AL POSTO DI GUARDIA 1 Ninfa, che tessi con mani di perla policromi veli di luce, che persuadi accesi d'amore gli uccelli a portare in volo steli e bambagia pei nidi nuovi, che stilli rugiada d'aprile sul verde dei grani, sui rami rosei o chiari di gemme, che distendi l'arcobaleno cintura sontuosa del cielo, perché tanta grazia e danze di fiori, di foglie per occhi avvezzi alla strage? Inamabile sorge l'aurora avvolta di porpora sopra quest'isola dove Caino è architetto di città e fortezze orgogliose, dove popoli per fame e per fuoco sono distrutti come vermi che non hanno padrone. Desolata s'innalza la mia canzone sotto un cielo squarciato da lune di morte lanciate dall'uomo atterrito dall'uomo con l'impeto e l'urlo di mille uragani. Ma ora è tempo di strappare la maschera, di stanare la belva, Pasife e la femmina balba, che giusta vendetta si compia, che si venda il mantello per comprare una spada, perché verranno da Oriente e Occidente i figli dei figli a condannare la nostra progenie, che ha stravolto in morte la pace e la giustizia in baldracca da trivio. 2 Io ho detto in giorni di tenebra: «Incancrenita mia terra percorsa, battuta da vari terrori e mai convertita, scrofa lavata, che torni nel brago, non t'incoronino più primavere, e la ruggine roda nel suo fiorire la spiga. Non dia più frutto la vite, intristisca l'olivo. Marcisca in bocca la lingua mendace a chi giura pel cielo e per l'uomo. La paralisi colga chi trama nel buio. Chi tiene un'arma per morte v'incespichi, e sia maledetto il suo sangue». 3 O mie labbra blasfeme, o miei gridi dementi, o insipiente sapienza, come è disperata l'indagine, come oscuro è il cuore dell'uomo. Chi potrà giudicarlo? È venuta la polvere del nuovo deserto a contesa con Te, o Insondabile, che ami la vita. Ti ha tentato la polvere, Ti ha tentato come a Meriba, come nel giorno di Massa. Eccomi ingiusto con tutte le mie orgogliose giustizie, impuro con tutte le mie purezze. 4 Ecco, ho bevuto ho bevuto nell'acque amare il giudizio comune che ci ha svelati immondi di rapine e adulteri, e sono qui unico fiume, unico mare a invocare con voi, umane fraterne radici, l'occulto potere dei semi che rompono pietre e muraglie, il prodigio del canto che svegli con numeri nuovi l'aurora su questa inferma e mutevole luna. In doglie di parto da sempre vagheggia il figlio del sole come l'artista la forma racchiusa nel marmo, e dunque per leggerne i segni starò al mio posto di guardia nella notte che insiste. Amerò questa terra, sarò tenero con l'erba che nasce, non coglierò neppure le rose, le lascerò sulla siepe splendere al sole, le guarderò l'una cedere all'altra come le nuvole e i figli dell'uomo. Sarò come il giunco che intero risorge dall'onda che passa, l'ape che torna dopo la pioggia ai suoi fiori.