Chi sei tu che dopo tanto cadere
di foglie e tanto girare di lune
anonimo sul ponte
d’un transatlantico a nome mi chiami,
mi stringi la mano e incerto sussurri:
«Anche tu qui? Non ricordi?»
Ritornano a stento
per gli occhi miei le tue sembianze.
Altra forza ci ha spinti
per strade e sabbie diverse.
Come colline e pianure
ci siamo mutati,
portiamo impresse nel volto
le stigmate di tutti gli eventi.
Oltre oceano anche disperse
le tracce dove fiorivano siepi
di edere e di biancospini.
Solo la rondine
quando ritorna dal mare ritrova
sotto la vecchia grondaia il suo nido,
ma per noi si chiusero
per sempre le porte del sogno.
Rispondiamo automi a un uomo che forse
mai corrispose
al ritmo nativo del sangue.
Costruiti secondo le maschere
che il tempo o il caso c’impose,
centrifughi sempre, svariamo
come le nubi, arlecchini dell’anima,
sintassi ibrida, piume
slegate nell’aria.
Vedi come fila veloce
la nave, come s’infrangono l’onde
come spumeggiano in rapide danze,
come si cangiano in valli e montagne,
in abissi che si elidono sempre.
Chi siamo se non memoria d’un’ombra?
Ascolta, ascolta. Forse ora s’accende
in infinito di spazi una stella,
un’altra forse
in arcano buco nero scompare.