FERMIGNANO 1919 - Urbino 1987 |
Venti poesie di Amato Cini, una nota di Italo Mancini quattro illustrazioni di Walter Piacesi compongono questo volume di cui sono state tirate centocinquanta copie stampate a cura di Alberto Bernini dalle Arti Grafiche Editoriali per le Edizioni di Ca' Spinello in Urbino nel mese di gennaio millenovecentosettantasette |
premessa di Italo Mancini
Quello che si può chiedere e quello che viene offerto da questa poesia di Amato Cini è quanto si può chiedere e quanto viene offerto dalla poesia: occhi diversi per leggere l'enigma del mondo. E con ciò vorrei subito dire che quella del poeta d'Urbino è poesia; e che da essa sta lontano l'aspetto ludico e consolatorio. Sono versi che si pongono come cifre del «difficile Dio». «Il gioco non è degno dell'essenza», come avvertiva lo Hegel di Jena. Fra tanta sufficienza semeiotica, Cini sta fedele al linguaggio intenzionale; al linguggio che apre, non a quello che chiude nel segno, sia pure ancestrale, della sua esauribile traccia. Una poesia che si avventa contro la gabbia del linguaggio consumato e contro lo strutturalismo del calcolare, e punta sui bagliori dell'oltrechiusura. Di fronte ad un linguaggio che intende fare dell'uomo una macchina (homo ex machina), essa fa credito al linguaggio come espressione del mondo più profondo e del «tempo nascosto». Germina cosi l'ulteriore come orizzonte. Nutrita di lessico biblico e quasi ridotta all'osso nei lunghi silenzi irrequieti, se pure fedeli, la poesia di Amato Cini sembra alla fine placarsi e far cenno di sè nell'intenzione dei Soliloquia di Agostino: Deum et animam scire cupio. Nihilne plus? Nihil omnìno (1, 2, 7). Si angoscia, in altre parole, dell'essenziale; pensa, in senso creativo, quello che il pensiero di alta caratura ha sempre pensato dell'«irripetibile uomo»: l'Identico, che non è mai il medesimo. Per questo si connota come poesia religiosa, che fa argine alla logica faccendiera, quella che il libro della Sapienza chiama fascinatio nugacitatis (4, 12 - «fascino della frivolezza»), con la densità del profondo. Religiosa, infine, non nel senso della gloria o del canto a polmone pieno, ma in quel senso, ancora biblico, che ha chiamato una fragile parola greca, considerata parente povera del lessico filosofico, ad esprimere come sorpresa del mondo il farsi presente dell'Altissimo in mezzo a noi. Intendo riferirmi alla doxa, intendo fissare il carattere della dossologicità, presente nella poesia di Amato Cini in entrambi i sensi con cui essa viene gestita nella più giovane teologia. Nel senso, dapprima, di adorazione che chiede all'uomo svuotamento acre, perché Dio parli là dove si parla di lui. È questo il modulo delle dossologie liturgiche, quello che crea lo spazio per l'invocazione. Vince il nichilismo delle opere e dei giorni dell'uomo, soprattutto quando si avvera
che un giorno ho sentito la morte E poi dossologia nel senso che intende riempire questo spazio liberato con precisi cenni di manifestazione teologica, sia nel senso veterotestamentario, dove la doxa o la gloria di Dio irrompe nel furore del cosmo e nella piegatura degli eventi, sia nel senso dell'esperienza evangelica, dove essa si manifesta attraverso il servizio dei fratelli, la partecipazione al dolore messianico, o, come in Giovanni, nella potenza disarmata della croce. Poetica, e quindi bella; religiosa, e quindi radicale; dossologica, e quindi agonica: così dunque chiamerei l'orizzonte, entro cui si realizza la forte prova poetica di Cini. Ma se con questo abbiamo fatto cenno dell'intenzione profonda, che lega la letteratura e la vita, la questione passa ora alla sponda più propriamente poetica, quella che s'interroga sui ritmi, le forme, i risultati di questi carmi. Al teologo succede il lettore e il critico (e noi, sprovveduti in quest'arte, procederemo con cautela; in compenso, la mancanza di mestiere ci libera dal luogo comune). Traendo ispirazione dal mondo della poesia, Hegel ha teorizzato nei suoi anni maturi il carattere di espressività compiuta e totale, proprio come un'opera d'arte, di ogni sistema filosofico riuscito. Riportando dalla filosofia alla poesia, che, come avverte Heidegger, abita su monti vicini, l'osservazione hegeliana (Differenz... in Werke, ed. Suhrkamp, II, p. 19), potremmo osservare che in ciascuna delle poesie di Amato Cini è riflesso l'intero mondo delle sue inquietudini (corpose, gridate, insistite). Inquietudini (batte una luna maligna), ma anche meraviglie e stupori (sento una festa di rossi gerani), e, soprattutto, speranze (stelle invano aggredite). Eppure, nonostante questo carattere di policentrica espressività, a me pare di poter segnalare un ritmo e un crescendo del libro, dal tema della storia e della memoria, il più vicino alla landa (la pietra, il vento, le lapidi, la città morta, le notti profonde o vegliate da una luna maligna), a quello della natura e dell'uomo, dove con la denuncia, senza alcun cedimento al «gioco», si abbracciano tenerezze e nostalgie, con risorgenti recuperi di terra contadina, quasi potenza benigna, a quello, infine, del «difficile Dio», della speranza contro ogni calcolare, quasi nel segno di Abramo, o de
il grappolo Una catarsi, dunque, che ha i suoi centri stupendi in Luna maligna con la sua stregante filosofia nel solco della leopardiana Ginestra (ma, intanto, in Sosta viene scoperto il midollo dolce delle nourritures terrestres), e poi nell'apostrofe Agli uomini del mio tempo, che mi pare tra le cose più alte del libro, per la passione civile che spinge a curvarsi sull'uomo con desolazione pari alla carica d'amore, fino a Sei un difficile Dio, dove il pur mantenuto valore della teologica presenza, anche nelle emergenti o disfatte cifre del creato, viene giustamente legato alla epocalità della manifestazione, sempre troppo poco per la nostra certezza come sempre troppo in rilievo per il nostro divertissement. Nè un facilmente tecum, e tanto meno un disinvolto sine te. Valori poetici adeguati, levigati con cura in un lessico essenziale e dai risultati poetici irriferibili a cadenze pigre della memoria o della cultura, arginano questo itinerarium dentro la sconsolata gioia del narrare o dell'evento poetico, sì che, sconfitta, alla fine, rimane soltanto la banalità. Movimenti come e il sangue trema di primordiali paure (Notturno) o come
sentivo l'odore della mia gente: o quanto è detto in Al di là dell'abisso, quando si parla di grembo di nascite arcane e in Luna maligna, con poesia rara,
lunga notte oppure gli accenni metafisici in Agonia non vedo che terra annoiata d'essere terra e quelli teologici di Sigillo Tu non sei l'immota onnipotenza, sei la storia e la ferita aperta esprimono, con efficacia conclusa, nella "cogenza" del linguaggio, gli esistenziali veri: l'inconscio, la Sehnsucht, la materiawafer e grembo di latenze destinate al futuro, l'inanità del già fatto, l'angoscia, come scoperta del nulla che rode le cose nell'osso, e infine il significato politico, e quindi destinato alla città dell'uomo, della trascendenza. Italo Mancini |
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NIENTE DI NUOVO
CERCHIO DI AMBIGUI SILENZI
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IRRIPETIBILE UOMO
ASSENZA
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