GERMANA DUCA RUGGERI: su MARCO FERRI |
Estraneità del quotidiano e bagliori metafisici nei
Discorsi in cucina (Aragno 2007) di Marco Ferri
Forza. Tra poco sarà
come se non fosse accaduto niente.
Una normale passeggiata sulla terra.
L’ultima strofa di Discorsi in cucina, la quinta raccolta di Marco Ferri dal lontano esordio (1986), mi sembra in questo momento il tasto d’avvio più congeniale alla conoscenza del poeta fanese, già condirettore insieme a Gabriele Ghiandoni e Ercole Bellucci della rivista Cartolaria, affermatosi nel tempo anche come fine traduttore e pubblicista. Rigore e onestà intellettuale le cifre distintive del suo percorso, coerenti a tonalità espressive caute, in prevalenza monodiche, quasi frutto di una “etica del ritegno”, come ha acutamente osservato Niva Lorenzini nella postfazione.
Il titolo, amalgamato al testo riprodotto sulla copertina (Una cartina sottile, volatile), alla sezione eponima e alle altre (Occhiatacce, Commediole fossili, Le cose accadono, Dicerie teologiche, Alta miopia, Post-it, Opus incertum), suggerisce che il libro si può leggere sia come storia familiare minima, sia come autobiografia collettiva di molti ragazzi nati negli anni Cinquanta che hanno raggiunto la giovinezza nel Sessantotto, sognando di sostituire il potere con l’immaginazione. Salvo poi scoprire che vivere è un po’ più complicato, anche in una città non molto grande come Fano, confinante col mare e con la campagna, sorvegliata dal convento di Monte Giove e da vite nella memoria operose, p. 17:
Che cuoca la Gina. […]
C’era un’aria pentecostale, in cucina, tra formaggi
e salame…
a p. 20:
La punta del coltello affonda
nel collo del coniglio, il sangue
spisciolando sul terriccio nero, una pozza novembrina.
[…] Sotto un cielo scuro le insalate
galleggiano nella vasca,
bruscamente tuffate sotto il pelo
dell’acqua e ripescate gocciolanti
nei canestri. Le carcasse dondolano
immolate rosee e nude di fianco
a Iole e Primo che stanno chiacchierando
(lui tornato pellerossa dalla Germania).
Il poeta tuttavia non dipende dai ricordi, anzi afferma che "forse un modo di dimenticare è ricordare" e distingue quelle lontane verità di immagini, odori, temperature, dal magma dei nostri giorni post-moderni: un amaro peso ridotto a mot, p.88:
Anomalia vale qualcosa
come deviante, irregolare.
Leggo a caso il dizionario. Anomìa
mancanza di leggi, anoressìa
mancanza di appetito, anonimo
senza nome, ansante che respira male,
con affanno, ansia agitazione dell’animo,
da angere, stringere (strizzare)…
se non a mòtto, p. 8:
tranne dio tutto pare avere fretta
o mottetto, p. 79:
Fuori da questa apnea,
un mondo in diarrea,
vendere l’aria (diceva Volponi)
è un’idea?
Dispiegando i cinque sensi (e il sesto), mentre racconta la vita nelle sue pieghe tragicomiche o luttuose, l’autore stabilisce un legame di prossimità con le cose, le stanze, gli scorci urbani e naturali, alcune volte dettagliati (via Alavolini, via Montevecchio, corso Matteotti), altre sfumati, sfuggenti: una terra tagliata a terrazze, colline verdi colloquiali azzurrine, un delizioso paesaggio boschivo, un piccolo corso d’acqua, campi e fossati, sotto un cielo al tramonto. Non una deriva, ma una deambulazione fra estraneità del quotidiano e metafisica. L’ascesi di Marco Ferri è un rito nel tempo che la poesia compie non come destinataria di un astratto compito morale, ma come costruzione materica e percettiva di schegge di realtà, "oscura voglia di fare", quasi lascito volponiano (penso a Il ramarro, a L’antica moneta); o anelito alla verità, muovendo dalla "mistura", dalla frusaglia, come in Tombari. Con coraggio, con ironia, p. 47:
Del resto il mistero
è nostro come una mano
o un piede, e meno di una mano
o un piede, non ha nome.
(Questo rende allegri. E’ poco ma rende allegri).
Una ironia dal volto umano, una modalità per riconoscere e accettare i propri limiti, fino ad aprirsi agli altri. Magari nel nome di un relativismo illuminante dove fede e ragione, a dispetto dell’ansia, potrebbero incontrarsi, come a p.42:
Avvistata bevendo il caffè,
questa è una commedia nera.
Ci sono le luci della sera,
il malumore della sera, un po’
di amaro coraggio della sera e molta
crudeltà da sporcarsi le mani,
annusare l’anima surgelata…
perché non un dio comico e discreto?
Qui saranno miliardi le invocazioni
dove non c’è direzione o tutte le direzioni
come indica un cartello.
Lingua della dimora e dell’ascesa, andirivieni fra alto e basso, lessico ritornante: qualità di una scrittura anticonvenzionale, anche ricercata, eppure capace di normalizzare con levità quell’urlo di "piacere e terrore per la vita" dell’autore ragazzo, oggi stretto fra "l’amarezza del risveglio" e "l’atterraggio nel dopocena doloroso" in cui, più o meno, siamo calati tutti.
Germana Duca Ruggeri
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