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UNILIT – SEDE DI URBINO
Urbino. 13 Aprile 2016
IN RICORDO DI ROMOLO ROMANI
Tanta gente è stata iscritta all’UNILIT frequentando le lezioni con entusiasmo. Romolo Romani è uno di quelli: tra i più entusiasti. Con qualcosa in più. L’amore per la cultura, per il sapere con il gusto del confronto e dello stare insieme. All’inizio era timido e riservato. Ascoltava con molta attenzione, ed era timido nell’intervenire. Poi pian piano si fece sempre più ardito. Aveva capito che l’intervenire non era solo una questione di linguaggio, ma anche una questione di testa, di intelligenza e usando bene la testa si era in grado di far valere le proprie opinioni, di farsi capire e di dialogare. Era diligente, sempre presente alle lezioni tranne i casi di forza maggiore.
Ma chi era Romolo Romani! Nacque il 28 aprile 1938 in Urbino, località la Torre, nelle Cesane. Dove è sempre vissuto. Il padre Dario era un artigiano, un falegname. La madre Emma, una casalinga, dedita alla famiglia come era nella regola di allora. Cioè lavoravano solo gli uomini. Frequenta in zona la Scuola Elementare e poi entra nella “bottega”, nella falegnameria del padre. Dove in realtà si entrava sempre, per fare qualche faccendina, per dare una mano con i piccoli lavori compatibili, per vedere le macchine in azione. Poi da ragazzo ci entra per imparare e continuare il mestiere del padre. Contrariamente a quanto avviene oggi, -lo raccontava lui- la regola prima era far bene il lavoro: qualunque fosse il tempo richiesto. Che allora incideva poco nel prezzo. Questa era l’educazione appresa in casa, in linea con quanto si diceva nella chiesa di San Tommaso e a quanto si insegnava nella scuola della Torre. Ossia la regola dell’onestà. Del lavoro eseguito a regola d’arte. Romolo non si accontentava di seguire gli insegnamenti ricevuti, era curioso e guardava il mobile antico e le tecniche usate dagli antenati. Per riutilizzarle o migliorarle, se di convenienza, sia sul piano estetico che su quello funzionale. Lavorando in proprio, non c’era un orario di lavoro. Si lavorava, diceva, dall’alba al tramonto ed anche dopocena per rispettare le consegne o per progettare soluzioni nuove specie se venivano richieste dai committenti. Il lavoro ai Romani non è mai mancato, nemmeno negli anni difficili della guerra. Si sposa il 29 aprile 1972 con Caterina dopo 7 anni di fidanzamento ed ha due figli, Giacomo e Raffaella. La sua vita, come quella dei suoi genitori, continua ad essere tutta famiglia e bottega. La domanda cresce perché lavora bene e lui si ingrandisce. Investe in struttura e macchinari. Per le difficoltà incontrate, rifletteva ad alta voce, non era certo di aver fatto sempre le scelte giuste. Partecipa alla vita associativa della sua categoria artigiana e viene spinto a presentare la sua candidatura alle elezioni del Consiglio Comunale di Urbino. Viene eletto nel 1972 nelle liste del Partito Comunista. Resta in carica due anni, invece dei quattro previsti. Un’esperienza traumatica. Non condivisa, non capita, non giustificata nè giustificabile. Lui era stato proposto per seguire gli interessi della sua categoria artigiana. Sulle questioni di politica generale o di certe scelte amministrative si allineava tranquillamente alle decisioni del suo partito. Ma sulle questioni della categoria sapeva esprimere il suo parere e difenderlo con passione ed ostinazione. Ma il capogruppo (Giuseppe Saltarelli) gli diceva che lui non doveva ragionare con la sua testa ma con quella del Partito. Romolo non capiva e rispondeva “voi avete scelto un artigiano da mettere in lista perché conosceva gli interessi della categoria; se invece decide il partito in base ad altri criteri, anche in contrasto con gli interessi della categoria, allora ci potevate mettere al mio posto qualsiasi altra persona, anche uno stupido. Romolo, da uomo onesto, non comprese allora che il suo nome, per la fama che aveva come bravissimo artigiano, serviva per attrarre voti. Si dimise. E da allora ci fu sempre una certa diffidenza con lo staff del suo partito comunista. Non ebbe traumi. La considerò un’esperienza utile. Capì come era fatta la politica. Si immerse di nuovo, totalmente, sul suo lavoro. Svolto per quasi settant’anni, sempre alla ricerca della perfezione. Si sentiva ampiamente ripagato quando, alla mercede, ai soldi, seguiva il giudizio positivo, entusiasta, del suo committente. Confessava che, per via del lavoro, non ebbe mai molto tempo per leggere. Ma i giornali li seguiva ed anche qualche libro. Per la lettura aveva una particolare attrazione.
La conferma venne con l’età della pensione. Romolo sentì parlare della nostra Università della Terza Età. Forse dalla sorella Wilma. Si presentò con una certa timidezza sedendosi nelle prime file della nostra aula delle ACLI-Centro Universitario. Si accorse subito del clima amichevole che vi regnava, della bravura dei nostri insegnanti, della semplicità delle esposizioni. Un clima sereno e disteso perché ci si considerava tutti uguali, come del resto eravamo: cioè tutti o quasi pensionati. Non ci qualificava il titolo di studio ma l’ascolto e l’apertura totale al dibattito. Romolo, da persona intelligente, percepì subito questo clima, superò subito i timori reverenziali tipici di “quelli che non hanno studiato” ed interveniva ricorrentemente per chiedere chiarimenti e per portare nuovi contributi alla lezione del giorno. E poi a casa ripensava a ciò che aveva ascoltato. Ed ai familiari ripeteva con soddisfazione gli argomenti della lezione. L’Unilit diventava un motivo per intensificare le sue letture, giornalistiche e libresche, di storia e geografia in particolare, per allargare le sue conoscenze. Si interessava di tutto. In particolare si era appassionato alla Fisica, in parte collegata al suo lavoro di falegname. Aveva una fissa sul risparmio di energia, pensando all’energia pulita. Un principio che lui seguiva e sperimentava, volto a sostituire il petrolio, il gas, l’energia elettrica. Mi aveva passato diversi fogli di appunti che lessi con curiosità ed attenzione. Ma non era il mio ramo e dovetti riferire che non avevo le competenze per seguirlo nei ragionamenti. So che si rivolse anche al Rettore Stefano Pivato che gli disse, se ricordo bene, che per quelle cose non era sufficiente un professore di Fisica, ma ci voleva un professore che si appassionasse alle soluzioni pratiche e alla sperimentazione empirica. Un po’ come facevano Leonardo da Vinci e Galileo Galilei che visitavano le botteghe artigiane per vedere le geniali soluzioni adottate da quegli artisti: pratiche di incastri, legami, congiunzioni, forze centrifughe, ecc. per poi ricostruirne i principi e magari formularne la relativa teoria. Un sogno non realizzato ma tenuto sempre in piedi da Romolo. A confermare il suo ottimismo ed il suo credo nella bellezza della vita.
Merita di essere ricordata la lezione inaugurale dell’Anno Accademico 2014-2015. Il 7 novembre 2014, nel centenario della 1° guerra mondiale (1914-18) nella nostra cara sala delle Acli-Centro universitario, tenne la lezione l'ing. Francesco Nicolini presentando un suo libro “… forse è solo perché non dovevo morire” Ed. Il Fiorino 2014. Un libro ricostruito sui ricordi autografi della Grande Guerra del fante contadino Cermaria Elmo, il nonno Peppe (nonno dell’autore), della zona dell’Apsella di Montelabbate detta della “Valle del Brasc” . Ricordi avuti in dedica dal nonno per non dimenticarne gli orrori della guerra. Gli orrori che riporto da una lettera, scritta da un soldato, dal fronte di guerra: ” Cara molie che vada terminata questa guerra micidiale che, invece di diminuire, va allargandosi sempre più e fa piangere Madri, Padri, Molie, Figli, Fratelli, Sorelle di tutti quelli che si ritrovano in detta guerra”.
La lezione fu molto suggestiva, lo stesso Nicolini si commosse nel ricordare. Tutti i presenti la seguirono con grande partecipazione. Al termine della lezione, il più interessato, sorpreso e felice fu Romolo Romani. Intervenne subito dicendo che anche lui conservava delle lettere del nonno Alberto in un cassetto di casa. Non ne ricordava il contenuto, ma le aveva sempre custodite. L’ing. Niccolini fu il più incuriosito, tanto che si accordò con Romolo per andare a vedere le lettere il giorno successivo. Un incontro che dette molta soddisfazione a Romolo. Lettere scritte cent’anni prima, avute in consegna da mio padre. Più volte mi chiedevo che fine avrebbero fatto dopo di me, diceva Romolo. “Ora ho l’occasione di ritirarle fuori, di farle vedere a Nicolini ed a voi dell’Unilit; credo che il nonno Alberto ne sarà contento ed io sono contento per lui che ha avuto una vita tribolata: per la miseria e infine per la guerra”. Il Nicolini non accettò l'incario della lettura e organizzazione del contenuto per l'indisponibilità del tempo necessario. Allora si offerse Michele Gianotti giungendo al risultato riportato nelle seguenti pagine (clicca).
Raccontò che la vita nelle campagne era dura ed il mangiare era scarso. Il nonno Alberto, nato il 24 settembre 1883 in Urbino, area della Torre, fu mandato da ragazzo, “garzone” presso un'altra famiglia di contadini, probabilmente a tredici-quattordici anni. Una bocca in meno da sfamare in casa. Ovviamente senza paga. L’unica paga era lo scarso e parsimonioso vitto quotidiano condiviso nella nuova colonìa. Tra i suoi compiti c’era anche quello del pastore, di portare le pecore al pascolo nei poveri tratturi di montagna in quel di Cantiano. Dovette scappare da quella casa perché, continuamente infastidito da un birro (montone, maschio della pecora). Il nonno Alberto, stancatosi, lo sfidò ponendosi in cima ad una rupe e quando quello lo caricò, si scansò ed il birro sfracellò nel burrone sottostante. Dovette scappare, ma fu destinato ad altra garzonìa in un altro podere. Rientrò in casa da adulto e contrasse matrimonio con la nonna Anna. A 32 anni, già padre di due figli, arrivò la chiamata alle armi per l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, soldato con destinazione al 71° reggimento di Fanteria nella 2° Compagnia Deposito speciale di Spinea a Venezia.
Notizie tratte dalla Cartolina postale italiana in franchigia del Regio Esercito, verificato per censura come da timbro, con la quale, il 6 novembre 1915, Alberto risponde alla “tanto desiderata lettera della moglie” chiamandola Annetta carissima, dove dice di non aver bisogno di nulla, di essere contento che i suoi panni borghesi siano arrivati a casa, che il vicino di casa, tale Riccardo marito della Gigia, non è più lì con lui e non sa dove sia stato destinato. La seconda cartolina, due giorni dopo, l’8 novembre è in risposta alla lettera della moglie del 4 novembre. Dopo l’assicurazione sulla buona salute, Alberto dice che farà sapere in seguito qualcosa sui compagni di Reggimento. Lo scambio di corrispondenza è fitto, si capisce che la preoccupazione è grande. Nella cartolina del 16 novembre, Alberto è contento che la moglie abbia ritirato il sussidio del babbo, ma la rimprovera perché non dice niente dei bambini. Dice di aver ricevuto risposta da Giovanni, ma del fratello Peppe non sa niente e chiede dove si trova. Qui, in questo periodo vicino al Natale, Alberto ha fruito di una licenza ed è tornato a casa.
Al rientro in Reggimento, nella data non figura più Spinea, sede del deposito, ma Zona di Guerra. La cartolina è del 17 febbraio 1916. Non si rivolge alla moglie chiamandola, come nelle precedenti cartoline Annetta carissima, ma Carissima consorta. Dice di essere sul Posto, sù, come ti dissi prima di ripartire, dopo un buon viaggio e senza soffrire il freddo. Manda saluti a tutti, parenti e vicini, alla famiglia Bianchini e baci ai bambini. Nella successiva cartolina del 20 febbraio, Zona di guerra, ringrazia Dio della perfetta salute, “solo che non mi vuole passare la malinconia della partenza; e pure bisogna rassegnarsi”. Chiede se è tornato il fratello della moglie. Saluta tutti, anche gli amici, oltre lei, i bambini e il babbo. Evidentemente lo scrivere a casa rappresenta un grande conforto morale per Alberto. Dalla zona di guerra il 23.2.1916 nella stagiona che si è messa piovosa e continua, scrive “per la quarta volta ti do mie notizie di ottima salute. E che, se Dio permette, il 1° marzo conta di passare 13 giorni di riposo a casa. Dice di attendere notizie da casa con i saluti a tutti, amici e parenti. Nella lettera del 26.2.16 scrive le solite cose “altro non so che dirvi”. Aggiunge di aver sentito dell’arruolamento di altre due classi di terza categoria. Conferma di aver ricevuto la cartolina della moglie del 23. 3 giorni: La posta militare funziona. Più notizie ci sono nella cartolina dalla Zona di Guerra del 5.3.16. Conferma di aver ricevuto le cartoline da casa. Di aver ricevuto, scendendo dalla trincea, i soldi della licenza: 9 lire Di aver mandato alla moglie una lettera da Lazzero di Cal Tito raccomandando di non dar lui dei soldi “che non mi fanno bisogno” Annetta non ti impressionare di nulla. Al 1° marzo siamo venuti in riposo e il 4 sono rientrato all’ospedale di Campolongo per un po’ di febbra. Mi dispiace che mi manderanno fuori presto. “Qui la stagione è molto piovosa, son giorni dolenti a stare fuori. Speriamo in Dio che vorrà fernire questa cattiva vita”. Aggiunge che è contento che Dario si è fatto molto buono e che riporta sempre a casa la sua fascinetta di legna. Dagli un soldo per comprare i lupini e pure anche ad Amedeo. Ai saluti di casa aggiunge quelli alla sorella Eva e genitori, all’Assunta e al suo bambino. Nella cartolina del 7.3.16, con le solite notizie da Campolongo sul Brenta dice che oggi è Carnevale, me lo passo qui. “Pazienza che non venga di peggio??” con due interrogativi. Dalla zona di guerra il 10.3.16, Alberto conferma di stare molto meglio e di andare in compagnia. Non mi scrivere perché mi hanno cambiato ospedale e ora sono al 0.58 e la posta non mi arriva. “Basta che tu ricevi mie notizie sono contento lo stesso. I soliti saluti a tutti: genitori, parenti, bambini. Il 14.3.16 la mia malattia è già scomparsa, non mi sento quasi nulla, ma ancora non mi fanno sortire dall’Ospedale perché mi sento un po’ debole. Se mi voi scrivere una cartolina farai te, sarà il male di 10 centesimi se va a male. Io sono all’ospedale N° 058 Terza Armata Zona di guerra. Sono entrato all’ospedale il 4 corrente. Sto pure contento che mi sono riposato le mie ossa che mi trovavo molto stanco di dormire per terra. La pioggia non è mai cessata. Saluti a tutti, un bacio ai cari bambini e uno speciale alla piccola Maria. Addio Annetta sono tuo consorto. Da Ospedale da campo 058 il 16.3.16. Ho ricevuto la tua cartolina del 10 corrente. Godo nel sentire della vostra buona salute. Anche io sto bene, solo un po’ debole. Con i baci ai bambini aggiunge un bacio al nipotino Adamo. Il 20.3.16 scrive di godere ottima salute e di poter uscire dall’Ospedale il 23 corrente per raggiungere la mia compagnia. Mandami l’indirizzo di mio fratello Peppe. Saluti a tutti anche ai vicini. Zona di guerra 26.3.16 Rispondo alla lettera che mi hai mandato da Pietro Bacchielli, ma lui non l’ho visto. Oggi sono uscito dall’Ospedale ed ho raggiunto il mio Reggimento in riposo per pochi giorni. Poi dopo andiamo ai soliti posti [sui loghi sta sempre sul vago per segretezza ed evitare la censura]. Mi chiedi se andiamo in riposo. Di questo non ho nessuna speranza; questo te l’avrà detto Gambini?? Magari che fussi, le cose buone non vengono mai. Certo che ci spetterebbe dopo 4 o 5 mesi di fronte, ma qui non si capisce proprio nulla, fanno come vogliono. Una considerazione come un presagio. Dopo tanto soffrire [speriamo] almeno di salvare la vita. In ospedale il cappellano ci ha fatto confessare e fare la comunione. 2 volte. Scrivimi in Compagnia. Fammi sapere se hai preso il sussidio per la piccola Maria. Mandami l’indirizzo di Peppe, e se ha ricevuto notizie da Giovanni e se tuo fratello Pietro è venuto in licenza. La stagione piovosa non ci vuole abbandonare. Speriamo in Dio che vorrà terminare in qualche maniera questa guerra. Sono contento che Dariolino continua a lavorare con la sua fascinina. Dagli un soldo per i lupini ed anche ad Amedeo che sta a badare la piccola Maria. Saluti a tutti anche alla signora Maestra, saluti all’Assunta e un bacio al suo Adelmo. Zona di guerra 28.3.16 Spedisco la lettera senza francobolli, pagherai 20 centesimi. Per il momento il Reggimento è a riposo, in seguito vedremo. Saluti a tutti. 4.4.1916. Tutte le cartoline spedite dalla Torre sono arrivate. Per il momento noi siamo di rinforzo ma spero che non verrà nessun pericolo. Il giorno 10 speriamo in Dio di ritornare in riposo al solito posto. La disgrazia del povero Maranga l’ho saputa subito, mi scrisse Attilio Piergiovanni. Non state a perdere la testa per me, che ormai penate più voi a casa che non io al fronte. Il 4.4.1916 saluti e baci a te ed al mio babbo. Una quantità di baci ai nostri amatissimi Piccini, è meglio non pensarci altrimenti si perde la testa. Presto scriverò anche a Settimio. Il tuo consorto. Zona di guerra 10.4.16. Godo ottima salute. Oggi stesso siamo venuti in riposo lontano dal fronte più del solito. Baci a tutti. Zona di guerra 11.4.16. Il 10 corrente siamo venuti a riposo molto più indietro di Campolongo. Qui si sta discretamente bene. Per la cresima di Dario fa come vuoi. Auguri di Pasqua a Tutti. Non state in pensiero di noi. Speriamo Dio che vorrà venire questa benedetta pace. Dalla Torre, i parenti di Alberto avevano visto 5 biplani bombardare Ancona. Zona di guerra 17.4.1916. Ho risposto alle vostre cartoline. Ancora siamo in riposo. Zona di guerra 18. 4. 1916 Alla moglie: Cerchi di farmi coraggio, ma se fai così con me ti togli tu il coraggio. Siamo tutti sotto, non solo io. Fin qui sono sano e libero, per lavvenire vedremo. Ancora siamo in riposo. 18.04-1916. In caserma si dorme nel pagliericcio, non ci pare nemmeno il vero di star qui. Speriamo in Dio che fra poco tempo qualche cosa decidano di questo tormento. Saluta tutti, anche la Signora maestra. Zona di guerra il 20.4.1916 Godo ottima salute. Noi siamo ancora in riposo sperando di starci ancora. Buona Pasqua, il tuo consorto Romani Alberto. Questa è l’ultima lettera di Romani Alberto. 25 giorni dopo arriva alla famiglia la comunicazione ufficiale. Dal Registro dei Militari caduti nella guerra 1915-1918, con uno stemma recante la figura di una donna e con sotto scritto “Le madri italiane ai valorosi che combattono per il trionfo di un santo ideale, sta acritti che Romani Alberto di Gioacchino, soldato nel 121° Reggimento di Fanteria, nato il 24 settembre 1883 ad Urbino, distretto militare di Pesaro così tranquillo e così affettuoso con tutta la sua famiglia e con i parenti, è morto il 15 maggio 1916 sul Carso per ferite riportate in combattimento.
Per Romolo ricordare questo suo antenato era motivo di grande orgoglio. Ed oggi, noi di questa Università della Terza età, siamo contenti di poter onorare questo suo desiderio nel segno della memoria e della cultura.
Sergio Pretelli,
Michele Gianotti
Nicoletto Nicoletti
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