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  Quinto Rulliano Valente
EPIGRAMMI MITOLOGICI

Home Antonio Fabi

 

epigrammi

  su temi della mitologia classica

Ricevuti il 15/4/2003

 

 

Epigramma n. 1

  
Piacque ad Ulisse superare Aiace

 nel conquistarsi l’armi del Pelide.

Aiace n’esce pazzo,  poi s’uccide,

 ma pure Ulisse sotto terra giace.

 

Aiace Telamonio [lat. Aiax Telamonius] Re di Salamina, fu uno dei più forti e temuti guerrieri achei alla guerra di Troia. Alla morte di Achille contese a Ulisse le armi dell’eroe, e poiché Ulisse ebbe la meglio, impazzito di rabbia fece strage delle mandrie dei Greci, scambiandole per guerrieri achei. Poi, rinsavito, si vergognò di quanto aveva fatto e si uccise con la propria spada. La leggenda dice che dal suo sangue nacque il fiore del giacinto.

  

 

Epigramma n. 2

  

Agamennone s’era dilettato

 a stuprar giovinette belle e arzille:

 una ne tolse perfino ad Achille;

ma, poi, finì cornuto e pur mazziato.

 

Agamennone [lat. Agamemnon]. Re di Micene e di Argo, figlio di Atreo e di Erope e fratello di Menelao. Quando Tieste, dopo aver ucciso Atreo, prese il regno di Argo e cacciò Agamennone e Menelao, i due fratelli ripararono, dopo alcune peregrinazioni presso varie corti, a Sparta, alla reggia del re Tindaro, di cui sposarono le figlie Clitennestra ed Elena. Tindaro aiutò poi Agamennone a riprendere il suo regno, mentre Menelao restò a Sparta, di cui diventò re. Da Clitennestra Agamennone ebbe tre figli, Ifigenia, Elettra e Oreste. Divenne il più potente principe greco. Perciò, quando, dopo il rapimento di Elena, scoppiò la guerra contro Troia, fu naturale che a capo della spedizione venisse messo il re di Argo. Tuttavia la flotta greca, radunata in Aulide, restò a lungo bloccata da una bonaccia, mandata da Artemide per impedire alle navi di salpare. L’indovino Calcante dichiarò che, per placare la dea, occorreva che Agamennone sacrificasse la propria figlia Ifigenia. Il re, costretto dagli altri capi ad accettare questa terribile condizione, fece venire in Aulide la figlia, che per fortuna all’ultimo momento fu salvata dalla stessa dea. I Greci così partirono e iniziarono contro Troia quella lunga e logorante guerra, mirabilmente cantata da Omero nell’Iliade. Durante la guerra vi fu la contesa fra Agamennone e Achille per il possesso della schiava Briseide, che mise in pericolo il buon esito dell’impresa. Comunque il capo dei Greci si comportò da valoroso e, dopo la caduta di Troia, fece ritorno in patria, portando come bottino la bella figlia di Priamo, Cassandra, che gli predisse, inascoltata, la morte per mano di Clitennestra. Infatti, appena tornato a Micene, fu assassinato da Clitennestra e dal suo amante Egisto, a cui Agamennone aveva affidato il regno in sua assenza. La morte di Agamennone verrà poi vendicata dal figlio Oreste. Il mito di Agamennone e dei suoi figli ha ispirato molti autori teatrali.

  

 

Epigramma n. 3

  

Si dice che Odisseo fosse sagace

e, in molti casi, si può concordare;

ma in altri, miei signori, mi dispiace:

fu imprudente ed i guai li andò a cercare.

 

Ulisse [lat. Ulixes] mit. Re d’Itaca, figlio di Laerte e di Anticlea; il suo nome nella forma greca era Odisseo (Odysséus). .Le peripezie che Ulisse dovette sopportare dopo la caduta di Troia sono narrate nell’Odissea di Omero. Il mito di Ulisse fu ripreso da altri autori, che ne diedero versioni diverse. Qualcuno racconta che l’eroe fosse ucciso da Telegono, il figlio nato da lui e da Circe, altri affermano che si fosse stabilito in Italia, altri ancora che, ripreso dal desiderio di viaggiare e di conoscere nuove terre, si fosse spinto verso l’estremo occidente. Quest’ultima fu la versione a cui si attenne Dante.

 

 

Epigramma n. 4 (strambotto toscano)

  

Il valoroso Ettorre, in quel di Troia,

 pria di venir trafitto dal Pelide,

 ne aveva prese, ormai, fino alla noia

 da Aiace Telamonio e dal Tidide.

 L’un, con un masso, lo lasciò stordito;

 l’altro l’aveva quasi rimbambito

 con un colpo di lancia sul cimiero:

 fu questo che il salvò dal cimitero.

  

Tidide: Diomede figlio di Tideo, vedi nota al nono epigramma.

  

 

Epigramma n. 5  (strambotto toscano)

  

Menelao, al pari del fratello,

 fu cornuto in maniera assai pesante;

 anche se  non fu ucciso dall’amante,

 mentre d’Agamennòn si fè macello.

 Sorti diverse pei germani Atridi:

 il maggiore sgozzato tra gran stridi;

 il minor, per dar sfogo alle sue voglie,

 si riprese - minchion! - la prima moglie.

 

Menelao [lat. Menelaus]. Re di Sparta, figlio di Atreo e fratello minore di Agamennone. I due fratelli furono cacciati da Micene quando Egisto uccise Atreo. Menelao si rifugiò a Sparta presso Tindaro, di cui sposò la figlia, la bellissima Elena, succedendogli sul trono. Dopo che Elena fu rapita da Paride, Menelao fu promotore della guerra dei principi achei contro Troia, nella spedizione guidata da Agamennone. Durante la lunga guerra si distinse come uno degli eroi più valorosi, e avrebbe ucciso anche il suo rivale Paride, se Afrodite non avesse soccorso il Troiano, nascondendolo in una nube per sottrarlo a morte sicura. Menelao superò ogni pericolo grazie alla protezione costante di Era e di Atena e, quando entrò con i suoi compagni a Troia, Elena riuscì a ottenere il suo perdono. I due sposi tornarono a Sparta, dopo aver peregrinato per otto anni, e, secondo Omero, Menelao sarebbe entrato vivo nei Campi Elisi, in quanto genero di Zeus. Ebbe da Elena due figli: Ermione e Nicostrato.

 

 

Epigramma n. 6 (quasi uno strambotto)

 

Fu il gran Perseo, più di ciascun mortale,

 bravo nell’adoprare ben lo specchio,

 per tagliare la testa all’esiziale

 Medusa, afferrandole un orecchio.

 S’ei l’avesse guardata dritto in volto,

 sarebbe stato un grande baccalà;

ma usò uno specchio, appunto; e, in verità,

fu un saggio eroe, non un guascone stolto.

 

 Pèrseo o Persèo [lat. Perseus]. Eroe greco, figlio di Zeus e di Danae. Il nonno Acrisio, re di Argo, per liberarsi del nipote, che secondo un oracolo lo avrebbe ucciso, lo fece gettare in mare con la madre, in una cassa. I due, in balia delle onde, furono trascinati dai venti fino all’isola di Serifo, nelle Cicladi, dove furono salvati da un pescatore di nome Ditti e accolti alla corte del re Polidette. Costui allevò Perseo come un principe, ma, invaghitosi di Danae, cercò di allontanarlo, chiedendogli di portargli in dono la testa di Medusa, la sola mortale delle Gorgoni. Con l’aiuto di Ermes, Perseo si recò dalle Graie per farsi dire dove abitavano le Gorgoni, loro sorelle. Le Graie erano tre mostruose vecchiette: Pefredo, Enio e Dino. Esse avevano in comune un solo occhio e un solo dente, che si passavano a turno, secondonecessità. Perseo riuscì a impadronirsi dell’occhio e del dente e pretese, per restituirli, di conoscere il luogo dove abitavano le Gorgoni; inoltre chiese alle tre Graie di procurargli dei sandali alati per poter volare, l’elmo di Ades che rendeva invisibili, una falce per decapitare Medusa e una bisaccia in cui riporre l’orrida testa, che trasformava in pietra chiunque la guardasse. Ottenuto tutto questo, il giovane eroe calzò i sandali alati e volò verso la caverna delle tre Gorgoni. Sorprese le tre terrificanti sorelle addormentate e, servendosi dello scudo lucente donatogli da Atena come di uno specchio, riuscì a troncare il capo di Medusa osservandone l’immagine riflessa nello scudo, evitando così di incontrarne lo sguardo letale. Il sangue sgorgò copioso dalla Gorgone, e da esso nacquero il mostro Crisaore e il cavallo alato Pegaso. Mentre Perseo fuggiva, volando sopra i deserti della Libia con il suo macabro fardello, dalla bisaccia caddero gocce di sangue che, toccando la sabbia, si trasformarono in serpenti. Al calar della sera, Perseo scese in Mauritania e chiese ospitalità ad Atlante. Il gigante gliela rifiutò, memore delle parole di un antico oracolo secondo le quali un figlio di Zeus avrebbe rapito le mele d’oro del Giardino delle Esperidi. Allora Perseo estrasse dalla bisaccia la testa di Medusa, e Atlante fu trasformato in un monte di pietra, cioè nel massiccio dell’Atlante. La mattina seguente, proseguendo il suo volo, Perseo scorse sulle coste dell’Etiopia una donna bellissima, incatenata nuda a una rupe, mentre un drago enorme si accingeva a divorarla. L’eroe scese repentino sul mostro, lo ferì a morte e liberò la donna. Era Andromeda, la figlia del re d’Etiopia Cefeo, che doveva essere sacrificata al mostro per volere di Poseidone, offeso dalle sciocche provocazioni di Cassiopea, madre della fanciulla (Vedi Andromeda). Dopo averla salvata, Perseo la sposò. Le nozze, celebrate con grande sfarzo, furono rovinate dal sopraggiungere di Fineo, fratello di Cefeo, con i suoi guerrieri. Fineo tentò di rapire la sposa, asserendo che in precedenza era stata promessa a lui. Perseo, per evitare una lotta fratricida, estrasse dalla bisaccia la testa di Medusa, che pietrificò Fineo e i suoi soldati. In seguito l’eroe tornò a Serifo, ansioso di rivedere la madre, e la trovò nel tempio di Atena, dove si era rifugiata per sfuggire alle moleste attenzioni del re Polidette. Perseo, per soccorrere Danae, estrasse ancora una volta la testa di Medusa e Polidette divenne pietra.  Al posto del re pietrificato, Perseo mise sul trono Ditti, colui che lo aveva salvato e che, secondo alcune fonti, era fratello del re di Serifo. Perseo quindi donò la terribile testa di Medusa ad Atena, che la pose sul suo scudo, poi s’imbarcò con la madre e con la sposa alla volta del Peloponneso. Acrisio, nel frattempo, era venuto a sapere che il nipote stava tornando in patria; ricordando la funesta profezia, impaurito, abbandonò Argo e si rifugiò a Larissa. Qui giunse anche Perseo, che fece una tappa nel viaggio di ritorno in patria per partecipare ai giochi funebri, indetti dal re di Larissa per la morte del proprio padre. Durante il lancio del disco, Perseo involontariamente colpì a morte uno spettatore, che altri non era se non il nonno Acrisio, vittima del fato a cui nessuno può sfuggire. Addolorato da questa sciagura, l’eroe rifiutò allora il trono di Argo, che cedette a un congiunto, Megapente, figlio di Preto, ricevendone in cambio il regno di Tirinto. Qui regnò a lungo ed ebbe da Andromeda molti fondasse nell’Argolide la città di Micene, da lui così chiamata perché la costruì nel luogo in cui gli era caduto il puntale del fodero della spada (mykes). Quando morì, fu mutato in costellazione.

 

 

Epigramma n. 7 (tre quartine)

  

Il sommo Giove amava ardentemente

la bella Teti sopra ogni altra donna

e volea possederla carnalmente;

ma non le sollevò neppur la gonna.

Infatti si sapea che questo amore

avrebbe generato, tra scintille,

un figlio forte più del genitore:

egli sarebbe stato il Divo Achille.

Vi rinunciò il Tonante e se ne spiacque;

per contro Teti col buon Peleo giacque;

e il figlio lor fu bello, ardito e  fiero;

il miglior degli eroi, secondo  Omero.

 

Pelèo o Pèleo [lat. Peleus]. Figlio di Eaco, re di Egina, e di Endeide, figlia del centauro Chirone. Quando fu cacciato da Egina assieme al fratello Telamone, per aver ucciso l’altro fratello Foco, Peleo si rifugiò a Ftia presso il re Eurizione e ne sposò la figlia Antigone, che gli portò in dote una parte del regno. In seguito, durante la caccia al cinghiale calidonio, uccise incidentalmente il suocero. Riparò allora a Iolco, presso Acasto, che lo purificò dell’assassinio. Ma qui la moglie di quest’ultimo, Astidamia, s’innamorò di Peleo e, non corrisposta, lo accusò di averla insidiata. Acasto, non volendo violare le leggi dell’ospitalità, anziché ucciderlo, portò il giovane ospite a caccia sul monte Pelio e lo lasciò addormentato, disarmato e legato a un albero, in preda agli animali selvatici. Peleo fu salvato da Chirone e sul Pelio conobbe e s’innamorò della nereide Teti, che cercò invano di sfuggirgli cambiando continuamente aspetto. Chirone, tuttavia, aiutò il nipote a catturarla e i due si sposarono. Alle loro nozze parteciparono tutti gli dei, tranne Eris, la Discordia (Vedi Paride). Da questa unione tra un mortale e una dea nacque Achille.

 

 

Epigramma n. 8 (quartina seguita da strambotto toscano)

 

Narra Virgilio che il figliol d’Anchise,

il prode Enea, che si salvò da Troia,

giunse in Italia e finalmente rise,

poi che Didon gli era venuta a noia.

Ma c’è un aspetto su cui mi confondo:

quando l’Autor fa Enea così imbecille,

da non fargli temer lo scontro a fondo

con Turno, definito “un altro Achille”!

In realtà il Re Rutulo di questo

valeva men d’un tacco; e un altro testo

ci rammenta che il figlio d’Afrodite

ad Ilio le buscò anche da Tersite.

 

Turno [lat. Turnus]. Eroe italico, re dei Rutuli, figlio di Dauno e di Venilia, fratello di Giuturna. Per amore di Lavinia, a lui promessa dal re Latino e dalla regina Amata, e poi data in sposa a Enea, fece guerra all’eroe troiano, che lo uccise in duello.

Tersite [lat. Thersites]. Uno dei guerrieri greci che parteciparono alla guerra di Troia, famoso per la sua bruttezza e la sua malignità. Amava schernire i compagni più illustri e valorosi, di cui era invidioso, e in particolar modo faceva oggetto delle sue maldicenze e del suo sarcasmo Agamennone, Achille e Ulisse. Achille lo uccise con un pugno perché Tersite osò deridere il suo dolore per la morte di Pentesilea.

 

 

 

Epigramma n. 9 (Tre quartine a rima alternata e  finale a rima baciata)

 

L’amicizia d’ Ulisse e di Diomede
racconta Omero nel decimo canto,

quando entrambi, con silenzioso piede,

fan strage di nemici e menan vanto.

Li accomuna, peraltro, anche la sorte,

dopo la fine dell’iliaca guerra,

poiché a entrambi le cose vanno storte.

Diomede dee fuggir dalla sua terra,

mentre Odisseo deve girar dieci anni,

pria di tornare ad Itaca regnante.

Diomede a stento evita gli inganni

d’una moglie puttana ed intrigante.

Penelope fedele? Una gran balla:

fu casta un mese, poi fu una farfalla

Per i due eroi sarebbe stato saggio

condurre insieme una parte del viaggio.

 

Diomede [lat. Diomedes]. Eroe greco, figlio del re di Argo Tideo. Fu uno degli Epigoni (Vedi Adrasto) e in seguito prese parte alla guerra di Troia, durante la quale si distinse per valore, aiutato da Atena. Vinse infatti in duello Ettore ed Enea e ferì addirittura Afrodite e Ares. Grande amico di Ulisse, compì con lui molte imprese, come la sortita notturna e la cattura dei cavalli di Reso e, sempre con Ulisse, rubò il Palladio, che poi portò ad Argo, dove tornò dopo la caduta di Troia. Afrodite, però, irritata per la ferita ricevuta, indusse Egiale, la moglie dell’eroe, a tradirlo, sicché Diomede l’abbandonò e si recò in Etolia e poi in Italia, dove fu accolto amichevolmente dal re Dauno, di cui sposò la figlia Enippe. Secondo la leggenda avrebbe fondato Brindisi e altre città.

 

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