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Ercole  Bellucci:   da Homepage

 

ERCOLE  BELLUCCI

ANTOLOGIA  POETICA

1957-1997

 

ISTMI

1998

Con circa venti poesie inedite

(reperibile in libreria)

 

INDICE

Presentazione di G.C.Baiardi

p. 5

da Recitativo di autunno

 

Oltre giungendo

   13

Attraverso il candore della costola

   13

da L'affronto della voce

 

Melanconia

   19

Frammento VI

   20

Volgono dalla nascita i giorni della morte

   20

Presentazione di Carlo Bo

   25

da: Di una forma

 

Giornata

   29

Già l'uva nera

   29

Dopo

   30

Versi per una ossessione continua

   31

E farnetico come un colloquio con mia madre

   32

Vicolo

   33

Visita di controllo

   34

Notte tarda

   34

Fa freddo

   35

Io non so quale sia il mio dovere

   36

Freddo

   36

Novembre

   37

Un niente qua

   37

Bianche coniglie

   38

La giovinezza colma di visioni

 38

Di una forma

 39

Notizia di Mario Luzi

   40

Basso continuo

 

Oggettini

   43

Basso continuo

   43

Visita

44

Casa dipinta

45

A Leone Traverso

45

I mesi

46

Scherzo

46

Gufo allo spioncino

46

I corpi

51

Velenosi e dolci

52

Sequenza dell'acqua che entra

52

Nota redazionale

54

da: Il ballo di sanvito

 

Dentini ciechi

59

A perpendicolo

59

Così

60

Superiride

60

L'educazione cattolica

61

Scivola nel barlume

62

[La casa imitata]

63

Arance

70

Con battiti

70

La maglia fuggitiva

70

L'armadio

72

Regola minore

73

A domandare

74

Sottostante

74

L'involto

75

Ronzio

76

da: Versiera

 

Faro custode

81

I magi neri

81

Le scarpe in testa

92

Baraonda

96

A Paolo Volponi non spedita

97

Alzabandiera

97

Istinto donna

98

Re travicello

98

Minuetto

100

Versiera

101

Ex-libris per Bohumil Hrabal

103

Non spedita a G. Raboni

107

Trasformista

108

da: Oggettistica enimmistica

 

Diavolo cavolo

111

La bambola di Kokoschka

114

Videotape

121

Ogettistica enimmistica

124

Sulle punte

125

Sotto una cattiva luce

126

Pensione Veranda

127

Che sono fumatore

127

Scuri pesi

128

Dai sotterranei rimuovono casse

129

Sarabanda

130

Nota di Eugenio de Signoribus

133

POESIE  INEDITE

 

Gag

137

Anni cinquanta

138

Uscita

139

Non trovano di meglio

139

Disk Jockey

140

Casamadre

140

Matita e acquerello

142

Teppista taccuino

143

Coda di paglia

145

Lo scatto porno suggerito dall'anziana

146

Zero zero

148

(Hans Bellmer)

148

Carnarola

151

Il campanello

152

Come butta

155

Aum aum

157

La befana del 42i

158

Teppista taccuino

159

Nota bio-bibliografica

161

 

Recensione di Giorgio Cerboni Baiardi

Non sta a me collocarmi. 'Irregolari' o

'isolati' non mancano al Novecento. Pur

partendo da quei modelli, le mie pretese

non arrivano a tanto. Al minimo delle

risorse (e in riserva) corro da solo 

   Ercole Bellucci era nato il 26 gennaio 1937, in Urbino. È morto il 13 ottobre 1997. Ora, a distanza di quasi due anni dalla sua scomparsa, la redazione di Istmi ha voluto dedicare un intero numero della rivista alla sua opera di poeta, e affidare il compito di questa nota al più vecchio fra gli amici urbinati di Ercole: ma sarà poco più di un lieve saluto, una testimonianza affettuosa; forse anche, per me, il seme d'una futura interrogazione più criticamente puntuale della sua poesia.

   Come d'ogni autentico poeta, bisognerebbe parlare della sua vita, di un'inquieta adolescenza, timida e scontrosa, ma anche ironica e aggressiva, segnata precocemente da un'incancellabile esperienza di morte; visitata, contro ogni scolatica consuetudine, dai fuochi della poesia. Bisognerebbe ricostruire il quadro delle sue prime avventurose letture, il suo rapporto coi libri (che anche a lui, come al praghese Bohumil Hrabal, hanno insegnato "il gusto e la gioia della devastazione"), e poi riandare la trama delle sue agre giornate di lavoro vissute quotidianamente 'ruminando' le parole delle sue poesie tra i vicoli e gli androni, e nei torbidi risvolti d'ombra di una città - la sua Urbino - malata e oscuramente luminosa: che, andandosene, ha lasciato  - per tutti gli amici - letteralmente deserta.

  Del '58 è la sua prima sortita pubblica,  fuggevolmente vissuta - ricordo - come un eccitante riconoscimento: per Io, Don Giovanni - il recital costruito da Arturo Massolo, Nicola Ciarletta e Pino Paioni e messo in scena da Marcelle Santarelli nell'agosto di quell'anno - compone, e vien recitata, la sua Ballata d'amore e di morte di Don Miguel Manara, poco più d'un gradevole ma ingegnoso esercizio. Ma contemporaneamente, nello stesso mese, vede la luce - e sono pagine di tormentata gestazione -   1'"esperimento" di Recitativo d'autunno; cui seguono, nel novembre, Ballata della falena e, nel gennaio '60, L'affronto della voce (dapprima annunciato come La Primavera dei Morti ), presentato da Carlo Bo. La posta vi era  alta, il progetto animoso, non privo di rischi. E Bo l'aveva subito avvertito  se, "nell'esercizio confuso, a volte incerto, spesso privo di equilibrio" dei testi di Bellucci, presentiva l'abbozzo e l'ipotesi d'una poesia che, soverchiando e annullando "il gusto semplice delle impressioni, delle immagini", puntava a "una verità generale, non distinta per attimi e ragioni"; e se, richiamando i nomi di Pavese ed Eliot (punti estremi d'un'avventurosa geografia letteraria  e spirituale del poco più che adolescente  poeta),  scriveva: "Bellucci dice di essere stato colpito, la prima volta, quando era ancora uno studente  delle medie da una poesia di Lavorare stanca, non si dimentichi perciò come punto di partenza l'immagine di Pavese ma subito dopo si calcoli l'arco della evoluzione, il facile riportarsi ad un'immagine del tutto diversa come è quella di Eliot: non si passa impunemente da una visione circoscritta al gusto intcriore della litania, della elencazione spirituale. Non per nulla  gli oggetti si moltipllcano all'infinito e la parola viene   travòlta àa mule elementi scomposti e mììipeT^erfc^^ìa^^T^.'^Yù  trebbe essere il gusto del gratutito,  potrebbe venir meno il presupposto   della necessità ma qui risponde la volontà d'avvio, la forza di soluzione   della voce". Le parole di Bo non investivano, evidentemente, solo questio  ni di natura tecnica o formale; sollecitavano risposte radicali  di strategia   poetica.  Ma, per la verità,  quella 'volontà', Bellucci aveva già provveduto   a faticosamente decifrarla e dichiararla, intera, non senza qualche sofferta   enfasi, nella Nota in calce alla citata Ballata della falena: che appunto - così   si legge - "è una sorta di libera trascrizione e variazione su temi del Vec  chio e Nuovo Testamento; la risposta dell'uomo, sconsolata e tragica, sof  ferta nella sua improponibilità d'innanzi al Giudizio di Dio. Diciamo il do  lore della vita [...], ad un tempo innocente e temeraria. Insomma la ricerca   di una verità continuamente ostacolata o distrutta dal suo stesso perenne   disamore. Da qui il titolo. La falena gioca con la luce e si brucia". E, con un   eccesso di giovanile e fiduciosa oltranza, aggiungeva: "Si trattava di ri  percorrere una realtà,  una caduta fede [...], sì da vivere la propria occasio  ne tragica nella mancanza e non nella nostalgia di Dio. All'atto di ricono  scersi nell'inflazione, attraverso quei valori decomposti e corrotti, pauro  samente scissi  dall'innocenza come dall'errore, ogni residuo diviene fatto   di sangue, speranza, libertà. Da qui il totale disorientamento, l'impossibi  lità d'ogni conclusione, di qualsiasi risposta. Starei per dire addirittura   follia del particolare nell'ossessione cosmica, ma sento di essere ancora più   oscuro: eppure non si  tratta di intelligibilità, ma di  chiarezza, insomma la   realtà nella sua luce sinistra, la sola certezza (coscienza?) indistruttibile da  ta all'uomo". Di qui,  et pour  cause,  la pratica, d'ascendenza eliotiana e   poundiana, della trascrizione, della  citazione e della  variazione esperita,   con preveggente tempismo, in questi testi (su suggestioni disparatissime:   Parini, Leopardi, il Koestler di Buio a Mezzogiorno, Shakespeare, Dante, il   Vecchio e il Nuovo Testamento): che  contamina, ma anche  - almeno nelle   intenzioni -  riscatta "le molte ambizioni rnalinconiche" che, "se non sono   addirittura all'origine dell'attrito da cui suscitano  inconsulte e aggressi  ve", persistono "però come ingiunzione e  rivolta della loro stessa luce"; e   obbedisce a una  "ricerca della verità  continuamente ostacolata o distrutta   dal suo stesso perenne disamore".

   "Chi ha sparso quel veleno che lei beve nella sua scontrosa o indifesa  purezza? So che la domanda non ha senso, dal momento che le cose stan no così e lei parla, impavido, di noi '...già tristi uomini indiziati al nulla,  trastulli che nella tresca subiscono la propria azione mimica, fuori di una  orbita morale'. Eppure mi vien fatto di cercare nel mio passato e nel mio  presente, se ho mai fornicato con la morte e  con l'ombra. Mi pare di no.  Certo si è esposti alla tentazione tanto più quanto si persegue il proponi mento essenziale e si attua la natura stessa della poesia (e della vita): tut ta la luce fino all'ombra, tutta la vita fino alle sue radici mortali".

    Sono parole di Mario Luzi; e sono un frammento, forse cruciale, del lo sparuto e arduo dialogo epistolare che, sollecitato da una straziante e di gnitosa domanda del giovane poeta urbinate, tentava di "veder chiaro nel  rapporto vita-morte" - la citazione è ancora da Luzi -, fondante d'ogni poe sia. E pur non provocando esplicite reazioni immediate, non par dubbio  che questa e altre 'ragioni' abbiano segnato la riflessione e il successivo la voro di Bellucci: che, se con citazioni da Pavese ("il poeta come è giusto,  aspira alla morte") e da Rilke ("È proprio qui che la gente viene per vive re? Sarei più propenso a credere che qui si muoia") non aveva esitato a di chiarare la propria  'scelta'1, sembrava anche delineare, in quella stessa oc casione e con qualche scarto rispetto alla pregressa esperienza di poesia,  l'esigenza d'una nuova linea di ricerca: "[...] la risposta, e soprattutto la so luzione, è la poesia che sapremo dare, non la favolosa menzogna di Mal larmé, non quel timore sospetto e lacerante [...] al quale ci ammaestrò il  'novecento' [...], ma pensiamo invece ad una poesia del tutto ingenua, mi te, una tenerezza felice, sobria, allegra"2.

  È, in ogni caso, da questo giro d'anni che parte e si dischiude un nuo vo difficile sentiero nel lavoro di Bellucci che, abbassando per dir così i to ni che lo avevano fino a quel punto contraddistinto (e il riferimento è agli  esiti variamente 'tragici' del Recitativo, della Ballata della falena e de L'affronto della voce), l'avrebbe condotto, dopo anni di appartata e silente ap plicazione, e sempre più 'correndo da solo',  alle 'sperimentazioni' raccol te, nel '70, in Di una forma (Poesie 1959-1969).

  Ma, qui, non mi riesce di archiviare come episodio marginale, o par ziale 'interruzione' ("che [...] organizzava dei miti popolari, a cui parteci pava la memoria, se si vuole pienamente formalizzata anch'essa"3), il mi nuscolo volumetto  di macerata prosa, stampato quasi alla macchia in 350  esemplari, 11 freddo  quand'era fresco e azzurro. Inabissandosi in una oscura e  trepidante 'memoria'4, con tenera e manieristica irriverenza mescidando  residui di vissuto con  torbide e allegre 'ritualità' popolari', ossessivamen te disegnando oggetti6 e famigliari ma inquietanti interni7, alternando im magini gentili o grottesche8, la 'morte' e il discorso di morte raffina le sue  armi, si traveste e si acquatta tra le trame colorate di una memoria minore  ma insieme - con quasi paradossale ovvietà - anche riaccende la vita. Co sì, con dissimulata e innocente astuzia, Bellucci impara e prepara la sua ar te di inabissarsi in  poesia; e costruisce una  sorta di mondo 'simulato', a  specchio di quello nitidissimo ma frantumato della 'memoria': un delica to e grottesco, visitato tuttavia dalla vita, quotidiano trionfo della morte.

  A presentare Di una forma è ancora Mario Luzi. Un gentile stupendo  ritratto del poeta da giovane, un ricordo intenso e il richiamo al dialogo  epistolare instaurato, quasi dieci anni prima, con Bellucci aprono  le sue  pagine9: che poi abbozzano una perfetta, e comunque ai nostri fini utilissi ma mappa dei percorsi della scrittura interni a questo nuovo libro "unita rio e  svariante"; ne rilevano con finezza gli elementi: "l'estrosa, talvolta  persine clownesca  disinvoltura nei riguardi della  forma", "la singhioz zante forza quasi laforguiana di corrosione", "la beffarda epifania della ce nere" che "si fa avanti da tutti gli automatismi della natura e dell'uomo"; fino ad individuare ed estrarre, dall'incipit del conclusivo componimento  che da il titolo alla raccolta, una definizione preziosa e riassuntiva della ricerca e della prospettiva poetica del nuovo libro  "Peregrinazione come  destino nell'attesa della morte / come conoscenza " Una definizione, que sta, che in realtà da conto delle molteplici 'convivenze' stilistiche, anche  degli esperimenti e delle aree del libro cui, con ogni evidenza, si rivolgo no le esitazioni e riserve di Luzi10; una definizione che spiega e giustifica  anche le aree di irriverente (ma, ormai lo sappiamo, dolente) giocosità le  'frequenze' alla Giusti (curiosamente, un suo libro) di Versi per un'ossessio ne continua  o le 'riscritte' cadenze palazzeschiane di Prima comunione", gli  impasti sottratti alle in quegli anni quotidiane frequentazioni primonove centesche o futunste o dell'area storica dell'avanguardia12; o le tavole di  poesia visiva di pagina 73, 85 e 99, e gli esercizi di 'variazione' e 'trascri zione' (dal Giornale dell'anima di Giovanni XXIII o da un articolo di Mano  Viscardi su "II  Giorno" del 17 febbraio  1966) della  Parte terza del volume  Fino alla tetra  arguzia epigrammatica di Freddo ("II signore padrone del l'inverno  /  ha  fatto questo giorno oscuro, / quel signore io poco lo guar do, / così ho freddo") o di Cosi ("se con la vita non c'è niente da fare / la scia alla morte quel che deve fare"

  Da questo punto in avanti, la fenomenologia stilistica qui sopra solo, anche se diffusamente,  annunciata si fa diffusa e capillare Nelle nuove raccolte, nei libri della maturità (da Basso continuo del '79 a // ballo del Sanvito del 1985 a Versiera del '92 fino a Oggettistica emmmistica del '95), "Beilucci aumenta la velocità del 'testo'" (Garufi), e il testo, esplodendo aprendosi e frantumandosi13, "opera spostamenti di piani, compenetrazioni tra il dentro e il fuori" (Porta), attiva processi di 'enumerazione caotica' dove particolari e oggetti, 'impazziti' - quasi profeticamente la formula, ricordate7, era già nella pnmissima riflessione di Bellucci "follia del particolare nell'ossessione cosmica" -, sono travolti da tensioni e improvvise poussees glossolahche (da intendere qui, nella duplice accezione, giocoso-filastroccante  e religioso-metafisica,  che il termine sopporta)  a segnalare enimmi, e insieme a rianimare e negare nostalgie e desideri di innocenza. Perché, in ogni caso, a volerla intendere nelle sue istanze profonde e nella sua giocosa e ludica funereità, la forza della poesia di Bellucci è nella radicalità (e nella ostinata insensatezza) della sua interrogazione, ma anche nello scaltro dislocato irridente paradossale 'stoicismo' delle risposte, epperò, al fondo di tutto, nella irrmunciabihtà (blasfema e crudele) della poesia In questa  strofa de / Magi neri, da Versiera, è forse una chiave di quel segreto "[  ]  la volta che persi la vena / desiderai che mi morisse Qualcuno vicino / io mi conosco come sono fatto  / dopo aver dato da matto / ritorna la Poesia / se pur da buttar via / (non sia mai detto) / m quel punto il dolore è pretto / lesa la ragione / qualcosa si scompone / e  una luce inietta, / l'anima eretta / come una cialda d'aspirina / una lucciola di febbre mattutina / incendia la ramaglia dell'alba"  Le raccolte della  maturità possono,  ovviamente, e debbono essere analizzate e misurate - e già ci si è avviati a farlo, da più parti e con sapienza -  sul versante della  'forma esterna' ma il rischio, sol che se ne perda di vista l'etimo 'tragico', è di fornire - anche involontariamente -  della poesia di Ercole un'immagine diminutiva, percorsa da imponenti e diffusi sintomi d'umor nero e nevrosi,  scossa da sia pur abbaglianti allergie di 'provinciale', o perfettamente at trezzata di squisite bizzarrie manieristiche: tutto, alla fine, ad autorizzare  - d'una tale operazione 'burchiellesca', eccentrica e provincialmente esibi ta - una registrazione riduttiva e a margine della nostra contemporanea vi cenda letteraria. Ma  di questa poesia costruita di immagini 'scartate', mo struosamente generata da un "perverso embrione /  in un verso diverso",  "invecchiata con lui  come un vestito", di questa "incontrollabile balbuzie"  scatenatasi nell'ombra e dalle ombre d'una città magica, del cui dialetto e  delle cui distorte e grevi immagini o allusioni  intride i suoi versi, forte   e va riconosciuto - è la disperata coerenza. L'ha fatto, affondando 'ironi camente'  - con rabbia e tenerezza, recuperando vecchie pronunce e scon ci irriverenti deliziosi sberleffi - nel cuore oscuro d'una  città magica: un  po' com'è accaduto,  nella magica Praga, al suo Bohumil Hrabal. E' un'i potesi, frettolosa e forse troppo rude ed  abrupta, di cui  chiedo scusa,  di  qui, all'amico perduto; ma è un'immagine forte della poesia di Bellucci,  che mi par giusto azzardare e dentro la quale mi piacerà di  scavare. Tanto  più se mi riuscirà così di rispondere con un gesto 'vero' all'invito auto grafo  di Ercole, in cui per davvero il caso m'ha fatto imbattere, nei giorni  passati, segnato a penna  sul  margine d'una sua poesia; forse un segnale,  certo un pressante e  ironico 'grido' a capire. L'invito dice così: "All'amico  / G. C. B. / perché dia un occhio /  al futuro incerto / di una poesia che  non / voleva essere  / soltanto urbinate / come l'osteria  /  l'ufficio / e la  scarogna / Ercole".

 

  1 [. ] "la nostra scelta [..] è più che non si voglia vicina alla morte ed ha m sé una forza sfrenata d'attrazione, che suo malgrado, del nostro tempo condivide l'ombra atomica".

  2 Assieme a una conclusiva Risposta a Mano Luzi, la lettera di Bellucci (Alcune citazioni confuse con le quali si chiede un parere al poeta Mario Luzi o solidarietà per la nostra poesia o, forse, per la nostra vita  ) e la risposta (Una lettera sulla poesia, settembre 1962) di Luzi possono leggersi nelle eleganti Minute per una lettera sulla poesia stampate nei laboratori dell'Istituto Statale d'Arte di Urbmo nel settembre 1963

  11l rilievo è di Bruno Pompili (nella sua recensione a Di una forma), il quale nondimeno quella memoria riconosceva "alla prova del discorso lanciata in caccia di una identificazione che era attesa di discorso e attesa anche di una partecipazione ad una vita che dall'antico poteva diventare attuale e piena"

  4 "Un omino funereo e bianco dipingeva la neve sui tetti, immacolata e azzurra, sentieri di bosco e la pioggia, finestre con spifferi d'aria e uno strano autoritratto, come si fosse guardato di sfuggita allo specchio Poi venne la paralisi che legò in una sedia la povera figurina di legno"

  ' "II nonno morto andava dalla nonna il pomeriggio verso le due e mezza o le tre, di venerdì, mentre la zia lavava i piatti [ ] Andava dalla nonna verso quell'ora quasi tutti i giorni, tanto che la nonna mi voleva accanto e si metteva a piangere, dovevo farle compagnia [  ] Nel terzo cassetto del comò c'era il libro del lotto dove si trovano i numeri dei morti,  del compleanno, la bilancia, la fiera, il fuoco o il nubifragio secondo i sogni e gli avvenimenti [. ] Leggevo la Lista Generale di tutte le voci delle Persone, Animali.

  Piante, Arti, Mestieri e nomi Ebraici che poi finn per recitare a memoria [  ]", "Nemmeno io so perche tenessi a quel libro del lotto, poi veniva lafilotea e il barbanera, dovevo leggerli senza sbagliare, cosi la nonna ricavava i numeri o recitava la preghiera prescnt ta o veniva a conoscenza dei noviluni e delle profezie veritiere dell'Anno"

  6 "C'era una grande fotografia della sorella della mamma morta adolescente con la stessa malattia della mamma Era una fotografia bianca come la pietra della luna tessuta di venature [ ] Poi c'era un bel pizzo sulla pietra del como e i non di cera sotto una campana di vetro e maioliche schiacciate d oro azzurro e rosahlla che racchiudevano bottoni di madrcperla, acini di perla, una lametta, la mina di un lapis '

  7 "Qualche volta il fumo invadeva la cucina, i pomeriggi d'autunno e 1 inverno, e faceva male alla gola e agli occhi e bisognava aprire uno spiraglio della finestra e la porta per fare corrente, e la mattina presto m cucina c'era un odore di anice e di orzo caldo e io avevo ancora il sonno sugli occhi e quel profumo era buono", "Nella vecchia serra dietro la pergola dov'era  ammucchiato il grano c'erano noci, formaggi sulla mensola, vecchi canteram, le vetrate superstiti corrose dalla polvere Certi pomeriggi su tutto quel disordine cresceva un'ombra argentea e al mattino esalava l'aria una luce violetta", "Attigua alla cucina era la camera del morto che era buia [  ] Una tenda scorreva sul filo di spranga attaccato alla trave, separava la cucina dalla camera che era quasi interamente occupata da un letto da prete  Perche era buia era la camera del morto"

  *  "Le mie sorelle vanno a vedere la mamma morta, io non dovevo farlo  Armi dopo li dove avevano portato la mamma  vi ho visto un morto che rideva malizioso quasi resistesse a chissà che solletico, il naso  sulle labbra scure come ciglia, il corpo con tutto il freddo delle ossa e quel  modo di ridere con le grinze grigie Ecco cosa fa la morte, lei come sarà stata mi chiedevo1 nel cortile tra il pietrisco un'erba gialla e scura, dei rami pallidi come bambagia, inanimi, una nicchia rossa con una madonna celeste argentea e un albero che non cresceva più come uno storpio"

  9 "Ercole Bellucci fu un incontro abbastanza sorprendente di parecchi anni addietro Non siamo andati molto al di la perche, fasciato dalla sua timidezza, difficilmente buca - con un'ansia che s'indovina  l'involucro che lo isola e lo protegge Un dialogo ab bastanza fondamentale, quanto all'argomento, si svolse perfino per lettera ed e stampato da parte sua un'inquietante richiesta di ragioni adeguate per vivere e per scrivere a cui cercavo di rispondere con qualcosa  di più radicale dell'angoscioso sentimento della crisi che l'aveva dettata Poi niente altro Ma Bellucci, vedo, ha filato per conto suo quel discorso nel modo che si conviene a un poeta, lasciando la parola alla testimonianza non arbitraria della sua vita"

  10 "Se non che il  giovane non sembra nato per afflosciarsi su questa imagme diminutiva, ironica ed elegiaca del mondo La commedia o la mascherata non è totale Sotto la degradazione e la polvere resistono emozioni molto integre e pure che svelano la santità offesa dell'esistenza, e il senso capillare di mortalità non impedisce il sentimento, problematico si ma pienamente religioso della morte come adempimento"

  1 "(Quaderno a scacchi) I  Sopra le monache / nere sono vestite / sotto hanno garze / bianche come neve  / e la carne tiepida come la cipolla / tra le preghiera / raccolgono ragni e scorpioni / per fare i rosan / e paura all'avemana /quando la fiamma dell'inferno / rompe la pietra dell'altare / e il santo mentre dorme / mangia la nuvola, / il peccatore nella tomba  / attraversa il fuoco  nero  / / (sopra il pavimento il mistero / trasparente come il giorno)"

  12 Come in Comico, Morte, Mimo, Moglie del Vecchio, Gufo &• Bambina azzurra, qui peraltro non antologizzata

  13 Testimonia esemplarmente la vigile coscienza di un'adeguata e non impropria strumentazione 'retorica' Coda di paglia  nel gruppo delle Poesie inedite