FERMIGNANO 1919 - Urbino 1987 |
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La lirica moderna può esser divisa in due grandi settori: l’uno, che in qualsiasi modo e misura fa capo alla tradizione, l’altro che è formato da innovatori vari; l’opera di Amato Cini è inserita in questo ultimo e, differenziandosi dalla poetica secolare, è a nostro parere da ritenersi valida in un senso di innovazione; perciò il breve «studio» che ci accingiamo a compiere, si baserà principalmente sul presupposto della «crisi» come ricerca estetica; ed in questo forse non troveremo consenzienti coloro che ravvisano negli oderni fatti poetici soltanto una manifestazione di grave debilità. E’ necessario al ri guardo far presente che nessuno pensa di ritenere eccellenti o convincentemente significativi i documenti della «crisi» quand’anche le apparenze sembrino dire il contrario, specie perchè su non pochi di essi ci si e intrattenuti in misura tale da farne trasparire una tacita riprovazione del verso antico, al quale, invece, la nostra deferenza non è venuta e non verrà mai meno per quello che esso vale oggi, per quello, cioè, che vi sussiste di imperituro ed anche di educativo. Esiste una crisi anche nella cultura ufficiale, nel senso che una parte, non certo minima, di essa, volge attenzione a quei settori poetici nei quali i più gelosi conservatori in fatto di letteratura ritrovano manomissione del costume tramandato e parlano di verso imbarbarito, di verso liberatario, incorporeo, o inaccettabilmente congegnato. Ma un altro elemento illimpidisce meglio la situazione prospettata: parte della critica esercitata dalla cattedra è convinta che la trascorsa poe sia, valida per quello che ha di perenne, non tutta resiste a confronto con la sensibilità e il gusto dei contemporanei. La suscettibilità dell’umanista verso la pagina che egli definisce incongrua o surrazionale, la pagina, insomma, che avrebbe smarrito i legami con la filologia atavica, nasce senza meno da incomprensione o se si vuole da preconcetta avversione nei riguardi di colui che esso umanista ritiene per mistificatore letterario. Importante, anche per l’influenza spirituale che ogni sua pagina esercita su chi legge, ci sembra intanto la poetica di Amato Cini, uno scrittore che sta «nel giusto mezzo», tra neoclassicismo e liberismo, con la purezza, inequivocabile del suo linguaggio, con la felicità lirica delle sue immagini, con la delicata misura della sua tessitura di pensiero e di stile ad un tempo — difficile fusione — e in lui facile bella ed immediata sempre. Se di «crisi» potremmo parlare, a proposito della poesia del Cini, non si tratterebbe comunque di «crisi» psicologica o di inadattabilità: ma solamente ed unicamente di «crisi» interiore,, maturatasi attraverso patimenti, indugi, amarezze derivatigli da una continuata diretta esperienza con quella «Selva selvaggia ed aspra e forte» che ha nome «vita». «...E perchè non era speranza/di alba sul mondo/tutto una rete di errori e contese,fio, non migliore dei padri, fuggivo discendevo coi morti»: questo è, forse, il «leit motiv» drammatico in ogni pagina di «Cadenze del tempo penultimo»:un «leit motiv » quanto mai significativo che ci induce a rafforzare in noi le convinzioni poc’anzi espresse a proposito delle finalità di questa sua voce poetica. A volte, in lui, ritroviamo i sensi Kirkegordiani, pel sapore angoscioso del suo mondo dove l'uomo sovente appare un «esiliato», un peccatore talora inconscio che sconta remote colpe. E’ indubitato che il Cini, approfondito studioso di problemi estetici, si preoccupi di trovare, e di esprimere, nella poesia una giustificazione vitale, una necessità d’ordine etico, oltre che spirituale. La sua descrizione è generosa e costellata di similitudini; qualche volta a noi sembra che egli intenda la poesia come «mistero sacrificale»: il suo verso è sempre ravvolto dalla lucentezza di una meravigliosa fantasia: e diventa sempre più possente e trascinante nel fascino quasi aggressivo di ogni configurazione da esso creata. «... Dio che allarghi le mani/e come luce tutto diluvia / a noi già luna nessuna / balza fulgida in cielo / non freme alle nostre parole / il travaglio del mare…». Egli parla con dolcezza di voce in lucida estasi; spesso procede jeratico; il suo canto celebra la Natura in Dio e Dio nella Natura, come perenne miracolo in dualismo perfetto: la natura, madre dell’uomo e grembo della storia; Dio, eterno Artefice; e l’una e l’Altro sono dal Cini consacrati con animo stupito e grato, con pura, coscienza-. sensi che fanno di lui /'«aedo» del nostro tempo, un «. cantore ammirando», un «vate» pago del Bene e del Bello che regnano al mondo, ma altresì infocato giudice di quel Male, di quelle brutture che purtroppo s’addensano attorno alle fiorite aiuole del pianeta, come «coro osceno di rane» in un momento di tenebra aggressiva e di paurosa aspettazione: l'ora dell’Apocalisse non è lontana, forse. L’uomo e il poeta ne piangono l’urgenza, l’immanenza orrende, e invocano la Luce a riscatto e a salvezza: «...Dalla notte e dalla terra / dal vortice infernale/dalla morte seconda/salvaci, o Dio del Giorno». Amato Cini e un precursore e, ad un tempo, uno storico della tormentata e tortuosa storia dell'umanità. Egli, nella sua umiltà, non se ne rende forse conto, ma e indubitato che tutta la sua poesia sa di anticipazione e di annunzio, in un senso non solamente religioso ma anche e sopratutto umano ed universale. Anna Lo Monaco Aprile
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1
II ............................................. 9
Mi tengo a questi dirupi,
III
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LUME DI NOTTI PROFONDE |
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