Ercole Bellucci: EDIZIONI |
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BALLATA DELLA FALENA di Ercole Bellucci
Composizione N. 3 1959
DIFFERENZE Tipografia Bellucci - Urbino - 1959
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III |
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Composto di sette parti senza titolo e la seguente Nota redazionale:
La terza parte della de La ballata della falena, è una sorta di libera trascrizione e variazione su temi del Vecchio o Nuovo Testamento; la risposta dell'uomo, sconsolata e tragica, sofferta nella sua improbabilità d'innanzi al Giudizio di Dio. Diciamo il dolore della vita che non è stata altrimenti, nè secondo la legge né contro, ma solo al di là, chiusa a quei termini estremi, mai rivelata a Dio, ad un tempo innocente e temeraria. Insomma la ricerca della verità continuamente ostacolata o distrutta dal suo stesso perenne disamore. Da qui il titolo. La falena gioca con la luce e si brucia. Si trattava di ripercorrere una realtà, una caduta fede, violarla nello stesso momento in cui si prestava al tradimento, alla colpa, sì da vivere la propria occasione tragica nella mancanza e non nella nostalgia di Dio. All'atto di riconoscersi nell'inflazione, attraverso quei valori decomposti e corrotti, paurosamente scissi dall'innocenza come dall'errore ogni residuo diviene fatto di sangue, speranza, libertà. Da qui; il totale disorientamento, l'impossibilità di ogni conclusione, di qualsiasi risposta. Starei per dire addirittura - follia del particolare nell'ossessione cosmica, ma sento di essere ancora più oscuro: eppure non si tratta di intelligibilità, ma di chiarezza, insomma la realtà nella sua luce sinistra, la sola certezza (coscienza?) indistruttibile data all'uomo. Pertanto dovrà rimanere chiaro che ogni citazione compresa, nella composizione, è casuale, istintiva, estranea alla sua originaria natura. Si tenderà necessariamente ad una indeterminatezza tragica, teologicamente assurda, non importa, qui tuttavia si conferma l'implausibilità del dolore, la vita come rivolta esclusiva. Che una poesia del genere derivi da una "secolare" assurdità decadente è innegabile, i pericoli che comporta una simile consuetudine sono più che mai vicini all'equivoco, alla più squallida degenerazione organizzata della nostra società: atteggiamenti questi, che ogni vera poesia (in quanto storia vera) ha il dovere, tramite la sua azione catartico-rivoluzionaria, di eliminare con durezza. Qui è naturale persistono ancora molte ambizioni melanconiche, se non sono addirittura all'origine dell'attrito da cui suscitano inconsulte e aggressive, però, come ingiunzione e rivolta della loro stessa luce.
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