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Scheda - Testimonianze
Concepito all'Aquila, Mario nasce a Penne il 9 giugno 1907, da Edvige Cerulli e da Giuseppe, trasferito nella cittadina vestina come professore di disegno, e poi incaricato preside nella Regia scuola Tecnica Complementare; in questa scuola media Mario riceve dal padre, suo insegnante, la formazione nel disegno e nelle altre tecniche figurali, come il carboncino e I'acquerello, secondo I'antica e severa tradizione didattica. Trasferito il padre con la famiglia a Salerno, Mario vi compie gli studi superiori nell'indirizzo "fisico matematico". A seguito della malattia del padre, a diciotto anni si impiega a Roma come applicato nell'Istituto Nazionale dei Cambi con I'Estero, del Ministero del Tesoro. (Qui di fianco una foto di Mariodegli anni '80)
Nel 1927 si arruola nell'Aeronautica come allievo ufficiale pilota ;dopo tre anni, a seguito d'un incidente di volo, lascia I'Aeronautica e nel 1930 e istitutore nel Convitto Nazionale di Salerno; I'anno dopo, ad Anagni, e Aiuto Vice Rettore nel Collegio "Principe di Piemonte", dove anche insegna matematica e, specialmente stimato, vede nascere una salda amicizia con i docenti: Lionello Leonardi, fratello dello scultore ceramista Leoncillo, Franco Ciliberti e Zef Schiro, futuro docente a Roma di Filologia Bizantina. Tomato a Roma, sempre lavorando, anche per aiutare la famiglia a L'Aquila, riesce a iscriversi alla Facoltà di Scienze Matematiche e a laurearsi in soli tre anni di esami, con un'ardua e brillante tesi, allievo stimato di Federigo Enriques; questi però, allontanato dall'università dalle leggi razziali fasciste, sara assente alla discussione della tesi a novembre del 1938. Arrigo Finzi, Lucio Lombardo Radice, Alfredo Franchetta, Giorgio Montalenti e Oreste Piccioni sono suoi compagni di corso. Nel 1939 sposa Giovanna Luraschi, insegnante, laureata giovanissima in matematica e brillante collaboratrice dell'antico Istituto di Calcolo; e
come insegnanti, si stabiliscono a Roma. Inizia a dipingere nel 1954, nella tecnica per lui nuova dell'olio e riceve premi, stima e consensi in mostre nazionali e regionali. Nel 1956.1a sua opera "Ragazza al bar" e accettata dalle due giurie, della VII Quadriennale di Roma. Nel 1960, segnato dalla morte della madre e turbatoannoiato dalle polemiche sulla crisi dell'arte, smette di dipingere e acquista una campagna vicino al lago di Bracciano, Per dieci anni coltiva la sua passione per la natura e allevamento degli animali, appoggiandosi al vicino convento dei Frati Cappuccini ed e anche incaricato, come Preside, di creare una sezione a Bracciano della sua scuola romana. Nel 1967, entrambi i coniugi lasciano la scuola anzitempo e tre anni dopo si trasferiscono sul mare teramano di Pineto, luogo abituale di villeggiatura dal 1948. Nel 1972, costruito un villino con orto, nel nuovo più disteso menage, Mario ricomincia a dipingere, abbandonando la pittura ad olio per i pastelli. Ma soprattutto ha modo di dedicarsi, ordinando antichi appunti e archivio, agli scritti poetici e letterari. La prima mostra antologica e organizzata all'Aquila nel 1977 su iniziativa di "Officina Culturale", mentre I'editore Japadre pubblica nell'occasione il suo primo libro: Galassie, Poesia e Pittura, Nel marzo del 1978 scrive una raccolta di poesie in dialetto abruzzese; "Pecure e pastore" vede la luce l'anno dopo, con una bella presentazione di Lionello Leonardi, in una fine edizione di Itinerari di Lanciano, stampata ancora con i tipi di Carabba. Lo stesso libro e presentato a Roma nel 1980 nella "Libreria Galleria Internazionale Paesi Nuovi", insieme ad una mostra di dipinti, comprendente la serie di pastelli, eseguiti nello stesso anno, su temi e costruzioni matematiche. Nel 1981 il Comune di Roseto degli Abruzzi dedica un "Omaggio a Mario Dell'Agata" con una mostra antologica e due tavole rotonde, in cui intervengono nomi e voci illustri, tra cui I'amico dalla giovinezza Nicola Ciarletta. Il Comune stesso acquista per la Pinacoteca Civica I'opera a pastello: "L'lntegrato".
Nel 1986, per gli Editori Giardini di Pisa esce una prima raccolta di racconti ispirati al decennio vissuto in campagna: "II gatto selvatico", pagine di un professore campagnolo, con la prefazione di Romolo Liberale. Nel 1991 l'editore Maura Baroni di Viareggio stampa in una raffinata edizione della collana Mediterranea, una raccolta di poesie: "II bacio nel tempo". Una terza raccolta di poesie, ispirate agli animali: "Minizoo", poesie ed immagini viene pubblicata nel 1994 dall'Editrice Tracce di Pescara e per la stessa esce nel 1996 il volume di racconti: "La gallina nera", titolo del primo racconto, già pubblicato da Interlinea di Teramo, come protagonista nella rasa vincitrice del Premio letterario per un racconto erotico inedito, ideato da Antonio D'Amore. Questo suo ultimo libro viene presentato a Pescara da Franco Trequadrini e da Stevka Smitran. L'11 marzo del 1997, per un infarto seguito ad un'influenza, muore poco prima di compiere novanta anni.
TESTIMONIANZE
La poetica di Mario Dell'Agata tra matematica e pittura
La cifra prepotentemente multiculturale ed eclettica dell'arte di Mario Dell'Agata lo induceva inevitabilmente ad esprimere uno sforzo, sempre rinnovato, di integrazione compositiva dei diversi linguaggi mirati alia rappresentazione della realta, reinterpretando nello spirito del suo secolo la tradizione figurativa, ma senza al tempo stesso mai negarla. Tra essi spiccavano pertanto in particolare, oltre alia poesia e al racconto, di cui pure forniva prove assai significative, la matematica e la pittura. In tale sforzo, la prima acquisiva una dimensione pittorica e sensuale, fatta di colori e forme che, nella sua piu astratta purezza, la matematica non possiederebbe, ma invece rivela quando si proponga quale linguaggio rappresentativo, esplicitamente artistico e non solo numerico e calcolatorio, bensi piuttosto geometrico e capace di esprimere con evidenza la realta dei fenomeni materiali e vitali da un lata, psichici e simbolici dall'altro. D'altra parte anche la pittura si piegava alia peculiare integrazione eclettica deH'arte di Mario, decantando nel suo incontro con la matematica i propri toni piu passionali, carichi ed esasperati, di taglio espressionista e di critica sociale e di costume o, come nel ciclo di Leda e il cigno, di simbolismo surrealista (come non pensare, a proposito di tale fase precedente, rispettivamente alia pittura degli espressionisti tra le due guerre mondiali o, appunto, al simbolismo surrealista combinato tuttavia con il forte cromatismo dei fauves e del Matisse della Camera rosssa?).
Cosi, a partire dalla fine degli anni 70, si esprimeva quel nuovo sforzo di integrazione. La matematica si integrava con le cose, mostrandosi come base, struttura, legge, dotata tuttavia di forme e colori, luminosi ed essenziali, di cui le espressioni delle curve e delle equazioni si rivestivano. Al tempo stesso, la pittura assumeva, sotto il segno della matematica, espresso appunto da figure geometriche e funzioni (a rappresentare I'essenza dei fenomeni raffigurati accanto e intorno ad esse), nitide e delicate colorazioni pastello, arricchendosi di un simbolismo universale relativo alia realta in generale ed alia realta della vita, di quella umana in particolare. Già Piazza metafisica del 1979, con un evidente riferimento alia pittura metafisica del '900, evidenziava il simbolismo geometrico presente nella citta degli uomini, attraverso le rappresentazioni dei solidi e la tersa campitura cromatica delle pareti dei palazzi e degli spazi intermedi ma, rispetto alia pittura metafisica, esprimeva una maggiore luminosita e chiarezza cromatica, a manifestare una cordiale ed ironica armonia e compenetrazione tra fenomeni concreti e forme astratte che contrasta con la ben piu pesante e seriosa - anche cromaticamente - carica simbolica di un De Chirico o un Dali. E lo spirito di chiarificazione scientifica del simbolismo di Mario, che stabiliva corrispondenze e convergenze tra figure e funzioni da un lato e loro applicazioni ai fenomeni materiali, vitali ed umani dall'altro, rendeva quindi, nelle opere successive, trasparente e non misterioso il loro rapporto, pur senza mancare anch'esso di una forte carica simbolica. In sostanza, le diverse forme geometriche e funzioni matematiche, rappresentate da equazioni, curve e figure colorate si incarnavano via via in oggetti, simboli e forme viventi senza esclusioni o limitazioni, come ad esempio farfalle stilizzate sotto forma dei quadrati e dei triangoli del teorema di Pitagora, o serpent come sinusoidi o sezioni auree tradotte, da costruzioni geometriche, in rapporti dimensionali tra le parti di un tempio, curve cardiodi, spirali, cerchi ed altre curve arricchite di colori e movimenti a produrre i fenomeni della materia (come le tangentoidi e sinusoidi onde del mare), della vita (come le spirali chiocciole, ma anche il cerchio la pregnanza della maternita) e della psiche umana (come la seduta di psicanalisi rappresentata da ovali verticale ed orizzontale, diritto e disteso come lo psicanalista e il paziente, racchiusi entro le pareti di una stanza e con immagini oniriche sullo sfondo), sempre nel quadra di una natura estesa fino a pianeti, stelle e galassie lontane, in armonia con costruzioni geometriche, curve, equazioni, e in un fluire continuo, guidato da principi di invarianza (come quello dei triangoli), di forme e colori pastello. Tuttavia, nella stessa armonia cosmica in cui pure si integrano le figure umane stilizzate a compiere le loro diverse funzioni vitali, Mario denunciava una nota dissonante attraverso una rappresentazione pittorica che esprimeva anch'essa la sua visione del mondo, ma per cosi dire in negativo. Si tratta delle degenerazioni della tecnica umana che portano alia deturpazione di quell'armonia, pur essendo anch'esse applicazioni e figlie del sapere matematico, come in particolare i funghi atomici e le esplosioni raffigurati all'interno di figure geometriche (piramidi) simboli di morte, e soprattutto la macchina che, a differenza del piu libera e fantasioso velivolo leggero (Mario fu anche aviatore) racchiuso in un cubo simbolo di vitalita, porta con se i caratteri della morte: in un caso stecchita e appesa ad una forca stilizzata geometricamente, in contrapposizione ai cavalieri che con i loro destrieri procedono sereni lungo una strada che li mena all'orizzonte e, in un altro caso, inscritta nella piramide e coinvolta in un fungo di un'esplosione che avviene sul suo tetto, fino al caso estremo di una macchina nera che urta e spezza una croce sul suo cammino, mentre una ruota dentata sembra voler attanagliare la base della piramide in cui e racchiusa a conferma, con tale gesto di violenza, del simbolo di morte che questa rappresenta. C'è dunque una condanna del macchinismo rapace e quindi in definitiva dell'uso puramente utilitaristico e mercantile del sapere matematico attuato, a scapito dell'armonia naturale, da parte delle macchine, che non esclude certo i benefici della tecnica ma non vuole essere schiava della violenza vorace di quel macchinismo quando contraddice la naturale armonia del sapere matematico e la sua libera contemplazione. Conferma e piena comprensione di questa visione estetica e libera del sapere matematico come attivita anzitutto disinteressata di conoscenza della realta pur non escludendone I'utilita, ma in armonia con le cose e senza distruggerle, e peraltro nel quadra Autoritratto di famiglia, che Anna ha dedicate alia sua famiglia, al nonno Giuseppe e a lei stessa, ma soprattutto, con maggiore evidenza, al padre Mario e alia madre Giovanna, matematici. Essi sono infatti raffigurati con efficacia nella posa in cui furono ritratti Il cambiavalute e sua moglie nel celebre quadra del fiammingo Jan Metsis, con la differenza che mentre in tale quadro, espressione dell'utilitarismo borghese alle origini della modernita, i due coniugi sono impegnati nell'uso piu utilitaristico della matematica effettuando conti, pesi e misure a scopo ristrettamente economico, i due matematici sono invece intenti a risolvere problemi di conoscenza della realta attraverso la riflessione e la contemplazione della sua universale armonia matematica.
Per "Arte in Dinastia" a Penne, 2007
Arcangelo Rossi
Docente di Storia della Scienza
Universita del Salento
"Il ciuffo ribelle di Mario Dell'Agata"
Da una lettera per TOma^io a Mario Dell'Agata del Comune di Roseto, 1981
... Fu cosi che in quel livido autunno del 1938 (leggi antisemite, patto di Monacoje liberta in Cecoslovacchia e in Spagna prossime alia liquidazione definitiva), Mario Dell'Agata non pote discutere la sua Tesi con il relatore che gliela aveva assegnata, il grande geometra, storico e filosofo Federigo Enriques, "non ariano". I miei commissari, in camicia nera come del resto il candidate, per obbligo di parata rituale, vollero (era gia un gesto di coraggio), con mia grande gioia, che io esponessi la "tesina" che mi aveva proposta, con il suo tocco di genialita anche nelle piccole cose, il sommoTullio Levi Civita, il nome del quale era legato, per concetti geometrici e meccanici da lui sviluppati, ad un altro esponente "giudaico" da espellere dalle biblioteche, Alberto Einstein. ...I nostri comuni maestri di quegli anni, "ariani" e "non", i già nominati e altri illustri, come il fisico Enrico Fermi e il matematico Gaetano Scorza, erano tutti degli umanisti. Nessuno di loro era chiuso nella sua tecnica, tutti avevano interessi generali, filosofici. Federigo Enriques, al quale Mario aveva chiesto la tesi, era membra dell'accademia di Francia nella classe di filosofia, e di cio andava molto orgoglioso Mi chiedo se quell'approccio umanistico, filosofico alla matematica, alle forme geometriche, che Enriques vedeva quasi con gli occhi di Platone, strutture metafisiche della fisica, non abbia segnato la mentalita, il modo di sentire e di operare di Mario Dell'Agata, pittore e poeta di "corpi regolari"; o se invece a un certo tipo di rapporto geometria (matematica)-realta (fisica e psichica) il nostra inquieto ricercatore non sia arrivato del tutto per conto suo, per scarnificazione e/o inquadramento simbolico di esperienze tutte sue.
Non di queste cose pero discutevamo, per i viali della Citta Universitaria nell'anno di grazia 1935. Parlavamo dei nostri studi di ogni giorno, e dei "massimi problemi", in liberta (che la dittatura non fosse nei gusti di nessuno di noi, leva 1934 di "Matematica pura", Io avevamo intuito sin dai primi incontri). Mario mi fece subito una grande impressione. era, innanzitutto, piu "grande" in tutti i sensi. Era un uomo, io era ancora un ragazzo, un figlio di famiglia. Aveva dietro di se una vita che allora mi sembrava soprattutto avventurosa, e che ora scopro soprattutto dura. Ma non era solo questo. Era un uomo libera, fuori non solo dalle convenzioni del perbenismo dell'epoca, ma anche da quelle della contestazione letteraria e superficiale contra il perbenismo dell'epoca. Un uomo autenticamente libera. Mite e indomabile, come il suo ciuffo ribelle. Un uomo che e sempre riuscito a vivere senza offendere se stesso, senza mai rinunciare al suo modo di vita.
Questo quello che intuivo passeggiando con lui 45 anni fa nei viali della Città Universitaria, quello che vado scoprendo piu in profondita, credo, dai suoi quadri e dalle sue poesie. "L'uomo integrate", uno dei suoi quadri che piu mi hanno colpito, e I'immagine in negativo dell'Autore, mai integrate e mai integrabile, e insieme mai "contestatore", e "andante", della parola. Lui: Mario Dell'Agata, che nel 1934 come nel 1981 affronta la vita, e se stesso, con sensibilita e passione, con spirito di geometria e spirito di finezza.
Lucio Lombardo Radice
Matematico e Filosofo
Per Mario nel 1° anniversario della scomparsa, 1998
... Mario ci ha lasciato nei suoi scritti e nei suoi quadri la testimonianza del suo personalissimo itinerario lirico, artistico ed esistenziale. I suoi versi disperatamente vitali, la forza della sua ispirazione e I'intensita con cui viene tradotta in parole, ne fanno una delle voci piii folgoranti e indimenticabili, una delle personalità più incisive e prepotenti del dopoguerra e non solo. Ho citato all'inizio Garcia Lorca perche la sua ispirazione, o meglio il suo canto interiore nasce dalla stessa matrice dei versi di Mario: versi come bengala luminosi e coloratissimi, pulsanti di luce, di passioni, di eras e di irrisolte angosce; parole come sospese sul filo del non detto, del sottinteso, vergate sul pentagramma di un sentimento tragico e al tempo stesso sognante della vita. Testimone solitario eppure coinvolto fin nel piii profondo dell'essere dalle passioni, attentissimo nel cogliere a volo il profumo del tempo, del suo tempo (che e poi anche il nostra).
Era un vulcano di idee e di parole in perenne eruzione: a volte braci ardenti, altre cenere e fumanti lapilli. Entusiasta di tutto, eppure disilluso da tutto. Tenero, ingenuo, immediato come un bambino; triste, disincantato, amarissimo come colui che gia scorge il vicolo della vita chiudersi all'improvviso davanti ai suoi occhi, ancor prima che ai suoi passi. Ha distillate dense cicute di amarezza per il presente e per la vita in generale, insieme a immagini permeate di nostalgia per I'innocenza perduta e a metafore di rara efficacia evocativa.
Poesie limpide e dense, di fresca immediatezza e di amara scienza. Le molte stagioni della vita e dell'opera di Mario ci testimoniano le sue assidue riflessioni su grandi quesiti che da sempre angosciano I'uomo, in un percorso ideale che mostra una sotterranea recezione della grande stagione poetica del Novecento, innestati su familiari radici classiche,
singolarmente unite alia sua figura di matematico. Anche se Mario, da civettone come egli stesso si definiva, amava ripetere spesso una sua boutade:" io non leggo, scrivo!"; doveva essere la condensazione verbale di una caratterizzazione che amava interpretare spesso: quella dell' "homo sanza littere", secondo la definizione di Leonardo.
Certo un innate talento consentiva alia sua poliedrica personalità di fare favilie in ogni campo: era pittore, matematico, poeta, narratore, argute conversatore e spirito fine.
Esuberante, socievole, espansivo, sensibilissimo, passionale, autenticamente libera, sapeva intessere sensuali filigrane di parole, che scaturivano come un purissimo zampillo dal suo cuore generoso. Ma terse e tempo di dare a lui la parola, di lasciare che la sua opera parli con I'agilt leggerezza di una prosa scoppiettante (cosi simile alia sua conversazione!); o con la tenue levita dei suoi versi, che nonostante una sorta di riserbo e di reticenza, sono capaci di toccare il cuore come pochi altri nella storia della poesia italiana e in vernacolo. Quest'ultima forma di espressione e forse quella a lui più congeniale: perche, come ci insegnano gli etnologi, la lingua "colta" e la lingua "paterna", mediata, cioe e la lingua della cultura e del pensiero, e "strumento per dire" e dunque più artificioso; mentre il vernacolo e la "linguc materna", quella dei sensi e del cuore, diretta e spontanea, contra la quale l'intelletto e disarmato, perche essa non segue la rete delle sinapsi, ma i canali del cuore.
Diana Mancini
critico letterario del Centro Agathté