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PASCUAL  BLANCO 

Atti della Mostra Alla Casa di Raffaello

Urbino, 1 - 28 Agosto 2015

 

 

     Hanno detto:

Giorgio Cerboni Baiardi (Video)
Nunzio Giustozzi (Video)
Licia Antobiazzi (Video)

    

      Immagini

Allestimento e Inaugurazione Mostra
Tutte le Opere Esposte in sequenza manuale

Tutte le Opere Esposte in sequenza automatica

     

     Hanno scritto:

Giorgio Cerboni Baiardi (Testo)
Ass. Culturale La Luna (Testo)

Susana Martin Gil

Antón Castro (Testo, Canto a Pascual)

 

 

 

 

Baiardi

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PRESENTAZIONE  del Presidente dell'Accademia Raffaello

 

Pascual Bianco - di cui, dal primo al 28 agosto, nelle salette della Bottega di Giovanni Santi di Casa di Raffaello, verrà ospitata una mostra di bozzetti di piccolo formato - conosceva e amava Urbino, e in Urbino contava amici sicuri, conosciuti e frequentati in occasione dei gemellaggi della Scuola d'Arte di Saragozza - dove Bianco insegnava - con il nostro Istituto Statale d'Arte, la nostra Scuola del Libro. Forse anche per questo l'Associazione culturale "La Luna" di Fermo, benemerita per aver fatto conoscere nel Piceno e in Italia con almeno tre importanti mostre (Fede di vita. Dipinti e incisioni I Retrospettiva 1967-2002, Fermo 2002-2003, Suenos, vigilias y pensamientos, Servigliano 2007, Viaggio al Parnaso, Civitanova Marche 2011) il lavoro e l'opera del pittore spagnolo, ha chiesto - sollecitata da Alfredo Bartolomeoli e Athos Sanchini, nostri accademici e al contempo attivi membri de "La Luna" - di poter realizzare questo prezioso evento: con un gesto di generosa e squisita collaborazione di cui mi piace cordialmente ringraziare, dell'Associazione fermana, il presidente Sandro Pazzi e il direttore letterario Eugenio De Signoribus e quanti hanno collaborato alla realizzazione della mostra: Maite Gil, Susana Martin Gil e Anton Castro.

Giorgio Cerboni Baiardi

 

Laluna

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ESQUISITO Y DIVINO

 

Ci eravamo lasciati con una telefonata e le tue parole rassicuranti: "È stato un brutto inverno ma ormai sono fuori..., ho ripreso ad andare nello studio..., sto lavorando ad un progetto..."

Poi, una nuova chiamata, non più la tua, sentenzia: "Pascual se ha muerto". Improvvisamente tutto è cambiato e ciò che era amorevole presenza ora incombe su di noi come dolorosa assenza. Il desiderio di averti ancora tra noi ci porta oggi a volere in Italia ciò che resta di te, le tue opere. Guidati da questo sentimento, dalla tua assenza presente, dall' affetto che ancora nutriamo nei tuoi confronti, abbiamo voluto riportarti nei luoghi del tuo primo arrivo in Italia. Un ritornare indietro, quasi a voler fermare il tempo. Urbania e il tempo degli scambi culturali tra la scuola che appassionatamente dirigevi e quella della nostra terra. Urbino che amavi e dove tornavi sempre volentieri nei viaggi che costantemente facevi per raggiungere la tua famiglia italiana. Per ricordarti, perché oggi siamo qui per ricordarti, abbiamo richiesto la sede più prestigiosa: "Casa Raffaello". Quel Raffaello del quale non volevi neanche parlare per paura di non saperlo descrivere sufficientemente bene e che ti limitavi a definire esquisito y divino.

Squisito e divino, come la tua arte che oggi, attraverso i tuoi bozzetti, ti riporta tra noi. Opere di piccolo formato ma non piccole opere; intimi incunaboli della tua produzione artistica, unici testimoni dell'atto creativo nel suo nascere: vera espressione di te, del tuo sentire, del tuo essere. Preludi di quelle tue grandi opere che oggi arricchiscono musei e collezioni private. Quasi figli, coccolati, pazientemente assemblati, che rivelano gli aspetti più segreti del tuo essere e della tua personalità che ancora offri a noi, per lenire almeno in parte, la tua mancanza.

Associazione culturale La Luna

 

Susana

 

PASCUAL BLANCO    LABIRINTO ALL'EDEN

 

L'opera del pittore spagnolo Pascual Bianco (Saragozza 1943-2013), che può contemplarsi nella casa natale di Raffaello da Urbino, pretende essere l'espressione del dialogo intimo dell'artista con la pittura e l'incisione, dialogo plasmato in uno degli atti più genuini, al quale solo pochi privilegiati hanno la fortuna di poter accedere: quello della creazione artistica.

Non capita di frequente di essere presente durante il processo creativo di un artista il quale solitamente cerca, anzi necessita, solitudine. Non é certo il caso di Pascual, che molto volentieri apriva le porte del suo studio, per lo meno alle persone a lui più care, tra le quali mi includo. Grazie a questo mio privilegio, posso affermare, a voce alta, che Pascual si confrontava con autentica passione ad ogni tipo di opera: non gli importava che fosse una tela di grandi dimensioni (tipica nella sua produzione artistica), o una matrice per l'incisione. Instaurava con la superficie da lavorare una relazione intensa, un desiderio di dominarla non privo però di un certo grado di sofferenza.

Si potrebbe citare qui la celeberrima frase di Picasso che tanto piaceva a Pascual: "Un quadro é più forte di me. Può fare di me ciò che vuole" 1.

Ma questo non succedeva coi suoi bozzetti, che realizzava con un'intensità di cui Pascual non poteva farne a meno, essendo quest'ultima una caratteristica basica del suo carattere. Quando si sedeva al suo tavolo da lavoro, nel suo studio del quartiere saragozzano "La Paz", con una piccola superficie in bianco davanti a lui, trasmetteva una sensazione di serenità, anzi un sentimento di felicità che scaturiva dalla relazione che l'artista instaurava con le sue opere. A Pascual piaceva ritagliare, incollare e sperimentare con quelle piccole provette, contro le quali rinunciava a lottare per poi lasciarsi trasportare.

Per motivi anagrafici, non sono stata testimone del processo creativo delle prime fasi della sua produzione artistica: quella astratta e quella politica, quando un forte senso di ribellione lo dominava. Ma passati quegli anni, creare era la sua unica preoccupazione, incurante delle pressioni esterne, cercava nell'introspezione le risposte alle sue preoccupazioni, tanto vitali quanto plastiche. Pascual viveva per creare attraverso la pittura e l'incisione.

Questa mostra vuole mostrare il linguaggio della creatività dell'artista di quasi mezzo secolo di lavoro: dalle sue prime opere fino al 2013 anno della sua dolorosa morte. Il 7 aprile di quell'anno, la morte ha colto di sorpresa Pascual mentre si trovava in piena attività artistica: anche quella mattina era stato nel suo studio per lavorare.

L'esposizione non ha la pretesa di essere un'antologica, ne di seguire un filo cronologico, anche se praticamente lo fa. In essa é presente una maggiore rappresentazione degli ultimi anni di lavoro, anni in cui l'artista ha avuto una stretta relazione con il Paese e con la regione dove attualmente è conservata la sua produzione artistica. Predominano le opere di piccole dimensioni e qualcuna di formato intermedio che in effetti non erano altro che dei bozzetti per opere di più grandi dimensioni, non sempre poi realizzatesi. La maggior parte delle opere che culminavano in una tela o in una stampa, non sempre assomigliavano al bozzetto: ne nella composizione, ne nel colore e nemmeno nelle trame, a volte erano un po' più simili ma raramente identiche: ogni opera era unica per lui.

La maggior parte delle opere esposte é stata realizzata con la tecnica del gouache, tecnica molto usata da Pascual per i lavori di piccole e medie dimensioni; altre sono state realizzate su cartolux, un supporto che gli permetteva di giocare con i ritagli ed il collage. Ma sono esposti anche quadri ad olio, nei quali si sostituiscono i giochi di composizione, con delle trame e degli sfumati.

Nella mostra é anche possibile vedere un polittico di bozzetti astratti dei suoi inizi, non appena finiti i suoi studi presso la facoltà di Belle Arti di Barcellona (1965-67), quando l'astrazione era la maniera di dominare il suo sentimento di ribellione e la sua voglia di rompere con l'accademicismo imperante; quando sfuggiva alla rappresentazione per cercare un cammino personale e più affine alle correnti artistiche innovatrici ed imperanti della Barcellona aperta e cosmopolita di quegli anni. Una Barcellona nella quale era possibile visitare esposizioni avanguardiste come: Tapies, Mirò, Picasso, ecc, esposizioni che tanto rispecchiavano il gusto dell'artista.

Si includono due opere, che nonostante siano distanti cronologicamente dalle altre, si relazionano con esse in quanto rappresentano un ritorno all'astrazione: si tratta di due bozzetti per le vetrate della decorazione murale della Chiesa del Cristo Amore Misericordioso a Fermo (Italia 2011).

Le pitture astratte che ha realizzato Pascual Bianco tra il 1964 ed il 1968 si caratterizzano per le composizioni geometriche collocate partendo da strutture di piani, ordinati armonicamente attraverso il colore, e che risaltano pur senza rilievo su dei fondi uniformi. Inoltre, nella sua pittura astratta sono presenti elementi rappresentativi dell' arte informale, come per esempio l'incorporazione alla tela di vari materiali.

Sin dagli inizi, si osserva in molte delle sue opere, una sorta di gestualità che si appropria di esse per poi convertirsi in una costante nella sua produzione artistica, gestualità che l'artista riesce ad ottenere attraverso la combinazione della materia e delle linee, creando così, un linguaggio suo proprio che lo accompagnerà durante tutta la sua carriera artistica. E così che prende le distanze dall'astrazione geometrica (la cui poetica pittorica cercava di allontanarsi dalla soggettività di altri movimenti, come l'espressionismo astratto) per avvicinarsi ad una pittura nella quale l'aspetto emozionale é sempre più emergente.

 

Composición, ~1969,
acrilico e collage con pezze cucite su legno, cm 80 x 100

 

Cierto, 1971.
olio e materiali eterogenei su tavola, cm 164 x 182

 

L'abbandono dell'astrazione ed il passaggio alla figurazione possono considerarsi come uno dei giri più bruschi nella linea plastica di un artista molto impegnato tanto politicamente come nel sociale. Questo cambiamento avviene a partire dal 1969, dopo aver lasciato Barcellona (dove il pittore ammette di essersi sentito totalmente libero) ed essersi trasferito a Saragozza, città nella quale quasi non esisteva una struttura culturale ed artistica, e nella quale il contesto di repressione della Spagna dell'epoca era ancora più evidente. Abbandonò l'astrazione per addentrarsi nella problematica dell'essere umano ed il suo intorno sociale.

L'artista confessava: "Anche se non posso negare che al mio ritorno a Saragozza, ho trovato una città artisticamente più avanzata, il contrasto rimane comunque brutale, e presto si appropria di me il suo ambiente chiuso. Mi ingrigisco sempre di più. Tutto ciò motiva un cambiamento verso un 'arte molto più implicato socialmente e contrario alla censura ed alla repressione. Sento che ho bisogno di protestare" 2.

Agli inizi di questo periodo artistico, rappresentato nella mostra di otto opere, l'artista utilizza dei collage e delle piccole sagome che rappresentano sia la piccolezza dell'essere umano sia la sua spersonalizzazione, ma questa visione dell'essere umano si é evoluta rapidamente, attribuendo a quest'ultimo sempre più forza, al punto tale da farlo diventare il protagonista della composizione.

Oltre ad una densa carica pittorica, Pascual Bianco utilizzava per le sue opere, materiali poveri e di scarto: come fili metallici e vecchi cenci (con certe reminescenze all'Arte Povera con i quali accentuava ancor più il drammatismo delle sue opere; un esempio di ciò é l'opera "Cierto" del 1971, nella quale ricrea una crocifissione utilizzando dei vestiti suoi e dei fili metallici intrecciati, e che mostra con estrema chiarezza, la crudezza della repressione. Queste preoccupazioni vengono enfatizzate dall'utilizzo di colori freddi, in cui predominano i grigi, tonalità ispirate dall'ambiente oppressore di allora.

 

Nella mostra si può contemplare un'opera molto importante di questo periodo artistico: é un bozzetto per un graffito murale realizzato in seguito dal collettivo di Arti plastiche di Saragozza 3 nel 1975 presso la Caserma Militare di Castillejos. E una opera che rappresenta un insieme di altre opere nelle quali Pascual Bianco ha utilizzato dei pupazzi fatti da lui stesso con delle stoffe e collocati in modo da rievocare l'uomo vinto e abbattuto, allo scopo di rafforzare la forte carica politico-sociale della sua opera.

Dopo la morte di Franco, e in piena transizione alla democrazia, Pascual Bianco comprese che le circostanze politiche del momento ormai non richiedevano, da un punto di vista artistico, la sua implicazione sociale e di denuncia: il cammino per abbandonare questa tematica fu lento.

Per due o tre anni la preoccupazione per l'essere umano ha continuato ad essere l'asse centrale del suo lavoro artistico. Ha situato l'uomo in ambienti ostili, con piante grasse e pungenti, tutto ciò sempre facendo uso di tonalità fredde. Ha continuato a mantenere le posizioni forzate e gli scorci esagerati. Ma nelle sue opere s'intravedeva già un abbandono della tematica sociale a favore di una maggiore introspezione, intimismo e solitudine.

Nel 1986, l'allestimento dell'esposizione presso la prestigiosa sala Luzàn di Saragozza, ha sigillato l'abbandono totale di questo tipo di tematica (e forse per la tendenza dell'essere umano e dell'artista ad un certo movimento pendolare), per ricercare un'estetica differente, nella quale predomina il carattere ludico e che é preludio a delle fasi posteriori nelle quali la poesia si convertirà in una delle sue principali fonti di ispirazione. E il caso di Del Génesis o il Paraiso perdido, ispirati all'opera di Jhon Milton (1986).

 

 

L'ESSERE UMANO CONTINUA AD ESSERE IL PROTAGONISTA PERÒ IN UNA MANIERA DIFFERENTE

 

Verso la metà degli anni novanta, con l'opera "Entrenubes", l'artista ritorna coscientemente a riferimenti del passato: come l'uso riflessivo dei colori, l'utilizzo del collage (che apporta trame e frammenta lo spazio), i giochi di piano e l'organizzazione geometrica che intensifica l'ordine delle composizioni e conduce verso un'astrazione in equilibrio con la figurazione. Elementi che sono segni d'identità dell'artista in quasi tutte le fasi della sua creazione artistica, anche se in quest'ultima perde forza una delle sue costanti: la ricerca dell'espressivo per mezzo del gesto.

 

Lo eterno del personaje ante la imposibilidad de detener su caída,
1978. Olio su tavola. cm 200 x 200.

Del Génesis o el Parafso perdido. Senza titolo 4.

Variazione terza, 1987-1992, Olio su tela, cm 200 x 200.

 

La mostra centra l'attenzione sugli ultimi tredici anni di attività dell'artista, (gli anni del nuovo millennio), a partire dalla sua collaborazione con gli artisti marchigiani dell'Associazione Culturale La Luna, composta da incisori e poeti, tra i quali Eugenio De Signoribus coordinatore letterario e l'incisore Sandro Pazzi coordinatore artistico nonché il Presidente dell'Associazione. Una relazione che andrà oltre il confine dello strettamente professionale per convertirsi in una grande amicizia.

Grazie all'Associazione "La Luna" Pascual Bianco realizza varie esposizioni in Italia, la prima nel 2001 intitolata "Viaggio in Italia", allestita a Pesaro ed a Roma, nella quale si é potuto apprezzare la riformulazione dei suoi punti di vista pittorici grazie a delicati dettagli con i quali Bianco rende omaggio al paese che lo stava ospitando. A questa prima mostra ne sono seguite delle altre: a Roma nuovamente, a Fermo; a Caprarola, a Civitanova ecc., l'ultima, "Viaggio al Parnaso" (2011), con il patrocinio del Comune e della Biblioteca di Civitanova Marche, un viaggio intellettuale e simbolico nella patria dei poeti.

Le tele più grandi si possono contemplare nella casa natale di Raffaello e sono del 2013, anno della sua scomparsa. E un'opera carica di maturità nella quale é ancora presente lo sforzo per l'evoluzione ed il progresso.

 

 

Encuentro, 1994, olio su tela, cm 100 x 100

Inacabado, 2013, carboncino, cm 80 x 160

 

Vorrei inoltre evidenziare, che anche se nella mostra, non si può contemplare l'ultima e unica opera che l'artista ha lasciato incompiuta (dal titolo, Inacabado) in essa si possono vedere i dettagli del processo creativo. È un'opera chiusa, equilibrata e nonostante sia formalmente incompleta é esteticamente piena.

Con un fine didattico si é cercato di confrontare il bozzetto con l'opera finale (che in questa mostra é rappresentata con le pitture ad olio o con l'opera grafica), in quanto considero che possa essere rivelatore ed espressivo del processo creativo di Pascual Bianco, che disfruttava componendo e organizzando i piccoli bozzetti, che poi si trasformavano attraverso la materia e le linee in opere diverse: una tela e/o un'incisione. In questo modo nella mostra si intrecciano il piacere della contemplazione estetica con la comprensione del processo creativo.

La struttura che potremmo definire labirintica dello spazio espositivo della casa natale di Raffaello, con sale a differenti altezze e passaggi, si adatta alla ricerca che caratterizzò l'opera dell'artista. Dopo aver abbandonato la tematica sociale, l'uomo in un giardino, prima ostile poi frondoso e gradevole: il Paradiso, l'Eden.

Susana Martin Gil

Docente di Storia dell'Arte e Direttore
del Centro Studi Universitari Ayala

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1 BRASI, Conversaciones con Picasso. Madrid: Tuner; Mexico D. F.: Fondo de Cultura Econòmica [2006].

2 MARTIN GIL, Pilar. Pascual Bianco. Qriterio aragonés. N° 21 - 22 de octubre de 2004, pp. 34.

3 Gruppo di pittori del quale Pascual Bianco non ne ha mai fatto pane, ma con il quale ha collaborato occasionalmente.

Anton

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CANTO A PASCUAL EN SU ARCADIA

Para Maite Gil Trigo

1

Pascual Blanco Piquero. Así te llamabas.

Así querías que fuera tu nombre de artista y de ciudadano.

No siempre lo tuviste claro. Hubo un instante

en que fuiste pintor de brocha gorda,

soñador a la intemperie,

adolescente furioso y díscolo. Querías encerrar

el mundo en un beso, en la emoción, en el trazo indeciso.

Te recuerdo en tus casas. En tus estudios.

Rodeado de tórculos y planchas, entregado a la materia,

deshollinando imágenes y tormentos.

Con papeles en el suelo, con periódicos atrasados,

con esa obra en marcha donde la figuración onírica

se mezclaba con la rotundidad de la abstracción.

¿Cuántos artistas hay, te preguntabas, en el fermento

de una idea, en la quimera de una noche de insomnios?

¿Cuántos puedo llegar a ser con todas mis sombras?

Tu vida no había sido fácil. En nada: ni en la pasión

ni en el grabado. Ni en las pequeñas cosas que alimentan

los secretos.

Eras rebelde a tu modo. Rebelde en ti y por los otros.
Combatías, instante a instante, tus temores, las palomas
del olvido, aún sentías rabia contra el franquismo
y la libertad desdibujada por la ruindad de tantos
años de espanto y voces adormecidas a la fuerza.

 

 

2

Eras clásico y moderno. Torrente de incertidumbres,

te desnudabas de alma y melancolía en cada serie.

Te recuerdo como un Hamlet del arte,

buscándote, preguntándote por las razones esenciales

de tu identidad, por el llanto obstinado de los ácidos.

Eras un amasijo de ensimismamiento y de vocación,

solitario y solidario desde el alba más pura.

Hubo un instante en que decidiste retornar al paraíso,

al confín de la Arcadia, con los griegos y los romanos.

Eras clásico y moderno. Y lo dabas casi todo por

una imagen decisiva. Te atraían los hombres sonámbulos,

las ninfas, los espectros, los seres traspuestos,

los que sabían de la densidad de luz de la aurora,

aquellos que adormecían entre los pámpanos y los racimos.

¡Cómo te gustaba contarte: vibraba en tus palabras

lo esencial, el sinvivir, la artesanía del taller que era refugio,

laboratorio de asombros, afirmación de la belleza!

Te he visto aquí y allá, en múltiples exposiciones,

en la calle, con tu perro, entre tus catálogos,

con el penúltimo diccionario de tus bocetos

o bosquejos de rostros, torsos, cuerpos y ojos de primavera.

Un día me dijiste: "La vida es un torbellino y se concentra

con sus tesoros y contradicciones en mis sienes de metal".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3

Siempre andabas trabajando. Eras un alquimista.

Un mecánico de colores, un ilusionista de figuras.

Poco a poco, sin prisas pero con el afán encendido,

diste los pasos pertinentes: primero la Lonja,

luego Fuendetodos, donde te citaste con Goya

y su condición de cronista de un tiempo desgarrado,

más tarde el Palacio de Sástago. Luego Italia,

que se convirtió en un inesperado paraíso o teatro

de experiencias, en el núcleo de un misticismo nuevo.

La vida se te llevó por delante demasiado pronto y a traición.

¡Cuánta existencia, aún, habías concebido para tu arte

y para tus labios! ¡Cuánto amor querías regalar a la luna

llena y a Maite y a tantos que se anudaban a ti y a tu estela

con el fulgor de los momentos inefables, con la ambición

de seguirte y encontrarte en las esquinas del viento,

en las callejas del sueño, en el torbellino de la perplejidad!

Te fuiste a destiempo, en la madurez más elocuente del alma.

Te fuiste a contrapelo, sin temor a la tempestad.

Como si aún no te hubieras dado cuenta de algo inexorable:

el artista es un náufrago, el explorador indómito,

el penúltimo muerto de amor.

Pascual Blanco Piquero te llamaste en vida.

ciudadano y artista. Poeta del color. Soñador infatigable.

Ahora, desde la otra vida, retornas a Italia.

No le digas a nadie que me invitas a todos tus viajes.

 

 

 

Antón Castro
Garrapinillos, maggio 2015

 

CANTO A PASCUAL NELLA SUA ARCADIA

Per Maite Gil Trigo

1

Pascual Bianco Piquero. Così ti chiamavi.

Così volevi che fosse il tuo nome artistico e di cittadino.

A volte dubitavi. Ci fu un momento

in cui fosti pittore di pareti,

sognatore nelle intemperie,

adolescente furioso e discolo. Volevi rinchiudere

il mondo in un bacio, nell'emozione, nella pennellata indecisa.

Ti ricordo nelle tue case. Nei tuoi studi d'arte.

Circondato da torchi e matrici, con vecchi giornali nel suolo,

abnegato alla materia, rispolverando immagini e tormenti,

con quell'opera in marcia dove la figurazione onirica

si mischiava alla rotondità dell'astrazione.

Ti chiedevi quanti tipi di artisti ci fossero nel fermento

di un'idea, nella chimera di una notte insonne,

e quanti ne potevi incarnare tu con tutte le tue ombre.

La tua vita non è stata per niente facile: né nella passione,

né nell'incisione. Neppure nelle piccole cose che alimentano i segreti.

Eri ribelle a modo tuo. Insofferente per te stesso e per gli altri.

Lottavi giorno per giorno contro i tuoi timori,

le paure dell'oblio, sentivi ancora rabbia contro il franchismo

e la libertà affievolita a causa della vigliaccheria

di tanti anni di orrore e le voci taciute alla forza.

 

2

Eri classico e moderno. Un torrente d'incertezze.

Nelle tue stampe ti spogliavi nell'anima e nella nostalgia.

Ti ricordo come un Amleto dell'arte: ti cercavi,

ti interrogavi sulle ragioni essenziali della tua identità,

sul pianto ostinato degli acidi.

Eri un amalgama di raccoglimento e vocazione.

Sin dai primi albori solitario e solidale.

Ci fu un momento in cui decidesti di ritornare al paradiso,

al confine dell'Arcadia, con i greci ed i romani.

Eri classico e moderno.

Ti prodigavi con una quasi totale dedizione

per arrivare ad un'immagine finale.

Ti attraevano i sonnambuli,

le ninfe, gli spettri, gli esseri eterei,

i conoscitori della densità della luce e dell'aurora,

quelli che si assopivano tra pampani e viticci.

Come ti piaceva raccontarti: nelle tue parole vibrava l'essenziale,

la frenesia, l'artigianalità del tuo studio che era rifugio

e laboratorio di stupori, affermazione della bellezza!

Ti ho visto qui e là, in molteplici esposizioni,

per strada con il tuo cane, tra i tuoi cataloghi,

con la penultima raccolta dei tuoi bozzetti

e dei tuoi schizzi: di visi, di dorsi, di corpi e di occhi di primavera.

Un giorno mi dicesti: "La vita è un vortice e si concentra

con i suoi tesori e le sue contraddizioni nelle mie tempie di metallo".

 

 

 

3

Lavoravi sempre. Eri un alchimista.

Un meccanico di colori, un illusionista di figure.

Adagio, ma con intensa solerzia,

hai dato i passi giusti: prima "La Lonja",

dopo "Fuendetodos", dove avevi preso appuntamento con Goya

e la sua condizione di cronista di un tempo straziato,

più tardi il Palazzo di Sastago. Poi l'Italia,

che si converti in un inaspettato paradiso e teatro

di esperienze, nel nucleo di un nuovo misticismo.

La vita ti è stata strappata troppo presto e a tradimento.

Quanta esistenza avresti ancora concepito

per la tua arte e per le tue labbra!

Quanto amore volevi regalare alla luna piena,

a Maite e a tutti quelli che si stringevano a te e alla tua scia

con il fulgore dei momenti ineffabili, con l'ambizione

di seguirti e incontrarti negli angoli del vento,

nei vicoli del sogno, nel turbine della perplessità.

Te ne sei andato intempestivamente,

nella maturità più eloquente dell'anima.

Te ne sei andato forzatamente, senza timore alla tempesta.

Come se ancora non ti fossi reso conto di qualcosa di inesorabile:

l'artista è un naufrago, esploratore indomito,

la penultima vittima dell'amore.

Pascual Blanco Piquero ti chiamavi in vita.

Cittadino e artista. Poeta del colore. Sognatore instancabile.

Adesso dall'altra vita, ritorni in Italia.

Non dire a nessuno che mi inviti a tutti i tuoi viaggi.

 

Antón Castro
Garrapinillos, maggio 2015

 

 

 

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