa rivela un temperamento istintivo ed estroso di disegnatore e di incisore che si concreta in espressioni tecniche e stilistiche personali. Si impegna a fondo nei problemi che affronta dimostrando un interesse culturale notevole e una riflessione che va maturando. Presenta una ricca cartella di disegni, una di incisioni, alcuni disegni prospettici, e due progetti di volumi illustrati di opere anonime medievali, uno dei quali completo in ogni sua parte che la Commissione giudica pubblicabile». E pubblica, in quello stesso 1954, presso l'Istituto nel quale ha studiato, cinque acqueforti di illustrazione per un libro di anonimo umbro del XIII secolo dal titolo Contrasto tra ricco e povero. Ancora Renzo non sapeva che presto avrebbe avuto un rapporto più diretto con la terra da cui proveniva l'autore del libretto di cui stava realizzando le illustrazioni: esattamente quattro anni dopo, nel 1958, sarà chiamato nell'alta Umbria, a Città di Castello, per insegnare all'Istituto per le Arti Grafiche. Ma prima di giungere in Umbria la vita del nostro Maestro compirà un passo molto importante: due viaggi, che lo segneranno, sicuramente, per il resto della vita. Appena terminata l'esperienza scolastica Renzo, poco più che ventenne, lascia la sua amata Urbino, il sole, le torri, la piazza con il Tribunale, la famiglia e gli amici, e parte, chiamato a ricoprire l'incarico di insegnante: la destinazione è lontana, anzi, lontanissima, si tratta della cittadina di Forenza, dove trascorrerà un anno della sua vita. L'impatto con la Lucania può esser definito non facile: ciò che lo circonda è un mondo completamente diverso da quello vissuto fino ad allora. La terra lontana da casa appare misera, grigia, triste, quasi legata ad un'altra epoca e come scandita da un tempo più lento, quasi immobile, che segna i bambini nei loro giochi infiniti, gli uomini nelle taverne e le donne, avvolte da enormi scialli, nelle loro preghiere. La gente sembra intimorita da lui, più timido che mai tra gli estranei: tutto è estremamente diverso dalla sua Urbino. Ma Renzo si adatta al Sud e ne coglie l'essenza. Nei lunghi pomeriggi di solitudine scrive, memorizza su carta le immagini che vede, i sentimenti che prova, l'angoscia per la miseria unita alla malinconia per tutto ciò che è legato ad Urbino. Le parole gettate sul suo diario prendono anima tra i colori e le matite: nascono i primi dipinti, segreti, che rivelano indubbiamente lo stato d'animo inquieto di un uomo solo e lontano da casa, in un luogo che, seppur misteriosamente, lo affascina. La Lucania tornerà nei suoi dipinti: riaffiora nei colori spenti e nei paesaggi silenziosi ma sobri, colmi di povertà e di dignità. Poi il servizio militare lo porta a Palermo per fare il C.A.R.

In Sicilia l'atmosfera è diversa, forse perché la storia millenaria della città, le sue ricchezze artistiche ed architettoniche lo affascinano e lo tengono più vivo e attivo della provincia potentina. Seguirà poi il periodo della naia a Mantova, ma è l'esperienza nel Meridione che segnerà profondamente Renzo Scopa. Passano veloci questi quattro anni e finalmente per il nostro artista urbinate arriva la svolta: gli viene assegnata una scuola a Città di Castello. L'Umbria è vicina alla sua Urbino, ormai i suoi amici e quel mondo di ragazzo che aveva lasciato prima di partire per Potenza e Palermo non esiste più: i suoi amici erano cresciuti e se ne sono andati percorrendo la propria vita. Molti dei compagni di studi, come Renzo, erano stati chiamati ad insegnare proprio a Città di Castello. Così anche lui parte: questa volta per sempre. Come nel tardo 1400 Raffaello aveva lasciato la città dei Montefeltro per iniziare la sua formidabile carriera d'artista nella terra del Vitelli, così, nella seconda metà del Novecento molti giovani allievi della Scuola del Libro di Urbino erano stati chiamati a Città di Castello ad insegnare. Dall'Ottocento nella città tifernate si era sviluppata un'industria tipografica che, nei primissimi anni Quaranta del Novecento era riuscita, grazie a fondi del Municipio e della Cassa di Risparmio locale, a dotarsi di una scuola specializzata alla quale si accedeva dalle elementari, durava tre anni e mirava a formare i giovani per immetterli nel mondo del lavoro tipografico. L'istituto creato fu chiamato Reale Scuola di Avviamento Professionale a tipo Industriale per le Arti Grafiche e nel 1942 fu aggiunto un biennio superiore di Scuola Tecnica. Così gli allievi usciti dalla scuola urbinate, grazie alla felice intuizione del professor Angelo Baldelli, erano chiamati di frequente a ricoprire incarichi a Città di Castello: con Scopa arrivano anche i fratelli Nicola e Mario Gambedotti, Disertori, Gamba, Bertelli, Moretti ed altri, anche tifernati che si erano trasferiti nelle Marche per studiare fanno rientro a casa, come Rigucci e Pincardini. Ed è qui, nella terra che aveva affascinato Plinio, che vide fiorire le prime opere di Raffaello, passare il Signorelli, il Vasari, il Pintoricchio, Rosso Fiorentino e una ancora più lunga lista di artisti del periodo più roseo dell'arte, nella terra che nel secondo dopoguerra ha visto sbocciare la più moderna arte informale con Alberto Burri e che da sempre è stata meta di personaggi di cultura e storia, decise di stabilirsi il nostro Renzo Scopa.

La sua vita tifernate trascorse serena, tranquilla, tra la piazza e la scuola. Insegnò alle Scuole Medie "Fucini" e "Alighieri", al Centro di Addestramento Professionale "Bufalini" dove ricoprì la cattedra di Disegno Professionale e Tecnologia per il corso di Addestramento Complementare per apprendisti Cartotecnici per i quali compilò anche un testo didattico. Stessa cosa farà per l'Istituto Professionale per l'Industria e l'Artigianato presso il quale stampò, nel 1967, Storia e Stile delle Arti Grafiche, un lavoro definito «di grande utilità anche per il piano didattico». Insegnò anche Educazione Artistica, negli anni Settanta, all'Istituto "Beata Margherita", noto istituto tifernate per dare cultura e futuro alle ragazze non vedenti.

Questa esistenza tranquilla, da professore di provincia, dedita al lavoro, che lo appassiona, e alla famiglia, che lo ama e protegge, può apparire semplice e consueta per un uomo nato negli anni Trenta e formatosi nel secondo dopoguerra. Ma Scopa custodisce un tesoro inestimabile: quest'uomo, ricordato come taciturno e solitario, ha nelle sue mani una dote che gestisce con riservatezza, quasi a proteggerla, è l'arte. Fin da giovane ha dato prova di creatività e di bravura, soprattutto tramite la tecnica incisoria, poi anno dopo anno e per tutta la vita, si immergerà sempre più nei pennelli e nelle tavolozze.

E per tutta la parabola artistica di Scopa, ricorrerà il tema della Crocifissione, argomento prezioso per le sue opere. Il corpo umano di Dio sanguina e soffre, in quell'attesa snervante che è la morte. Il dolore del Cristo in croce è il dolore eterno dell'uomo, solo, che soffre in procinto di abbandonare la vita terrena. Un dolore solitario e silenzioso, misterioso e affascinante, dignitoso e carico di speranza che, in qualche modo, parla dello stesso artista.

Come già più volte ricordato, durante la sua vita Renzo Scopa non svelò mai pubblicamente le sue opere, solamente una volta, nel 1960, espone un'acquaforte a Perugia alla Mostra d'Arte Sacra Regionale della Pro Civitate Christiana e viene fregiato con la Medaglia d'oro per l'Incisione. Un riconoscimento prezioso, ma che non stimolò il nostro artista a continuare ad esporre. Anche se due sue stampe lo stesso maestro le donò, nel 1959, alla Scuola delle Arti Grafiche, l'attuale IPSIA, e all'interno della presidenza è ancora possibile ammirarle. Una è il Volto di Cristo, in mostra, l'altra è il volto dolente di una donna, forse una Maddalena: il tempo e la poca luce non hanno ombreggiato la forte carica emotiva dei due volti che sembrano dialogare all'interno della precisa cornice che li unisce in un unico grande quadro. Una sola mossa stravagante, e inspiegabile, farà Renzo Scopa nel corso della sua attività creativa. Dalla metà degli anni Settanta, misteriosamente, le sue opere cambiano la firma: non più Scopa, ma Scopas. Aggiunge una S, e nessuno ne saprà mai il motivo. Quella S rimarrà un'incognita come il non voler esporre le sue opere. Solamente dopo la sua scomparsa, il figlio Saulo, devoto alla figura paterna, decise di omaggiare la comunità alla quale il padre aveva dato tanto con i suoi insegnamenti, mostrando le sue opere e pubblicando i suoi scritti, quelli che aveva inciso nel suo diario, inconsapevole che sarebbero stati letti a distanza di decenni, durante il suo soggiorno nel Meridione.

Una fama postuma potremmo definirla, ma meritevole per un personaggio che ha fatto delle sue doti una ragione di vita. Perché Renzo, su testimonianza di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo come uomo e come professore, e poco come artista, se avesse voluto avrebbe potuto realizzare molto con le sue opere. Non lo fece, ed è inutile chiedersi il motivo, non lo fece e basta. Ma come ogni artista che merita questo titolo, Renzo continua a insegnare il senso della vita attraverso i suoi colori e le sue parole, perché un artista non è mai solo, neanche quando crea la sua opera: nel creare le sue opere Scopa ci rivela che, nonostante preferisse circondarsi più di pennelli che di persone, il senso profondo della vita lo aveva compreso.

 

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L'opera di Renzo Scopa, come seme di creazione

Massimo Zangarelli

 

Renzo Scopa, artista solitario per scelta e vocazione, forse sorriderebbe bonario all'interesse mediatico che la certosina e contestualmente colossale operazione di riordino realizzata dall'unico figlio Saulo ha suscitato in questi anni per la critica e per il pubblico più attento; certo le opportunità culturali fornite da chi ha dato luce a dipinti per troppo tempo tenuti nel sottoscala della memoria hanno offerto via via ulteriori ottiche stimolanti al dibattito pittorico regionale e nazionale: così si sono susseguiti negli ultimi anni almeno dieci eventi espositivi, non solo in Umbria.

Ma l'opera di Renzo Scopa oltre che inestimabile bene, quale vero e proprio "giacimento culturale", grazie alla capacità che egli aveva di scavare dentro sé e dentro gli altri, ha dato modo e opportunità, come un seme che dà frutti a distanza di anni, nell'arco temporale caratterizzato dalle rassegne susseguitesi, di creare nel segno della multimedialità vari eventi ispirando altri artisti, soprattutto musicisti, eventi capaci poi di vivere anche di vita propria. Ricordiamo:

I.

I concerti tenuti dalla pianista Leonora Baldelli, con musiche di Béla Bartók, Bohuslav Martinu, Darius Milhaud e Alberto Ginastera tenutesi in occasione delle esposizioni alla Rocca Paolina di Perugia e al Quadrilatero di Palazzo Bufalini a Città di Castello. La musicista, forte delle sue prestigiose esperienze internazionali, ha colto in pieno lo spirito dell'autore ponendo, con umiltà pari al talento, la sua musica al servizio dell'interpretazione e della fruizione delle opere.

II.

La performance musicale Movimenti di luce e suono con musica composta dal Maestro Massimo Bartoletti, presentata in occasione delle esposizioni di Renzo Scopa tenutesi a Perugia, Urbino e Roma. Performance che ha visto lo stesso Bartoletti alla tromba, Stefano Bellucci al trombone, Helge Sveen ai sassofoni e Fausto Paffi alle tastiere, che ha rappresentato una modalità di approccio da altra angolazione, per comprendere forse in modo più intenso il cammino espositivo dell'artista e ripercorrerne l'evoluzione creativa.

III.

La pubblicazione del libro Il segno della parola (Edizioni della Meridiana, Firenze 2007-, promossa in occasione del decennale della scomparsa dell'artista, che raccoglie una serie di scritti giovanili inediti del singolare peintre-graveur urbinate di nascita ed umbro di adozione, databili intorno alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Il volume contiene una presentazione della storica dell'arte Rossana Bossaglia e un'intervista inedita a Renzo Scopa e i cui diritti d'autore sono stati devoluti a sostegno della Lega del Filo d'Oro Onlus.

Si tratta di un libro-diario, una sorta di viaggio nella poetica e nel pensiero dell'artista, le sue parole descrivono visioni di terre quali la Lucania e la Sicilia degli anni Cinquanta, dove la natura si presenta come incontrastata regina. Riflessioni, pensieri e descrizioni emergono dall'anima intima e stupita di Scopa. Visioni di miseria, in contrasto con il fascino degli scenari e dell'arte, si fondono con la tradizione di luoghi che trasudano umanità, in una continua dicotomia tra luce e ombra, tra cromie e monocromie, tra dolore e felicità.

IV.

Il recital Amo tutti i colori, tratto dagli scritti di Renzo Scopa raccolti nel libro II segno della parola, recital interpretato da Maurizio Perugini, con musiche originali scritte, dirette ed eseguite con intensa abilità interpre-

tativa dal Maestro Massimo Bartoletti. Lo spettacolo in questi anni è stato proposto in occasione di varie mostre di Scopa, ma è anche stato rappresentato come spettacolo a sé. Le musiche spaziano con vibrante e coinvolgente varietà di ritmi e di melodie, dal canto popolare, alla musica etnica, dalle ballate alla canzone vera e propria.

Maurizio Perugini, rappresentazione dopo rappresentazione, è divenuto un vero e proprio alter-ego di Renzo Scopa, tenendo vivissima l'attenzione del pubblico e raccontando con voce bella e pastosa quei paesaggi di quell'Italia di allora, dipinti dalle parole dell'artistascrittore. Alle sue note capacità d'attore Perugini ha saputo unire un'intensità interpretativa frutto di notevole versatilità: si è cimentato, oltre che con l'intensa e suadente capacità di lettura, capace di far vivere il testo, anche con la canzone, Cos'è la vita, il cui tema musicale è stato scritto da Bartoletti adattandovi dei testi dello stesso Renzo Scopa.

V.

Nel corso dell'anno 2011 si è tenuta l'esposizione del dipinto Cristo e Giovanni Paolo II: la luce dell'anima in sedi quali Urbino, Città di Castello ed Assisi, ed in contemporanea con momenti di grande significato religioso, sociale e civile. L'iniziativa è stata promossa dall'Archivio intitolato all'artista nell'anno celebrativo della visita di Papa Wojtyla nella città serafica per la preghiera interreligiosa capace di suscitare quello "spirito di Assisi" che ha segnato un'apertura al dialogo tra diversi credo e ha contribuito a costruire un ponte fra le culture più diverse. Nell'opera Scopa fa riferimento alla croce quale imprescindibile paradigma del dolore del mondo, salvifico per i credenti, comunque esemplare per l'intera umanità, evocando il mistero doloroso/ glorioso del "devisceratus Christi amor". Significativo il commento scritto per la presentazione dell'esposizione di Assisi, presso il Museo del Tesoro della Basilica Papale di San Francesco, da Marco Vinicio Guasticchi Presidente della Provincia di Perugia: «Ogni cammino - chiarisce bene Scopa con la forza dei cromatismi e delle linee del suo dipinto - non può non ripartire dalla situazione della croce, dal suo mistero soprannaturale e dalla sua umanissima rappresentazione del dolore del mondo, al quale ogni essere vivente è tanto chiamato a soggiacere quanto votato a vincerne le più intense e laceranti manifestazioni. [...] L'operazione culturale che ha saputo mettere in cammino l'opera di Scopa in tre diverse situazioni espositive è particolarmente interessante e merita tutto il consenso che la Provincia di Perugia ha espresso al suo riguardo. Urbino, la città natale dell'artista; Città di Castello, sede di gran parte della sua produzione e luogo del commiato terreno; Assisi, contesto della spiritualità che rinasce e si ritrova, venticinque anni dopo, nel ricordo dell'azione per eccellenza dell'ecumenismo wojtiliano».

Ora questa nuova esposizione itinerante, nel segno del sacro, costituisce un'ulteriore occasione per ripercorrere le varie esperienze attraversate da Scopa nella sua parabola artistica, suggestionato di volta in volta da correnti e stili talora persino divergenti, individuandovi sempre, però, una propria originale matrice, dal lirismo lirico all'informale, dall'espressionismo astratto alla figurazione visionaria, con citazioni che vanno da Sironi a Pollock, da Rouault a Dubuffet, con rimandi molteplici, dall'immaginario mitologico di simbolismi arcaici all'esasperata drammaticità del dripping (sgocciolamento del colore- che, nella sua ultima stagione creativa, lo arricchì di un ulteriore step di peculiare avanguardia.

Questa mostra potrà darci nuove opportunità per analizzare le trasformazioni degli interiors, in un cuore peraltro costantemente attento all'impegno sociale e alla dimensione etica, come ormai sempre più di rado capita di incontrare.

Sempre sulle tracce di quegli ossimori, così rimarcati da Floriano De Santi, nel caratterizzare l'opera di Renzo Scopa: rigore irrazionale, caotica armonia, realtà fantastica, calma angoscia, durevolezza instabile che in realtà indicano meglio di qualsiasi definizione l'inquietudine esistenziale di un uomo alla perenne ricerca di qualcosa di "assolutamente indefinibile", tanto per rimanere in tale terreno, in apparenza paradossalmente antitetico

 

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