Germana Duca: L’infanzia
come valore in sé, di grande altezza, chiama in
causa il presente, la trasmissione della memoria.
Non ci sono mai stati tanti nonni come oggi, ma non
sono mai stati così poco ascoltati. In rete, sui
social, il passato non esiste; sembra che i giovani
non dialoghino volentieri con chi li ha preceduti.
Nei tuoi versi, invece, brilla il ricordo del
cerchio di vita tra generazioni. Che cos’è cambiato?
Iaia bambina e Iaia adulta dialogano ancora fra
loro? Ci potresti leggere, magari alternandole,
poesie che evocano la tua infanzia e poesie dove ti
misuri con il mondo di oggi?
Iaia Lorenzoni: E’
vero! Non ci sono mai stati tanti nonni come oggi.
Ma ci sono davvero o nel nostro continuo correre ci
siamo fatti… assenti? Secondo me, non sappiamo più
anche noi amare la lentezza.
Non sappiamo ripercorrere con lentezza e lievità
nemmeno la nostra vita passata, perché appesantiamo
spesso memoria e ricordi con il rimpianto e la
malinconia. La società, malata come oggi è, di
indifferenza ed egoismo, ci allontana. Non vuole il
dialogo con nonni “troppo pesanti”. Qualcuno arriva
anche a definirci “noiosi”. Fra noi e i nostri figli
che vanno velocissimi, inquieti, in cerca del subito
qui e adesso, delusi da sogni che sentono
impossibili, c’è una frattura.
La luce è serrata. Che dire?. Aspettiamo.
Prima o poi si aprirà una fessura. Però siamo nonni
vivi, come è giusto che sia.
Purtroppo però diventiamo anche noi isole; e
nascosti nel nostro pane.
Così nascosti che neanche una “vertigine di luce”
può saperci. Mi accorgo che anch’io sono, a poco a
poco, parte di questa società.
Mi seduce la folla. Mi sento bene
dentro. Mi sento protetta. Ogni mia fragilità
assolta e perdonata. Mi riconosco nei tanti volti
che, come me, vanno vanno vanno… Ma poi,mi sento
“stinta e spiegazzata”. Fuggo. Trasloco nella
bambina che sono stata, nella bambina che sono. Ma a
volte cado. Mi rompo. Vado in pezzi. E che fatica
inginocchiarsi, raccogliere i miei frammenti! E
cercare quello misteriosamente nascosto e luminoso
che è l’unico a potermi dare la scintilla per essere
interezza. Non so, allora, se andare”in cima”, sia
davvero possibile , per me nonna di oggi. Se a
Victor so cantare come cantava lei, mia nonna
Angela. Se sono, come lei, di basilico e gerani.
Germana Duca: Nonostante
la vita a tratti “stinta e spiegazzata” a me sembra
che le tue poesie siano pervase, dove più dove meno,
da una luminosità in movimento. Luce che esce da
ogni tessera, da ogni frammento del tuo mosaico; e
diventa liquida, tutt’uno con l’acqua che la
rifrange e la fa fluire, proprio come il pensiero
dietro la mano che scrive. Non solo luce, come si
diceva all’inizio, ma anche ombre e penombre, con
pennellate di colore: tocchi scarlatti, verdi,
azzurri, gialli, sulle sfumature di emozioni ed
intuizioni. Simili, queste ultime, a biglietti di
andata e ritorno per conoscere i segreti della vita.
Cara Iaia, ci potresti illuminare a
questo proposito, magari leggendoci ancora qualcosa?
Ci piacerebbe se, per concludere, scegliessi i versi
più vicini alla tua vena poetica, al fuoco
d’artificio della tua ispirazione.
Iaia Lorenzoni: Ti
ringrazio, cara Germana. E ringrazio gli amici
Gastone, Alberto, Sergi, Nicolettoo. Ringrazio le
nostre vite che si attraversano nel profondo. Vi
invito a leggere “sul filo” a p. 99 perché confesso
che nel rivedervi sono riuscita a scrivere davvero
su un filo di voce, “e poi vedere tutto germogliare,
/ e germogliarmi”. Vicino a voi ho messo tutto al
sole, al vento di Urbino, e agli occhi della sera.
Grazie allora, ancora e ancora perché nessuno di noi
era ” isola”.
Eravamo dentro la lentezza: scompigliati e vivi, con
il cielo e la terra. E nello Spazio a un tratto
visto, c’era l’amore riconosciuto, frequentato,
amato, udito, servito, pianto. Non era più serrata
la nostra luce perché dentro aveva l’attesa che
aspetta la speranza. Da alcuni anni non ci si
vedeva, ma c’erano le nostre penombre ” più belle di
ogni luce” ed eravamo appesi a una bella pagina di
lampi.
C’era anche il colore che nel suo
“singolare-plurale” colora e ci colorava di ciò che
abbiamo bisogno. La poesia il risveglio”,
l’indossavo: perfetta all’anima e alla carne, con le
discrete luci dell’alba e poi il pieno mattino
quando “tutto è di fronte. / Tutto è aperto. / La
luce respira. / Respira la vita”.
Incontrarvi mi ha permesso di sentire
davvero ciò che mi corrisponde: il cuore maturo
delle stanze, le luci, i suoni, l’infanzia dilatata.
Ma anche il buio, il rumore, l’assoluto incolore, le
increspature delle mie ragioni, le ferite, le mie
prigioni, la gratitudine che vi devo, e devo a ogni
istante. E adesso che ho dialogato con voi e mi sono
vista davvero, so che bisogna tenere i giorni scuri
come si tiene la finestra del mattino. E ho la
consapevolezza che in tutto ciò che siamo e che
saremo, l’importante non è tanto capire, ma credere.
|