Ercole Bellucci: EDIZIONI |
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ERCOLE BELLUCCI L' AFFRONTO DELLA VOCE
Urbino - SCUOLA DEL LIBRO - 1960 con presentazione di Carlo Bo copertina di Francesco Carnevali (un riconoscimento ufficiale della validità del poeta Bellucci)
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ISTITUTO STATALE DI BELLE ARTI per la decorazione del libro in Urbino Saggio dell'anno 1959-60 Copertina di Giuseppe Scatassa. Decorazione del frontespizio di Francesco Carnevali. Impaginazione di Domenico Nonni. Composizione del testo e legatura di alunni del Corso inferiore, guidati dai maestri d'Arte. Stampa tipografica dei maestri d'Arte della sezione. Finito di stampare nel mese di gennaio 1960 in duecento copie numerate su carta tipo « Offset » delle Cartiere Miliani di Fabriano Questo è l'esemplare N.
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Presentazione di Carlo Bo.
Come nasce la poesia in un ragazzo? Ho cercato di trovare la risposta leggendo da anni quello che scriveva il Bellucci e alla fine ho dovuto rinunciare alla mia idea. O, per meglio dire, ho capito soltanto come la poesia possa essere inevitabile, necessaria. E qui basta leggere; le prime impressioni restituiscono nell'esercizio confuso, a volte incerto, spesso privo di equilibrio, del Bellucci qualcosa di più di una vocazione, direi il sovrapporsi di una seconda natura che soverchia e tende ad annullare il primo bisogno psicologico, il gusto semplice delle impressioni, delle immagini. È chiaro che una poesia così originale e sovvertitrice non punta tanto sui risultati parziali e neppure accetta di essere misurata su determinate prove. No, qui la poesia va contro la stessa fantasia, contro le dolcezze e gli abbandoni della prima natura e non c'è dubbio che in un prossimo futuro il testo del Bellucci avrà sostituito completamente il discorso dell'abitudine e il testo della normalità. Se, dunque, c'è un modo per leggere questa lezione così abbondante, diciamo pure così ricca deve essere un modo di accompagnamento, di assecondamento: il lettore deve lasciarsi trascinare dai vari movimenti del discorso e inseguire una verità generale, non distinta per attimi e per ragioni. Bellucci dice di essere stato colpito, la prima volta, quando era ancora uno studente delle medie da una poesia di Lavorare stanca, non si dimentichi perciò come punto di partenza l'immagine di Pavese ma subito dopo si calcoli l'arco dell'evoluzione, il facile riportarsi ad un'immagine del tutto diversa come è quella di un Eliot: non si passa impunemente da una visione circoscritta al gusto interiore della litania, della elencazione spirituale. Non per nulla gli oggetti si moltiplicano all'infinito e la parola viene travolta da mille elementi scomposti e indipendenti del discorso. Ci potrebbe essere il dubbio del gratuito, potrebbe venir meno il presupposto della necessità ma qui risponde la volontà d'avvio, la forza di soluzione della voce. Un disegno simile o meglio la possibilità che ha il critico di tracciare un disegno simile della poesia del Bellucci è la migliore testimonianza della sua presenza e della sua forza. Si tratta di puntare tutto sul discorso lungo, di non ostacolare questo fiume ininterrotto della voce e alla fine si avranno altre sorprese: il disegno troverà i suoi colori, altre forme appariranno sulle zone dell'indistinto e dell'incerto. Bellucci ha appena vent'anni e quello che ha fatto, quello che presenta oggi, è la migliore riprova, la migliore testimonianza delle sue qualità, soprattutto della sua natura. Qui la forza viene sempre prima delle qualità particolari, proprio come il discorso è momentaneamente annullato o fortemente ostacolato dalla voce. Da questa lotta non comune ne deriva un apparente squilibrio, in realtà, se si bada bene, si distaccano le premesse, le condizioni stesse del discorso poetico di domani. La poesia che è nata dall'incontro causale, dalla forza dell'immagine pavesiana, ha trovato poco dopo un'altra vena, una vena più vera: non è più la frazione di un sentimento ma è il desiderio di un discorso, soprattutto è la tradizione stessa della voce. E non succede tutti i giorni che uno sia vinto dalla forza che porta chiusa dentro di sé, senza pensar di rifarsi su dei motivi, nell'ambito di una facile educazione letteraria. Carlo Bo |
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(narrativa)
Entriamo con un vento di capelli e la pioggia che fu lunga a sostenere, Con tutta la leggerezza dei nostri pensieri E la tensione che l'atto richiede Entriamo in un luogo di penombra E poca è quasi morte alla prima consunti - Con tutto il nero del nostro sguardo, Entriamo.
L'amico d'occasione parla, le mie palpebre assonna In un incesto di nubi e - Poi verrà la notte - Dico - - Amari e delusi di noi stessi - Penso -
Penso e dico che la vita si risolve in un cerchio: Come dire - spiego all'amico taciturno - Non è quello che pensi - m'affretto -
Il mio amico ha una dura voce, un accento lontano e S'è triste prova una canzone tra i denti che subito Spegne ... quella volta il vento era alto, lontano in collina bastava a muovere il silenzio ... Il mio amico non piange, cammina a distanza Né sa sostenere un discorso sui gigli, gl'importa Del cielo ! maldestro sorride.
Almeno avessi amato una volta - gli dico - Tu ascolti i violini?
Anche gli dico che moriremo, (lo siamo Con tutt'i violini !), che nasceranno Le margherite
Un altr'anno.
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NELLA NOTTE DEL MIO VENTESIMO ANNO
Bianche nubi in questa notte che rimane S’adducono leggere al trapasso esalando Morte dell’ultima presenza, i miei pensieri Seguono la traccia del tuo profdo a passi di colombe.
Nubi e vento sulle tue ciglia, Il mio verso geme l’esatta rima del tuo lineamento
Che muore, nell’eco la tua assenza smisura Notturna di cani immensi E strade traverse Nella penombra senza una via d’uscita.
E piume i miei capelli di colombe Ed ali senza una gola di vento
E morte la prima sempiterna - Me stesso ascolto! Chi precede è il nulla incestuoso Esamini silenzi E sangue,
Tutt’i morti della terra! e dopo me stesso, ascolto La neve che cade
Vorrei tanto io averlo quel rumore Per un bianco, soggiorno tanto Che nulla neve a quel termine giunga,
Sul tuo cuore,
E parlare poi con te, dei gigli nella sera E allora tu sorridi, penso, dei gigli che non sonoUn discorso, ma solo una composta tristezza. Siano sul canterano e gli altri mobili Gelsomini: Dall’uomomorto tolto il vecchio per l’abito della domenica: Parallela la stampa alla parete: si immagini Un inchino di meditata compiacenza...
Chi batte la porta? Chi mette in dubbio la caducità delle rose? (assassini: la morte non si ragiona!)
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VOLGONO DALLA NASCITA I GIORNI DALLA MORTE
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Irrompe Primavera ed ha ferite
di caste rose
Un profumo di tempesta nel recente mattino
... dacché l’Agosto bruciò e spense
E gerani a mezzogiorno
Come gelide noie che l’alba
oltre destina
Volgono dalla nascita i
giorni, dalla morte
Nulla inteneriti
- Non bagnate l’indice di
saliva
Ostacolato da profondi
disamori |
...cosi andò semplicemente da un pomeriggio
ma all’agile salita della
contrada io nel calcolo della tempia
...non
perchè la tristezza in parte diseguali
Questo dissi e non dissi
semplicemente
questo dissi, in parte tacendo in un pomeridiano sfogo di cicale
questi giorni a finire
mentre le contrade assalgono
Amici! in una larva
procreazione |
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