150° Anniversario dell'Unità d'italia URBINO 1860 di raffaele molinelli |
L'ESULTANZA DI URBINO PER LA LIBERAZIONE DI ANCONA
nella narrazione del patriota Vincenzo Romani
Dal
Diario
inedito, pp.
70-73. —
Il Diario e altri scritti
inediti di V. R. sono in possesso dell'avv. Augusto
Bellucci, Urbino,
che gentilmente li ha messi a nostra disposizione.
URBINO NEI GIORNI 29-30 SETTEMBRE 1860 FESTE E CONSIDERAZIONI
L'annuncio che Ancona capitolava a discrezione delle Regie Truppe; che Lamoriciere con l'ultimo avanzo della straniera sbirraglia cadeva in mano dei vincitori seguitando il destino dei Bella, e degli Schmid; e che tutto ciò accadeva senza che la povera città sofrisse i danni ion calcolabili di un assedio e d'un assalto ostinato, ricolmava oggi di gioia la nostra Città.
Non appena giunse la fausta notizia, che fu sulle quattro e mezzo pomeridiane, le strade si guernirono di popolo e si vedeva in tutti i volti, meno su quelli contriti, la gioia che provavano i cuori per la tanto desiderata libertà, a cui giungevano i fratelli nostri di Ancona da gran tempo perseguitati, vessati, tiranneggiati da un'accozzaglia di gente senza fede, senza Dio, senza disciplina; gente fanatica, disperata, briaca che (come disse Cialdini) sete d'oro, e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi. I poveri Anconetani erano schiavi di questa canaglia, e posti alla discrezione feroce di quel Proteo che disonorò la sua spada, il suo nome, il suo grado, e fece con l'infamia presente dimenticare le gloriose campagne dell'Africa.
Il giubilo destandosi nella popolazione fu cosa da non potersi descrivere. Scoppiò l'universale entusiasmo come l'elettrico, ed uno fu il grido della moltitudine viva l'italia -
viva vittorio emanuele suo re - vivano i prodi generali fanti e cialdini. Tosto le case e i Palazzi si ornarono dei tre colori onde si abbella l'Italiana bandiera, e le vie erano percorse da schiere giulive recanti i nazionali Vessilli. La gran campana del Municipio rintoccava a segno di gio-ja, e ad essa rispondevano le armonie del patrio concerto, mentre dal Forte esciva una salva di cento e un colpo. L'illuminazione fu spontanea e generale, tutta la Città messa a festa.
Tanto movimento ebbe luogo senza che neppure un inconveniente sia venuto a disturbare il solenne spettacolo di un popolo, che risorge a libertà dando esempi di moderazione e di senno civile a quei vili, che per tanto tempo ci soppressero con le catene della schiavitù, con la legge del dispotismo, con i modi, e con le parole dei barbari. Quelli, che son di cuore tedeschi, e gesuiti ad un tempo, dovettero pure a questa grande, e sincera manifestazione compiangere quel purpureo tiranno dell'Antonelli, che sempre è andato gridando : Sono pochi faziosi : dovettero certo vedere qual differenza passa tra si diritto, e la prepotenza, tra la civiltà, e la barbaria, tra la libertà e il giogo straniero, tra lo scettro di un Re galantuomo, e la spada conserta col Pastorale. Noi saremo i primi a rispettare e difendere la Religione di Cristo ; ma i ministri del Santuario rispettino anche essi il diritto dei popoli, e la libertà di scegliersi a loro modo il sovrano - unendosi in una sola famiglia.
La pubblica allegrezza per la liberazione di Ancona non cessava col giorno 29. Questa mattina (30) le finestre eran tutte parate; le bandiere sventolavano spesse; il concerto rallegrava le vie popolose, e mentre scrivo la gente si affolla, le armonie si raddoppiano confondendosi ai patriottici canti : la città è illuminata, universale è la gioja.
Lode al Municipio, che pensò di ordinare il tutto perchè la festa riescisse spendida, e tale che il comune desiderio rimanesse appagato.
Lode ai cittadini d'ogni ordine che presero parte attiva mostrando di conoscere il gran bene che acquistano con la indipendenza della nazione.
Lode ai componenti il concerto civico che non badando a fatica, fecero eco con le loro armonie alle grida di gioja che mandano ancora gli Anconitani liberati dalla più scellerata tirannide.
Dirò ancora due parole sulla allegrezza con la quale si chiuse la felice giornata. La piazza splendeva per faci collocate all'intorno di una colonna sulla cui cima è la statua della Vergine protettrice delle armi Italiane. Sotto di essa era lo stemma di Vittorio Emanuele posto fra due vessilli tricolorati, e tutto il fusto della colonna era coperto di lumi che mostravano anch'essi coi loro colori la fede, la speranza e l'amore. Fra i suoni, fra i canti, e tra un numero considerevole di bandiere e di lumi si gridavano gli evviva all'Italia e al suo Re, e fino ad ora ben tarda seguiteranno le popolane dimostrazioni. -
Bello è il nuovo esempio d'amore alla sacra causa italiana, che ha dato questa Città, la quale prima nel 1859 insorse contro il dispotismo clericale, prima scosse l'odiato giogo nel 1860: e per combattere le battaglie dell'indipendenza vide partire più che 300 giovani tra i suoi figli.
Ormai gl'Italiani in un amplesso fraterno si uniscono sotto una medesima legge; al fianco d'un solo e grandissimo Re. Non valsero ai nostri nemici le preghiere innalzate con labbro indegno all'Arcangelo perchè li assistesse nella lotta feroce. Pregarono gl'Italiani e Iddio fu loro pietoso fiaccando a Castelfìdardo col braccio dei Piemontesi l'orgoglio e il valore del rinnegato Lamoriciere per farlo quindi prigioniero in Ancona.
Gli Urbinati non facili ad esaltarsi, sono ardentissimi quando si tratta della causa Italiana, e l'annunzio della caduta di Ancona li scosse, li animò, rallegrando ogni classe per modo che il nobile, l'artista, il popolano si unirono in un desiderio in un grido.
Raccomandiamo ai Direttori della così detta Civiltà Cattolica la narrazione di questi eloquentissimi fatti, che apertamente sbugiardano quanto essi narrano insieme ai diari preteschi ficcando le dita negli occhi della coscienza, e tagliando la carotide al senso comune.
Seguiteranno gli Urbinati non degeneri dagli antichi loro fratelli, a mostrare quanto abbiamo cara la libertà, che si abbraccia con la Religione; l'indipendenza che si unifica con la concordia; l'ordine pubblico che vuole il rispetto alla Legge; la generale salute della Penisola per la quale ancora necessitano sacrifizi di volontà, e di sangue.
La bella, e sventurata Regina dell'Adriatico innalza la sua bandiera coperta di lutto. Gli Austriaci le cingono ancora i reni con una cintura di baionette. Ella spera ed aspetta. Spera nella giustizia di Dio : aspetta il giorno della grande risurrezione.
In quel giorno da queste vette dell'Appennino scoppie-ranno gridi di nuova esultanza perchè una delle più belle gemme italiane risplenderà sulla corona del più generoso dei Re.
Nel nome sacro d'Italia, nel galantomismo di Vittorio Emanuele; nella sapienza de' suoi ministri; nel valore delle libere armi riposa il nostro avvenire, ma ricordiamoci sempre delle parole che da Milano ci rivolgeva Napoleone III : «ardenti del santo fuoco della Patria, non siate oggi che soldati per esser domani liberi cittadini di un gran Paese».
Viva l'Italia indipendente ed una Viva Vittorio Emanuele suo Re
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