Ercole Bellucci: da Homepage |
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ERCOLE BELLUCCI ANTOLOGIA POETICA 1957-1997
ISTMI 1998 Con circa venti poesie inedite (reperibile in libreria) |
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Recensione di Giorgio Cerboni Baiardi Non sta a me collocarmi. 'Irregolari' o 'isolati' non mancano al Novecento. Pur partendo da quei modelli, le mie pretese non arrivano a tanto. Al minimo delle risorse (e in riserva) corro da solo Ercole Bellucci era nato il 26 gennaio 1937, in Urbino. È morto il 13 ottobre 1997. Ora, a distanza di quasi due anni dalla sua scomparsa, la redazione di Istmi ha voluto dedicare un intero numero della rivista alla sua opera di poeta, e affidare il compito di questa nota al più vecchio fra gli amici urbinati di Ercole: ma sarà poco più di un lieve saluto, una testimonianza affettuosa; forse anche, per me, il seme d'una futura interrogazione più criticamente puntuale della sua poesia. Come d'ogni autentico poeta, bisognerebbe parlare della sua vita, di un'inquieta adolescenza, timida e scontrosa, ma anche ironica e aggressiva, segnata precocemente da un'incancellabile esperienza di morte; visitata, contro ogni scolatica consuetudine, dai fuochi della poesia. Bisognerebbe ricostruire il quadro delle sue prime avventurose letture, il suo rapporto coi libri (che anche a lui, come al praghese Bohumil Hrabal, hanno insegnato "il gusto e la gioia della devastazione"), e poi riandare la trama delle sue agre giornate di lavoro vissute quotidianamente 'ruminando' le parole delle sue poesie tra i vicoli e gli androni, e nei torbidi risvolti d'ombra di una città - la sua Urbino - malata e oscuramente luminosa: che, andandosene, ha lasciato - per tutti gli amici - letteralmente deserta. Del '58 è la sua prima sortita pubblica, fuggevolmente vissuta - ricordo - come un eccitante riconoscimento: per Io, Don Giovanni - il recital costruito da Arturo Massolo, Nicola Ciarletta e Pino Paioni e messo in scena da Marcelle Santarelli nell'agosto di quell'anno - compone, e vien recitata, la sua Ballata d'amore e di morte di Don Miguel Manara, poco più d'un gradevole ma ingegnoso esercizio. Ma contemporaneamente, nello stesso mese, vede la luce - e sono pagine di tormentata gestazione - 1'"esperimento" di Recitativo d'autunno; cui seguono, nel novembre, Ballata della falena e, nel gennaio '60, L'affronto della voce (dapprima annunciato come La Primavera dei Morti ), presentato da Carlo Bo. La posta vi era alta, il progetto animoso, non privo di rischi. E Bo l'aveva subito avvertito se, "nell'esercizio confuso, a volte incerto, spesso privo di equilibrio" dei testi di Bellucci, presentiva l'abbozzo e l'ipotesi d'una poesia che, soverchiando e annullando "il gusto semplice delle impressioni, delle immagini", puntava a "una verità generale, non distinta per attimi e ragioni"; e se, richiamando i nomi di Pavese ed Eliot (punti estremi d'un'avventurosa geografia letteraria e spirituale del poco più che adolescente poeta), scriveva: "Bellucci dice di essere stato colpito, la prima volta, quando era ancora uno studente delle medie da una poesia di Lavorare stanca, non si dimentichi perciò come punto di partenza l'immagine di Pavese ma subito dopo si calcoli l'arco della evoluzione, il facile riportarsi ad un'immagine del tutto diversa come è quella di Eliot: non si passa impunemente da una visione circoscritta al gusto intcriore della litania, della elencazione spirituale. Non per nulla gli oggetti si moltipllcano all'infinito e la parola viene travòlta àa mule elementi scomposti e mììipeT^erfc^^ìa^^T^.'^Yù trebbe essere il gusto del gratutito, potrebbe venir meno il presupposto della necessità ma qui risponde la volontà d'avvio, la forza di soluzione della voce". Le parole di Bo non investivano, evidentemente, solo questio ni di natura tecnica o formale; sollecitavano risposte radicali di strategia poetica. Ma, per la verità, quella 'volontà', Bellucci aveva già provveduto a faticosamente decifrarla e dichiararla, intera, non senza qualche sofferta enfasi, nella Nota in calce alla citata Ballata della falena: che appunto - così si legge - "è una sorta di libera trascrizione e variazione su temi del Vec chio e Nuovo Testamento; la risposta dell'uomo, sconsolata e tragica, sof ferta nella sua improponibilità d'innanzi al Giudizio di Dio. Diciamo il do lore della vita [...], ad un tempo innocente e temeraria. Insomma la ricerca di una verità continuamente ostacolata o distrutta dal suo stesso perenne disamore. Da qui il titolo. La falena gioca con la luce e si brucia". E, con un eccesso di giovanile e fiduciosa oltranza, aggiungeva: "Si trattava di ri percorrere una realtà, una caduta fede [...], sì da vivere la propria occasio ne tragica nella mancanza e non nella nostalgia di Dio. All'atto di ricono scersi nell'inflazione, attraverso quei valori decomposti e corrotti, pauro samente scissi dall'innocenza come dall'errore, ogni residuo diviene fatto di sangue, speranza, libertà. Da qui il totale disorientamento, l'impossibi lità d'ogni conclusione, di qualsiasi risposta. Starei per dire addirittura follia del particolare nell'ossessione cosmica, ma sento di essere ancora più oscuro: eppure non si tratta di intelligibilità, ma di chiarezza, insomma la realtà nella sua luce sinistra, la sola certezza (coscienza?) indistruttibile da ta all'uomo". Di qui, et pour cause, la pratica, d'ascendenza eliotiana e poundiana, della trascrizione, della citazione e della variazione esperita, con preveggente tempismo, in questi testi (su suggestioni disparatissime: Parini, Leopardi, il Koestler di Buio a Mezzogiorno, Shakespeare, Dante, il Vecchio e il Nuovo Testamento): che contamina, ma anche - almeno nelle intenzioni - riscatta "le molte ambizioni rnalinconiche" che, "se non sono addirittura all'origine dell'attrito da cui suscitano inconsulte e aggressi ve", persistono "però come ingiunzione e rivolta della loro stessa luce"; e obbedisce a una "ricerca della verità continuamente ostacolata o distrutta dal suo stesso perenne disamore". "Chi ha sparso quel veleno che lei beve nella sua scontrosa o indifesa purezza? So che la domanda non ha senso, dal momento che le cose stan no così e lei parla, impavido, di noi '...già tristi uomini indiziati al nulla, trastulli che nella tresca subiscono la propria azione mimica, fuori di una orbita morale'. Eppure mi vien fatto di cercare nel mio passato e nel mio presente, se ho mai fornicato con la morte e con l'ombra. Mi pare di no. Certo si è esposti alla tentazione tanto più quanto si persegue il proponi mento essenziale e si attua la natura stessa della poesia (e della vita): tut ta la luce fino all'ombra, tutta la vita fino alle sue radici mortali". Sono parole di Mario Luzi; e sono un frammento, forse cruciale, del lo sparuto e arduo dialogo epistolare che, sollecitato da una straziante e di gnitosa domanda del giovane poeta urbinate, tentava di "veder chiaro nel rapporto vita-morte" - la citazione è ancora da Luzi -, fondante d'ogni poe sia. E pur non provocando esplicite reazioni immediate, non par dubbio che questa e altre 'ragioni' abbiano segnato la riflessione e il successivo la voro di Bellucci: che, se con citazioni da Pavese ("il poeta come è giusto, aspira alla morte") e da Rilke ("È proprio qui che la gente viene per vive re? Sarei più propenso a credere che qui si muoia") non aveva esitato a di chiarare la propria 'scelta'1, sembrava anche delineare, in quella stessa oc casione e con qualche scarto rispetto alla pregressa esperienza di poesia, l'esigenza d'una nuova linea di ricerca: "[...] la risposta, e soprattutto la so luzione, è la poesia che sapremo dare, non la favolosa menzogna di Mal larmé, non quel timore sospetto e lacerante [...] al quale ci ammaestrò il 'novecento' [...], ma pensiamo invece ad una poesia del tutto ingenua, mi te, una tenerezza felice, sobria, allegra"2. È, in ogni caso, da questo giro d'anni che parte e si dischiude un nuo vo difficile sentiero nel lavoro di Bellucci che, abbassando per dir così i to ni che lo avevano fino a quel punto contraddistinto (e il riferimento è agli esiti variamente 'tragici' del Recitativo, della Ballata della falena e de L'affronto della voce), l'avrebbe condotto, dopo anni di appartata e silente ap plicazione, e sempre più 'correndo da solo', alle 'sperimentazioni' raccol te, nel '70, in Di una forma (Poesie 1959-1969). Ma, qui, non mi riesce di archiviare come episodio marginale, o par ziale 'interruzione' ("che [...] organizzava dei miti popolari, a cui parteci pava la memoria, se si vuole pienamente formalizzata anch'essa"3), il mi nuscolo volumetto di macerata prosa, stampato quasi alla macchia in 350 esemplari, 11 freddo quand'era fresco e azzurro. Inabissandosi in una oscura e trepidante 'memoria'4, con tenera e manieristica irriverenza mescidando residui di vissuto con torbide e allegre 'ritualità' popolari', ossessivamen te disegnando oggetti6 e famigliari ma inquietanti interni7, alternando im magini gentili o grottesche8, la 'morte' e il discorso di morte raffina le sue armi, si traveste e si acquatta tra le trame colorate di una memoria minore ma insieme - con quasi paradossale ovvietà - anche riaccende la vita. Co sì, con dissimulata e innocente astuzia, Bellucci impara e prepara la sua ar te di inabissarsi in poesia; e costruisce una sorta di mondo 'simulato', a specchio di quello nitidissimo ma frantumato della 'memoria': un delica to e grottesco, visitato tuttavia dalla vita, quotidiano trionfo della morte. A presentare Di una forma è ancora Mario Luzi. Un gentile stupendo ritratto del poeta da giovane, un ricordo intenso e il richiamo al dialogo epistolare instaurato, quasi dieci anni prima, con Bellucci aprono le sue pagine9: che poi abbozzano una perfetta, e comunque ai nostri fini utilissi ma mappa dei percorsi della scrittura interni a questo nuovo libro "unita rio e svariante"; ne rilevano con finezza gli elementi: "l'estrosa, talvolta persine clownesca disinvoltura nei riguardi della forma", "la singhioz zante forza quasi laforguiana di corrosione", "la beffarda epifania della ce nere" che "si fa avanti da tutti gli automatismi della natura e dell'uomo"; fino ad individuare ed estrarre, dall'incipit del conclusivo componimento che da il titolo alla raccolta, una definizione preziosa e riassuntiva della ricerca e della prospettiva poetica del nuovo libro "Peregrinazione come destino nell'attesa della morte / come conoscenza " Una definizione, que sta, che in realtà da conto delle molteplici 'convivenze' stilistiche, anche degli esperimenti e delle aree del libro cui, con ogni evidenza, si rivolgo no le esitazioni e riserve di Luzi10; una definizione che spiega e giustifica anche le aree di irriverente (ma, ormai lo sappiamo, dolente) giocosità le 'frequenze' alla Giusti (curiosamente, un suo libro) di Versi per un'ossessio ne continua o le 'riscritte' cadenze palazzeschiane di Prima comunione", gli impasti sottratti alle in quegli anni quotidiane frequentazioni primonove centesche o futunste o dell'area storica dell'avanguardia12; o le tavole di poesia visiva di pagina 73, 85 e 99, e gli esercizi di 'variazione' e 'trascri zione' (dal Giornale dell'anima di Giovanni XXIII o da un articolo di Mano Viscardi su "II Giorno" del 17 febbraio 1966) della Parte terza del volume Fino alla tetra arguzia epigrammatica di Freddo ("II signore padrone del l'inverno / ha fatto questo giorno oscuro, / quel signore io poco lo guar do, / così ho freddo") o di Cosi ("se con la vita non c'è niente da fare / la scia alla morte quel che deve fare" Da questo punto in avanti, la fenomenologia stilistica qui sopra solo, anche se diffusamente, annunciata si fa diffusa e capillare Nelle nuove raccolte, nei libri della maturità (da Basso continuo del '79 a // ballo del Sanvito del 1985 a Versiera del '92 fino a Oggettistica emmmistica del '95), "Beilucci aumenta la velocità del 'testo'" (Garufi), e il testo, esplodendo aprendosi e frantumandosi13, "opera spostamenti di piani, compenetrazioni tra il dentro e il fuori" (Porta), attiva processi di 'enumerazione caotica' dove particolari e oggetti, 'impazziti' - quasi profeticamente la formula, ricordate7, era già nella pnmissima riflessione di Bellucci "follia del particolare nell'ossessione cosmica" -, sono travolti da tensioni e improvvise poussees glossolahche (da intendere qui, nella duplice accezione, giocoso-filastroccante e religioso-metafisica, che il termine sopporta) a segnalare enimmi, e insieme a rianimare e negare nostalgie e desideri di innocenza. Perché, in ogni caso, a volerla intendere nelle sue istanze profonde e nella sua giocosa e ludica funereità, la forza della poesia di Bellucci è nella radicalità (e nella ostinata insensatezza) della sua interrogazione, ma anche nello scaltro dislocato irridente paradossale 'stoicismo' delle risposte, epperò, al fondo di tutto, nella irrmunciabihtà (blasfema e crudele) della poesia In questa strofa de / Magi neri, da Versiera, è forse una chiave di quel segreto "[ ] la volta che persi la vena / desiderai che mi morisse Qualcuno vicino / io mi conosco come sono fatto / dopo aver dato da matto / ritorna la Poesia / se pur da buttar via / (non sia mai detto) / m quel punto il dolore è pretto / lesa la ragione / qualcosa si scompone / e una luce inietta, / l'anima eretta / come una cialda d'aspirina / una lucciola di febbre mattutina / incendia la ramaglia dell'alba" Le raccolte della maturità possono, ovviamente, e debbono essere analizzate e misurate - e già ci si è avviati a farlo, da più parti e con sapienza - sul versante della 'forma esterna' ma il rischio, sol che se ne perda di vista l'etimo 'tragico', è di fornire - anche involontariamente - della poesia di Ercole un'immagine diminutiva, percorsa da imponenti e diffusi sintomi d'umor nero e nevrosi, scossa da sia pur abbaglianti allergie di 'provinciale', o perfettamente at trezzata di squisite bizzarrie manieristiche: tutto, alla fine, ad autorizzare - d'una tale operazione 'burchiellesca', eccentrica e provincialmente esibi ta - una registrazione riduttiva e a margine della nostra contemporanea vi cenda letteraria. Ma di questa poesia costruita di immagini 'scartate', mo struosamente generata da un "perverso embrione / in un verso diverso", "invecchiata con lui come un vestito", di questa "incontrollabile balbuzie" scatenatasi nell'ombra e dalle ombre d'una città magica, del cui dialetto e delle cui distorte e grevi immagini o allusioni intride i suoi versi, forte e va riconosciuto - è la disperata coerenza. L'ha fatto, affondando 'ironi camente' - con rabbia e tenerezza, recuperando vecchie pronunce e scon ci irriverenti deliziosi sberleffi - nel cuore oscuro d'una città magica: un po' com'è accaduto, nella magica Praga, al suo Bohumil Hrabal. E' un'i potesi, frettolosa e forse troppo rude ed abrupta, di cui chiedo scusa, di qui, all'amico perduto; ma è un'immagine forte della poesia di Bellucci, che mi par giusto azzardare e dentro la quale mi piacerà di scavare. Tanto più se mi riuscirà così di rispondere con un gesto 'vero' all'invito auto grafo di Ercole, in cui per davvero il caso m'ha fatto imbattere, nei giorni passati, segnato a penna sul margine d'una sua poesia; forse un segnale, certo un pressante e ironico 'grido' a capire. L'invito dice così: "All'amico / G. C. B. / perché dia un occhio / al futuro incerto / di una poesia che non / voleva essere / soltanto urbinate / come l'osteria / l'ufficio / e la scarogna / Ercole".
1 [. ] "la nostra scelta [..] è più che non si voglia vicina alla morte ed ha m sé una forza sfrenata d'attrazione, che suo malgrado, del nostro tempo condivide l'ombra atomica". 2 Assieme a una conclusiva Risposta a Mano Luzi, la lettera di Bellucci (Alcune citazioni confuse con le quali si chiede un parere al poeta Mario Luzi o solidarietà per la nostra poesia o, forse, per la nostra vita ) e la risposta (Una lettera sulla poesia, settembre 1962) di Luzi possono leggersi nelle eleganti Minute per una lettera sulla poesia stampate nei laboratori dell'Istituto Statale d'Arte di Urbmo nel settembre 1963 11l rilievo è di Bruno Pompili (nella sua recensione a Di una forma), il quale nondimeno quella memoria riconosceva "alla prova del discorso lanciata in caccia di una identificazione che era attesa di discorso e attesa anche di una partecipazione ad una vita che dall'antico poteva diventare attuale e piena" 4 "Un omino funereo e bianco dipingeva la neve sui tetti, immacolata e azzurra, sentieri di bosco e la pioggia, finestre con spifferi d'aria e uno strano autoritratto, come si fosse guardato di sfuggita allo specchio Poi venne la paralisi che legò in una sedia la povera figurina di legno" ' "II nonno morto andava dalla nonna il pomeriggio verso le due e mezza o le tre, di venerdì, mentre la zia lavava i piatti [ ] Andava dalla nonna verso quell'ora quasi tutti i giorni, tanto che la nonna mi voleva accanto e si metteva a piangere, dovevo farle compagnia [ ] Nel terzo cassetto del comò c'era il libro del lotto dove si trovano i numeri dei morti, del compleanno, la bilancia, la fiera, il fuoco o il nubifragio secondo i sogni e gli avvenimenti [. ] Leggevo la Lista Generale di tutte le voci delle Persone, Animali. Piante, Arti, Mestieri e nomi Ebraici che poi finn per recitare a memoria [ ]", "Nemmeno io so perche tenessi a quel libro del lotto, poi veniva lafilotea e il barbanera, dovevo leggerli senza sbagliare, cosi la nonna ricavava i numeri o recitava la preghiera prescnt ta o veniva a conoscenza dei noviluni e delle profezie veritiere dell'Anno" 6 "C'era una grande fotografia della sorella della mamma morta adolescente con la stessa malattia della mamma Era una fotografia bianca come la pietra della luna tessuta di venature [ ] Poi c'era un bel pizzo sulla pietra del como e i non di cera sotto una campana di vetro e maioliche schiacciate d oro azzurro e rosahlla che racchiudevano bottoni di madrcperla, acini di perla, una lametta, la mina di un lapis ' 7 "Qualche volta il fumo invadeva la cucina, i pomeriggi d'autunno e 1 inverno, e faceva male alla gola e agli occhi e bisognava aprire uno spiraglio della finestra e la porta per fare corrente, e la mattina presto m cucina c'era un odore di anice e di orzo caldo e io avevo ancora il sonno sugli occhi e quel profumo era buono", "Nella vecchia serra dietro la pergola dov'era ammucchiato il grano c'erano noci, formaggi sulla mensola, vecchi canteram, le vetrate superstiti corrose dalla polvere Certi pomeriggi su tutto quel disordine cresceva un'ombra argentea e al mattino esalava l'aria una luce violetta", "Attigua alla cucina era la camera del morto che era buia [ ] Una tenda scorreva sul filo di spranga attaccato alla trave, separava la cucina dalla camera che era quasi interamente occupata da un letto da prete Perche era buia era la camera del morto" * "Le mie sorelle vanno a vedere la mamma morta, io non dovevo farlo Armi dopo li dove avevano portato la mamma vi ho visto un morto che rideva malizioso quasi resistesse a chissà che solletico, il naso sulle labbra scure come ciglia, il corpo con tutto il freddo delle ossa e quel modo di ridere con le grinze grigie Ecco cosa fa la morte, lei come sarà stata mi chiedevo1 nel cortile tra il pietrisco un'erba gialla e scura, dei rami pallidi come bambagia, inanimi, una nicchia rossa con una madonna celeste argentea e un albero che non cresceva più come uno storpio" 9 "Ercole Bellucci fu un incontro abbastanza sorprendente di parecchi anni addietro Non siamo andati molto al di la perche, fasciato dalla sua timidezza, difficilmente buca - con un'ansia che s'indovina l'involucro che lo isola e lo protegge Un dialogo ab bastanza fondamentale, quanto all'argomento, si svolse perfino per lettera ed e stampato da parte sua un'inquietante richiesta di ragioni adeguate per vivere e per scrivere a cui cercavo di rispondere con qualcosa di più radicale dell'angoscioso sentimento della crisi che l'aveva dettata Poi niente altro Ma Bellucci, vedo, ha filato per conto suo quel discorso nel modo che si conviene a un poeta, lasciando la parola alla testimonianza non arbitraria della sua vita" 10 "Se non che il giovane non sembra nato per afflosciarsi su questa imagme diminutiva, ironica ed elegiaca del mondo La commedia o la mascherata non è totale Sotto la degradazione e la polvere resistono emozioni molto integre e pure che svelano la santità offesa dell'esistenza, e il senso capillare di mortalità non impedisce il sentimento, problematico si ma pienamente religioso della morte come adempimento" 1 "(Quaderno a scacchi) I Sopra le monache / nere sono vestite / sotto hanno garze / bianche come neve / e la carne tiepida come la cipolla / tra le preghiera / raccolgono ragni e scorpioni / per fare i rosan / e paura all'avemana /quando la fiamma dell'inferno / rompe la pietra dell'altare / e il santo mentre dorme / mangia la nuvola, / il peccatore nella tomba / attraversa il fuoco nero / / (sopra il pavimento il mistero / trasparente come il giorno)" 12 Come in Comico, Morte, Mimo, Moglie del Vecchio, Gufo &• Bambina azzurra, qui peraltro non antologizzata 13 Testimonia esemplarmente la vigile coscienza di un'adeguata e non impropria strumentazione 'retorica' Coda di paglia nel gruppo delle Poesie inedite
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