Nella prestigiosa galleria, presso la casa natale di Raffaello Gambedotti espone numerose opere grafiche.  Le sue tavole xilografiche risalgono al 1966, quando per la Società Sipra allestisce un calendario con 12 incisioni (segni zodiacali- riscuotendo subito un notevole successo di critica. Da allora, raffinandosi nel segno e nella tecnica, ha inciso centinaia di legni di varie dimensioni, partecipando a numerose manifestazioni nazionali.

Le sue opere sono presso collezioni private e pubbliche, in Italia e all'estero (Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Urss, Svezia, Francia-.

 

 

 

PRESENTAZIONE  DELLA  MOSTRA

di Raffaele Violi

 

Le tecniche dell'incisione, al giorno d'oggi, sono disparatis-sime e sofisticate. Si parla dovunque di «grafica», coinvolgendo «puntasecca», «acquatinta», «acquaforte», «mezzatinta», litografia «a penna» e «a matita», «vernice molle», «punta d'argento», etc. Persino la modesta serigrafia gode di un rinnovato fervore e si è ribattezzata elegantemente «silk-screen».

Tanto di cappello a tutte queste tecniche, che in un modo o nell'altro ripropongono variazioni sul tema antichissimo dell'incisione ad incavo, o in superficie. Ma il metodo più antico rimane comunque lei, l'incisione in legno, ossia il metodo dell'incisione «in rilievo», dal quale discendono in linea diretta Gutenberg e la tipografia. E' insomma il metodo più «semplice». Tanto è vero che legni incisi esistevano già in Cina nel 2° secolo a.C, e successivamente in Europa, sopra tutto per stampa su tessuti. Ma già agli inizi del Quattrocento tali legni avevano funzioni pittoriche e illustrative, come testimonia il «Cristo davanti a Erode» del British Museum, e il mirabile «San Cristoforo» di Buxheim, del 1423. Il metodo più «semplice» e, oggi, il più «snobbato». Il motivo è altrettanto semplice. Per arrivare all'abilità tecnica dei maestri xilografi occorrono pratica, esperienza e passione in dosi massicce: cose che sono frutto di lungo e indefesso lavoro, cose che male si accordano con il nostro tempo nevrotico, frettoloso e... superficiale.

A ben osservare un legno inciso dal Durer o da Holbein, c'è da essere presi da un profondo scoraggiamento. Mario Gam-bedotti, invece, non si è scoraggiato, ma ne è stato stimolato come da un traguardo possibile. Piano piano, armato di sgorbie, di lisce tavolette di legno di pero, e di tanta passione, si è tracciato con mano maestra un suo sentiero grafico dove il segno (e il legno- si vanno via via spiritualizzando, dove la tecnica (già intensamente vissuta da allievo della Scuola d'Arte di Urbino- si è affinata al punto da fare concorrenza alle altre tecniche incisorie. Gambedotti riesce a «retinare» il legno quasi fosse tenero metallo, a condurre esilissimi fili di ragno attraverso corpose composizioni piene di campiture a contrasto fra di loro - a gremire di personaggi, di cose e, sopra tutto, di «humour» le compatte mattonelle lignee. Oramai la sua «tavolozza» di grigi è uno sviare di toni che qualche tempo fa lui stesso avrebbe considerato impossibili. Per non parlare delle ariose prospettive, della profondità ottenuta con tagli sapienti (una finestra, un loggiato- e con un magistrale gioco di piani. Ma le considerazioni tecniche sono meno importanti di quanto l'arte di Mario Gambedotti ci offre in abbondanza, e che è il suo gustoso leit-motiv. Quel grande, corale sentire l'umanità, e amarla. Amarla nei suoi aspetti più cordiali, più umili, più vissuti. Un'umanità che giuoca a tressette, o a bocce, o si maschera per carnevale. Che mangia, che beve, che fa le cose di tutti i giorni. Frataccioni ridenti che si rincorrono fra alberi in fiore, grasse casalinghe che rimescolano la polenta, sbracati contadini che, sorretti da una chitarra, stonano allegramente insieme... Si pensa a Brue-ghel, a un modo di essere «sociali» forse irrecuperabile (almeno per noi cittadini-. E si è grati a Mario Gambedotti come a chi ci offrisse, con amicizia e semplicità, una scodella di fumante pasta-e-fagioli e un bicchiere di buon vino rosso.

Raffaele Violi