ALLA RAGIONE Ragione, grande e terribile dono, emanazione del Logos diffuso per tutte le cose, che, luce e calore, immaginavi oltre il cielo altri cieli che palpitare udivi anche le pietre le sillabe tue adeguando all’estasi o al pianto d’ogni vivente, che per dismisura fatta orgogliosa t’aggiri deserta in te stessa, ti assomiglio all’amante smagato che in membra divine scopre pustole e macchie, alla fanciulla serena che un prato vergine d’erbe e di fiori delude, se un ragno nero s’insinua furtivo tra le pieghe della candida gonna. Così al tuo indagare se il conto non torna, tremano gli archi dei ponti, cadono simboli come aquiloni che il vento impiglia tra antenne e ramaglie, e nelle plaghe del cielo le stelle non sono che ammassi di pietre inconscie che girano insieme alla terra, grembo impassibile d’alberi d’animali e di acque, di stragi e tumulti di opere umane che il tempo frange confonde e trasforma. E di noi effimeri, nati a consumarci a vicenda, nulla sanno gli spazi da cui voce amica è mai giunta, nulla le albe limpide sopra rovine ed abissi, nè i fiori nutriti dalla polvere umana. Per te si spense nell’uomo il poeta, si allegarono i denti che morsero frutti maliosi, e fu subito il giardino un dirupo di rovi e sterpaglie. A te non chiedo pietà non vani conforti, ma contro i calcoli freddi che incidi su dura parete non infrangere gli specchi dell’anima, lascia che intatta resista la divina follia di Amleto, che ovunque avvertiva arcane presenze più numerose pel cuore e più vere di quanto non osi promettere il tuo disperato sapere. 13/IX/1987