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Iaia Lorenzoni: Poesie su Iaia bambina, poesie

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LEGGERE LA POESIA / LEGGERE I POETI A URBINO : 17/01/2018
 

La scrittrice Iaia Lorendoni di Pesaro il 17 gen 2018 all'UNILIT di Urbino presenta la sua raccolta di poesie, "Da voce a voce". In questa clip video la lettura delle poesie, Le finestre del vento, Ignari e dispersi, Canto.


L'iniziativa fa parte di un ciclo di 4 incontri organizzati dall’Unilit di Urbino (Università Libera Itinerante Collegata all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo), in collaborazione con il Circolo Acli-Centro Universitario e le Conversazioni di Palazzo Petrangolini, dedicati alla poesia ed ai poeti Germana Duca, Maria Grazia Maiorino, Iaia Lorenzoni e Rosanna Gambarara, che partecipano alla vita culturale urbinate in varie forme di presenza e di animazione con le loro ultime pubblicazioni.

 

 

 

Germana Duca: L’infanzia come valore in sé, di grande altezza, chiama in causa il presente, la trasmissione della memoria. Non ci sono mai stati tanti nonni come oggi, ma non sono mai stati così poco ascoltati. In rete, sui social, il passato non esiste; sembra che i giovani non dialoghino volentieri con chi li ha preceduti. Nei tuoi versi, invece, brilla il ricordo del cerchio di vita tra generazioni. Che cos’è cambiato? Iaia bambina e Iaia adulta dialogano ancora fra loro? Ci potresti leggere, magari alternandole, poesie che evocano la tua infanzia e poesie dove ti misuri con il mondo di oggi?

 

Iaia Lorenzoni: E’ vero! Non ci sono mai stati tanti nonni come oggi. Ma ci sono davvero o nel nostro continuo correre ci siamo fatti… assenti? Secondo me, non sappiamo più anche noi amare la lentezza.
Non sappiamo ripercorrere con lentezza e lievità nemmeno la nostra vita passata, perché appesantiamo spesso memoria e ricordi con il rimpianto e la malinconia. La società, malata come oggi è, di indifferenza ed egoismo, ci allontana. Non vuole il dialogo con nonni “troppo pesanti”. Qualcuno arriva anche a definirci “noiosi”. Fra noi e i nostri figli che vanno velocissimi, inquieti, in cerca del subito qui e adesso, delusi da sogni che sentono impossibili, c’è una frattura.
La luce è serrata. Che dire?. Aspettiamo.
Prima o poi si aprirà una fessura. Però siamo nonni vivi, come è giusto che sia.
Purtroppo però diventiamo anche noi isole; e nascosti nel nostro pane.
Così nascosti che neanche una “vertigine di luce” può saperci. Mi accorgo che anch’io sono, a poco a poco, parte di questa società.
Mi seduce la folla. Mi sento bene dentro. Mi sento protetta. Ogni mia fragilità assolta e perdonata. Mi riconosco nei tanti volti che, come me, vanno vanno vanno… Ma poi,mi sento “stinta e spiegazzata”. Fuggo. Trasloco nella bambina che sono stata, nella bambina che sono. Ma a volte cado. Mi rompo. Vado in pezzi. E che fatica inginocchiarsi, raccogliere i miei frammenti! E cercare quello misteriosamente nascosto e luminoso che è l’unico a potermi dare la scintilla per essere interezza. Non so, allora, se andare”in cima”, sia davvero possibile , per me nonna di oggi. Se a Victor so cantare come cantava lei, mia nonna Angela. Se sono, come lei, di basilico e gerani.

 

 

Germana Duca: Nonostante la vita a tratti “stinta e spiegazzata” a me sembra che le tue poesie siano pervase, dove più dove meno, da una luminosità in movimento. Luce che esce da ogni tessera, da ogni frammento del tuo mosaico; e diventa liquida, tutt’uno con l’acqua che la rifrange e la fa fluire, proprio come il pensiero dietro la mano che scrive. Non solo luce, come si diceva all’inizio, ma anche ombre e penombre, con pennellate di colore: tocchi scarlatti, verdi, azzurri, gialli, sulle sfumature di emozioni ed intuizioni. Simili, queste ultime, a biglietti di andata e ritorno per conoscere i segreti della vita.

Cara Iaia, ci potresti illuminare a questo proposito, magari leggendoci ancora qualcosa? Ci piacerebbe se, per concludere, scegliessi i versi più vicini alla tua vena poetica, al fuoco d’artificio della tua ispirazione.

 

Iaia Lorenzoni: Ti ringrazio, cara Germana. E ringrazio gli amici Gastone, Alberto, Sergi, Nicolettoo. Ringrazio le nostre vite che si attraversano nel profondo. Vi invito a leggere “sul filo” a p. 99 perché confesso che nel rivedervi sono riuscita a scrivere davvero su un filo di voce, “e poi vedere tutto germogliare, / e germogliarmi”. Vicino a voi ho messo tutto al sole, al vento di Urbino, e agli occhi della sera. Grazie allora, ancora e ancora perché nessuno di noi era ” isola”.
Eravamo dentro la lentezza: scompigliati e vivi, con il cielo e la terra. E nello Spazio a un tratto visto, c’era l’amore riconosciuto, frequentato, amato, udito, servito, pianto. Non era più serrata la nostra luce perché dentro aveva l’attesa che aspetta la speranza. Da alcuni anni non ci si vedeva, ma c’erano le nostre penombre ” più belle di ogni luce” ed eravamo appesi a una bella pagina di lampi.
C’era anche il colore che nel suo “singolare-plurale” colora e ci colorava di ciò che abbiamo bisogno. La poesia il risveglio”, l’indossavo: perfetta all’anima e alla carne, con le discrete luci dell’alba e poi il pieno mattino quando “tutto è di fronte. / Tutto è aperto. / La luce respira. / Respira la vita”.
Incontrarvi mi ha permesso di sentire davvero ciò che mi corrisponde: il cuore maturo delle stanze, le luci, i suoni, l’infanzia dilatata. Ma anche il buio, il rumore, l’assoluto incolore, le increspature delle mie ragioni, le ferite, le mie prigioni, la gratitudine che vi devo, e devo a ogni istante. E adesso che ho dialogato con voi e mi sono vista davvero, so che bisogna tenere i giorni scuri come si tiene la finestra del mattino. E ho la consapevolezza che in tutto ciò che siamo e che saremo, l’importante non è tanto capire, ma credere.