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Amato Cini

DON AMATO CINI
mORTE, 
27 Novembre 1987

Omelia di Ugo Donato Bianchi Lettera di una alunna Ricordo all'ACLI

 

IN MORTE DI DON AMATO CINI
Omelia di Sua Ecc Mons Ugo Donato Bianchi - Cattedrale di Urbino,  29/11/1987

Carissimi,

in una poesia intitolata "La passerella" il piccolo ponte che di là del Metauro portava al Cimitero dove era sepolta la mamma, Don Cini scriveva:  

Così ti veda alla fine o forse al principio

sulla passerella che anche adesso traballa

precedermi, madre, soffusa di riso

e t'oda dirmi veloce le note suadenti parole:

«Guarda avanti e non avere paura!»

 

Ricordando Don Amato nella Cattedrale con tanti fratelli sacerdoti, addolorati per questa nuova morte, insieme a quanti lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, particolarmente alunni e insegnanti (e a tutti dico grazie), facciamo nostro il suo desiderio e la sua preghiera: sia già risuonata per lui la voce della madre per dire: "Guarda avanti e non avere paura"

Alla voce della madre s'unisca la voce di Maria, la Madre di Cristo e d'ogni sacerdote, per introdurre alla festa della pace e della luce.

Nelle sue poesie torna spesso un'espressione che è da comprendere: "Il Dio difficile", come la rivelazione del suo cuore in profonda e segreta ricerca e quasi inquietudine per una verità piena, una luce totale, una certezza definitiva.

Nella poesia del "fanciullo" svelava così di se stesso: "Io sono, Signore, un fanciullo che ha paura del vuoto... Spoglio di tutte le cose a te racconto da questa finestra la morte dei fiori, e non attendo che te, perchè io sono un fanciullo che ha paura del vuoto".

Ora l'attesa è finita, "il giorno del Signore è venuto",anche; se è stato rapido e improvviso.

Segnali, come preannunci di veglia c'erano già stati più volte. La stessa ultima mattina, alla Messa, aveva detto al Sagrestano e a Don Umberto, che ha celebrato con lui, che l'ora era vicina...

Ha avuto il dono di celebrare la Messa nel giorno stesso della morte! Era anche andato a scuola, compiendo fino all'ultimo questa fatica di professore, alla quale si dedicava con competenza e passione. Tante volte mi confidava che in quel servizio di insegnante si sentiva prete ed era felice quando avvertiva che i ragazzi si aprivano al dialogo e poteva favorire un cammino di verità e di luce attraverso le testimonianze di scrittori antichi e moderni.

Salutandolo qui nella sua Cattedrale, che amava con fedeltà, dove per anni ha celebrato Messa e ha partecipato alla Liturgia come Canonico, gli diciamo grazie: grazie per la vita di sacerdote, per il suo impegno di insegnante, per il suo cuore di poeta. Tutte ricchezze delle quali dire grazie!

Da giovane sacerdote ha fatto per diverso tempo il Cappellano nella Casa di rieducazione, poi ha insegnato in Seminario per molti anni e sono numerosi i sacerdoti che sono stati suoi alunni. E' stato anche Assistente dei Laureati di A.C. e in questo ultimo periodo ha fatto scuola nel Liceo a Pesaro e in Urbino, sempre con entusiasmo e generosità.

Nell'introduzione ad un suo libro di poesie "L'acqua sotto la roccia" il Rettore Magnifico, che mostra di conoscere bene Don Cini per quella specie di scuola peripatetica che si teneva nel passato sotto i portici di Via Garibaldi, afferma: "Scrivere, parlare in poesia per Don Cini, è proprio questo: gettare dei ponti ideali tra le cose, le pietre, i dolori del mondo e la sua anima ma non per strappare delle conclusioni sospette, per insegnare e fare della morale, no, solo per rispondere nel vero del cuore alle voci che gli vengono dal di fuori…

E' stato anche questo un servizio, il servizio di una luce, di una voce, di una sapienza profonda e silenziosa offerta come "acqua dalla roccia", come "notizie portate dal vento" al suo cuore e al cuore degli altri per seminare verità e comunicare amore e speranza...

Amo ricordare ancora una poesia, quella dell' "Altare cosciente".  E' per me come la sua ultima immagine, quella che ho visto quando sono arrivato di corsa, trepidante, all'Ospedale, chiamato premurosamente da P. Nazzareno.

C'è nella poesia come il preannuncio di quell'ora di morte forse non improvvisa e inattesa per lui: "Ancora un poco, e le ultime rose di pallido sangue, rami essenziali. Nella siepe sfiorita, l'umana vicenda. Si arresta il respiro nel pallore che avanza, e morte mi invade. Ora sono un altare cosciente: in me brucia l'offerta di tutte le cose alla certezza del cielo".

Dopo la Messa del mattino, quella messa vespertina, l'ultima, con l'offerta di sè alla certezza del cielo, al mistero della morte per entrare nella vita.

Nella luce di Dio, nella comunione dei Santi, la liturgia continua e si fa perenne liturgia di lode e di gioia. Confidiamo che sia anche verso di noi preti implorazione per un rinnovato cammino di fedeltà, di comunione presbiterale ed ecclesiale, di slancio pastorale e missionario, con la consolazione di nuove vocazioni; per tutti sia richiamo ad una più vigile attesa nell'andare incontro al Signore che viene, guidati e preceduti da Maria, la Madre.

E siano di conforto anche per noi le parole della madre: "guardate avanti e non avete paura".

Non c'è da temere: Dio viene, è venuto, è con noi.

Così sia!

 Donato Bianchi

 

 

 

Lettera di una studentessa della III Classe del Liceo Classico "Pascoli" di Urbino

(NDE: Scritta nel giorno della morte di Don Cini è documento della validità del Sacerdote-Poeta come insegnante)

 

PROFESSORE, VORREI INCONTRARTI ANCORA.

 

Ti ricordo anzitutto un uomo, don Amato, ancor prima che prete, con gli occhi da bambino, trasparenti, che bastava un niente a velarli di tristezza o a riempirli di gioia, una gioia strana, però, motto simile ad una vita limpida e lucente, anche essa propria solo degli occhi dei bambini che non vivono se non per parlare della loro innocenza. Ricordo che rimasi subito colpita da questi occhi che mi guardavano non tanto con l'intento di osservarmi dal di fuori quanto di entrarmi nel cuore.

Sentivo che guardandomi mi attraversavi, mi leggevi dentro come se fossi anima trasparente, mi entravi nell'intimo pur senza farmi male e questo mi confortava. Ti ricordo poeta, don Amato, d'una sensibilità strana, diversa, molto simile ad una sorta di purezza infantile, d'una trasparenza di essere e di porsi a tratti addirittura fisica, tangibile: non semplicemente una sensazione, un prodotto della sfera emotiva, ma qualcosa di fluido, di corposo che univa i nostri cuori al tuo del medesimo calore.

E di questa tua forza che ci rapiva ricordo tuttavia la delicata fragilità, i fremiti di incertezza, di timore, d'una solitudine fatta di vuoto e di paura de! nulla. "Sono un uomo prima di ogni altra cosa - dicevi - e sento tutto quello che gli altri uomini sentono! Poi sono un prete, e di Cristo, della religione vi debbo parlare come fatti culturali, umani, utili alla vostra formazione!" E ancora, con le lacrime agli occhi: "la Chiesa è fatta di uomini e gli uomini sbagliano, commettono errori. Ma il Cristianesimo in sè è stata la cosa più bella, più rivoluzionaria, più vera che la nostra civiltà abbia mai avuto. Ed io questo debbo dirvelo, ne ho il dovere!".

E parlando di Cristo: "Cristo, Cristo non è venuto a portare pace, ma guerra. Però un uomo così non c'è più stato: il più grande poeta della storia!" Una volta, di fronte alla nostra negligenza ci rimproverasti: "Noi insegnanti vi gettiamo delle perle e voi non le raccogliete!" Poi ti ricordo stamane, disteso in una bara di solitudine e coperto da un velo di morte. Ieri ancora palpitavi: pensavi, ci amavi. Oggi sei pallida statua di marmo. Mi hai lasciata fanciulla timorosa dello stesso vuoto di cui tu avevi paura e di cui anch'io, a volte, ho paura.

Perchè del guardare avanti e del non temere avevi fatto il tuo motivo di vita e pian piano anche il mio. Credo che noi giovani dovremmo venire educati dai poeti perchè la cultura, l'educazione sono anzitutto fatti di umanità, di sensibilità. Adesso non riesco più a scrivere altrimenti mi viene da piangere e non posso pensare. Solo, un giorno, vorrei incontrarti ancora, don Amato, ma in un mondo diverso, migliore, su un'altra terra, sotto un altro cielo dove non ci siano guerre, nè odio nè violenze, ma solo poesia, come tu avresti voluto, nè più paure, nè vuoti nè più limiti dolorosi e crudeli di questa nostra condizione di uomini.

E con tanti fiori colorati di purezza e profumati di libertà,

 

Una tua alunna della Classe III Liceo Classico Pascoli di Urbino

 (Lettura di Abramo Cini: clicca)

 

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