« C’è, e palpita acceso, in molte opere di Luigi Stradella, un fluire e rifluir di immagini e forme che richiama quei giardini che fecero apparire bella la Lombardia … .
C’è anche, però, in molte opere di Luigi Stradella, qua e là qualcosa di selvatico, con spine e ferite che sembrano voler lacerare e rendere aspro e ansioso (“reboriano”?) l’andamento del sogno; cioè mettere a nudo, o comunque fare intuire, i nervi tesi e le ossa spezzate che stanno e dolorano sotto o dentro il colore: sia esso nebbioso, o cinerino (o “solferino”, come scriveva il buon Montale).