LA FESTA DEL DUCA : 1924 |
CONTESTO STORICO
Ricerca eseguita in occasione della rievocazione del 1924
dal Conte Luigi Nardini (1855 - 1932)
LE NOZZE DEL PRINCIPE FEDERICO UBALDO DELLA ROVERE
CON LA PRINCIPESSA CLAUDIA DE’ MEDICI
La figura del Principe Federico Ubaldo, unico figliuolo del duca Francesco Maria II Della Rovere, è pervenuta a noi con linee assai incerte, avendo gli storici di quel tempo tenuto celate molte cose riferenti alla sua assai breve esistenza; questo o per espresso ordine del Duca, oppure per non volere offuscare la sua memoria, poiché pare che la sua condotta non debba essere stata tanto degna di encomi. Cosicché al giorno d’oggi riesce assai difficile di giudicarlo come si dovrebbe. Risultano ancora un mistero le cause che produssero la sua morte repentina, alcuni ritenendola avvenuta in modo naturale, altri supponendola conseguenza di un delitto.
Vero si è che la sua nascita produsse una generale esultanza nei popoli del ducato che temevano la estinzione della dinastia dei Della Rovere ma, pur troppo, era decretato che il duca non dovesse avere un successore.
Era nel suo dodicesimo lustro il duca Francesco Maria II, quando, dopo circa cinque anni di matrimonio con la sua cugina Livia, nel giorno 16 Maggio 1605, ebbe la singolare ventura della nascita di un figliuolo. Finalmente, egli aveva un erede. Ad assicurarlo sul seggio ducale, essendo egli troppo avanti negli anni per proteggerlo a lungo, pensò di metterlo sotto la protezione del Granduca Cosimo II de’ Medici, combinando con lui il matrimonio del suo figliuolo, con la infante Claudia, figlia di Cosimo stesso. Fatto ciò, Francesco Maria viveva tranquillo sull’avvenire del suo nato. Appena questi ebbe compiuto il suo diciasettesimo anno, il duca si rivolse con premura a Firenze per affrettare le tanto desiderate nozze. Morì in questo frattempo il Granduca Cosimo e succedutogli il figliuolo Ferdinando II, questi non volle dilazionare il matrimonio di sua sorella, già raccomandatogli dal morente genitore, ed in Firenze, in una villa dei Medici, a’ di 29 Aprile 1621, senza pompa per il lutto in cui era la corte, venne celebrato il fausto connubio.
Ma le pompe e le feste, più che ad altro sito, erano riserbate alla città di Urbino, capitale del ducato. Lo sposo dopo le nozze partì presto da Firenze, ma la sposa si trattenne ancora qualche altro giorno, partendo alli 21 di Maggio con nobilissimo corteo, camminando a corte giornate alla volta di Urbino. Attraversato Arezzo e Borgo S. Sepolcro, il giorno 26 si trovò in cima all’Appennino, ed ai confini dei due Stati, fu incontrata dal suo sposo Federico Ubaldo, che con un numeroso seguito veniva da Urbino.
In quei luoghi alpestri, ricchi di naturali bellezze e di meravigliosi panorami, il cuore di quella giovinetta sposa, anche essa poco più che trilustre, avrà certamente palpitato di insoliti affetti alla presenza del suo sposo di assai belle sembianze e di modi lusinghieri, col quale essa andava ad unire la sua esistenza e a dividerne le sorti. Quante belle speranze, quante dolci illusioni, nello spazio di poco tempo, dovevano dar luogo alla più terribile realtà. E’fuori di luogo, occuparci ora di ciò che in appresso, avvenne, e seguitando la narrazione del viaggio, dirò che la principessa Claudia fermatasi a Mercatello, nel giorno 27 si trovò a Casteldurante, divenuto già da qualche anno l'ordinaria residenza del vecchio duca, che lontano dalle brighe di governo, nella quiete, attendeva ai suoi studi di ascetica e di filosofia. Dal duca, dalla duchessa, da tutta la corte e dai durantini, furono gli sposi amorevolmente accolti e festeggiati, poiché in loro ormai erano racchiuse tutte le speranze della famiglia roveresca e del ducato. Il giorno 28 seguente giunsero in Urbino.
Gli urbinati fecero agli sposi un’entusiastica accoglienza, ed il Comune mandò loro incontro, al seguito del clero e della magistratura, cinquanta nobili dame con relativi cavalieri e paggi; tutti carichi ed adorni di ramoscelli di quercia e di variopinti fiori.
Fu allora che venne eretta, quale arco trionfale, l’attuale porta di Valbona, su cui anche oggi si legge l’iscrizione seguente, encomiante l’auspicato coniugio.
VRBINVM ANTIQVISSIMVM ROMANORVM
MVNICIPIVM
VMBRIAE OLIM VETUSTISSIMA CIVITAS
MODO INTER PICENI MAIORES
LONGETAMEN HISCE TEMPORIBVS
SVB SERENISSIMA DVCIBVS SVIS
CLARIOR
SED ILARIOR NVNQVAM
FEDERICO ET CLAVDIAE PRINCIPIBVS
FASTVM ET FOECVNDVM PRAECATVR
CONIVGIVM
In tale circostanza fu costruito ancora il porticato detto della Grotta, intorno al cui fregio si legge tuttora, una nobile iscrizione ricordante il grande avvenimento:
AVGVSTISSIMl CONIVGII FEDERICI ET CLAVDIAE PRINCIPVM GRATVLATIONIS OBSERVANTIAE ET FIDEI TESTIMONIVM ET MEMORIA POPVLI VRBINATIS. ANNO DOMINI MDCXXI.
Sotto il detto porticato si vedevano dipinte in tavola le statue raffiguranti i nostri sei duchi, e cioè : Oddantonio, Federico II, Guidobaldo I, Francesco Maria I, Guidobaldo II e Francesco Maria II, tutte con le rispettive iscrizioni elogianti le loro particolari virtù. In un posto d’onore era collocata la statua, anche essa dipinta, del principe Federico Ubaldo, sotto la quale leggevasi l’iscrizione seguente:
SERENISSIMO FEDERICO II
PRINCIPI PRAECLARISSIMO
QVI NOVA QVADAM FELICITATE
HOC NOVVM EST CONSECVTVS
VT EFFLORESCENTIVM SVARVM VIRTVTVM SPLENDORI
NON COMITETVR IMMORTALITATIS GLORIA
SED PRAECVRRAT
Qui il principe Federico Ubaldo è detto Federico II, poiché è chiaro che l’autore dell’iscrizione non ha tenuto alcun conto degli altri due Federici che precedettero quello da lui ritenuto il primo, forse perchè non furono insigniti del titolo ducale, cominciando la sua enumerazione dal duca Federico, che fu giudicato il personaggio più illustre della famiglia dei Montefeltro. In questa iscrizione è fatto il voto che a Federico, nel conseguimento di una nuova felicità, lo splendore delle sue fiorenti virtù, precorra la gloria dell’immortalità. Per quanto l’incenso dei cortigiani adulatori mandi sempre tale fumo da offuscare le verità storiche, pure io credo che se il principe fosse già stato così pervertito, come ce lo dissero alcuni storici, la sua lode sarebbe stata scritta in tono assai minore. Che il suo pervertimento sia avvenuto dopo il suo matrimonio? Se ciò fosse la colpa dovrebbe ricadere tutta sul vecchio duca, che in troppo tenera età e privo di ogni esperienza volle affidare al figliuolo le redini dello Stato, disinteressandosi quasi totalmente di quello che lui faceva e lasciandolo libero di scegliere a suo capriccio ministri e consiglieri.
Ritornando sull’argomento, dirò che in quella circostanza buoni artisti diedero mano ad opere di abbellimento di piazze e di contrade con ornati ed addobbi. Archi e quadri furono posti nei punti principali della città, che dovevano essere percorsi dagli sposi. La scuola del celebre Barocci, ancora teneva onorato posto in Urbino ed un Antonio Cimatore, detto il Visacci, un Ventura Mazza, un Gianandrea Urbani ed un Lodovico Viviani, attesero a dipingere per allora molti cartoni a chiaroscuro, alcuni con figure allegoriche ed altri rappresentanti le gesta dei Della Rovere. Nella Galleria del nostro palazzo ducale, si ammirano ancora, ed assai ben conservati, alcuni dei detti cartoni. Claudio Ridolfi, il maestro continuatore della scuola baroccesca e Girolamo Cialdieri, ultimo della eletta schiera, lavorarono e dipinsero per dette nozze a tenore dell'alacrità del loro ingegno, che non era scevro di meriti e quindi degno di futura rinomanza.
Chiuse i festeggiamenti dati dagli urbinati agli sposi, un trattenimento drammatico, che ebbe luogo nella stessa corte, consistente nella rappresentazione di una commedia intitolata Le finte nozze e composta dall’urbinate Giacomo Micalori.
Con questa assai giovane e bella coppia di sposi, pareva ormai assicurato l’avvenire del ducato di Urbino, ma circa due anni dopo, per un fato ineluttabile, o per una fosca tragedia, veniva troncato il nuovo germoglio dell’antica ed illustre quercia roveresca, sulla quale erano riposte le sorti di Urbino e di tutte le città e terre a lei dipendenti. Quei festeggiamenti nuziali, furono le ultime manifestazioni di gioia del popolo urbinate, poiché il vecchio duca, in sul finire dell’anno 1624, lo volle suddito del pontefice. Da allora per Urbino, non essendo più la capitale di uno Stato, cominciò il decadimento.
Luigi Nardini
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