FERMIGNANO 1919 - Urbino 1987 |
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Da appunti sparsi (17-07-1979)
Le mie giornate sono abbastanza tranquille. Godo di una buona salute, dopo l’infarto al miocardio anteriore del 17 gennaio scorso. Proprio oggi si compiono da quel giorno sei mesi, tanti quanti ce ne vogliono, a detta dei medici, per la convalescenza. Durante questi mesi ho condotto a termine una raccolta di poesia, ora sotto giudizio del critico Giorgio Bàrberi Squarotti: «I giorni del nomade». Ora attendo di partire il prossimo mese per un viaggio in Grecia. Dunque tutto è tranquillo, eppure questa sera non ho voglia di uscire per il solito incontro con gli amici; non ho voglia neppure di seguire i programmi della televisione. Non ho voglia di niente, e ho paura. La paura è infatti il senso di ciò che non si conosce. È qualche cosa che non c’è, eppure ti afferra, è il presentimento di qualcosa che deve accadere, eppure non accade, ma sei convinto che accada. Cosa è dunque questo tormento che mi abbatte? La finestra è spalancata sulla viuzza deserta; gli alberi del giardino comunale sono immoti. Le ore segnate dall’orologio pubblico mi fanno male al cuore. Ecco, io non so che balbettare. Non sto fermo e sono in movimento; godo di una pace più incombente d’una guerra. E ho ancora e sempre paura. Potrei uscire tra la gente, ma so che dopo avrei ancora paura. Credo di sapere tante cose, ma se tu mi domandi chi sono, ti rispondo che non mi conosco, che la cosa più difficile è conoscersi, che bisognerebbe conoscersi per conoscere gli altri. Ma io non ho questo potere. Posso dirti soltanto che io ho paura. Amato Cini
Questo libro raccoglie le ultime poesie scritte da Amato Cini dal 1983 al 26 Novembre 1987 e le pochissime che non trovarono spazio nelle ultime raccolte: «I giorni del nomade» e «L’acqua dentro la roccia» (Ed. Forum, Forlì 1980-1983). Ho trovato le composizioni inedite sparse in diversi quaderni e sento il dovere di sottolineare che tutte quelle «a largo respiro» hanno visto la luce negli ultimi mesi di vita e solo Dio sa con quale dispendio di energie. Noi non sapremo mai, conoscendo la meticolosità dell’Autore, se le stesure sarebbero rimaste definitive, in particolare alcune di quelle inserite nelle sezioni «Non chiedere» e «Verso il deserto», scritte di getto e con mano sicura, pubblicate per mettere in luce la personalità e la sensibilità del poeta in particolari momenti. La raccolta, nata con l'intento di fare cosa gradita agli amanti della sua poesia e soprattutto per completare il suo messaggio, è stata impostata rispettando, ove era possibile, l’ordine cronologico di stesura, tenendo presente il presumibile pensiero dell’Autore. In merito alla sua poetica ho creduto opportuno inserire un suo scritto del 1982 e alcuni stralci critici significativi. Colgo infine l’occasione per esprimere un vivissimo ringraziamento al Prof. Giampaolo Piccari che ha contribuito in modo determinante alla realizzazione di questo libro. Abramo Cini
(Angelo Jacomuzzi)
La poesia religiosa non conosce nel nostro Novecento esemplari d’eccezione. Tra le poche voci di poesia autenticamente religiosa spicca quella di Amato Cini. La religiosità non è, nella poesia di Cini, presente estrinsecamente, come argomento esplicito del discorso, ma determina il rapporto del poeta con le cose e col mondo. Il rapporto con le cose è quello di un «analfabeta cosciente», cioè un rapporto di immedesimazione che penetra nel cuore delle cose con altri strumenti che non quelli scientifici. Il poeta non è un sapiente, ma un «contagiato»: lo ho scelto d’essere un uomo contagiato da un forte odore di terra che si apre sotto l’aratro. (Analfabeta cosciente) La realtà gli appare come una «foresta di simboli» di baudelai- riana memoria, ma, a differenza della poesia simbolista, questa poesia, intimamente religiosa, non gioca sulle analogie orizzontali, ma vede le cose come simbolo del Trascendente, come traccia dello Spirito creatore: Così con mute parole parlo alle cose condotte al termine loro dallo Spirito che abita sopra le acque. (Analfabeta cosciente) Il modello che sta alle spalle di questo discorso poetico non è tanto le «correspondances» di Baudelaire, ma il Cantico delle creature, «[...] il tuo canto, / frate Francesco» (Assisi). E quando si affronta la presenza dell’Altro nelle cose, si raggiungono certi esiti supremi, come in L’Angelo, un testo che spicca per un andamento intrepido come di inno, e che non nasconde l’ambizione di raggiungere il sublime. Questa aspirazione al sublime percorre tutta la raccolta poetica ed ha il suo segno di riconoscimento nella sintassi ricca di inversioni e sempre tendente ad una predicazione multipla delle cose. Ma quest’aspirazione al sublime, questa visione trionfale delle cose create non si manifestano indisturbate e sono invece segnate da una oscura perplessità che è il segno della modernità della poesia di Amato Cini, della sua appartenenza a un mondo di crisi che la fede creaturale consola ma non risolve: Sono stanco di vivere queste ore perplesse instabili come le nuvole chiare come le nuvole nere che in cielo si elidono sempre. (Uccelli marini) Il creato, a questo sguardo «perplesso», sembra minacciato dal passare inesorabile del tempo e da una immedicabile precarietà, come se la morte e la distruzione stessero sempre in agguato a impedire un canto trionfale delle cose create. Questo senso del pericolo e della minaccia trova un suo correlativo oggettivo nel simbolo biblico dell’angelo sterminatore: E l’angelo sterminatore in agguato dietro cespugli di ginestre sfiorite. (Aerea forma) La vita umana è il luogo di questa perplessità, di fronte alla vita vegetale e animale che sembra godere di una sua immunità: Non è possibile essere un albero /.../ non una pietra immobile non il gatto /.../ la tua vita è piuttosto la nave che può sempre affondare non ti è concesso il riposo se non per proseguire il viaggio pieno di rischi. (Non è possibile) Tra lo splendore della creazione e questa perplessità dell’uomo si colloca la parola del poeta che cerca una certezza attraverso la «magia» del linguaggio, ma che si ritrova tra le mani solo parole consumate e inadeguate: E per evocare magie non ho che parole consunte. (Fossati) Sono concesse solo brevi «pause» di immedesimazione con le cose, come per eccezione e per miracolo. Qui il poeta sembra aver assorbito la lezione di Montale, che assegna, appunto, all’eccezione e al miracolo i brevi attimi di felicità e di conoscenza; e si legga, per cogliere il senso di queste intermittenze, la lirica Pausa, che è la descrizione di una immedesimazione, ma come per una pausa, nel rischio e nell’oscurità dell’esistenza umana. Questo rischio e questa oscurità che minacciano l’esistenza, le opere dell’intelletto e della fantasia, tutte le opere dell’uomo in genere, caratterizzano la sezione Non chiedere e toccano il loro apice in Lamma Sabachtani, dove è descritta la «morte dei sensi», la «memoria abbandonata», il giacere «abbandonati» del cuore e deH’intelletto. Questo stato di smarrimento pervade tutta la sezione Verso il deserto, dove è l’esperienza della solitudine, dell’incompiutezza di ogni opera umana, e dove il poeta ritorna sotto le vesti di un «profeta sconfitto», non ascoltato dagli «amici perversi»: Vi volto le spalle e nascondo le lacrime perché non diciate: Ecco il profeta sconfitto. A mano a mano che si procede nel libro si attenua il realismo creaturale, si attenua la presenza della natura come occasione di slancio verso l’alto. Domina l’immagine del poeta perduto nel deserto, inteso qui nel senso biblico di luogo dell’esperienza della solitudine e dell’incontro col divino. Il rapporto con gli altri si fa angoscioso e si celebra il grande incontro con la «Pietà» che viene a consolare il poeta che si presenta, ora, sotto le vesti bibliche di un nuovo Geremia, profeta inascoltato e capace di odio e amore verso i destinatari della sua parola. In Parole mortali (nascita della poesia) è la definizione di questa parola che si presenta al Cini come capace di mille metamorfosi, eppure sempre inadeguata rispetto al mondo che il poeta vorrebbe comunicare: E mai nessuna di queste s’adegua al fluire delle nascite eterne, non quelle di Alcmane in gara col canto diffuso delle sue mille pernici, non quelle di Dante perduto nel volo illimite dei suoi cherubini di fiamma.
Nella sezione Astronauta dell’anima il poeta fa l’esperienza della vertigine e dello smarrimento di chi si muove in «metafisici spazi», fa l’esperienza di Abramo (si veda la lirica omonima) che lascia la sua casa per una meta ignota, fa l’esperienza di una difficile fede, di una «scommessa» sul Dio nascosto / al di là della nube. Al tono descrittivo della lirica delle sezioni iniziali sottentra ora un registro visionario di discorso e i riferimenti si fanno culturalmente più alti e arrischiati: l’Apocalisse, l'Atlantide, Alcmane e Dante, la nave d’Ulisse, e sul tutto l’immagine biblica della «profetica voce», che segnala l’ambizione, in questa ultima fase della poesia del Cini, di presentare il lavoro poetico come affine al discorso profetico, ma senza l’appoggio dell’ispirazione divina, affidato alle risorse umane del mestiere, sempre così povero nelle sue possibilità rispetto alle mete espressive e comunicative che si prefigge. A mano a mano che si procede nella lettura, si ha l’impressione che, in luogo di cedere alla stanchezza, la poesia del Cini cresca di ambizione e di forza visionaria, fino a l'Ultimo canto, uno stupendo inno rivolto allo «Spirito occulto del mondo», che bene sigilla, come il canto del cigno, questo eccezionale itinerario poetico. Angelo Jacomuzzi
(Raccolti da Abramo Cini)
La poesia di Amato Cini è intensamente apocalittica, e si colloca sul confine ultimo dell’ambiguità insita nella coincidenza fine-principio... Egli trasferisce a Dio la categoria, propria della poesia moderna, dell’assenza. Non dissacra la vita, nè dimentica la sua sacralità, ma ne vive, per così dire, la sacralità negativa. Parola tematica è il «vento», che è simbolo non tanto di potenza inafferrabile (è peraltro anche questo) quanto di trasmigrazione, di esodo, di universale ubiquità. Geno Pampaloni (in «Michelangelo», trimestrale arti, lettere, cultura e attualità / la ginestra editrice / Firenze, 24 / anno VII/1978)
Non è poesia di pace, non di consolazione: ma piuttosto è poesia di rivelazione e, soprattutto, è quella di un supremo «itinerarium in Deum», che non può avvenire che passando attraverso la petrosità e il deserto che è non soltanto il mondo, ma l’anima stessa, nella sua condizione perpetua, mai pacificata, di tormento... Conferma dell’altissimo valore poetico e religioso della poesia di Amato Cini: anzi, di quel rarissimo miracolo per il quale le due esigenze e i due discorsi (poetico e religioso appunto) perfettamente si integrano in un risultato che rimane un acquisto definitivo e fondamentale della nostra coscienza e della nostra vita, oltre che della nostra cultura. Giorgio Bàrberi Squarotti (dalla premessa a «Notizie dal vento», Ed. Miano, Milano 1979, e a / giorni deI nomade, Ed. Forum/Quinta Generazione, 1980)
L’universo del poeta è percorso da un forte anelito religioso, da un’ansia del divino che si diffonde ovunque, specie nei sentimenti, nelle passioni, nei tremori dell’anima, mentre il paesaggio si fa essenziale, raccolto in poco spazio, in linee tutte prese dalla voce dell’uomo... Giuseppe Amoroso (da recensione a «Notizie dal vento» Scaffale di poesia - gazzetta del sud, 24/8/80)
La parola poetica diviene... diario intimo fatto di sofferenze e di paure, di attese e di speranze di fronte alla desolazione cosmica che investe tutto e tutti, individuo e storia, natura e sentimenti: la nullificazione, di leopardiana memoria, si trasforma così in utopia di vita, in voce di poesia in quanto testimonianza e rivelazione del Mistero. Franco Di Carlo (Forum/Quinta generazione, Maggio-Giugno 1982, 95/96)
Un viaggio strutturato sulla figura del marinaio, solo con se stesso, con le sue stelle che gli indicano la rotta nel buio, vecchio capitano stanco di inseguire i sogni e che spera di ritornare un giorno al mare, all’origine cioè della vita. Luigi Martellini (da «La poesia delle Marche», Forum/Quinta generazione, 1982)
Quando don Cini scruta il giorno dalla sua finestra non obbedisce a un rito e nemmeno fa la sua preghiera mattutina in nome della poesia o di Dio (che per certi aspetti è la stessa cosa), no, si presenta ogni volta come uno scolaro che ignori il senso della lezione che gli verrà impartita dal maestro che poi è soltanto l’idea della vita pura, della vita da accettare senza riserve nè altri pretesti. Sta davanti alle cose, le guarda, poi se le riporta dentro e cosi il suo bisogno di poesia gli si traduce immediatamente in discorso, quel secondo discorso che doveva fare fra sé... Scrivere, parlare in poesia per lui è proprio questo, gettare dei ponti ideali fra le cose, le pietre, i dolori del mondo e la sua anima ma non per strappare delle conclusioni sospette, per insegnare o fare della morale, no, solo per rispondere nel vero del cuore alle voci che gli vengono dal di fuori. La sua è un’economia poetica generosa perchè non si pone dei limiti e neppure esige dal suo attore principale, dal suo protagonista uno schema abile, una tattica di giuoco. Carlo Bo (dalla premessa a «L’acqua dentro la roccia», Ed. Forum, Forlì, 1983)
Poesia religiosa nel senso più radicale, che la lega ai ritmi del tempo e della vita, ma anche poesia bella e fedele, che ritrova la forma unificante e eternizzante di fronte alla disgregazione, che oggi ci attanaglia come un pericolo mortale. Aver «creato» delle forme nel segno della bellezza, questo è il merito, che, senza enfasi, possiamo dire storico, di Amato Cini. Forma non ludica, ma neppure asettica, perchè in ciascuna delle poesie di Amato Cini è riflesso l’intero mondo delle sue inquietudini (corpose, gridate, insonni). Italo Mancini (Dal Convegno tenutosi a Urbino il 25/02/1988
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Alcune poesie:
Questo canto è stato composto il 26/11/1987
da "Tra cielo e abisso" luglio 1989 p. 13
La coscienza
infelice nel vuoto di questo
novembre 1980 pag.16
1987 pag.40
NON UNA DI
QUESTE PRIMAVERE
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23/10/1987 pag. 45
11/XI/1986 pag. 95
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OSCURO TREMORE
M'INVADE
aprile /1980 pag.68
Mi è morto l’oracolo in bocca
novembre 1984 pag.72
Qui non v’è imprecazione che laceri il cerchio
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FERMIGNANO 1919 - Urbino 1987 |