STRADELLA: TRA SOGNO E
NATURALITÀ
La meraviglia è forse la
condizione che consente a Stradella di far apparire senza resistenze
ventiquattro variazioni disegnative su di una base litografica,
tutte ispirate a “Il dolore” di Ungaretti. Ed è anche, ovviamente,
la reazione estatica di ogni riguardante dinanzi ad una così
stupefacente progressione di immagini, concatenate indissolubilmente
e tuttavia ciascuna formalmente autonoma per proprio conto.
Per la verità la base
litografica appare quasi “cancellata”, svolge cioè il solo ruolo di
supporto iniziale, come un semplice materiale e in quanto tale
emette un suono lieve e costante, una sorta di basso continuo in una
musica che conosce invece toni ampi e distesi, cupi e avvolgenti,
forti e squillanti.
La connotazione fortemente
letteraria del lavoro di Stradella costituisce la ragione
esplicativa da un lato di siffatti termini di lettura e, dall’altro,
della ripetizione ossessiva di variazioni formali che configurano in
realtà le pagine di un “joumal”, di un personale diario visivo delle
emozioni.
E evidente dunque come
l’artista lavori in una condizione di abbandono che risulta
indispensabile all’affioramento di immagini che provengono da
recessi a volte bui e a volte luminosi, che hanno una chiarissima
dimensione onirica - come aveva già notato dieci anni orsono
Giuseppe Marchiori - cariche perciò di storia e soprattutto di
memoria, in una simultanea combinazione di molte provenienze.
Le vesti di tali immagini
sembrano a prima vista quelle del naturalismo lirico ma, a ben
vedere, esse vivono, anche senza tali riferimenti, di vita propria
perché la loro vera identità e probabilità esistenziale dipendono in
realtà dalle sole oscillazioni emotive dell’artista che determina
così la loro apparizione.
Per tale via i supporti che
Stradella utilizza, assolutamente privi di vita prima
dell’operazione, diventano alla fine superfici che contano, che
trattengono in forma definitiva e significante i segni e le tracce
che l’artista vi produce e le stesse forme sembrano espandersi verso
molteplici direzioni alla ricerca di una connotazione diversa e
prima di allora insospettabile ed imprevedibile. Come ha scritto
lucidamente Franco Martelli, infatti, “le strutture del contingente
vanno dissolvendosi in apparenti rarefazioni, per riaffermarsi in
immagini certe di realtà interiore”, quella per l’appunto che
l’artista immette al loro interno nel corso del processo di
disvelamento delle forme e delle figure.
Il fascino dell’opera di
Luigi Stradella sta proprio in questo divenire della forma, in
questo dialogo anzi tra forma e informe, nella dilatazione e nella
trasfigurazione “in progress” dei segni e dei colori, verso approdi
finali che forse lo stesso artista ignora e comunque non prevede ma
intuisce soltanto con la forza della sua capacità immaginativa.
Questo processo si manifesta naturalmente nel segno della seduzione
e dell’ambiguità e risulta perciò abbastanza inutile e perfino
fuorviante tentare di riconoscere all’intemo di un evento siffatto i
primitivi e seppure dichiarati segnali di riferimento ispirativo.
La verità è che nei lavori
di Stradella non c’è traccia di una scrittura che pretende il
diritto alla descrizione né una forma o una figura che detengano la
centralità delle immagini.
I piccoli scarti e le lievi
variazioni di questa sequenza di fogli configurano semmai, nel loro
assieme, una sola grande immagine, un unico vasto racconto, un solo
itinerario espressivo da leggere unitariamente per cogliere il
significato dei frammenti, delle tessere di cui è composto e
decifrare il cupo, profondo e solenne canto che essi compongono. Un
canto colmo di dolore ma non disperato, seppure a volte contiene gli
accenti del grido, ma piuttosto un rombo potente e maestoso, epico,
che fa capire anche come l’artista si ponga in questo caso all’intemo
dell’immagine con la quale prende possesso della realtà minacciosa
che lo circonda. Ma è proprio qui, nel conflitto voglio dire con la
sorda orizzontalità del quotidiano che l’opera di Stradella assume
il suo valore più autentico, eccentrico rispetto alla norma del
consumo, in una persistenza duratura che costringe alla riflessione,
ad una sosta lunga di stupefazione e dunque alla contemplazione. È
evidente allora che per Stradella l’immaginazione non è una
condizione astratta ma il luogo di apparizione delle sue pulsioni
più profonde. E si capisce anche perché le sue opere si manifestino
senza sforzo, naturalmente, perché possiedono la straordinaria forza
della inevitabilità, che, a ben vedere, è la forza dell’arte e
della poesia.
Venezia 22.3.86
Enzo Di Martino
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