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Mario Gambedotti: TAROCCHI - 22 Arcani - 1982

 

 

 

 

 

TAROCCHI

Storia e significato

Attilio Boccazzi-Varotto

 aprile 1982

 

Un mazzo completo è composto da 78 carte o lame, delle quali fanno parte i 22 Arcani maggiori, che nel loro insieme rappresentano una piccola cosmogonia tascabile.

La loro prima apparizione storicamente provata risale al 1392, quando Charles Poupart, tesoriere di Carlo VI di Francia, segnò sul suo libro dei conti: «Donne à Jacquemin Gringonneur, peintre, pourtroisjeuxde cartes à or et à diverses couleurs, des plusieurs devises pour porter devers le dit Seigneur Roi, pour son ébattement cinquante-six sols parisis».

 

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TAROCCHI

Storia e significato

Attilio Boccazzi-Varotto

 aprile 1982

 

Da sempre l'uomo ha cercato nella ricreazione un mezzo di evasione da una realtà troppo spesso triste e oscura, tendendo cioè ad una attività liberamente intrapresa per diporto personale o collettivo. Pertanto, da un punto di vista etnologico, è bene distinguere i «giochi» in senso stretto, aventi carattere collettivo e funzione istituzionale, dai «divertimenti» genericamente intesi, dotati di carattere occasionale, libero e individuale. La distinzione va intesa in senso dinamico: infatti alcune attività aventi già un ruolo istituzionale e rituale possono aver perduto la loro funzione originaria ed essersi perpetuate come divertimenti occasionali e individuali. È il caso dei Tarocchi, che sono usati per gioco e per trarne indicazioni divinatorie, funzione alla quale si crede fossero destinati in origine. Dalle origini magico-religiose, ricchi per di più del timore reverenziale per l'ignoto che tali significati portano con sé, i Tarocchi sono, con pochi altri giochi, la più antica e autorevole testimonianza. Essi sono gli antenati dei giochi delle carte, e fin dalla loro prima apparizione ebbero accezione simbolica e, senza alcun dubbio, esoterica. Essi sono il solo gioco di carte tramandato, da circa sei secoli, senza aver subito modificazioni sostanziali.

Un mazzo completo è composto da 78 carte o lame, delle quali fanno parte i 22 Arcani maggiori, che nel loro insieme rappresentano una piccola cosmogonia tascabile.

La loro prima apparizione storicamente provata risale al 1392, quando Charles Poupart, tesoriere di Carlo VI di Francia, segnò sul suo libro dei conti: «Donne à Jacquemin Gringonneur, peintre, pourtroisjeuxde cartes à or et à diverses couleurs, des plusieurs devises pour porter devers le dit Seigneur Roi, pour son ébattement cinquante-six sols parisis».

Diciassette di quelle carte sono giunte intatte ai nostri giorni e corrispondono nei simboli, benché prive di numerazione, ai moderni Tarocchi. Si è voluto attribuire al Gringonneur la loro invenzione, ma la nota del real tesoriere menziona esplicitamente tre mazzi di carte «dipinte» per il re, e nulla più. Altri studiosi hanno associato le carte divinatorie agli zingari, le virtù cartomantiche dei quali sono ben note, ma le tribù indostane cominciarono a muoversi verso Occidente intorno all'anno 1400, e si ha notizia certa della loro presenza a Roma nel 1422, a Parigi e Bar-

cellona nel 1427, ben dopo la comparsa delle carte da gioco dunque.

Beatrice de La Sablière ha lasciato una definizione degli Arcani maggiori che è da sottoscrivere pienamente ancora oggi: «Queste ventidue singolari figure hanno suscitato commenti a non finire, ma senza che nessuno mai riuscisse a darne una spiegazione logica. Estremamente complesse, sono immagini in apparenza ingenue, primitive, vivacemente colorate; studiate fin nei minimi dettagli, giustamente si applica loro il simbolismo tradizionale dei colori e dei numeri, e in loro si ritrovano le grandi forze della natura e del cosmo, le fonti della conoscenza...».

I cinquantasei Arcani minori sono divisi in quattro semi: Denari, Coppe, Bastoni, Spade; probabilmente legate alle quattro classi sociali: borghesia, clero, plebe e nobiltà.

Sono dunque gruppi di quattordici carte, dall'uno al dieci, cui si aggiungono Fante, Cavaliere, Regina e Re. Anche in questo caso l'allegoria è trasparente, così come è lampante l'identità con le carte «tradizionali », con la sola eccezione del Cavaliere. D'altra parte si ignora pure se gli Arcani maggiori, con i loro simboli, e gli Arcani minori, con i loro quattro semi, siano stati inventati separatamente e riuniti più tardi in un unico mazzo o se siano invece nati direttamente come mazzo di settantotto carte.

Qualunque sia stata la loro origine: egizia, saracena o cinese, perché tante sono le attribuzioni e variano a seconda degli umori e delle simpatie dei ricercatori, i giochi delle carte furono osteggiati con decisione da Chiesa e Stato. Numerose sono le ordinanze che le vietano e lo stesso Bernardino da Siena, nelle sue predicazioni, oppose «naibos» e «charticellas» agli uffici cristiani e ai libri sacri. «Nec deficere volo officiis meis Breviaria ac Diurna, quse esse jubeo charticellas seu naibos, in quibus varice figura pingantur, sicut in Breviariis Christi...». Bernardino pone queste parole in bocca a Satana, geloso di Gesù Cristo. Correva l'anno 1423.

Nel suo sermone il seguace dì San Francesco non nomina esplicitamente i Tarocchi, lo farà negli anni tra il 1450 e il 1457, nell'intento forse di demonizzare non tanto il gioco in sé quanto l'azzardo che gli è connaturato. Documenti comprovanti la proibizione del gioco delle carte risalgono al 1387, con un editto del re di Castiglia, e al 1397, da parte del Prevosto

di Parigi; ma già nel 1361, la «Chronique du petit Jehan de Saintré» prova che si giocava alle carte in Francia fin da quell'epoca. È del 1400 un manoscritto di Giovanni di Juzzo da Caveluza, la «Storia di Viterbo», in cui si fa menzione del gioco.

Uno dei più antichi mazzi di Tarocchi, oggi chiamato Visconti-Sforza, fu dipinto a Milano in una data incerta tra il 1432, anno nel quale il matrimonio tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti unì le due famiglie, e il 1466, anno delia morte del duca Francesco. Il mazzo, ora disperso tra la Pierpont Morgan Library di New York, l'Accademia Carrara di Bergamo e la famiglia Colleoni di Bergamo, è di splendida fattura e l'editore Franco Maria Ricci ne ha fatto oggetto di una preziosa pubblicazione.

Altri mazzi degni di segnalazione per il loro valore storico più che artistico sono le «minchiate» fiorentine, dove il numero delle «lame» si eleva a novantasette per l'aggiunta dei segni dello Zodiaco, dei quattro Elementi, delle tre Virtù teologali e una Virtù cardinale, dalle quali manca però il Matto. Una variante è pure rappresentata dai tarocchi del Mantegna, o carte di Baldini, che comprendono cinquanta carte istruttive, suddivise in cinque gruppi di dieci carte ciascuno. Il Tarocco di Venezia conta settantotto carte: i ventidue Arcani maggiori e i cinquantasei Arcani minori. Vi compare per la prima volta la figura della Papasse, che nelle successive figurazioni diventerà la Papessa. Il Tarocchino di Bologna presenta una singolare particolarità storica: dopo l'annessione allo stato pontifìcio, avvenuta dopo il 1513, le figure del Papa, dell'Imperatore e della leggendaria Papessa sono sostituite con quelle dei Mori. È detto Tarocchino perché le carte numeriche sono soltanto quaranta, in quanto i 2, 3,4,5 di ogni seme sono stati eliminati. Bolognese anche il Tarocchino inciso da Giuseppe Maria Mitelli nel 1664 per la nobile famiglia Bentivo-glio; il mazzo è composto da sessantadue carte tra le quali sono i ventidue Arcani maggiori. La Papessa è sostituita da un secondo Papa barbuto, probabilmente il Patriarca d'Oriente.

Oltre a questi mazzi, che potremmo definire d'«au-tore» o portatori di varianti locali, dalla fine del XV secolo avevano avuto larga diffusione in Europa i Tarocchi di Marsiglia, così detti dalla città nella quale

erano fabbricati. Simili in tutto ai Tarocchi moderni, quelle carte si differenziano perché le figure degli onori (Re, Regina, Fante e Cavaliere- erano disegnati a figura intera invece di essere sdoppiati in due metà, com'è in uso nei mazzi moderni dei Tarocchi piemontesi.

Il Tarocco moderno si rifa alle incisioni in legno eseguite da Claude Bordel nel 1751. Con quei mazzi, colorati con stampini, entriamo nell'immagineria codificata che, senza altre varianti, è in uso ai nostri giorni. Né la Rivoluzione Francese, che abolì ogni richiamo alla monarchia sostituendo onori e Arcani con simbolismi quali Liberté, Fraternité, Egalité, Fran-ce, ecc.; né Napoleone, che commissionò al fido David, nel 1808, nuove figure, seppero o ebbero il tempo per imporre ai giocatori la loro personale visione del mondo.

Da allora, salvo rare e poco fortunate occasioni, i Tarocchi da gioco assunsero l'aspetto che ci è noto, e nello stesso tempo divennero un nuovo, affascinante campo espressivo per gli artisti. Nascevano i Tarocchi da collezione, a tiratura limitata, diffusi tra pochi collezionisti e appassionati d'arte.

Ben diverso il destino dei Tarocchi usati dai cartomanti per letture divinatorie. Quelle carte raffiguranti i personaggi che detengono il potere spirituale e temporale, le forze fisiche che governano la produzione dei campi, le virtù cardinali, il matrimonio, la morte, la creazione, le alterne vicende della sorte, il saggio e il folle, il tempo che tutto consuma, hanno un fascino che sarebbe assurdo non riconoscere. Antoine Court de Gebelin, nel XVIII secolo, ne fece oggetto di studi protratti per vent'anni, in capo ai quali espose i frutti delle sue ricerche nel volume «Le mond primitif, analysé et compare avec le monde moderne». Secondo Gebelin i Tarocchi sono di origine egizia, e vanno considerati come un libro geroglifico giunto a noi attraverso i secoli; la stessa etimologia lo dimostra: tar = via o strada; ro-ros-rog = re. Strada reale della vita, dunque. Lo stesso Bagatto deriva da pag-gad: pag = maestro; gad = fortuna: il Bagatto è infatti sempre raffigurato nell'atto di assegnare la fortuna mediante la bacchetta magica. Gebelin spese molte pagine per enumerare tutte le

affinità dei Tarocchi con gli ordinamenti politici e religiosi dell'antico Egitto. La sua eredità fu raccolta da molti seguaci, tra i quali un certo Alliette, il quale, anagrammato il proprio modesto nome in quello ben più altisonante di Etteilla, sviluppò al massimo la cartomanzia e cercò di conciliare la sua inventiva con la precisione scientifica. Ebbe un'enorme fortuna. Preso alloggio all'Hotel de Crillon in rue de la Verrerie a Parigi, «Le Célèbre Etteilla», come si faceva chiamare, divenne il sommo sacerdote della nuova religione. Per le sue letture divinatorie Etteilla fece appositamente disegnare degli splendidi Tarocchi, nei quali erano accentuate le rispettive caratteristiche astrologiche.

Se Gebelin ed il suo astuto seguace s'erano mostrati persuasi delle origini egizie dei Tarocchi, ed in tale direzione avevano profuso i loro sforzi, Eliphas Levi tentò invece di dimostrare che essi erano un alfabeto sacro e occulto che gli ebrei attribuirono a Enoch, primogenito di Caino. Eliphas Levi Zahed si chiamava in effetti Alphonse Louis Constant, ed era un abate cattolico. Egli vide nei Tarocchi una sintesi della scienza e la chiave per interpretare la Cabala. Gerard En-causse, noto sotto lo pseudonimo di Papus, era un capo massonico e membro dell'Ordine Cabalistico della Rosa-Croce. Egli riprese le ricerche di Eliphas Levi e ne approfondì i significati occulti. Morì nel 1917 e con lui scomparve l'ultima figura dei grandi padri dell'occultismo e delle scienze esoteriche.

I Tarocchi, studiati, osservati, indagati, ponderati e vivisezionati, continuano imperterriti la loro «strada reale» ormai secolare o, forse, millenaria. Proprio mentre scriviamo queste note, in qualche caffè si sta certamente giocando a mitigati o si sta tirando un colpo al Diavolo per stabilire chi deve pagare l'aperitivo, e in qualche alloggio, modesto o lussuoso, qualche cartomante dilettante sta sicuramente facendo tagliare il mazzo con la mano sinistra della sua (o del suo- postulante per fare la lettura. Ed è'giusto e bello che sia così: se è vero che la fede smuove le montagne figurarsi cosa le può opporre un mucchietto di cartoncini colorati, siano pure esoterici.

Attilio Boccazzi-Varotto, aprile 1982

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