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LA
PASSERELLA
La passerella che al di là del Metauro
ci portava alle dimore dei morti,
se crisantemi odorano a un pallido sole,
se rosseggiano, madre,
fugaci gli scotani sulle colline,
in cuore sempre mi torna e traballa.
E ora che anche tu giaci ai piedi del clivo,
che giugno adorna di sparse ginestre,
ritorno a te che traspari aerea
forma da nebbie stagnanti sul fiume
tra gialle acacie e canneti,
e d'un brivido percorsa m'accenni
che l'acqua fatta fiumana risalga,
che porti al tuo grembo le mie paure,
le rinnovate fatiche e i motivi
da molti richiesti
per cui s'alimenta la mia speranza.
A te dunque narrerò solitudini estreme,
odori di cose disfatte nel buio,
cieli vedovi d'ali,
autunni struggenti e lividi inverni,
segni per difficili approdi
raccolti in teneri germi cresciuti
tra rocce e roveti.
Confiderò a te sola che anche m'illusero,
fatto linfa degli alberi,
profumo d'erbe aromatiche
onde gli dei curavano
le divine ferite,
primavere di favola, impetuosi
meriggi allora che il tempo non era
l'abisso e la morte,
ma nascita eterna di arcobaleni
dal mare a finire sulle colline
ove s'eternavano le opere e i giorni
incisi su pietre in cadenze latine,
in pareti di pievi
da cui scendevano dolci agresti madonne
dagli ampi manti avvolgenti
spose gestanti,
gruppi di mani legnose in preghiera,
o madre, congiunte come le tue.
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Ma divisa ormai la mia mente
da antiche radici,
da canti corali e odori profondi
di fieni, soavi di pane
e di mele cotogne,
dimentica anche di quelle parole
che odoravano di vergine terra,
chiare, per queste così costruite,
accetto senza più angeli e fiamme
un rischio di esodi nuovi,
e annuncio a plebi stranite
un difficile Dio
che più non parla nel vento e nei fiori,
non scende più a patti
con l'uomo astuto e tecnocrate
per vedere a quali traguardi vadano
queste stagioni di semi dispersi,
di fughe, di ore perplesse
come quando a nuvole estive
che vengono e vanno fremono gli alberi
e ricadono subito in strani silenzi
al cadere del vento.
Ma prima che vuoti pendano i nidi
dall'alto e la fune si spezzi,
oh, mi raggiungano cori di ninfe
dal riso com'acqua quando s'increspa
alla brezza, ondeggino in luce diffusa,
discendano
da verdi declivi al mare di porpora,
m'accompagnino con vasi d'aromi
pietose a cercare agli inferi il grembo
materno dove dormire per sempre
o rifluire come polla dai sassi.
Così ti riveda alla fine o forse al principio
sulla passerella che anche adesso traballa
precedermi, madre, soffusa di riso,
e t'oda dirmi veloce le note
suadenti parole:
«Guarda avanti e non avere paura». |