Alhambra, figlia di un sogno, cullata
al ritmo del sacro Corano
lungo antichi deserti,
nutrita e cresciuta qui nella terra
andalusa ti vedo
solitaria a specchio delle tue fonti
adorna d’un velo rosso di sposa,
che il mito disse tessuto a un bagliore
notturno di torce.
Ma tra le tue colonne
leggere ed agili come le palme,
che invano accende l’aurora
esalta il meriggio,
tra mirti e oleandri non danze
di odalische,
di vergini uri discese dal cielo,
non cantilene d’Arabia non onde
ascolto di canti gitani.
Solo a fior d’acqua ti baciano
purpuree e bianche
ninfee al sussurro diffuso
di mille zampilli,
mentre dalla Sierra Nevada
la luna rischiara il tuo volto,
che giace e trema
riflesso in limpidi stagni
come per un’ultima veglia,
o Alhambra,
o irripetibile sogno
che un male sottile consuma
generato sotto nomadi tende.