CANTO DEL NOMADE Non soccorso da umana ragione, nè da rosa di venti vado per ambigui sentieri, e non lascerò questa tenda di nomade fino a quando, dice lo Spirito, una donna infeconda non generi un figlio - di - gioia, e non incontri il diletto una vergine che ora lontana tra stoppie e papaveri bruna spigola al sole, perché ora è tempo di cercare un arcano paese per solitudini arse ove il Potente non parla dal fuoco di strani roveti, nè irrompe a cavallo di nubi dal cielo a misurare la terra. Io non ho da narrare prodigi se non questa pazienza di ore deserte. Non m'appartengono neppure i ricordi, quasi Ulisse che, giunto nella sua terra con tutto il mare e le cose infinite che vide, cercava altra meta. Ora vado per sentieri di tigri e fuggenti gazzelle, di cervi in foia sui monti (un impeto di corna spezzate, un fuoco di vita, una furia di morte), d'aquile che piombano sopra la preda, lungo il mare che genera sempre infinite specie di pesci per gli avidi squali, per paesi in rovina, tanto incalza la forza che ha nome Vita tra stragi fatali d'uomini e cose; ché ovunque incombe violenza, soffrono anche le rose e i gerani, che occhieggiano rossi sui nostri balconi. E lo Spirito, Ragione occulta del mondo, mi lascia in costernato silenzio a questa fatica di sentieri sempre da farsi ove non sono rupi da rompere per fresche sorgive, né nubi benigne alte sulla calura, né terra dove sostare, non mare, non le infinite galassie colme anch'esse di morte. Passo e dico parole al deserto, alle canne gementi nel vento. Non ho tempo nemmeno di gettare una rosa sulla tomba ove giace mio padre e mia madre. Lascio mille occasioni di sosta, l'isola delle Sirene e Calipso dai lunghi capelli, dalle mani avvolgenti che tesse una tela di arcobaleni nell'antro caldo di fiamme odorose di cedri e ginepri, perché lo Spirito dice: verrai nel deserto, ti toglierò la dolcezza degli occhi. Ora che molto ho veduto e sofferto, spoglio di tutte le cose, io grido: Spirito che abiti fuori del tempo, non mi perdere in questo vento profondo, carico d'aroma e di fiori, nel vento bruciante nel vento - bufera nel vento - grandine nel vento abissale; nel vento amaro che viene dal mare, che urla tra torri e campane, che striscia su tegole rosse, che arrossa la luna; non mi perdere nel vento senza ragione perché possa ridare persuaso alla terra stregata il suo vino e gli alberi dagli ebbri profumi, e le brune cavalle che m'illusero su tutte le strade. Abisso delle mie domande, tu vedi che, uomo di breve stagione, ho considerato il tempo e l'origine di ciò che si muove per l'alto o fermenta in fondo agli abissi, e ovunque fui preso in un cerchio di orme ambigue, di labili forme come le nuvole. Ti ho tentato, o Assente - Presente, ho rischiato la pietra e lo schianto, perché tu sei la grazia e il pericolo. Ho parlato di te con parole dementi, e mi fu duro annunziare la tua difficile gloria. Aggrappato a questo pianeta con fragili mani, non sono che un soffio che urge a farsi vento nel tuo impossibile vento, una parola sillabata prima del tempo, del sole e del mare che anela a compiersi nella tua Parola. Così tu mi resti il paese sempre futuro, e mai entrerò nel tuo gioco senza farmi deserto di voci, o Nube oscura e lucente. Ora navigo il mare profondo, e attendo se mai la donna infeconda generi un figlio - di - gioia, se mai la vergine incontri il diletto, e il grembo della terra in pressura si sciolga in un riso di onde e di foglie, come la rondine, come la rondine che previene l'aurora.