Ercole Bellucci: da Homepage |
Valerio Volpini Èrcole Bellucci l'ho incontrato pochissime volte, da numerarle con le dita di una mano; quasi sempre per ricevere da lui una delle preziose plaquettes che curava con raffinata semplicità. Anche in questo c'era l'aria di Urbino. Sapeva che le leggevo con cura perché ne parlavo con gli amici comuni e questo doveva essergli gratificante ma mai, mai una volta che mi avesse chiesto quel che di solito chiedono i poeti: la nota critica, la fatidica recensione. Ora mi resta un po' di rimorso per non aver fatto - di rinvio in rinvio - quello che era doveroso per il mio mestiere, più che convinto delle sue qualità che gli servivano per vivere con totale dedizione alla poesia. Dirlo adesso è paradossale e spero non venga giudicato ipocrita "giustizia del dopo". Accompagnava il dono della sua piccola edizione con pochissime parole e gli si illuminavano gli occhi quando l'incontro serviva a fare la recensione della "penultima raccolta". Capivo che quei suoi librini erano un atto dovuto come la preghiera per il monaco. Nello stupore del suo volto sembrava di leggere le ragioni dell'anima e in particolare la solitudine, segno di una certa incompatibilità con il mondo: non certamente per alterigia. Viveva per la sua poesia, per la sua parola che usava con religiosa attenzione, con rispetto sacrale: lo faceva con naturale discrezione anche quando felicemente costruiva la sua personalissima sperimentazione che nel tempo nel quale iniziava Bellucci, impazzava un arido carnevale suggeritore di follie. E va in suo onore (l'onore del poeta, quello del lavoro "ben fatto", con la pazienza e il rigore) la cura culturale e linguistica che ha sempre accompagnato i suoi versi: lo stupore del tragico e il grigio della morte nel suo (di Ercole) compassionevole laicismo. Non credo, però, che ci si debba fermare all'iniziale protesta e neppure sopravvalutare l'accentuazione ironica e sarcastica delle ultime due raccolte. Lo dico perché potrebbe essere facile per il lettore di questa fine secolo (non dirò, enfaticamente, di millennio: ma la colpa non è mia) arruolarlo per i giuochi del sabato. Mi pare che quando chi può (fra i non pochi amici di Ercole) raccogliere il volume della sua giornata di poeta, riprenda il discorso dalle poche pagine dello scambio epistolare con Mario Luzi (che con Bo è fra i grandi suoi lettori), Minute per una lettera sulla poesia (che è del 1963): «... pensiamo invece ad una poesia del tutto ingenua, mite, una tenerezza felice, sobria, allegra».
Pubblicato su: CARTOLARIA - Fuori del verso - Saggi e Testinomianze su Ercole Bellucci Editrice Flaminia - Pesaro - 1999 |