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GIORGIO  TIBONI  RECENSIONI

 

Alcuni scritti:

F.Carnevali     1969

F.Carnevali     1972

L. Servolini     1971

L. Servolini     1975

G. Cherenti     1962

E.Piergiovanni 1976

G. Mossa         1962

G. Di Ludovico 1976

S. Gentilini       1976

G. Falossi        2000

Note brevi

 

 

 

 

 

Un momento della mostra del 1969
Bottega Giovanni Santi - Casa Natale di Raffaello - Urbino

 

SULL'OPERA DI GIORGIO TIBONI HANNO SCRITTO:

Luigi Servolini, Francesco Carnevali, Emanuele De Giorgio, Antonio Ciardi Duprè, Giacomo Baltino, Gabriele Cherenti, Giorgio Mossa, Anna Caterina Toni, Ennio Martinelli, Stefano Robertazzi, Marco Zonghetti, Maria Maddalena Scuriatti, Enzo Piergiovanni, Francesco Colocci, Giancarlo Di Ludovico, Paolo Nonni, Piergiorgio Severini, Mario Narducci, Rosanna Salatino, Sergio Gentilini, Maurizio Cesarini, Pier Francesco Greci, Renzo Biasion, Enrique R.  Fioretti Idigoros, Giancarlo Gloriano Sibaldi, E.  Moro, Maria Carbone. 

Nel gennaio 2000, Giorgio Falossi, critico della Redazione  “Il Quadrato“ - Milano, ha espresso un ampio e dettagliato commento sulla pittura e sull'incisione dell'artista. 
 

 

FRANCESCO  CARNEVALI
Luglio 1969

 Giorgio Tiboni (Agosto 1937).  Per lui, che non ha avuto finora la possibilità di fermarsi in un luogo e che dopo un anno di Sardegna, ha teso nostalgicamente ad un ritorno nella regione natale ed è stato costretto a soggiorni in località varie del Pesarese o di province confinanti, la coerenza dell'operare è stata più dispersiva.  Rapide annotazioni all'acquerello colte qua e là fra rive marine e campagna collinosa, sono il risultato di questo suo attaccamento ad un lavoro personale che bilanciasse quello scolastico.  Motivi semplici - spesso una casa o più case - fra gli alberi, scorci di campi o di greppate.  E non dirò che tale esercizio sia stato inutile; per quanto labili, questi acquerelli hanno qualche felice accostamento di tono e rattengono luci; e quando fra verdi acerbi e rossi aranciati si insinuano grigi o grigi azzurrini o qualche arioso turchino, che valgono a meglio equilibrare l'immagine, oppure quando le toppe di colore si fondono in un colore dominante (come ad esempio in «Estate»), il risultato è da ritenersi apprezzabile.  E davvero non v’è pretensione in questo esercizio, ma spontaneo candore; e infatti direi che una parte di candore sia nella natura di Giorgio Tiboni.  Conosciamo per altro un Giorgio Tiboni più e meglio agguerrito: quello che taglia il legno (legno «di testa» per lui) con varii bulini, il cui modo di incidere è talmente preciso e prezioso, talmente nitido e acuto da trasformare l'immagine in un aspetto che trascende il reale, e sembra caricarsi di significati simbolici.  La ricerca di volumi, resa con l'ausilio del «pettine», è tornita, direi, con esasperazione; alternando variazioni di grigi a bianchi e neri assoluti, riesce a dare punti, in fatto di tecnica, agli abilissimi xilografi riproduttori del secolo scorso.  Egli disegna con ferma mano anche la figura umana.  Osservate la «Carpa Al Sole» o quei rigidi «Fiori» che sembrano di sostanza smaltata, osservate la «Natura Morta» con il lume d'ottone, lo schienale di seggiola e il panno, ma osservate soprattutto due stampe, quella che egli intitola «Le Bugie», dove veramente le bugie di ferro battuto smerlettate e infiocchettate nella loro agghindata durezza sembrano alludere al giuoco sinistro della menzogna, ed osservate il vecchio tronco del gelso che si muta in simbolo d'una solitaria desolata vecchiezza, e ditemi se le qualità di incisore che il giovane possiede non siano attraenti. 

Probabilmente riprenderà il suo «mestiere» ora che la sorte lo ha ricondotto alla terra natale; a volte tenta di conciliare i termini delle due esperienze che potrebbero dirsi contrarie: colorire le forme che con così attenta definizione egli scandisce.  Ne presenta alcuni saggi: nei due nudi femminili v’è pur nascosta qualche gracile sensività, i due fogli con i girasoli, possono assumere un piacevole valore decorativo.  Vedremo come e dove negli anni venturi Giorgio Tiboni vorrà dirigersi. 

Luglio 1969

Francesco Carnevali

 

 

FRANCESCO  CARNEVALI

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Luglio 1972

 

Qualche anno addietro mi avvenne di presentare agli amici conterranei Giorgio Tiboni - urbinate - in qualità di xilografo e acquarellista, allorché espose opere insieme ad un cugino dello stesso cognome, anch'esso xilografo, residente nella regione Sarda. Ora, al nuovo incontro, le caratteristiche ch'io ebbi a rilevare allora nelle incisioni sue sembrano essersi arricchite di elementi nuovi o avviate a significati ch'egli vuol definire più chiaramente - ma in verità non saprei dire se siano sempre da preferire - e nel dipingere all'acquerello è da notare invece, un approfondimento che veramente gli giova. Mi proverò ad esprimere meglio il mio pensiero:

Giorgio Tiboni possiede indiscutibili qualità di incisore. Egli intaglia e scava il legno di testa con bulini di varia misura e forma fra cui quelli «a pettine», usati con la sapienza riscontrabile negli straordinari xilografi del secolo scorso - illustratori di libri perfetti riproduttori di disegni altrui - durante tutto il periodo «romantico» e in quello immediatamente successivo fino all'avvento della riproduzione zincografica -e li adopera con tale maestria da affiancarsi ad essi; e nelle cose migliori di qualche anno addietro - (forse si ricorderanno certi suoi pesci, o un pagliaio, o tronchi d'albero, o fiori, e più d'una figura) - oltre ad ammirare la castigata e studiosa ricerca formale che approdava ad unità di stile, un qualcosa di più: l'amoroso penetrare nella forma presa a ritrarre, si che essa riusciva a vibrare in una specie dì incantamento metafisico, e poteva suggerire un contenuto simbolico ch'egli tentava di affidare ad un titolo. Ora direi che il contenuto simbolico o letterario sembrino prendere il sopravvento sulla strenua indagine della forma di natura. Che cosa sia accaduto in lui non è facile definire, il colloquio con lui dovrebbe essere più disteso; senza dubbio un arricchimento culturale, la vista di altre opere incise, il contatto con ambienti diversi dal suo natale (la Sardegna, Genova) ma soprattutto direi, voci preferenziali riferibili al nostro tempo. Egli dalle molte convulse e contrastanti che corrono, una sembra avere raccolto, quella che gli era più congeniale: la raffinata voce che con punte di surrealismo si riaggancia al liberty del principio del nostro secolo; voce di un periodo acquisita ormai come perfetto specchio di un gusto, ed accolto dalla cultura contemporanea, sì da lasciarsi senza prevenzioni esplorare e valutare.
In due delle nuove incisioni Giorgio Tiboni sembra totalmente soggiogato dalla idea «letteraria», vuole esprimere il simbolo - e occorre dire che lo fa con lo scoperto candore che gli è proprio - valendosi di costruzioni spaziali di bianchi e neri intagliate in forme geometriche o rabescate con il ricordo stretto delle snodature e dei viluppi floreali a cui sopra mi sono richiamato. Sono le composizioni ch'egli intitola «Disperazione» e «Momenti della Vita». Assai più profondamente ricercate e umanamente sentite sono invece il «Personaggio d'altro tempo» e «Lo spaventapasseri».
In queste, la pazientissima indagine del segno scavato, pur conservando la penosa umanità nel personaggio d'una tipica figura paesana, e rendendo in ogni particolare gli stracci di cui si compone il fantoccio fra le spighe del grano, trasfigura le immagini in alcunché di prezioso, quasi reliquia di un folklore scomparso, come apparizione fiabesca germinata da una rarefatta natura. Basta osservare le rughe del volto la barba la giacca strappata al gomito le scarpe le mani del vecchio uomo, la maschera e gli stracci del pupazzo le spighe del grano, per dire come essi divengano simbolo proprio con il legame stretto che le rapporta a forme della vita. Forme della vita che riscontri anche nell'alato morto de «La morte e la vita» che pure nell'insieme rimane un poco «fermo» - e ritrovi - vedi caso! - anche nella illustrazione per il «Canto Dantesco», i dolorosi volti e corpi - umani ed arborei de la selva dei suicidi - in una equilibrata distribuzione di grigi, di bianchi e di sagome nere - (tale che chi scrive questa nota è tratto a guardare con compiacimento come a frutto risorgente da una ormai ben distaccata educazione dell'incisore). Nella «Crocifissione» poi, sono gli stessi tagli e lo scandito e vigoroso contrapporsi de i bianco-neri, a far scattare l'immagine. La croce a cui il Cristo è appeso sembra mutata in un enorme tristo ramo spinoso.
In quanto agli acquerelli - altra volta giudicati diametralmente lontani dalla prestigiosa tecnica delle incisioni per alcunché di frettoloso e dilettantesco della loro fattura, è da dire che si sono radicalmente mutati. I semplici motivi sono gli stessi: pendii più o meno alberati, case che spuntano fra gli alberi, digradare di collinette; gli stessi i colori e presso che uguale il loro disporsi e contrapporsi, celesti o azzurrini, verdi ora freddi ora caldi fino a quello cupo di cipressi in luce di tramonto, tetti e muri fra il roseo e l'arancione, bruni di terreni, violacei di ombre. Sicché ad uno sguardo sommario si potrebbe credere al ripetersi di una situazione, una specie cioè di raccolta di appunti a scopo di rapido studio; ma osservando i fogli ben da vicino, ora scopri come la stesura del colore sia quanto mai rigorosa e limpida, macchia ben definita sia quando pura respira, sia nelle sovrapposizioni. E ti viene fatto di non considerarla più contrastante con la produzione incisoria, ma ad essa intimamente collegata. Diversi i mezzi, ma l'attenta cura del loro disegno ad incastri sottili e levigati la senti nata da una stessa mano. Uno di questi acquerelli - contesto di purissimi celesti e di verdi, che si intitola «Colline del Montefeltro» appare delicata sintesi di luce e profumi campestri.

Maggio 1972.

Francesco Carnevali

 

 

LUIGI SERVOLINI

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Roma, Aprile 1971

 

Col suo mirare costante ad un linguaggio personale, anche se ancora in fase di esperienze e di ricerche che già lo approssimano a felici conclusioni, l'urbinate GIORGIO TIBONI ci interessa.

Infatti, non si è lasciato “toccare” dalla scuola: le sue manifestazioni creative si svolgono in un clima d'indipendenza e depongono bene per questo giovane pittore e incisore, che ha posto ortodossamente alla base dell'opera sua un lungo tirocinio disegnativo. 

Portato per gusto all'illustrazione, il Tiboni esprime nelle creazioni figurative (per cui impiega tre tecniche diverse: l'olio, l'acquerello e la xilografia) coerenza già di visione e di stile «Nei dipinti ad olio fa sentire, inequivocabile, la preparazione e la formazione incisoria per certo particolarismo interpretativo che è avvalorato da pennellate fitte e secche, mentre negli acquerelli il colore viene messo al servizio della trama disegnativa, oppure, come in taluni paesaggi, si avvale di stesure larghe e fluide. Più impegnato ci sembra, il Tiboni, nelle xilografie, sia per una più attenta costruzione, sia per la resa chiaroscurale favorita dall'impiego del bulino a pettine sul legno di testa «Senza mai cadere - come è stato -, in un certo momento, per la sua scuola - in raffinatezze formali eccessive tanto da portare a risultati calligrafici, dagli ignoranti salutati come miracoli e meraviglie di perizia, Giorgio Tiboni perviene ad effetti pittorici vigorosi: per lui la xilografia essendo espressione pittorica, anche se la natura della materia ed i tipici giuochi di masse bianche e nere di largo intaglio siano più nel clima dell'espressione scultorea. Ma tanta è la fede, così forte è la passione di questo ancor giovane creatore d'immagini, che la qualità dell'opera riscatta sempre ogni infedeltà al mezzo. Pittoricamente a posto i piani, profonda la scena, luminosa la visione: merito di chiarezza di visuale e di dominio della tecnica.

Composizioni floreali, angoli rustici, tipiche figure di popolani e qualche succosa interpretazione di pesci e di animaci sono nel corredo delle preziose carte di quest'artista. Il quale merita ogni attenzione per la direttiva del -gusto, per l'onestà del linguaggio, per le reali non comuni capacità: quanto vale a preannunciare un'immancabile forte affermazione.

Roma, Aprile 1971

Luigi Servolini
 

 

LUIGI SERVOLINI

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Roma, Giugno 1975

 

E' la terza Tolta che ho l'onore e il piacere di presentare criticamente una “personale” dell’artista urbinate GIORGIO TIBONI. Cosicché ho l'occasione d'illustrare adesso l'ultima sua produzione disegnativa e incisoria, che, piuttosto che sotto l'improprio e generico vocabolo di Grafica (tanto sbagliato ed abusato oggi, in quanto si confonde l'operosa attività di professionisti incisori e disegnatori con quella casuale periferica di architetti-scultori-pittori che il più delle volte soltanto se ne dilettano. Grafica, quest'ultima, come è notorio, che ha troppi cultori e ben pochi degni, va considerata sul piano della pura Arte. Produzione recentissima del Tiboni dicevo la quale mi sembra sempre più governata da ispirazioni simboliche e da umane significazioni.
Nei disegni sott'occhio vedo una correttezza ed una finezza lineare, che denotano la “buona scuola” dell'Istituto da cui il Tiboni uscì diplomato. Più che opere compositive d'impegno e di responsabilità sono invero “studi” episodici figurativi, giustificanti nel loro sensibile esecutore un gusto sicuro e raffinato ed un'abilità di mano «che lo possono ben rendere orgoglioso del risultati raggiunti. C*è una scioltezza di segno, che non si riscontra oggi che di rado; e molti pezzi preparatori per l'incisione calcografica, xilografica e litografica sono già significativamente impostati.
Nelle più rare litografie, scomparsa oggi la suggestione della “saporosa grazia” delle ormai abbandonate “pietre di Solenhofen” in favore delle afone lastre di zinco granito o no, il Tiboni si limita al fatto disegnativo, dritto e sicuro, a cui è offerto così, generosamente, un mezzo di traduzione (vedasi ad esempio “Il disoccupato*).
Nelle xilografie, che costituiscono la più amata e pingue produzione di Giorgio Tiboni, alcune sono creazioni figurative a sé, altre illustrazioni di testi di prosa e di poesia. Oltre alla felice varietà dei temi (figure di popolani, scene sacre, nature morte, composizioni allegoriche, motivi con piante-insetti-uccelli) vanno riconosciute ed elogiate, con la mirabile coerenza di stile e con la pienezza d'espressione raggiunta in ogni opera, la eleganza formale, la delicata linearità dell'Intaglio in nero su bianco con l'accorto impiego tecnico del bulino rigato (vélo). Tutte composizioni scontornate, rese con un fine gusto prevalentemente illustrativo, nè troppo pittorico né troppo plastico: stupende pagine di libri insomma. Personalmente, trattandosi di xilografie, io debbo preferire quelle con equilibrata corrispondenza di masse bianche e nere, come ad esempio la dantesca “Selva dei suicidi”, l'allegorica “Insoddisfazione”, il “Personaggio d'altri tempi”, la tragica scena della “Crocefissione”. Presa in blocco, comunque, l’intera opera xilografica del Tiboni certifica un impegno artistico-tecnico di sicura responsabilità e, tenuta sul piano di un sensibile decorativismo, una felicissima riuscita inventiva.
Rassegna di opere originali, questa di Giorgio Tiboni, che costituisce sempre, concludendo, un raro avvenimento d'arte per un invito convincente alla più meditata e impegnativa creatività, per un richiamo di dedizione -totale alla fede e alla coscienza; e che giustifica - presso la esposizioni ufficiali, il pubblico degli amatori, la competente critica - i molti continui riconoscimenti all’opera di questo ancor giovane artista.

Roma, giugno 1975
 

Luigi Servolini

 

 

«Il Tempo» - 16 giugno 1962

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di Gabriele Cherenti, giornalista

 

 Artista di pronto acchito, sorretto da un magistero tecnico incontestabile, Giorgio Tìboni esprime soprattutto nelle incisioni i momenti più intimamente sofferti, felicemente resi perché sboccano puntualmente in un racconto vivo, estroso, caldo di vita.  Nell’insieme la mostra rispecchia uno spirito sorprendentemente ricco, sicuro, deciso: ferma dimostrazione di una preparazione salda ed autentica. 

Nel quadro raffigurante Il tramonto della vita  ecco, dai rami contorti e cadenti di un tronco rotto e prigioniero, inutilmente sollecitato dalla natura in risveglio, prorompe un ultimo anelito.  E' la fine di una lunga lotta, e Giorgio Tiboni, nella deformazione subita decisamente, crudamente da quell'albero, trova nuovi intenti espressivi, sempre umani, anche se talvolta sembrano grondare dolore e pianto.  Tutto prova, insomma, che questo artista, ancor giovane d'età, dotato di talento, s'è inserito con meritata fortuna, sulla via dell'ascesa. 

Gabriele Cherenti

 

 

PERSONALE DELL-'INCISORE GIORGIO TIBONI

BOTTEGA “Giovanni  Santi “ - URBINO.

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di Enzo Piergiovanni, filosofo

 

A nostro avviso l'opera di Giorgio Tiboni si caratterizza, sin dall'inizio, per la grande chiarezza e sobrietà della composizione e per la costante fedeltà - direi quasi aderenza - ad alcuni temi che costituiscono un po' la sua più vera vocazione artistica: da una parte c'è il richiamo verso il mondo della natura sia che si tratti di temi e motivi ricavati dalla vita rurale (si veda l'arco che va dalla xilografia «Il raccolto» del 1960 alla «Pannocchia» (1971) a «Composizione con carciofi» del 1973) sia che le composizioni fissino con tratti incisivi, momenti dell'esistenza di insetti e di animali (ad es.  «La cavalletta» (1960), «La vita e la morte» (1971), «Meraviglie della natura» (1973) ecc.  ). 

A parte si collocano alcune nature morte che gravitano generalmente intorno alla sfera delle realtà domestiche (si confronti «La carpa» (1960) e «Natura morta» (1966)). 

In tutte le composizioni domina il richiamo realistico agli oggetti della vita quotidiana, alcuni vissuti con maggiore spontaneità e simpatia, altri sentiti con maggior distacco.  Questa simpatia si manifesta in genere attraverso una grande aderenza, anche stilistica, ai temi prescelti, nella nitidezza della linea, nel più riuscito rapporto fra zone di luce e zone d'ombra, nel superiore equilibrio della composizione. 

Altrove l'oggetto viene sentito con maggiore distacco e si carica di significati simbolici divenendo allusivo di situazioni della realtà presente.  Questo avviene ad esempio in alcune xilografie come «La vita e la morte» (1971) che è molto decorativa, in «L'uomo del nostro tempo» (1972) dove lo spaventapasseri lacero e deforme, quasi grottesco, allude alla condizione spirituale dell'uomo di oggi, in «Le amare sorprese della vita» (1973) dove l'animale che ritorna con il cibo al proprio nido lo trova desolatamente vuoto. 

Un discorso a sé meritano anche i numerosi e riusciti ritratti dove la composizione è dominata dalla figura umana colta, di solito, in un momento del travaglio dell'esistenza.  Si tratta di xilografie o di disegni a matita il cui valore è nell'afflato interioristico per cui l'immagine assume di volta in volta i toni della tristezza sconsolata (si veda «Insoddisfazione» del 1960) o quelli del dramma (ad es.  ne «Il disoccupato» (1969) e nello «Zingaro» (1970)) o quelli infine del sogno (ne «Il sogno del pescatore» (1973) o dell'intensità della partecipazione (in «Preghiera» (1971)).  Altre composizioni ci presentano figure emblematiche colte in un momento del proprio lavoro (ad es.  «La ragazza di Desulo» del 1973) oppure personaggi caratteristici di epoche passate fissati con grande incisività (si veda «Personaggio di altri tempi» del 1971).  In tutti questi lavori è una notevole bravura e abilità nel trattare la forma e la linea per ricavarne gli effetti desiderati come attesta anche la recente china già citata «Il sogno del pescatore». 

C'è da notare comunque che, specie in questi ultimi anni, l'arte di Giorgio Tiboni è andata assumendo più drammatiche risonanze come testimoniano le xilografie che vanno dal 1969 ad oggi, quasi a significare - e di ciò fanno fede gli stessi temi prescelti - la crisi e lo smarrimento della coscienza comune in questo ultimo periodo della nostra storia. 

Pesaro, giugno 1976

Enzo Piergiovanni

 

 

«La nuova Sardegna» - 5 luglio 1962

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di Giorgio Mossa
 

Le xilografie di questo artista, rispecchiano il suo temperamento giovanile, privo di problemi complessi, cariche di vita, di luci e ombre, di chiari e scuri, di tecnica. Ma vi è anche una calda e morbida interpretazione della vita oggettiva che si legge nelle opere di Giorgio Tiboni, pur attraverso il disegno perfetto ed una tecnica raffinata, inarrivabile.

Le xilografie del Tiboni ci fanno pensare alle belle favole, interpretate e fissate nella xilografia con morbidezza di toni, ove la tecnica del disegno e la scherma del chiaroscuro, delle luci e delle ombre, dei toni e dei mezzi toni, in uno con la prospettiva rigorosamente rispettata, è colma di pensieri sereni.

Guardando attentamente, certe incisioni del Tiboni ci parlano della poesia e della vita e ci rammentano interpretazioni poetiche cariche di pathos e di lirismo, velate di dolce e pessimistica malinconia. E ci viene alle labbra il nome del Pascoli, grande interprete della natura viva: il mondo favoloso e poetico di Giorgio Tiboni è quindi un mondo fuori delle interpretazioni cerebrali; egli vive la sua vita, in una delle più famose e ridenti città dell'arte. . . .

Giorgio Mossa
 

 

COMPIACIMENTO PER L’OPERA DELL'ARTISTA URBINATE

GRANDE SUCCESSO DELL'INCISORE GIORGIO TIBONI

ALLA GALLERIA BOTTEGA “ G. SANTI “ CASA NATALE DI RAFFAELLO

Urbino, 7  Agosto  1976

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di Giancarlo Di Ludovico
 

Sta ottenendo un grosso, meritato successo, la personale che l'urbinate GIORGIO TIBONI ha allestito nella Bottega di Giovanni Santi, presso la Casa Natale di Raffaello, ad Urbino. Accanto alle manifestazioni di simpatia del folto pubblico che ogni giorno frequenta la mostra, dei numerosi amici e colleghi del giovane artista che gli testimoniano la loro ammirazione, anche i ”maestri” della scuola urbinate, Carnevali e Castellani, hanno avuto parole di compiacimento per l'opera di TIBONI che, attraverso la sapiente coerenza stilistica, l'eleganza formale, l'abilità tecnica, il gusto raffinato, la delicatezza e la linearità del tocco, ha raggiunto punte di estrema pienezza di espressione. Oltre alle numerose opere xilografiche che testimoniano un sicuro impegno artistico-tecnico e che rappresentano il grosso dei lavori esposti, ci sono anche disegni, acquarelli, litografie, che rivelano nell'artista la perfetta padronanza dei mezzi espressivi.

TIBONI non è un artista frettoloso, non lavora di getto, (del resto l'arte xilografica non lo consentirebbe neppure), la sua opera è frutto di una meditazione assidua, di uno studio attento, di una ricerca meticolosa, di un lavoro paziente, di un lungo travaglio interiore di cui la nitidezza e la scioltezza delle linee e dei tagli, il felice rapporto tra zone di luce e di ombra, sono allo stesso tempo rivelatori della lucidità della ispirazione e della profonda maturità raggiunta dall' artista.

Urbino, 7 Agosto 1976

Giancarlo Di Ludovico
 

 

UNA POESIA RICCA UMANA SEMPLICE AVVINCENTE

CARATTERIZZA LE XILOGRAFIE DI GIORGIO TIBONI

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di Sergio  Gentilini
 

Ho avuto modo di visitare a Urbino, ospitata nella Bottega “Santi” Casa natale di Raffaello, la mostra di Xilografie di GIORGIO TIBONI: una personale interessante e copiosa per il materiale esposto.  L'autore infatti presenta disegni, acquerelli e xilografie di varia dimensione sapientemente dosate in un alternarsi di colori e di chiaro-scuri, nella splendida cornice delle stanze della Casa di Raffaello Sanzio.  Presentato in catalogo da Luigi Servolini, Enzo Piergiovanni e da Francesco Carnevali, la mostra dell'artista urbinate era quasi di fronte all'altra esposizione, sempre in salita Raffaello, dei disegni del maestro Carnevali: una felice vicinanza.  Ricche di umane significazioni e accenti poeticamente drammatici, mi son sorpreso più volte sostare quasi rapito dinanzi alla bravura tecnica ma anche all'ispirazione di varie opere del TIBONI: la xilografia, oggi poco praticata, mi confermava l'autore “è opera di pazienza, meditazione, lavoro lungo costante e difficile”, una vera e propria meditazione insomma che il lettore deve tener presente sostando dinanzi all'opera sia questa un insetto, un fiore o una figura.  Sapiente,  è il caso di affermarlo, è la traduzione xilografica delle significative intenzioni meditative del TIBONI: una poesia ricca umana, semplice e avvincente, un sapiente gioco di chiaroscuri dove la natura nelle sue viscere e nel suo aspetto viene resa con efficacia: lo stesso dicasi della dolente maestà di certi volti, di vari personaggi dove la dimensione più piccola, a volte, impreziosisce il tutto.  Realtà domestiche in riscoperta del nostro mondo e della nostra interiorità.  In quanto agli acquarelli denotano il gusto del colore dosato, saporoso caldo e silente delle colline urbinati e del paesaggio familiare all'autore.

 

Pordenone, 6 settembre 1976

Sergio Gentilini

 

    

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COMMENTO CRITICO CURATO  DALLA REDAZIONE DE’

“IL QUADRATO” – MILANO - FENESPART

SULLA PITTURA E L'INCISIONE DI GIORGIO TIBONI

CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA XILOGRAFIA

DI MISURA cm. 24x35  ESEGUITA NEL 1972 DAL TITOLO:

“LA SELVA DEI SUICIDI”

CON PARTI RIPRESE DALL’ENCICLOPEDIA DEI PITTORI

E SCULTORI DEL NOVECENTO EDIZIONE:

IL QUADRATO - MILANO. 1998

 

TIBONI GIORGIO. Pittore nato ad Urbino, ove vive e lavora» Xilografo di grande tradizione e di grande valore, Giorgio Tiboni affronta non soltanto temi naturalistici, ma anche i grandi avvenimenti storici e culturali.
Li accompagna una freschezza di invenzione nel segno rinnovantesi ed un controllo costante della impostazione generale, tanto che l'insieme porta la vivacità e il vigore delle mirabili realizzazioni, indipendentemente dalla tecnica. Così nell'opera di Giorgio Tiboni dal titolo: ”La selva dei suicidi”. E' la classica interpretazione dell'incontro di Dante e Virgilio nell'Inferno. Sono i violenti contro se stessi, trasformati in alberi, pascolo delle Arpie e, tra di essi, si intravede Pietro della Vigna. L’impostazione dell'insieme è verticale. I due poeti alti e con le teste chine.

Due grossi tronchi in primo piano spingono rami verso l'alto in un alternarsi di bianchi e neri. Grandi cavità e robuste radici attaccate alla terra danno un senso di tensione e di ansia.

Tiboni Giorgio scandaglia minuziosamente le sue scene nei vari anfratti. Nella sua ricerca l'artista trae l'origine del suo tormento fino ad istaurarvi un vero rapporto di collaborazione con la propria essenza umana. Ciò gli permette di rapportare le sensazioni visive e l'espressione di una idea o di un fatto storico-culturale in termini forti, in bianco e nero e di permeare le sue opere di pregnante sostanza psicologica; il piacere dell'incisione e la possibilità di poter mettere in risalto senza possibilità di scelta i vari contrasti della vita: la luce e le tenebre, il giorno e la notte.

La sua tecnica gli permette di andare oltre i soliti limiti, per investire il più vasto campo della introspezione psicologica, frugare nei segreti di una spiritualità con la saggezza e la speranza del grande artista.
Giorgio Tiboni pittore, grafico, disegnatore, ceramista si è diplomato all'Istituto d'Arte di Urbino.
Oltre che ad olio, le sue tecniche preferite: l’acquerello e l'incisione.

Fra le principali mostre ricordiamo quella tenuta alla Bottega Santi di Urbino, alla Galleria Pogolino di Trento, alla Galleria Amaltea di Genova.

Fra i vari critici che hanno scritto sull'attività artistica di Giorgio Tiboni, ricordiamo Luigi Servolini: il grande incisore che su Giorgio Tiboni così si esprime: ”Nelle xilografie che costituiscono la più amata e pingue produzione di Giorgio Tiboni, alcune sono creazioni figurative a sé, altre illustrazioni di testi di prosa e di poesia.

Oltre alla varietà dei temi, vanno riconosciute ed elogiate la eleganza formale, la delicata linearità dell'intaglio in nero su bianco, con l’accorto impiego-tecnico del bulino rigato.

Milano, 15-1-2000

Dott. Giorgio Falossi

Redazione Il Quadrato - Milano

 

 

NOTE  BREVI

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L’area neorealistica è il campo d’azione del disegno di Giorgio Tiboni, così umanamente sconsolato nella rappresentazione dell’uomo seduto, che, con la sua aria rassegnata, sembra sostenere il peso delle colpe dei nostri tempi.

 

Macerata, 1969

Anna Caterina Toni

 

[Opera:  “Il Disoccupato “ litografia cm  23 x 32 - 1969]

 

 

 

 

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Xilografico è Tiboni Giorgio Il soggetto riprodotto, con titolo “IL TRAMONTO DELLA VITA“, è presentato nella speranza di poter realizzare un rapporto con la realtà.  Tale rapporto, strettamente legato all'ansia, vuol dimostra re la pura ideale bellezza di un oggetto, concretizzatosi nella particolare atmosfera di problemi luministici, risolti con il sentimento.

 

Macerata, 1970

Maria Maddalena Scuriatti

 

Opera: “Il tramonto della vita” xilografia - cm  24 x 30 (1960)

 

 

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Tiboni Giorgio - Incisore -  L’atteggiamento del vaso e del girasole è estremamente elegante ed il taglio netto in bianco e nero degli elementi pone in evidenza tale qualità conferendo poeticità ed ampio respiro a tutta la composizione.  E’ un buon esempio di come la xilografia sia in grado, con mezzi sobri, di dare il massimo della espressività.

Taranto, 1973

Emanuele De Giorgio

 

Opera:  “ Il Girasole” xilografia - cm 24 x 30  - 1959

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