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Ercole  Bellucci:   EDIZIONI

 

 

ERCOLE  BELLUCCI

L' AFFRONTO  DELLA  VOCE

 

Urbino  -  SCUOLA DEL LIBRO  - 1960

con presentazione di Carlo Bo

copertina di Francesco Carnevali

(un riconoscimento ufficiale della validità del poeta Bellucci)

 

 

                                         INDICE
(Cliccare sulle voci sottolineate per testo)

 

Presentazione di Carlo Bo

 

 

 

  7

Melanconia  (1958-59)

 11

    cronaca    sentimentale

Nell'ora che il mistero ci contempla (1957)

 14

Sul foglio bianco dell'assenza (1956)

 16

Canzone delle foglie (1956)

 17

Conversazione della sera I (1957)

 18

Frammento I (1956)

 20

Frammento  II e III (1955)

 21

Frammento IV Terza conversazione (1957)

 22

Frammento V (1957)

 23

Conversazione della sera II (1957)

 24

Frammento VI  (1958)

 26

Nella notte del mio ventesimo anno (1957)

 28

Studio per un notturno (1958)

 30

Anima viva tra inconsistenze (1957-58)

 33

Dal tuo lungo disamore la figurazione di esso (1958)

 34

     movimenti  per  composizioni

Attraverso il candore della costola  (1957-58) 

  36

Volgono dalla nascita i giorni dalla morte  (1958)

 40

Tre ritmi per un finalino (1958)

 46

 

ISTITUTO STATALE

DI BELLE ARTI

per la decorazione  del  libro 

in  Urbino

Saggio dell'anno 1959-60

Copertina di Giuseppe Scatassa.

Decorazione del frontespizio di Francesco Carnevali.

Impaginazione di Domenico Nonni.

Composizione del testo e legatura di alunni del Corso inferiore, guidati dai maestri d'Arte.

Stampa tipografica dei maestri d'Arte della sezione.

Finito di stampare nel mese di gennaio 1960 in duecento copie numerate su carta tipo « Offset » delle Cartiere Miliani di Fabriano

Questo  è   l'esemplare N.     

 

 

Presentazione di Carlo Bo.

 

Come nasce la poesia in un ragazzo? Ho cercato di trovare la risposta leggendo da anni quello che scriveva il Bellucci e alla fine ho dovuto rinunciare alla mia idea. O, per meglio dire, ho capito soltanto come la poesia possa essere inevitabile, necessaria. E qui basta leggere; le prime impressioni restituiscono nell'esercizio confuso, a volte incerto, spesso privo di equilibrio, del Bellucci qualcosa di più di una vocazione, direi il sovrapporsi di una seconda natura che soverchia e tende ad annullare il primo bisogno psicologico, il gusto semplice delle impressioni,  delle immagini. È chiaro che una poesia così originale e sovvertitrice non punta tanto sui risultati parziali e neppure accetta di essere misurata su determinate prove. No, qui la poesia va contro la stessa fantasia, contro le dolcezze e gli abbandoni della prima natura e non c'è dubbio che in un prossimo futuro il testo del Bellucci avrà sostituito completamente il discorso dell'abitudine e il testo della normalità. Se, dunque, c'è un modo per leggere questa lezione così abbondante, diciamo pure così ricca deve essere un modo di accompagnamento, di assecondamento: il lettore deve lasciarsi trascinare dai vari movimenti del discorso e inseguire una verità generale, non distinta per attimi e per ragioni.

Bellucci dice di essere stato colpito, la prima volta, quando era ancora uno studente delle medie da una poesia di Lavorare stanca, non si dimentichi perciò  come punto di partenza l'immagine di Pavese ma subito dopo si calcoli l'arco dell'evoluzione,  il facile riportarsi ad un'immagine del tutto diversa come è quella di un Eliot: non si passa impunemente da una visione circoscritta al gusto interiore della litania, della  elencazione spirituale. Non per nulla gli oggetti si moltiplicano all'infinito e la parola  viene travolta da mille elementi scomposti e indipendenti del discorso. Ci potrebbe essere il dubbio del gratuito, potrebbe venir meno il presupposto della  necessità ma qui  risponde la volontà d'avvio, la forza di soluzione della voce.

Un disegno simile o meglio la possibilità che ha il critico di tracciare un disegno  simile della poesia del Bellucci  è la migliore testimonianza della sua presenza e della  sua forza. Si tratta di puntare tutto sul discorso lungo, di non ostacolare questo fiume  ininterrotto della voce e alla fine si avranno altre sorprese: il disegno troverà i suoi colori, altre forme appariranno sulle zone dell'indistinto e dell'incerto. Bellucci ha appena vent'anni e quello che ha fatto, quello che presenta oggi, è la migliore riprova, la migliore testimonianza delle sue qualità, soprattutto della sua natura. Qui la forza viene  sempre prima delle qualità particolari, proprio come il discorso è  momentaneamente  annullato o fortemente ostacolato dalla voce.  Da questa lotta non comune ne deriva un  apparente squilibrio, in realtà, se si bada bene, si distaccano le premesse, le  condizioni  stesse del discorso poetico di domani. La poesia che è nata dall'incontro causale,  dalla forza dell'immagine pavesiana,  ha  trovato poco dopo un'altra  vena, una vena più vera: non è più la frazione di un sentimento ma è il desiderio di un discorso, soprattutto  è la tradizione stessa della voce.  E non succede tutti i giorni che uno sia vinto dalla forza che porta chiusa dentro di sé, senza pensar di rifarsi su dei motivi, nell'ambito di  una facile educazione letteraria.

Carlo Bo

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CONVERSAZIONE DELLA SERA  I

(narrativa)   

 

Entriamo con un vento di capelli e la pioggia

che fu lunga a sostenere,

Con tutta la leggerezza dei nostri pensieri

E la tensione che l'atto richiede

Entriamo in un luogo di penombra

E poca è quasi morte alla prima consunti

- Con tutto il nero del nostro sguardo,

Entriamo.

 

L'amico d'occasione parla, le mie palpebre

   assonna

In un incesto di nubi e

- Poi verrà la notte

- Dico -

- Amari e delusi di noi stessi

- Penso -

 

Penso e dico che la vita si risolve in un cerchio:

Come dire - spiego all'amico taciturno -

Non è quello che pensi -  m'affretto -

 

Il mio amico ha una dura voce, un accento lontano e

S'è triste prova una canzone tra i denti che subito

Spegne

... quella volta il vento era alto, lontano

in collina bastava a muovere il silenzio ...

Il mio amico non piange, cammina a distanza

Né sa sostenere un discorso sui gigli, gl'importa

Del cielo !   maldestro sorride.

 

Almeno avessi amato una volta - gli dico -

Tu ascolti i violini?

 

Anche gli dico che moriremo, (lo siamo

Con tutt'i violini !), che nasceranno

Le margherite

 

Un altr'anno.

 

 

 

NELLA NOTTE DEL MIO VENTESIMO ANNO

 

Bianche nubi in questa notte che rimane

S’adducono leggere al trapasso esalando

Morte dell’ultima presenza, i miei pensieri

Seguono la traccia del tuo profdo a passi di colombe.

 

Nubi e vento sulle tue ciglia,

Il mio verso geme l’esatta rima del tuo lineamento

 

Che muore, nell’eco la tua assenza smisura

Notturna di cani immensi

E strade traverse

Nella penombra senza una via d’uscita.

 

E piume i miei capelli di colombe

Ed ali senza una gola di vento

 

E morte la prima sempiterna

- Me stesso ascolto!

Chi precede è il nulla incestuoso

Esamini silenzi

E sangue,

 

Tutt’i morti della terra! e dopo

me stesso, ascolto

La neve che cade

 

Vorrei tanto io averlo quel rumore

Per un bianco, soggiorno tanto

Che nulla neve a quel termine giunga,

 

Sul tuo cuore,

 

E parlare poi con te, dei gigli nella sera

E allora tu sorridi, penso, dei gigli che non sonoUn discorso, ma solo una composta tristezza.

Siano sul canterano e gli altri mobili

Gelsomini:

Dall’uomomorto tolto il vecchio per l’abito della domenica:

Parallela la stampa alla parete: si immagini

Un inchino di meditata compiacenza...

 

Chi batte la porta?

Chi mette in dubbio la caducità delle rose?

(assassini: la morte non si ragiona!)

 

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VOLGONO DALLA NASCITA I GIORNI DALLA MORTE

 

Irrompe Primavera ed ha ferite di caste rose
      Dalle colline echi di neve e dall’imposte luci
              D’adolescenti riverberi le contrade assalgono

                       Un profumo di tempesta nel recente mattino
                                 La spiaggia esita deserta

                                                   ... dacché l’Agosto bruciò e spense
                                 quell’Estate senza rami e quindi l’Autunno
umido sugli intonachi lo scialbo traspariva
       dell’androne la tua rara ombra
                come un presentimento del tuo disamore

E gerani a mezzogiorno
E piazze nell’ora di pranzo
E pomeriggi larghi di sole - sgomenti

         Come gelide noie che l’alba oltre destina
                 Al vento cedono alberature e vele al mare
                          S’estendono silenzi che devastano
                                   Estreme trasparenze
                                          Emergono commiati
                                                 ....e intanto

Volgono dalla nascita i giorni, dalla morte
             La nostra vicenda -
             invade un altro silenzio, tener
             D’urgenze e abbandoni feriti

Nulla inteneriti
Tremano umidi -
ai vetri
Questi giorni a finire
nella sera
Nelle sere lasciate in giardino
Al respiro profondo della madre
Nella sera che ha tremiti di canne -
ai vetri
nella sera
questi giorni a finire
Nell’ora sorda, accasciano, disabitata
Del meriggio che trasuda opachi
In un tumulo d’ombre a sera
Nel vento che trasale in un geranio

- Non bagnate l’indice di saliva
Non ha il vento provenienza
Sovrasta maggiori tristezze
All’origine di se stesso
In una noia di luce
Prodiga rossori alla pietà
E dove muore il canto
Una pace gelida...
Amici !
E la tempia che dev'essere travolta
Amici la tempia che in precedenza era urto
E non sangue nell’ordine della “vita”,
Algebra pura di silenzi
adesso amici il conto non torna
Ognuno s’è fatto Uomo senza riconoscersi !

Ostacolato da profondi disamori
Nello sgomento della fronte vivendo
Inevitabile al pensiero che devasta
e la voce non ha argine
cade ossessa e vana -
in una noia di luce
e sta scritto che è Satana a cadere

...cosi andò semplicemente da un pomeriggio
da un pomeriggio tornavamo nella sera
ma presente quei giorni a finire
non lasciarmi, fin che c’è tempo - le dicevo -
(ella in verità non tornò sempre all’ora di pranzo)
camminavamo sulle foglie
ormai l’Estate non aveva che rami
e accostando ella la guancia alla mia spalla
come tutto il mondo, diceva, fosse
un uomo e una donna che muoiono
un giorno e non sono mai più.
Nelle nostre sere non c’era un addio
nel nostro lasciarci sgomenti
un vasto odore di sambuco alla sua tempia
mentre smarriva al vano della porta

ma all’agile salita della contrada io
ritrovavo il suo passo accanto come ad una danza

nel calcolo della tempia

...non perchè la tristezza in parte diseguali
da noi fosse spartita
(io non chiedevo riparo alla mia melanconia
quandanche la sua muta inquietudine aprisse inconsistenze
maggiori)
l’assicuravo dei dinieghi che lacerano
le sere tacendo
della sua assenza alla mia fragile costola
come ella non fosse nata dal sonno
dall’indulgenza delle mie dita
come io non consentissi il suo profdo
riservando alle mie dita unicamente
il significato dei suoi capelli

Questo dissi e non dissi semplicemente
da un pomeriggio ritornando nella sera
- non bagnare l’indice di saliva
non ha provenienza il vento
guarda invece quell’uomo che rincasa nella sera
da un pomeriggio solo nella sera
nel calcolo della tempia
come in uno stento progressivo
questi giorni a finire nel collasso
e nel si e nel no ogni - cosa sia

vana -
ogni -
                cosa, è
certa

questo dissi, in parte tacendo
il non certo incontro dell’indomani
nel muto destino del commiato
discendendo.
E sta scritto che è Satana a cadere -
     dopo la pioggia recente in un ansito di terra che propaga -
            propaga le sere a sortire al vano delle soglie -
                  nella notte illesa e chiara nel diniego -
                          macero, sta scritto che è Satana a cadere •
                                   come l’Estate alta -
                                             attende di cadere

in un pomeridiano sfogo di cicale

                                                     questi giorni a finire
Al di là di non ostacolate penembre suscitando
All’Agosto saliva in uno sgomento di labbra

        mentre le contrade assalgono
                i più elevati silenzi -
                        abitano la sera •
                               alle vetrate
                               Un tremito di luce che s’addensa opaco

Amici! in una larva procreazione
L’Agosto trasuda
 

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