Cappella Musicale di Urbino : SEDE e STORIA |
STORIA
Carlo Inzerillo
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1507 - fondazione per volontà del Duca Guidubaldo da Montefeltro: atto di donazione 7 agosto 1507 per il culto e l’istruzione nel canto e nel suono” e fosse quindi in grado di provvedere ai Maestri di Cappella, ai cantori e musicisti. Il duca affidò all'istituto l'amministrazione di una delle maggiori e forse più antiche industrie del ducato: la cartiera sita nel Castello di Fermignano con tutti gli edifici annessi e l'attrezzatura completa 1510 - la duchessa Elisabetta Gonzaga «dedit et donavit huic Sanctae Societati Corporis Domini nostri Jesu Christi unam petiam terrae olivatae et cultae postam in curte Castel Gaife» 1510 - 1 agosto Gentilesca, moglie di Giovanni Bei, nomina l'istituto erede universale dei suoi beni. 1511 - Margherita Mangiotti nomina l'istituto erede universale dei suoi beni. 1511 - 1867 La sede è stata la sacrestia dell'Arcivescovado, dove ebbe in uso una stanzetta ove riporre le carte dell'archivio e le ricche suppellettili sacre. 1546 - distruzione del primo volume contenente i capitoli delle risoluzioni consiliari originali (statuto) in un incendio provocato da giovani urbinati, eccessivamente euforici, durante i festeggiamenti per la nomina di Guidubaldo II della Rovere a governatore generale delle armi della Serenissima Repubblica di Venezia 1551 - fu ordinato Messer Giulio Foschiero, Preposto, e messer Giovanni Baptista Ciurelli, Vicario di Capitolo, come huomini informati dei Capituli antichi havessero à rifar detti Capituli. Non sappiamo se i «Capituli antichi» furono mai ripristinati. 1557 - approvata dai rappresentanti della Cappella senza alcuna discussione una nuova regolamentazione dell'istituto elaborata nel 1556 dal segretario del ducato Giacomo Angeli dietro forte suggerimento di Guidubaldo II. Questa garantiva un notevole controllo da parte del duca, grazie alla presenza di ben sei consiglieri a vita di elezione ducale, che sicuramente controbilanciavano l'influenza dei quattro religiosi presenti di diritto nel consiglio assieme ai quattro priori della città. 1559 - gli Statuta Civitatis Urbini, alla rubrica LI De officialibus Societatis Sanctissimi Corporis Christi in Ecclesia Cathedrali, presentano un ordinamento alquanto diverso, probabilmente esemplato sugli statuti originari e molto a vantaggio dell'ingerenza dei religiosi. 1583 - Francesco Maria II impose ai consiglieri di preparare un nuovo statuto con l'intento di riaffermare l'autorità ducale sull'istituto. Tuttavia i capitoli non vennero accettati nè tantomenoi applicati tranquillamente. E' naturale che l'istituzione, fondata nella Cattedrale e con finalità di culto, ma contemporaneamente amministratrice di una delle più importanti attività industriali del ducato, suscitasse contrasti fra l'autorità laica e quella ecclesiastica. 1606 - Sostegno e donazioni del papa Paolo V 1631 - morte di Francesco Maria II, le terre del ducato entrano a far parte dello Stato della Chiesa. Era allora papa Urbano VIII. L'ingerenza dei religiosi sulla Cappella Musicale diventa sempre più solida. 1703 - Sostegno e donazioni del papa urbinate Clemente XI Albani (1703) 1714 - il Cardinal Sanvitali, arcivescovo di Urbino, modificò il numero dei consiglieri, favorendo ulteriormente le autorità ecclesiastiche. 1722 - 1 luglio La cappella prende in affitto la cartiera dell'Acquasanta di proprietà della famiglia Passionei, ogni nove anni. 1725 - 15 novembre il consiglio di Reggenza deliberò di istituire una nuova tipografia, denominata appunto Stamperia della Venerabile Cappella del SS. Sacramento, in sostituzione di quella già esistente in Urbino, ormai decaduta ed invecchiata 1725 - Sostegno e donazioni del papa Benedetto XIII - Maestro di Cappella Lupino - Maestro di Cappella Cesare Schieti - Maestro di Cappella Meldert, fiammingo - Maestro di Cappella Brunetti - Maestro di Cappella Battiferri - Maestro di Cappella Urio. 1760 - un disastroso incendio devasta la cartiera Acquasanta, ma la sua attività riprende XVIII- secolo - Maestro di Cappella Pietro Scarlatti, figlio di Alessandro, Maestro di Cappella Bellinzani e il virtuoso di violino Carlo Tesserini 1796 - 19 maggio gli amministratori della Cappella accettarono di stipulare un contratto di affitto perpetuo per la cartiera Acquasanta con l'erede di monsignor Benedetto Passionei. 1798 - fondazione del Concerto Cittadino, quando lo stato maggiore della Guardia Nazionale ordinò alla Municipalità di organizzare una banda militare di strumenti a fiato da affiancare al corpo di guardia omonimo XIX - secolo - Maestro di Cappella Francesco Morlacchi, Maestro di Cappella Luigi Vecchiotti e Maestro di Cappella Coriolano Biacchi. 1862 - il Consiglio di amministrazione stabilì di abbandonare la cartiera dell'Acquasanta. Dopo amichevoli trattative con i proprietari si convenne di sciogliere il contratto di affitto perpetuo in cambio, da parte della Cappella, di un'ammenda di 500 scudi Romani; i proprietari, da parte loro, si impegnarono per sé e per i .propri successori a non usare in perpetuo il locale come cartiera o per la lavorazione di carte e cartoni. 1864 - in seguito alla generale ristrutturazione di tutti gli enti ecclesiastici seguita all'unità d'Italia, fu sciolta l'istituzione della Cappella e Federico Gramantieri Veterani fu nominato Delegato straordinario per l'amministrazione provvisoria. 1865 - 20 marzo - nuovo statuto, tuttora in vigore con varie modifiche ed aggiornamenti. Nonostante la dura opposizione dell'arcivescovo Alessandro Angeloni, l'ente venne dichiarato istituzione laica, soggetta esclusivamente all'autorità civile e retta da un consiglio di dodici cittadini presieduto dal sindaco della città 1865 - creazione, nella attuale sede da parte Consiglio di Reggenza, dell’Istituto Musicale, erede del quale è l'odierna Scuola di Musica. 1867 - 6 giugno il sindaco comunicò ufficialmente la decisione di cedere alla Cappella l'uso gratuito del fabbricato, denominato delle Maestre Pie, sito in via Valerio e di proprietà dell'Asilo infantile «Lorenzo Valerio». Fino a questa data la sede era la Cappella del SS Sacramento del Duomo di Urbino, nella cui sacrestia si tenevano le riunioni. Gli insegnamenti di musica venivano impartiti in varie sedi distaccate. 1871 - il consiglio di Reggenza decise di vendere la cartiera di Fermignano, con tutti gli stabili e le attrezzature connesse, ai principi Albani per la somma di lire 22.000, investita poi nell'acquisto di fondi rustici 1936 - 1937 la Cappella acquista l'attuale sede avuta già dal 1867 in uso gratuito. 1972 - 11 di febbraio - approvazione con decreto del Presidente della Repubblica dell'attuale statuto. 1994 - L'Orchestra di Strumenti a Fiato è diretta dal M° Michele Mangani
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CENNI STORICI SULLA CAPPELLA MUSICALE DI URBINO
La Cappella Musicale del SS. Sacramento è una delle più antiche istituzioni della città ducale. Le sue origini risalgono al 1507 (atto di donazione in data 7 agosto 1507) per volontà del Duca Guidubaldo da Montefeltro che, nel clima di somma luminosità culturale ed artistica instaurato dal Duca Federico, diede vita ad un’entità amministrativamente e finanziariamente autonoma che, secondo Statuto avesse “il fine di culto e dell’istruzione nel canto e nel suono” e fosse quindi in grado di provvedere ai Maestri di Cappella, ai cantori e musicisti. L’attività della Cappella venne sostenuta dopo Guidubaldo, tramite la conferma da parte dei suoi successori del patrimonio e privilegi ducali e per l’interessamento di mecenati, come i Papi Paolo V (1606), l’urbinate Clemente XI Albani (1703) e Benedetto XIII (1725). Nel corso dei secoli si avvicendarono diversi Maestri di Cappella tra i quali Lupino, Cesare Schieti, il fiammingo Meldert, Brunetti, Battiferri, Urio. Nel XVIII secolo, accanto a Pietro Scarlatti, figlio di Alessandro, troviamo tra gli altri il Bellinzani e il virtuoso di violino Carlo Tesserini. Nel XIX secolo, assieme a Francesco Morlacchi si annoverano Luigi Vecchiotti e Coriolano Biacchi. Al 1798 risale la fondazione del Concerto Cittadino, che in anni recenti ha cambiato la sua denominazione in “Orchestra di strumenti a fiato”, interpretando l'esigenza crescente di espressione culturale della città di Urbino nel settore musicale. Nel 1865, il Consiglio di Reggenza, con nuove norme, favorì la creazione di una scuola, l’Istituto Musicale, nella cui sede ancora oggi funziona con grande efficacia la Scuola di Musica e tutte quelle attività strettamente collegate ad essa.
Lo Statuto vigente è stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica l’11 febbraio 1972.
Da diversi anni la Cappella Musicale sta svolgendo una serie di iniziative che rispondono in maniera sempre più concreta alle richieste di cultura musicale e costituisce così un indispensabile complemento rispetto alle attività e alle iniziative dell’Assessorato alla cultura del Comune di Urbino. In primo luogo mantiene al suo interno due apprezzabili strutture musicali di antichissima tradizione:Il Coro Polifonico e L’Orchestra di Strumenti a Fiato. L'Orchestra di Strumenti a Fiato è diretta dal 1994 dal M° Michele Mangani.
Nel gruppo strumentale attuale si è voluto da un lato rinnovare la tradizione, proponendo un complesso con caratteristiche differenziate rispetto alle Bande tradizionali (pur rappresentandone, comunque, la spontanea e naturale evoluzione), dall'altro creare una “nuova sensibilità musicale”, con l'abbandono di ogni possibile riferimento o connotazione "militare", per evidenziare con maggior forza l'aspetto sinfonico e concertante in una concezione tipicamente "orchestrale". L'Orchestra è composta da una quarantina di elementi, dei quali fanno parte suonatori amatoriali ed alcuni diplomati al Conservatorio e si è esibita in varie località italiane riscuotendo costantemente unanimi consensi per la varietà del repertorio e per la qualità delle esecuzioni.
PRECEDENTE DESCRIZIONE
La Cappella Musicale del SS. Sacramento in Urbino, fondata alla fine del sec. XV per il decoro del culto e per l'insegnamento ai giovani nel canto e nel suono, ebbe già dal 1507 ad opera del Duca Guidubaldo I da Montefeltro. Ebbe propri statuti, patrimonio e privilegi confermati in seguito dal Duca Francesco Maria II della Rovere (1583) e dal Papa urbinate Clemente XI (1703). Il provvido funzionamento di una cartiera e di una stamperia della Cappella consentì, oltre al formarsi di un importante archivio, anche la pubblicazione di pregevoli testi illustrati di storia, di liturgia e di musica. Nel 1865 il Consiglio di Reggenza, con nuove norme, favorì la creazione di una scuola «l'Istituto Musicale», la cui sede è stata riportata da un attento restauro, alle strutture originarie dei sec. XIV e XVIII. Nel contempo, riapertasi la Scuola di Musica, la Cappella partecipa e promuove iniziative di carattere nazionale ed internazionale di alto livello artistico, quali l'annuale Corso Internazionale di Flauto Dolce e il Festival di Musica Antica che richiama qualificati cultori di musiche rinascimentali e barocche, nel solco di una tradizione sempre prestigiosa per l'Ente stesso e la Città di Urbino. Al 1798 risale la fondazione del Concerto Cittadino che in anni recenti ha cambiato la sua denominazione in «ORCHESTRA DI STRUMENTI A FIATO», facendosi così interprete di una nuova esigenza che, come per il passato, contraddistingue e completa nel presente l'espressione culturale della nostra Città anche nel settore della musica. L'Orchestra di Strumenti a Fiato, diretta dal M° Mario Bizzi è composta di sessanta elementi e si è esibita in varie località riscuotendo costantemente unanimi consensi per la varietà del repertorio e per la perfezione esecutiva. Il repertorio comprende musiche di G. F. Hàndel, J. Haydn, J. S. Bach, H. Purcell, W. A. Mozart, L. W. Beethoven, C. M. Weber, V. Bellini, G. Rossini, R. Wagner, G. Verdi, P. Mascagni e di altri insigni autori.
dal: Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari italiani del XX secolo http://www.aib.it/aib/editoria/dbbi20/moranti.htm(Urbino PS 21 settembre 1912 - Urbino PS 20 febbraio 1988)
Entrato nella Biblioteca universitaria di Urbino nel
1938, vi percorse tutta la sua carriera, diventandone direttore dal
1º giugno 1958. Nel frattempo aveva conseguito la laurea in materie
letterarie, presso la stessa Università, nel 1945/46.
COLLANA DI STUDI E TESTI 15 LUIGI MORANTI LA CAPPELLA MUSICALE DEL SS. SACRAMENTO NELLA METROPOLITANA DI URBINO INVENTARIO (1499 - 1964) Edito da: ACCADEMIA RAFFAELLO - URBINO
PREMESSA A questo inventario mio padre ha lavorato, molti anni fa, in margine al riordino dell'archivio della Cappella del SS. Sacramento, commissionatogli nel 1979 dall'Amministrazione dell'Istituto. Purtroppo, difficoltà di vario genere hanno a lungo ritardato la pubblicazione del lavoro, che per altro egli aveva già approntato in stesura definitiva molto prima della sua scomparsa; per parte mia, infatti, mi sono limitata a pochi interventi formali e ad allestire gli indici. Ora, ringrazio con piacere quanti mi hanno aiutato a superare tanti inciampi: in primo luogo il Rettore Carlo Bo, che ha inserito l'iniziativa fra quelle dell'Università finanziate dalla Provincia di Pesaro e Urbino. Non minore gratitudine devo al Presidente dell'Accademia Raffaello Nino Baldeschi e a tutti i componenti del Consiglio, in particolare all'affettuosa sollecitudine di Marta Bruscia, che hanno accolto la ricerca nella loro prestigiosa «Collana di Studi e Testi». Mio padre teneva moltissimo alla pubblicazione dell'inventario della Cappella del SS. Sacramento, anche per la natura particolarmente articolata dell'archivio che esso descrive; nel realizzarla, finalmente, spero di fare cosa gradita alla sua memoria e mi auguro che, pur apparendo con così grande ritardo, l'opera possa costituire uno strumento utile per quanti vorranno profittarne nelle loro ricerche, così come egli da studioso appassionato si augurava. Urbino, 13 luglio 1993 Maria Moranti
Abbreviazioni: A.C.M. = Archivio della Cappella del SS. Sacramento. Urbino A.S.U. = Archivio di Stato. Sezione di Urbino A.S.C. = Archivio Storico del Comune. Urbino B.U.U. = Biblioteca Universitaria di Urbino Crediti: Testi tratti da: Luigi Moranti - La Cappella musicale del SS. Sacramento nella metropolitana di Urbino - Acc. Raffaello Urbino - 1995 Con il benestare di Maria Moranti e dell'Editore Opera pubblicata con il contributo della Provincia di Pesaro-Urbino
ALTRE FONTI La Cappella musicale del SS. Sacramento nella Metropolitana di Urbino è già stata oggetto di ampie ricerche; in particolare il canonico Bramante Ligi, delineando una storia generale della cultura musicale urbinate, si sofferma sui Maestri di Cappella, sui musici e sui cantori avvicendatisi nei secoli e sui loro rapporti con l'istituzione, fornendo ampie notizie, che pure, in qualche punto, sarebbero da rivedere e aggiornare [1]. D'altro lato il Parenti, nella parte iniziale di una sua relazione, purtroppo non facile da reperire, traccia un quadro preciso, anche se non molto particolareggiato, dei mutamenti intervenuti dopo la metà dell'Ottocento nell'amministrazione dell'ente [2]. Considerando, però, l'importanza di alcuni documenti, finora mai studiati o citati, che mi sono passati fra le mani nel corso del lungo e faticoso lavoro di riordino dell'archivio, credo opportuno soffermarmi, sia pur brevemente, su alcuni aspetti, non ancora studiati, della storia di questa gloriosa istituzione, avvertendo anche che molte testimonianze importanti circa la storia del nostro istituto saranno certo conservate presso l'archivio capitolare, dati gli strettissimi legami che unirono per secoli le due istituzioni; purtroppo, tale archivio non é accessibile agli studiosi.
Non è possibile ricostruire nei particolari le origini della Cappella del SS. Sacramento poiché, come lamentano tutte le fonti, sia antiche che moderne, il primo volume delle risoluzioni consiliari, e forse anche altri documenti antichi, andò distrutto in un incendio nel 1546, come si vedrà meglio in seguito. Il più antico libro delle risoluzioni consiliari attualmente conservato è solamente il secondo, come si deduce chiaramente dalla sua intestazione:
Al Nome di Iddio e del Sacratissimo Corpo di Christo protettore et advocato dell'infrascritta Capella del Corpo di Christo d'Urbino. Questo è l'altro libro della Capella del Sacratissimo Corpo di Christo di Urbino: incominciato ne gl'anni del Signore M.D.LI nell'Indittione nona del tempo del Santissimo Padre Papa Julio iij, et, à dì primo di ginaro al tempo de' Reverendi, Magistrati e spettabili conseglieri rispettivamente: Nel quale si conterranno, e saranno annotati le Constitutioni che si faranno per detta Capella nel tempo de gl'infrascritti Conseglieri e lor sucessori, gli huomini de quali sono gl'infrascritti cioè, Alessandro Marsilio advocato, Guido Santinello procuratore, Giovan Baptista Baldi Massaro, Horatio Giordani notario, Domenico Passionei, Stefano Santucci, Benedetto Bonaventura, Raphael Staccoli, Roberto Santucci, Giovanni Francesco Ciarla, Francesco Benedetti, // (e. 1v) Guido Genga, Jacomo Paciotto, Giovanni Francesco Cartolari, Federico Taddei, Cristoforo Trombetto, Conseglieri per l'anno 1551 [3].
Neppure la data di fondazione della Cappella del SS. Sacramento era conosciuta con precisione dagli storici locali; essa anzi veniva spesso confusa con quella della famosa donazione della cartiera di Fermignano da parte di Guidubaldo da Montefeltro. Solo una memoria storica, redatta dal conte Francesco Maria De Pretis nel 1827, fornisce una precisa indicazione:
... da una Bolla in carta pergamena d'Indulgenza emanata dal Vescovo Gio. Pietro Arrivabeni in data del 1. settembre 1499, che originalmente conservasi nell'archivio del R.mo Capitolo, si rileva a piena evidenza che nella Chiesa Cattedrale d'Urbino fosse eretta nell'anno medesimo la V. Società del SS. Sagramento, come dalle seguenti parole della Bolla medesima «... cum itaque, Domino inspirante, nuperrime in Cathedrali Ecclesia nostra Urbinate prò veneratione tanti (sic) Sacramenti magnus fervor et devotio populi adeo invaluerit ut, erecta ibi sub certis religiosis ordinationibus Societate Corporis Christi nuncupata, maximus numerus utriusque sexus prò consequendis divinis gratiis et spiritualibus suffragiis in ea se describi fecerit, et quotidie idem numerus novis accessionibus augeatur. Nos cupientes ... [4]
Così, purtroppo, si interrompe la citazione, che non è possibile verificare, vista l'impossibilità di accedere all'archivio dell'Arcivescovado. In ogni caso, anche soltanto in base ai documenti conservati nell'archivio, credo di poter affermare con una certa sicurezza che la Cappella del SS. Sacramento, o meglio la Compagnia del Corpo di Cristo, come si chiamava in origine, fu fondata come istituzione autonoma con finalità ben definite proprio nel 1499. Particolarmente interessanti sono, a questo riguardo, le informazioni fornite dal più antico libro contabile dell'archivio [5]; l'intestazione stessa di questo primo mastrino è significativa: «Adì xxviij de marso 1499. Cassa de intrata de la Compagnia nova del Corpo de Christo» (e. lv). L'aggettivo «nova» e un'ampia serie di elementi, forniti dallo stesso mastrino, fanno chiaramente riferimento ad una fase organizzativa del «nuovo» istituto. Alle carte 3r e 7r è registrato un pagamento: «Adì v septembre 1499: a Filippo depintore de Rancitella infrascripto deve havere fiorini doi per sua mercede per havere depinto l'insegnia della ditta compagnia» [6]. Ora, è naturale che l'esecuzione del simbolo della Compagnia sia stata commissionata subito o poco dopo la sua fondazione. Ed ancora, sempre nello stesso registro, dopo molte carte bianche, si trova un inventario di vari oggetti e beni preceduto dalla intestazione: «In nomine Domini Amen. Qui se farà ricordo de panni et altre cose che intrassero a la giornata a la Compagnia del Corpus Domini et primo per insino adì v de giugno 1499» (e. 190r). Sono ancora poche cose, come si addice ad un ente appena agli inizi. Infine, la «Lista de li Massari de la Compagnia del Corpo de Christo quali hanno tenuto el conto de l'entrata et uscita de la Capella [...]», comincia così a e. 194v: «1499 Giovan Francesco de Paulo de Guido». Questo primo mastrino, tanto prezioso al fine di definire la data di fondazione della Cappella datazione che certo potrà essere riveduta alla luce di nuovi eventuali documenti probabilmente si salvò dal rogo degli altri documenti poiché il massaro, dopo averlo ricevuto in consegna, lo conservava presso di sé, secondo il costume del tempo. Due documenti successivi affermano che fondatore dell'istituzione fu Guidubaldo da Montefeltro: negli Statuti urbinati del 1559 (doc. 2) questi viene appunto definito «fundator et dotator dictae Capellae». Inoltre, Francesco Maria II della Rovere, in una lettera dispositiva scritta in occasione di una controversia con il Vescovo di Urbino, di cui ci occuperemo meglio in seguito, afferma che i duchi vanno considerati, oltre che «padroni et superiori», anche «principali fondatori» della Cappella (doc. 4). In realtà, però, queste testimonianze potrebbero riferirsi non precisamente alla fondazione della Cappella, ma alla munifica donazione della cartiera di Fermignano, che tanto peso ebbe nella vita del nostro istituto. Certamente la Societas Corporis Christi, come viene definita dall' arcivescovo Arrivabeni, fu fin dalla sua origine completamente distinta dalla Confraternita del Corpus Domini, fondata in Urbino fin dalla metà del XIV secolo [7], anche se il Cardinale Annibale Albani, protettore della Cappella, accarezzò l'idea, in pratica mai realizzata, di fondere le due istituzioni [8]. _________________________________ [1] B. ligi, La Cappella musicale del Duomo di Urbino, Roma, Ed. Psalterium 1933 (Note d'archivio, 2), e, più recentemente, Memorie della musica sacra. Canto presso gli ebrei, canto gregoriano, canto polifonico, la Cappella musicale del Duomo di Urbino, Urbania, Tip. Bramante 1977. [2] J. parenti, Un quinquennio nell'amministrazione della Cappella musicale di Urbino, Urbino, Steu 1938. [3] A.C.M., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. lr-v. [4] B.u.u., Fondo del Comune, Ms. 61, e. 9r. Il volumetto è composto di vari opuscoli, alcuni manoscritti altri a stampa, riuniti sotto il titolo complessivo Memorie interessanti per la Ven. Cappella del SS.mo Sagramento eretta nella Chiesa Metropolitana di Urbino raccolte da me Cav. Francesco M. Conte De Pretis nell'anno 1827. [5] a.c.m., Mastrini, I (1499-1517). [6] a.c.m., Mastrini, I (1499-1517), ce. 3r e 7r; la medesima annotazione è riferita, senza alcun commento, anche dal ligi, La Cappella ..., p. 24, nota 1. Si tratta del pittore urbinate Filippo di Battista Gueroli da Rancitella, che operò fra la fine del XV secolo e l'inizio del XVI, cfr. B. cleri, Una sentenza arbitrale del 1520 circa i dipinti del vadese Fabrizio Fabrizi in S. Maria in Val d'Abisso a Piobbico, «Notizie da Palazzo Albani», X, 1981, fase. 2, pp. 44-48. Nello stesso mastrino figurano altri pagamenti a favore di Filippo da Rancitella. [7] L. MORANTI, La Confraternita del Corpus Domini di Urbino, Ancona, Il Lavoro Editoriale 1990 (Quaderni di Notizie da Palazzo Albani, 2). [8] b.u.u., Fondo del Comune, Ms. 61 Ex actis S. Visitationis R.P.D. Thomae Mariae Ma-relli Archiep. Urbinaten. De Societate Capellae SS. Sacramenti, e. 76, vedi anche più avanti p. 27.
Purtroppo, come si è già accennato, il primo volume delle risoluzioni consiliari, contenente i capitoli originari, andò distrutto in un incendio provocato da giovani urbinati, eccessivamente euforici, durante i festeggiamenti per la nomina di Guidubaldo II della Rovere a governatore generale delle armi della Serenissima Repubblica di Venezia nel 1546 [1]; frequenti sono i riferimenti all'episodio, ricordato con precisione nel più antico libro delle risoluzioni attualmente conservato, che, come si è visto sopra, è certamente il secondo della serie:
Adì xx di giugno 1551. (omissis) Messer Giulio Foschiero preposto levatosi in pie' disse Signori poi che per mala ventura il libro Antico di detta Capella nel quale erano gli Capituli et ordinationj fatte a beneficio d'essa Capella fosse abruciato al tempo che l'Illustrissimo et Eccellentissimo signor Duca Guidubaldo fu creato Governator generale della Serenissima Signoria di Venetia, il quale libro era nella cassa dei libri del danno dato d'Urbino, gli quali da un furor giovanile insieme con gl'altri libri delle Comtemnationi fiscali, furono abruciati sprovistamente, e senza riparo. Il qual libro era in mano di ser Horatio Giordano, all'hora notaro del danno dato e di detta Capella. Però sarebbe buono di rifar detti Capituli acciò non s'andasse, e, non si vivesse in incerto. Così sopraciò fatta matura discussione fu ordinato che dicto Messer Giulio preposto, e messer Giovanni Baptista Ciurelli, Vicario di Capitolo, come huomini informati dei Capituli antichi havessero à rifar detti Capituli, dopo questo ogn'uno si andò per il suo viaggio. Horatio Giordano notario rogato [2].
Non sappiamo se i «Capituli antichi» furono mai ripristinati, come si era deciso nella riunione del 20 giugno 1551; in ogni caso, Guidubaldo II inviò il suo segretario Giacomo Angeli al consiglio del 12 ottobre 1556, affinché provvedesse senza alcuna remora a far approvare una nuova regolamentazione dell'istituto da lui proposta, o imposta (doc. 1). Questa garantiva un notevole controllo da parte del duca, grazie alla presenza di ben sei consiglieri a vita di elezione ducale, che sicuramente controbilanciavano l'influenza dei quattro religiosi presenti di diritto nel consiglio assieme ai quattro priori della città. Le nuove regole non furono accettate seduta stante; solo nella riunione generale del 10 gennaio 1557 furono approvate dai rappresentanti della Cappella senza alcuna discussione, che probabilmente sarebbe stata superflua:
Nel Nome d'Iddio congregati nella Sagrestia loco solito gl'infrascritti. Prima dal detto signor Luogotenente furono a detti Consiglieri // (e. 29v) presentati gl'ordini novamente fatti da Sua Eccellenza come di sopra qui registrati nel presente libro e concesso che fussero alla presenza de lor Signori letti, e così per me notaro infrascritto furono di nuovo letti e publicati, e detto signor Luogotenente cominciò a dire che mente di Sua Eccellenza era che fussero mandati ad effetto, e così da tutti fu concluso e risoluto che s'esequissero. Ma per elettione delli sei cittadini perpetui come in detti Capituli furono da tutti li sopranominati a voce eletti li infrascritti delli quali Sua Eccellenza ne elegga sei a modo suo e prima: Gentile Veterani allora Confaloniere, Federico Pucci, Antonio Gallo, Francesco Gerio, Francesco delli Arcangeli, Felice Guiducci, Guido Bonaventura, Antonio Gionco, Piero Corbulo, Nicolao Alberto, Raffaelle Staccolo, Francesco Guiducci, Vincenzo Bartholino, Antonio Colocci, Ludovico Anniballi, Bartolo del Papa, Pietro Genga, Benedetto Bonaventura, Piero Giordano, Marco Mazante, Nicolò Cecci, Federico Lante, Giovanni Francesco Corbulo, Roberto Santucci, Giovanni Baptista Ciarla, Zacaria Orselli. [3].
Forse i consiglieri cercarono di opporre una sia pur debole resistenza al precetto ducale, ma, dopo aver temporeggiato, non poterono far altro che proporre una rosa di candidati fra i quali scegliere i sei consiglieri a vita. Le interferenze di Guidubaldo II nella vita amministrativa del ducato erano pratica corrente, ma nel caso della Cappella esse minacciavano addirittura l'autonomia dell'istituto. Il duca, infatti, non tralasciava alcuna occasione per manifestare il proprio orientamento su ogni questione, orientamento che non poteva certo essere disatteso. Basta scorrere le delibere consiliari per veder ricorrere tali interferenze sotto forma di lettere che il duca scriveva al Consiglio raccomandando di eseguire le sue disposizioni o di deliberare secondo i suoi propositi; si salvava così, almeno apparentemente, l'autonomia consiliare, ma in realtà, era il duca che sceglieva i cantori e ne stabiliva i salari [4], approvava la nomina dei consiglieri [5], ed infine esercitava un vero e proprio controllo contabile [6]. Ai consiglieri probabilmente altro non restava che adeguarsi: nel consiglio del 1 luglio 1557 si delibera:
... che si debba informare Sua Eccellenza dell'entrate et uscite d'essa Capella, et commisero al Massaro che gli facesse un foglio dell'intrate et l'altro delle spese, acciò se fosse stata mal informata quella del tutto si habbia buona informatione et sia fatta capace del tutto ... [7]
Probabilmente ai consiglieri della Cappella non era molto gradita una sorveglianza così puntuale, tanto che nel consiglio del 3 giugno 1557 si impegnarono sotto giuramento a non riferire fuori dalle congregazioni alcun discorso fatto nelle assemblee, al fine di garantire una maggiore libertà di espressione:
... et acciò ch'ogni homo potesse liberamente dire il suo parere, e non fusse manifestato fuori quello si raggionava, e per l'avenir se raggionarà, tutti giurarono di non manifestare né propalare alcuna cosa che se decesse in quel loco, et commisero che tal fundamento si desse a quelli che sono deputati al governo di detta Capella che non erano al'hora li presenti ...[8]
In ogni caso, l'ordinamento approvato nel 1557 non ebbe molta fortuna: nel 1559 gli Statuta Civitatis Urbini, alla rubrica LI De officialibus Societatis Sanctissimi Corporis Christi in Ecclesia Cathedrali, presentano un ordinamento alquanto diverso, probabilmente esemplato sugli statuti originari (doc. 2) [9]. Il consiglio non risulta più composto da diciotto ma da ventiquattro membri, fra i quali rientravano di diritto i quattro priori della città e tre prelati, cioè il vescovo, il proposto e l'arcidiacono; il primo canonico del Capitolo, non più consigliere di diritto, poteva sostituire uno degli ultimi due prelati. I restanti diciassette consiglieri dovevano essere sorteggiati ogni anno fra i confratelli della Società. Il consiglio così composto doveva poi eleggere gli ufficiali, cioè un sindaco, scelto fra i canonici del vescovado, un avvocato, un procuratore e un notaio; il massaro, al contrario, veniva sorteggiato da una rosa di venti nomi proposti dai consiglieri. Gli statuti urbinati stabilivano anche una serie di obblighi degli ufficiali e del massaro, ma con indicazioni alquanto approssimative. Una regolamentazione precisa e definitiva si ebbe solo con i capitoli emanati da Francesco Maria II della Rovere (doc. 3) [10]. Una delle prime preoccupazioni del nuovo duca fu, infatti, quella,di stabilire un preciso ordinamento per la Cappella, tanto che invitò i consiglieri a preparare un nuovo statuto. Nel consiglio del 13 gennaio 1580 ai consiglieri ... tutti quanti intelligenti et audienti il Signor Preposto predetto lesse et publicò li capitoli di essa capella novamente fatti a capitolo per capitolo come nel loro originale appare, li quali Signori tutti a uno per uno, et il primo fu il Signor Illustrissimo Arcivescovo, giurorno in mano di me medesimo in prejuditio de l'anime loro osservare ad ungue detti capitoli ... [11] Quindi, fu chiesta l'approvazione al duca, che la concesse il 24 settembre 1583. Ma, una volta approvati, i capitoli non vennero applicati così tranquillamente come ci si sarebbe potuto aspettare: durante la seduta del 23 ottobre 1583 l'Arcivescovo e gli altri prelati protestarono vivacemente tanto da abbandonare il consiglio [12]. I motivi del dissidio non sono del tutto chiari; forse Francesco Maria II, nel capitolo II, aveva affermato in maniera fin troppo decisa l'autorità ducale sull'istituto. In ogni caso egli ebbe modo di ribadirla, appena due mesi dopo, in occasione di una vertenza con l'arcivescovo Giannotti, sorta a proposito della celebrazione di alcune messe [13]. In effetti, leggendo la lettera indirizzata dal duca al Luogotenente di Urbino, e soprattutto le dettagliate istruzioni sull'aspetto giuridico della controversia (docc. 4 e 5), nasce il sospetto che il duca intendesse cogliere questa occasione per ridimensionare un atteggiamento troppo invadente del vescovo, forse ispirato dal Concilio di Trento, e riaffermare tutta l'autorità ducale sull'istituto tanto beneficato dai suoi antenati [14]. E' naturale che l'istituzione, fondata nella Cattedrale e con finalità di culto, ma contemporaneamente amministratrice di una delle più importanti attività industriali del ducato, suscitasse contrasti fra l'autorità laica e quella ecclesiastica. Il problema è perfettamente riassunto nelle parole di monsignor Marelli; in occasione della sua visita pastorale egli afferma: Fuerit necne canonice erecta haec Societas penitus ignoratur. Affermativam arguit Aggregatio habita ad Arciconfraternitatem S. Mariae supra Minervam, de qua dictum est, atque aegre potuisse coadunari Societatem in Metropolitana, seu Cathedrali sine auctoritate Ordinarii; et certe ex interesentia Ordinariorum ad Societatis Consilia implicitam saltem haberi approbationem continuatam. Nullam // (e. 5ìr) autem notitiam expresse erectionis haberi ob conflagrationem librorum, de qua dictum est, nihilominus negativa praevalere videtur, quod nullibi habeatur erectionis expresse indicata notitia, Ordinarios autem interfuisse Consiliis non tamquam Ordinarios, sed uti Consiliarios; et quidem tum ut saniora Consilia prò obsequio Venerabilis promoverent, tum ut Ducum imperiis obsecon-darent; fuisse propterea tantumodo hanc Societatem corpus delectum in administrationem honorum a Serenissimis Ducibus collatorum, et certe in hac Societate nulla reperiuntur opera pietatis exercita praeter injuncta ad-ducet Legatis. Nulla Capitula circumferuntur alia quam quae Ducibus ap-probantibus, sibi fecit, iisdemque concrematis, alia Capitula sibi non expe-tivit quam quae a Serenissimo Duce sibi approbata fuerunt in haec verba: Capitoli della Capella del SS. Corpo di Christo nell'Arcivescovado di Urbino fatti nel 1580 [15]. Dopo l'estinzione dei Della Rovere e la devoluzione del ducato alla Santa Sede non avvennero modifiche statutarie di rilievo, ma è logico supporre che le autorità ecclesiastiche acquisissero una autorità via via crescente sull'istituto. A conclusione di questo processo, nel 1714, il Cardinal Sanvitali, arcivescovo di Urbino, modificò il numero dei consiglieri, come ci riferisce monsignor Marelli negli atti della sua visita pastorale: ... et hoc modo continuatum est usque ad diem 10 novembris 1714 cum placuit Eminentissimo Sanvitale novam rationem inire horum Consiliariorum constituendorum, et renuntiatione a singulis facta habitae Depu-tationis, firmatum est ut praeter Illustrissimum Archiepiscopum, impe-rantes Dignitates, seu Canonicos, Confalonerium cum Prioribus, duodecim Deputati Mensales, quorum singuli spatio quatuor mensium praesiderent iuxta sortem initio quatuor annorum extrahendam, votis eligerentur; et insuper tres alii Supranumerarii, qui voto potirentur, sed Mensales non essent, nisi cum aliquis ex Numerarijs defecisset, primo Supranumerario tunc munus ineunte statim absque alijs suffragiis. Hi autem perpetui ut essent omnes, dum vita superesset, decrevit, ut ad praesens servatur ...[16]. Il consiglio conservò questa composizione fino al 1864 quando, in occasione della generale ristrutturazione di tutti gli enti ecclesiastici seguita all'unità d'Italia, fu sciolto e, con decreto del 17 settembre 1864, Federico Gramantieri Veterani fu nominato Delegato straordinario per la provvisoria amministrazione dell'ente [17], in attesa della compilazione di un nuovo statuto, approvato poi con R.D. 20 marzo 1865, n. 4521, e tuttora in vigore, pur con varie modifiche ed aggiornamenti. Nonostante la dura opposizione dell'arcivescovo Alessandro Angeloni, l'ente venne dichiarato istituzione laica, soggetta esclusivamente all'autorità civile e retta da un consiglio di dodici cittadini presieduto dal sindaco della città [18]. _________________________________________ [1] F. Ugolini, Storia dei Conti e Duchi di Urbino, II, Firenze, Grazzini 1859, p. 271: «La repubblica di Venezia memore dei servizi a lei prestati dal padre (Francesco Maria I della Rovere) volle anche Guidubaldo agli stipendi suoi e ne formò la condotta nel 1546 col titolo, però, di Governatore delle armi venete e non di Capitano generale, come era il padre ... ci furono allegrie, nell'anno seguente gli morì la moglie Giulia Varano a Fossombrone il 18 febbraio 1547 ma l'allegrezza provata per ciò dalla corte e dai popoli fu controbilanciata ...». In realtà, queste «allegrie» dovevano rappresentare una buona occasione per distruggere registri particolarmente sgraditi ai contribuenti urbinati. Nel gennaio 1558, in previsione del prossimo parto della duchessa, il duca Guidubaldo II cercò di prevenire incidenti del genere ordinando al Luogotenente di Urbino di «mettere in salvo nel monastero di Santa Chiara tutte quelle [scritture] che vi parranno di importanza e che siano a pericolo, specialmente quelle delli Malefitij, e de danni dati secondo il solito». La lettera, conservata in A.s.u., Cancelleria civile e criminale, Carteggio, anno 1558, è pubblicata in L. moranti, Note sulle meretrici nella Urbino dei secoli XV-XVll, «Proposte e ricerche», 24, 1990, p. 96, doc. 8. [2] A.C.M., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 3v. Il documento è trascritto anche dal LIGI, La Cappella ..., p. 26 [3] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consilari, I (1551-1580), e. 29r-v. 13 Si veda a questo proposito una lettera del 10 gennaio 1557 trascritta dal ligi, La Cappella..., p. 74 sg., doc. V (a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 30v) ed un'altra, del 9 gennaio 1551, con cui il duca, pur esonerando dall'incarico di massaro Giovanni Battista Baldi, per il futuro comminava delle pene a chi non accettasse gli incarichi, pubblicata ibidem, p. 42 sg., doc. Ili (a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 2r). Anche la duchessa Vittoria Farnese esprimeva il suo parere sulla scelta dei Consiglieri, come prova una sua lettera trascritta nel verbale del consiglio tenuto il 13 marzo 1561 (a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 56r) pubblicata ibidem, p. 78, doc. XII. [4] Numerose lettere ducali riguardanti questo argomento sono pubblicate dal ligi, La Cappella .... [5] Si veda a questo proposito una lettera del 10 gennaio 1557 trascritta dal ligi, La Cappella..., p. 74 sg., doc. V (a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 30v) ed un'altra, del 9 gennaio 1551, con cui il duca, pur esonerando dall'incarico di massaro Giovanni Battista Baldi, per il futuro comminava delle pene a chi non accettasse gli incarichi, pubblicata ibidem, p. 42 sg., doc. Ili (a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 2r). Anche la duchessa Vittoria Farnese esprimeva il suo parere sulla scelta dei Consiglieri, come prova una sua lettera trascritta nel verbale del consiglio tenuto il 13 marzo 1561 (a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 56r) pubblicata ibidem, p. 78, doc. XII. [6] II duca non rinunciava alle sue prerogative neppure quando si trovava lontano da Urbino; con una lettera del 21 gennaio 1561 scritta da Roma, dove probabilmente si era recato per ricevere l'insegna di Cavaliere della Milizia Aurata, concessagli dal pontefice Pio IV, proibisce tassativamente qualunque spesa non ordinaria o, comunque, non autorizzata: a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 55r, consiglio del 29 gennaio 1561. La lettera è trascritta dal ligi, La Cappella ..., p. 77 sg. doc. XI. [7] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 35r. [8] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 34r. [9] L'ipotesi si basa sull'affermazione contenuta nella lettera dei consiglieri della Cappella inviata a Francesco Maria II assieme al testo degli statuti: doc. 3. [10] II ligi, La Cappella ..., p. 32, afferma che «L'originale dei sopradescritti capitoli trovasi nell'Archivio governativo di Pesaro, colà spedito al Duca dal Luogotenente di Urbino. Nel 1713, essendo Legato della Provincia il Card. Tanara, ne fu estratta copia autentica esistente nella segreteria dell'Arcivescovado. Così pure i Capitoli sono riportati per esteso nel libro della visita pastorale di Monsignor Marelli del 1791 (sic).» Ma, come è naturale, essi sono conservati in a.c.m., tit. I, busta 1, n. 8. Per la trascrizione integrale del testo, riportato di seguito come documento n. 3, ci siamo fondati sulla copia reperita in B.u.u., Fondo del Comune, Ms. 61. [11] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 136r. [12] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, II (1581-1599), ce. 28v-20r. [13] Mi riferisco al fascicolo che reca la dicitura: Processo fatto contro un decreto di Monsignor Vescovo d'Urbino, che pretendeva dalla Capella un adempimento di Messe che si facevano celebrare per divozione, sopra di che si fece ricorso direttamente al Papa per ordine del Serenissimo Signor Duca. A.C.M., tit. II, busta 16, fase. IV, ce. 146r-167r. [14] Una lunga relazione sulla vicenda si può reperire in a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, II (1581-1599), ce. 29r-34v, consiglio del 23 ottobre 1583. [15] B.u.u., Fondo del Comune, Ms. 61, Ex actis S. Visitationis R.P.D. Thomae Mariae Marelli Archiep. Urbinaten. De societate Capellae SS. Sacramenti, ce. 52v-53r. Segue la trascrizione dei capitoli emanati da Francesco Maria II, doc. 3. [16] b.u.u., Fondo del Comune, Ms. 61, e. 64v. [17] Gli atti della amministrazione del Delegato straordinario sono consultabili in A.C.M., tit. I, busta 16. [18] Le vicende che portarono alla formazione di questo ultimo statuto sono illustrate con più ampi particolari da j. parenti, Un quinquennio ..., p. 10 sg. Un memoriale di protesta dell'arcivescovo, con allegati tre opuscoli a stampa, è conservato in A.C.M., tit. I, busta 16, fase. IV.
La Società del Corpo di Cristo elesse fin dall'origine come propria sede la cappella del Duomo a sinistra dell'altare maggiore, dedicata appunto al culto del Santissimo Sacramento. Non è qui il caso di soffermarsi sull'architettura e le decorazioni, ampiamente descritte, con ricchezza di illustrazioni, nella recente guida pubblicata da don Franco Negroni e da Giuseppe Cucco [1]. Numerose sono le commissioni ed i pagamenti ad artisti ed artigiani non solo per le opere d'arte più note, ma anche per manufatti artigianali, decorazioni, apparati e così via, tramandate sia dai Libri delle Risoluzioni Consiliari, che dai vari registri contabili, e solo in minima parte pubblicate dal Gronau [2]. Le sedute del consiglio avvenivano nella Sacrestia dell'Arcivescovado, come apprendiamo dai libri delle risoluzioni, secondo un rituale ben prestabilito dal capitolo XII degli statuti del 1583. Inoltre, fin dal 1511, la Società ebbe in uso una stanzetta ove riporre le carte dell'archivio e le ricche suppellettili sacre [3]. Fino al XIX secolo, dunque, non si avvertì mai l'esigenza di fornire la Cappella di una sede autonoma, soprattutto a causa delle sue funzioni, che la legavano strettamente alla Chiesa Metropolitana. Ma, in seguito alla riorganizzazione decretata con lo statuto del 1865 e alle nuove attività che ne seguirono [4], le esigenze mutarono radicalmente. In una riunione del 1867 il Presidente espose la necessità di riunire in una sola sede le varie scuole di musica, che fino a quel momento si trovavano dislocate in diverse sedi. L'istanza venne benevolmente accolta dal Consiglio municipale, interessato ad incrementare l'istruzione musicale, e il 6 giugno 1867 il sindaco comunicò ufficialmente la decisione di cedere alla Cappella l'uso gratuito del fabbricato, denominato delle Maestre Pie, sito in via Valerio e di proprietà dell'Asilo infantile «Lorenzo Valerio», che in seguito, fra il 1936 e il 1937, la Cappella acquistò [5]. Il palazzo assegnato alla Cappella è un antico fabbricato le cui origini restano oscure [6]. Certo la parte superiore dell'edificio fu costruita su strutture più antiche: sul seminterrato, strutturato in possenti archi a volta, si erge il pianterreno, che risale al XIV secolo, come testimoniano le colonne e i capitelli, venuti alla luce durante i recenti lavori di ristrutturazione, il cui stile si avvicina a quelli dell'adiacente palazzo Perori [7]. Sempre al piano terreno si può ammirare un camino di bellissima fattura del secolo XV che reca, al centro della fascia, uno stemma raffigurante un braccio che regge un cero attraversato da un cartiglio con una didascalia le cui lettere appaiono corrose dal tempo e perciò di dubbia interpretazione. Lo stemma appartiene all'antica famiglia urbinate dei Cerioni [8] ma ciò non è sufficiente a provare che l'antico fabbricato fosse la residenza di tale famiglia, perché il camino potrebbe esservi stato collocato in tempo diverso. A parte le ipotesi suggerite da questo originario complesso edilizio, che meriterebbe un approfondito studio, di certo sappiamo che sull'antica struttura, nel 1730, il Cardinal Annibale Albani fece erigere un altro piano per ospitare il collegio delle Maestre Pie [9]. Un'iscrizione, conservata nella sala grande del piano superiore, testimonia la riconoscenza delle religiose:
ANNIBALI. ALBANO. S.R.E. CARD. CAMERARIO CLEMENTIS. XI. FRATRIS. F. QUOD. HAEDES. HASCE. CERTOSQUE. FUNDOS. LARGITUS. FUERTT. PIARUM. VIRGINUM. URBINI. COLLEGIUM. PATRONO. MUNIFICENTISSIMO. P. C. ANNO. DOMINI. MDCCXXXHI. SESTO. KAL. MAI.
________________________________ [1] F. negroni e G. cucco, Urbino. Museo Albani, Bologna, Calderini 1984 (Musei d'Italia. Meraviglie d'Italia, 18), pp. 9-11 e 17-29, nn. 48-95. [2] G. gronau, Documenti artistici urbinati, Firenze, Sansoni 1936, pp. 171 sgg. [3] a.c.m., tit. II, busta 3, fase. III, ce. 412-414. [4] Sull'attività della Cappella musicale si veda la relazione del sindaco Gualdesi stilata nel 1907, a.c.m., tit. Vili, busta 1, fase. I, ce. 1-4, e j. parenti, Un quinquennio..., pp. 44-47. [5] j. parenti, Un quinquennio ..., p. 36; B. ligi, Memorie di musica ..., p. 144 sg. In occasione del trasferimento, il Municipio affidò l'incarico di riordinare e organizzare le varie scuole di musica all'urbinate Coriolano Biacchi, maestro di violino. [6] Una breve descrizione è fornita da f. Mazzini, I mattoni e le pietre di Urbino, Urbino, Age 1982, p. 296 sg. [7] Per una succinta descrizione del palazzo Peroli si veda f. Mazzini, I mattoni ..., p. 289 sg. Il palazzo fu, per un certo periodo, sede delle Clarisse; ampie informazioni su quest'ordine di religiose e le relative vicende sono fornite da B. ligi, Monasteri benedettini nella Diocesi di Urbino dal secolo IX al XV, Urbania, tip. Bramante 1965, p. 75 sgg., che narra anche come le suore furono cacciate dal loro Convento di S. Chiara. [8] B.u.u., Fondo del Comune, Ms. 165: l. nardini, Raccolta di stemmi di famiglie patrizie urbinati. [9] Sulle Maestre Pie si veda A. lazzari, Delle chiese di Urbino e delle pitture in esse esistenti. Compendio storico, Urbino, G. Guerrini 1801, p. 155.
L'economia della Cappella si fondò inizialmente sulle rendite di doni e lasciti: la più antica donazione, documentata dal primo mastrino, è della duchessa Elisabetta Gonzaga, che nel 1504 «dedit et donavit huic Sanctae Societati Corporis Domini nostri Jesu Christi unam petiam terrae olivatae et cultae postam in curte Castel Gaife» (e. 190). Da una registrazione del 1510 dello stesso mastrino apprendiamo anche di un «podere ditto el Pian della Cava in la curte de Canthiano qual donò la felice memoria del Duca Guido a la Capella del Corpo de Christo de la Chiesa Cathedrale de Urbino» (e. 82r). Non mancarono poi frequenti doni ed offerte in danaro da parte delle duchesse Elisabetta ed Eleonora Gonzaga. L'esempio della famiglia ducale fu seguito da molti privati cittadini: nel suo testamento, redatto il 1 agosto 1510, Gentilesca, moglie di Giovanni Bei, nomina l'istituto erede universale dei suoi beni; l'anno succcessivo è la volta di Margherita Mangiotti [1], e l'elenco potrebbe continuare lunghissimo fino all'Ottocento. Le rendite dei beni e le donazioni in danaro liquido venivano poi investite nell'acquisto di fondi rustici o di altri beni immobili: risalgono ai primi anni del Cinquecento due pergamene che testimoniano proprio l'acquisto di due botteghe [2]. Ma la vita economica della Cappella ebbe un nuovo e decisivo impulso grazie alla munifica donazione di Guidubaldo da Monte-feltro che affidò all'istituto l'amministrazione di una delle maggiori e forse più antiche industrie del ducato. Nel 1507, infatti, il duca donò alla Compagnia una cartiera sita nel Castello di Fermignano con tutti gli edifici annessi e l'attrezzatura completa [3]. L'attività cartaria della Cappella meriterebbe uno studio a sé che mettesse a frutto l'abbondante documentazione conservata nell'archivio. Dell'argomento, comunque, si sono già occupati il Luzzatto e Teresa Damiani [4]: sarà sufficiente, in questa sede, fornire qualche breve notizia. In primo luogo, occorre ricordare che la cartiera di Fermignano riceveva l'acqua da una chiusa sul fiume Metauro che serviva anche un grande mulino da grano rimasto di proprietà ducale. La ripartizione delle spese di manutenzione e di riparazione della chiusa diede motivo ad una serie di liti fra gli eredi dei duchi e gli altri proprietari, in cui fu coinvolta anche la Cappella [5]. Il dono ducale, già di per sé ricco, acquistava un valore ancora maggiore perché unito al diritto privativo di raccogliere stracci e di vendere carta in quasi tutto il ducato di Urbino, tranne che per i territori di Fossombrone e Gubbio. I successori di Guidubaldo non solo confermarono la donazione ed ampliarono i privilegi della Cappella estendendoli anche al territorio di Fossombrone, mantenendo tuttavia l'eccezione di Gubbio, ma presero anche numerosi provvedimenti per ribadire e far rispettare tali diritti [6]. Anche dopo la devoluzione del ducato alla Santa Sede, avvenuta nel 1631, i medesimi privilegi furono ribaditi di decennio in decennio dai pontefici, nonostante le proteste dei Passionei di Fossombrone e di altre comunità del ducato, fino a Clemente XI che, con la bolla del 28 febbraio 1703, li confermò in perpetuo [7]. Il 3 settembre 1724, in seguito alle proteste di alcune comunità, Benedetto XIII ribadì che i diritti di esclusiva della Cappella si estendendavano anche alla fiera di Senigallia ed al commercio della carta fabbricata fuori dallo stato di Urbino [8]. In definitiva, dunque, la Cappella conservò tutti i suoi privilegi fino al 1841, quando il governo pontificio stabilì una privativa generale per la raccolta degli stracci in tutto lo Stato Pontificio, e sostituì i diritti di cui la Cappella godeva per tutto lo stato di Urbino con una rendita annua di 600 scudi [9]. Agevolati da privilegi tanto saldamente ribaditi, gli amministratori della Cappella ritennero opportuno prendere in affitto un altro stabilimento dedito ad attività analoga, ma commercialmente danneggiato dal fatto di non possedere alcuna privativa. L'esistenza di una seconda cartiera, detta dell'Acquasanta e situata nelle vicinanze di Fossombrone, era praticamente ignota alla storiografia locale; in base ai documenti conservati nell'archivio della Cappella, in particolare il certificato storico catastale (doc. 7), è possibile ora ricostruirne con precisione le vicende. La cartiera dell'Acquasanta di proprietà della famiglia Passionei, fu presa dunque in affitto dalla Cappella il 1 luglio 1722 con un contratto rinnovabile ogni nove anni. E sebbene un disastroso incendio avesse devastato lo stabilimento nel 1760 [10], esso doveva garantire buoni guadagni; tanto è vero che il 19 maggio 1796 gli amministratori della Cappella accettarono di stipulare un contratto di affitto perpetuo con l'erede di monsignor Benedetto Passionei, sebbene questi avesse richiesto un aumento del canone (doc. 6). La cartiera di Fermignano, come più tardi quella dell'Acquasanta, non era gestita direttamente, ma subaffittata con regolare contratto. I rapporti con i conduttori, che naturalmente cercavano di ricavare il maggiore profitto possibile dagli stabilimenti loro affidati, furono spesso burrascosi: nel 1552 Guidubaldo II inflisse una multa di ben 500 scudi a Marcantonio Brunetti, reo di vendere fuori dal ducato i cenci di migliore qualità invece di utilizzarli nella cartiera di Fermignano; nel 1579 fu necessario l'intervento di Francesco Maria II per imporre a Marchionne Caccialepri da Fermignano il pagamento del canone d'affitto [11]. Ed i conflitti continuarono nei secoli fino all'annosa vertenza giudiziaria sostenuta contro Giambattista Corradi, affittuario delle cartiere fra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. Con il procedere degli anni, per diverse ragioni, diminurono i profitti; in particolare, attorno alla metà dell'Ottocento, la rivoluzione tecnologica intervenuta nella produzione della carta rese necessaria una serie di costose innovazioni, senza le quali non era più possibile reggere la concorrenza con altri stabilimenti. Di conseguenza, nel 1862, il Consiglio di amministrazione stabilì di abbandonare la cartiera dell'Acquasanta. Dopo amichevoli trattative con i proprietari si convenne di sciogliere il contratto di affitto perpetuo in cambio, da parte della Cappella, di un'ammenda di 500 scudi Romani; i proprietari, da parte loro, si impegnarono per sé e per i .propri successori a non usare in perpetuo il locale come cartiera o per la lavorazione di carte e cartoni [12], clausula concordata evidentemente per salvaguardare la cartiera di Fermignano (doc. 7). Tutta l'attrezzatura per la lavorazione della carta restò di proprietà della Cappella e fu trasferita nella cartiera di Fermignano [13]. Anche quest'ultima, del resto, non versava in condizioni molto migliori: l'amministrazione non solo non disponeva dei fondi necessari a rinnovare l'attrezzatura che, ormai invecchiata, non poteva più reggere la concorrenza di altre cartiere, ma non aveva neppure la possibilità di risanare le strutture murarie, ormai malandate ed addirittura pericolanti. Così, appena un decennio più tardi, nel 1871, il consiglio di Reggenza decise di vendere la cartiera di Fermignano, con tutti gli stabili e le attrezzature connesse, ai principi Albani per la somma di lire 22.000, investita poi nell'acquisto di fondi rustici (doc. 8) [14]. La produzione cartaria non fu l'unica attività industriale, per così dire, in cui si impegnò la Cappella del SS. Sacramento: il 15 novembre 1725, infatti, il consiglio di Reggenza deliberò di istituire una nuova tipografia, denominata appunto Stamperia della Venerabile Cappella del SS. Sacramento, in sostituzione di quella già esistente in Urbino, ormai decaduta ed invecchiata [15]. Patrono del progetto fu il Cardinal Annibale Albani, che intendeva realizzare un desiderio dello zio, il pontefice Clemente XI. Nella realizzazione dell'impresa il Cardinale di San Clemente gareggiò in munificenza con il primo benefattore, Guidubaldo da Montefeltro: la tipografia infatti fu fornita con ampiezza di mezzi non solo di splendidi rami incisi, ma addirittura di una getteria; inoltre, i libri stampati in Urbino erano esentati da qualunque gabella entro lo stato pontificio. Condizioni tanto favorevoli contribuirono ad attirare in Urbino tipografi di grande prestigio come Antonio Fantauzzi, Girolamo Mainardi, Giovanni Guerrini, che qui furono in grado di produrre edizioni eleganti e di gran lusso. Ancora all'inizio deU'800 Vincenzo Guerrini approntò molte belle edizioni, per lo più liturgiche, utilizzando i rami di proprietà della Cappella; ma poi le sorti della celebre tipografia andarono via via declinando nel quadro della generale crisi dell'economia urbinate. Dopo la morte di Vincenzo Guerrini, nel 1840, la tipografia venne data in affitto ai tipografi Luigi Alippi e Giuseppe Rondini; poi, nel 1864, a Savino Rocchetti e Giovanni Ricci; successivamente a Elpidio Righi, a Melchiorre Arduini, finché nel 1915 passò definitivamente nelle mani di privati e fu acquistata da Giuseppe Foschi. Naturalmente l'acquisto riguardava solo il materiale tipografico di uso corrente, una parte del quale (come matrici, punzoni, fregi), recentemente recuperata presso gli eredi del tipografo Foschi dal professor Pietro Sanchini, é stata esposta nel febbraio 1980 in una interessante mostra [16] ed in seguito donata alla Cappella. I rami settecenteschi, invece, rimasero di proprietà della Cappella, presso il cui archivio sono tuttora conservati. Nonostante tutte queste attività, e la protezione prima dei duchi poi degli Albani, spesso l'economia della Cappella attraversò momenti non felici. In particolare, nel 1799 si accarezzò addirittura il progetto di incamerare i beni della Confraternita del Corpus Domini, ricca di numerosi possedimenti fondiari a reddito costante; ma l'opposizione dei confratelli del Corpus Domini vanificò ogni tentativo [17]. [1] A.C.M., tit. II, busta 3, fase. Ili, ce. 403-407; 408-411. [2] A.C.M., tit. I, busta 1, pergamene nn. 9 e 10. [3] a.c.m., tit. I, busta 1, pergamena n. 1. La donazione, del 7 agosto 1507, è un atto del notaio Nicolò di Simone Sansoni; esso è trascritto dal ligi, La Cappella ..., p. 27 sg., doc. I. [4] G. luzzatto, Un'antica cartiera dei Montefeltro a Fermignano, «Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria per le Marche», I, 1904, fase. I, pp. 88-93; T. Damiani, La cartiera di Fermignano e l'industria della carta nel Ducato e nella Legazione di Urbino, «Studi Urbinati B/l», LV, 1981/82, pp. 49-77. [5] L'opuscolo Informazioni di fatto per la Venerabile Cappella del SS. Sacramento della Metropolitana di Urbino, Urbino, Stamperia della Ven. Cappella del SS. Sacramento, 1775, conserva le riflessioni dei legali della Cappella tese a dissociarla dalla partecipazione alle spese sostenute per vari lavori di bonifica. Il fascicolo, abbastanza raro, è interessante perché fa tutta la storia documentata dei beni ducali a Fermignano e delle donazioni fatte alla Cappella del SS. Sacramento, con allegato anche un grafico della cartiera e dei molini dislocati lungo il fiume Metauro. [6] Le conferme ducali, conservate in A.C.M., tit. II, busta 17, fase. 1, si succedono secondo questo ordine: Francesco Maria I della Rovere, 20 aprile 1509; Guidubaldo II della Rovere, 9 aprile 1549; Francesco Maria II della Rovere, 7 febbraio 1582. Altri provvedimenti a tutela delle privative della Cappella sono citati da T. Damiani, La cartiera ..., che prende in esame anche gli statuti di varie città del ducato. [7] Urbano VTH, 3 aprile 1632 e 1642; Innocenzo X, 1652; Alessandro VII, 21 settembre 1662; Clemente X, 1672; Innocenzo XI, 25 febbraio 1682; Innocenzo XII, 16 aprile 1692; Clemente XI, 28 febbraio 1703. [8] a.c.m., tit. I, busta 1, pergamena n. 7. [9] ligi, La Cappella ..., p. 26 [10] Su tale incendio si vedano varie relazioni in a.c.m., tit. II, busta 13, fase. Ili, ce. 474-478 e tit. Il, busta 11, fase. VI, ce. 91-109. Proprio da un memoriale sull'incendio si apprende che la Cappella del SS. Sacramento iniziò a prendere in affitto la cartiera dell'Acquasanta nel 1722, A.C.M., tit. II, busta 11, fase. VI, e. 105r, notizia confermata da un altro memoriale compilato dagli eredi Passionei: tit. II, busta 17, fase. V, ce. 65-66. [11] DAMIANI, La cartiera ..., pp. 64 e 69. [12] L'atto di scioglimento dell'affitto perpetuo della cartiera dell'Acquasanta è conservato in a.c.m., tit. II, busta 2, fase. IV, ce. 202-207; cfr. anche doc. 7.
[13] L'inventario di tutto il materiale trasferito a Fermignano e consegnato il 21 maggio 1862 al custode di quella cartiera, Crescentino Ceccarelli, si trova in a.c.m., tit. II, busta 2, fase. V, ce. 305-308. [14] parenti, Un quinquennio ..., p. 12. [15] L. MORANTI, L'arte tipografica in Urbino (1493-1800). Con appendice di documenti e annali, Firenze, L. Olschki 1967 (Biblioteca di bibliografia italiana, 49), pp. 66 sgg. [16] 51 La tipografia: mestiere o arte? Presentazione di documenti e reperti di un recente passato. La locandina della mostra è stata stampata in proprio del professor Sanchini in Urbino nella sua Bottega d'incisione di via Lavaggine, n. 26. [17] 52 L. morantt, La Confraternita del Corpus Domini ..., p. 53 sg. A.c.M., Libri delle Risoluzioni Consiliari, Vili (1769-1803), ce. 147v, 150r, consigli del 25 luglio e 26 agosto 1799; p. 304, consiglio del 3 marzo 1801.
La Società del Corpo di Cristo fu fondata per incentivare e celebrare solennemente il culto del SS. Sacramento: l'impegno fondamentale, cui tutti gli associati erano tenuti a partecipare, consisteva nel celebrare in suo onore una messa solenne ogni primo giovedì del mese, poi spostata alla prima domenica. Ma occorre ricordare subito che fra le varie forme adottate dalla Cappella per incentivare e rendere più solenne il culto del SS. Sacramento, quella più caratteristica fu certamente di coltivare il canto e la musica sacra in relazione alle funzioni che si svolgevano nella Metropolitana. Il canonico Bramante Ligi stabilisce una stretta connessione fra le origini dell'istituto e le più antiche testimonianze urbinati di canto liturgico [1]; gli stessi duchi avrebbero sostenuto e favorito la Cappella proprio in quanto ente da loro deputato a potenziare l'attività musicale, adeguandola ai raffinati gusti della corte: questa la tesi che emerge dalle pagine iniziali del volume del Ligi. In realtà, sia i capitoli approvati nel 1583 che quelli precedenti non fanno mai riferimento a questa attività dell'istituto; si limitano a prescrivere la celebrazione di messe o altre funzioni arricchite dal canto, ma non citano affatto un organico musicale; d'altro canto, è sufficiente scorrere i numerosi documenti citati dal Ligi per rendersi conto della sollecitudine con cui i duchi consigliavano, od ordinavano, l'assunzione di musici e cantori, preoccupandosi anche del loro pagamento [2]. A confermare che, almeno inizialmente, la Cappella pagava alcuni musici o cantori che prestavano il loro servizio presso la Cattedrale, vorrei aggiungere un documento a quelli citati dal Ligi, e precisamente una lettera di Francesco Maria II che mi sembra molto interessante: Luogotenente, il Maestro di Capella di cotesta città ha fatto sapere di ricevere qualche aggravio nel servitio che fa, come da lui medesimo potete intendere, pretendendosi da alcuni che li Bassi, et Soprani et altre voci sottoposte a lui, possino andare a cantare dove sono invitati senza licenza sua, cosa che dice esser insolita, et apportare pregiuditio alla Chiesa principale, dove son obligati servir prima, et all'offitio che sostiene lui di Maestro di Capella, che senza sua licenza non devono andar in luogo alcuno nel tempo del servitio dell'Arcivescovado. Però non manca-rete voi d'informarvi quanto prima di tutto quello ch'è sollito farsi in caso tale, volendo noi ch'el Maestro di Capella sia rispettato et obedito in tutto quel che conviene all'offitio suo, et si serva con lui il sollito che si fa con altri. E perché dal medesimo ci viene fatto anche intendere ch'el canonico Martinelli [3] è provisionato dalla Capella per uno de' Musici con venti scudi l'anno di provisione, et che solo non serve, ma quando il Maestro di Capella gli fa dire che vadi a cantare, dice che non ha che fare seco, et patì perciò il servitio della Chiesa; non mancarete di parlare subito alli Consiglieri della Capella per intendere come stia questo fatto, et per // farci la provisione di desse, non convenendo dar provisione a chi non serve, et potrete parlarne anco al medesimo Martinello per intendere quel che dice, per farci poi quanto prima piena relatione. Di Casteldurante il primo di luglio 1602 [4].
In ogni caso, ci occuperemo qui di seguito di alcuni obblighi statutari, in larga parte imposti dalla donazione di Guidubaldo da Montefeltro. In primo luogo, il duca aveva disposto, «ut augeatur cultus di-vinus et numerus deserventium in dieta ecclesia», la nomina di due cappellani, i quali «teneantur quotidie per se vel per alios celebrare Missam ad dictum Altarem Corporis Christi prò anima Illustrissimi Domini Ducis donatoris et deservire in Choro in Missis, Vesperis et aliis horis cantatis». Questo obbligo creò alcune difficoltà agli amministratori della Cappella, perché non sempre i cappellani adempivano con la dovuta attenzione il loro incarico. Nel consiglio del 3 ottobre 1560, fu necessario intervenire duramente per ristabilire un po' di disciplina: Adì 3 ottobre 1560. Fu ordinato, stabilito e risoluto dagli infrascritti signori consiglieri et officiali di detta Capella cioè: (omissis) che si leghino li Capitoli di detta Capella, e così per me notaro infrascritto furono letti. Maxime vedendo il disordine et il defetto dei capellani che continuamente mancano in dir e cellebrar messe et in gl'altri loro offitij. Però fu stabilito per obviare a detti disordini e deffetti che il Vicario del Capitolo dei Signori Canonici tenga cura particolare de detti capellani che mancano del lor debito e offitio che son tenuti per i decreti e conventioni e obligationi fatte sì come in detti decreti, et tanto quanto mancano in dir e cellebrar messe, quanto anco mancano d'andar all'hore cantate currenti sì come sono tenuti, sì come retener anco cura dei signori canonici // (e. 52r) che mancano, acciò la chiesa ne venga servita si come è mente di Sua Eccellenza e loro adempiano e facciano il debito loro. Et che mancando de dir messa ogni dì caschino in pena di due bolognini per volta, et quando mancano d'esser presenti all'hore cantate, caschino in pena d'un bolognino per ciaschun'hora cantata, et li giorni di festa che si duplichino le dette pene per retenersi dal lor salario, applicandosi a detta Capella, et ciò se faccia intendere tal disordine a Sua Eccellenza et se adimandi la confermatione di tal ordine. Acciò per l'avenir sia continuamente osservato inviolabilmente. Et io Gabrielle notaro di detta Capella rogato e pregato da detti signori Consiglieri [5]. L'iniziativa fu ben gradita a Guidubaldo II, che subito provvide ad impartire le disposizioni necessarie a reprimere l'atteggiamento incurante dei cappellani [6]. Proprio per impedire simili irregolarità, che dovevano verificarsi di frequente, con una delibera del 18 maggio 1581 il numero dei cappellani fu portato a quattro in modo che potessero servire a settimane alterne [7], e tale fu confermato dal capitolo X degli statuti emanati nel 1583, che stabilisce per essi obblighi precisi e varie pene per le eventuali inadempienze. La donazione di Guidubaldo imponeva inoltre alla Cappella di sostenere ogni anno, in occasione della ricorrenza della morte del donatore, la spesa per un solenne officio funebre «in quo adsint ad minus triginta Sacerdotes et Missae», obbligo confermato dagli statuti successivi. A questo officio Francesco Maria II aggiunse l'obbligo di celebrare una serie di funzioni solenni, specialmente in occasione della Settimana Santa, elencate dettagliatamente nel capitolo XIII degli statuti. Proprio a proposito della celebrazione di alcune messe, nel novembre 1583, cioè appena due mesi dopo l'approvazione degli statuti, il cattolicissimo duca reagì duramente contro l'arcivescovo urbinate Antonio Giannotti, come si è già detto. Nel consiglio del 29 ottobre 1721, poi, la Cappella si assunse l'obbligo di celebrare una messa cantata ed altre messe piane nel giorno di San Clemente, in onore del corpo del santo, conservato nell'altare della Cappella del SS. Sacramento, e di Clemente XI che aveva donato la preziosa reliquia [8]. Fra gli obblighi della Cappella il capitolo XIII degli statuti elenca dettagliatamente anche una serie di «luminarie» da allestire in varie occasioni più o meno solenni. In particolare, essa era tenuta fin dal 1507 a provvedere alla «expensa cerae» necessaria a mantenere perennamente accese le «cinque Lampade solite» davanti all'altare del SS. Sacramento, che poi furono ridotte a tre nel consiglio del 17 dicembre 1599 [9]. Inoltre, collaborava con i confratelli del Corpus Domini nella pia incombenza di portare l'eucarestia ai poveri infermi; mentre quelli, infatti, erano tenuti ad accompagnare il Santissimo Sacramento, vestiti con la tradizionale cappa [10], la Cappella forniva le «otto torce di cera bianca» con i due lanternoni, nonché una piccola elemosina ai chierici intervenuti alla cerimonia. Infine, Guidubaldo aveva disposto che il danaro eccedente fosse utilizzato «in honorem Corporis Christi et alios pios usus et cetera bona ipsius Societatis»; questa formula, espressamente citata negli statuti del 1581, fu interpretata come l'obbligo di fornire i paramenti necessari all'altare del SS. Sacramento, e di ornare adeguatamente la Cappella del Duomo ad esso dedicata, sede della Società. La Cappella riconobbe come suo obbligo anche quello di erogare qualche elemosina ai poveri della città secondo il giudizio del Consiglio. Tradizionale era la„distribuzione dei pani in occasione del Natale e di altre festività; ma scorrendo i libri delle risoluzioni consiliari si trovano anche frequenti delibere che prendono in considerazione richieste avanzate da persone particolarmente bisognose: per esempio, nel consiglio del 4 febbraio 1563 ... fu letta una poliza di Girolamo Tura dove adimandava qualche elemosina per potersi sostentare nella sua infermità. Per così fu ordinato ch'el Massaro gli dovesse dare fiorini venti. Inoltre fu raccomandato Mastro Durante vasaro nel Borgo del Monte, et detto che si ritrovava a malissimo partito et ch'essendo stato sempre huomo da bene se gli dovesse ordinare qualche elemosina, et fu risoluto che segli dovesse dare per amore d'Iddio un fiorino [11]. Nel corso dei secoli, come si è già accennato, l'attività musicale si sviluppò sempre più e, grazie anche alle buone disponibilità finanziarie, la Cappella si dedicò a sovvenzionare una serie di iniziative, come le scuole di musica e la Banda, su cui ci soffermeremo in seguito. Addirittura il nome fu mutato in quello di «Cappella Musicale del SS. Sacramento», e nell'articolo 1 dello statuto attuale, approvato nel 1854, pur essendo confermato l'interesse per la «nobiltà e decoro degli esercizi di culto», l'ente è esplicitamente definito «pubblica istituzione nel canto e nel suono». Di conseguenza il consiglio, soprattutto nel periodo fra la fine deH'800 e l'inizio del '900, si ritenne autorizzato a lasciar prevalere nel suo bilancio l'interesse per la musica di carattere meramente profano (contributi alla Banda Cittadina, all'allestimento di opere liriche, operette ecc.) a discapito della musica sacra. Questo mutato atteggiamento dell'ente diede naturalmente luogo a controversie e recriminazioni da parte di alcuni cittadini e, massime, del Reverendo Capitolo Metropolitano il quale, come tutore e promotore del culto divino della cattedrale, reclamava l'osservanza statutaria e quindi il ritorno agli scopi iniziali della istituzione. Proprio al fine di eliminare tali contestazioni, si decise di aggiornare lo Statuto nel 1924 [12]. [1] A tale proposito egli cita due bolle, la prima emanata da Eugenio IV il 14 novembre 1439 e la seconda da Sisto IV il 9 febbraio 1482; esse disponevano che le rendite dei beni della soppressa abbazia di S. Vincenzo di Pietralata presso il Furio, aggregata al Capitolo di Urbino, servissero in larga misura al mantenimento di un gruppo di giovani cantori e Maestri di canto: ligi, La Cappella ..., pp. 6-23; il testo delle due bolle pontificie è riportato a pp. 18-21, docc. Ili e IV. [2] ligi, La Cappella ..., pp. 3-5, e pp. 46 sgg. Vorremmo aggiungere una testimonianza, non citata dal Ligi, che ben documenta l'atteggiamento di Guidubaldo II; quando, infatti, scelse come Basso un certo frate Agostino, pagandolo due scudi al mese, il duca si dimostrò particolarmente deciso: «et comandamo et ordinamo che si eseguisse et obedisse senza replica ... il quale frate cominciò a servire alli xxiii settembre 1563.» a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 74v, consiglio del 7 ottobre 1563. [3] Solo un anno prima il canonico Martinelli, allora governatore della Compagnia della Grotta, era stato denunciato al duca per il suo comportamento irregolare, se non scandaloso: moranti, Note sulle meretrici ..., p. 82. [4] A.s.u., Cancelleria civile e criminale, Carteggio, 1602. [5] 57 a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), ce. 51v-52r. [6] ligi, La Cappella..., p. 76 sg. trascrive la lettera di risposta del duca (doc. LX) ed una sua lettera indirizzata ai canonici per sollecitare il necessario controllo (doc. X). [7] A.C.M., Libri delle Risoluzioni Consiliari, II (1581-1599), e. 6v. [8] 60 a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, VI (1712-1734), e. 69v. [9] A.C.M., Libri delle Risoluzioni Consiliari, III (1599-1641), e. 9v. [10] Cfr. L. moranti, La Confraternita del Corpus Domini ..., pp. 40-42. [11] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 69v. [12] Le modifiche furono compilate dall'avvocato Carlo Grappa, allora Segretario comunale, come si legge in una lettera della Sottoprefettura del 24 maggio 1924, con la quale si delibera una gratificazione di 200 lire per il lavoro fatto. A.C.M., tit. I, busta 19, fase. II.
Finalità ed obblighi
La Società del Corpo di Cristo fu fondata per incentivare e celebrare solennemente il culto del SS. Sacramento: l'impegno fondamentale, cui tutti gli associati erano tenuti a partecipare, consisteva nel celebrare in suo onore una messa solenne ogni primo giovedì del mese, poi spostata alla prima domenica. Ma occorre ricordare subito che fra le varie forme adottate dalla Cappella per incentivare e rendere più solenne il culto del SS. Sacramento, quella più caratteristica fu certamente di coltivare il canto e la musica sacra in relazione alle funzioni che si svolgevano nella Metropolitana. Il canonico Bramante Ligi stabilisce una stretta connessione fra le origini dell'istituto e le più antiche testimonianze urbinati di canto liturgico [1]; gli stessi duchi avrebbero sostenuto e favorito la Cappella proprio in quanto ente da loro deputato a potenziare l'attività musicale, adeguandola ai raffinati gusti della corte: questa la tesi che emerge dalle pagine iniziali del volume del Ligi. In realtà, sia i capitoli approvati nel 1583 che quelli precedenti non fanno mai riferimento a questa attività dell'istituto; si limitano a prescrivere la celebrazione di messe o altre funzioni arricchite dal canto, ma non citano affatto un organico musicale; d'altro canto, è sufficiente scorrere i numerosi documenti citati dal Ligi per rendersi conto della sollecitudine con cui i duchi consigliavano, od ordinavano, l'assunzione di musici e cantori, preoccupandosi anche del loro pagamento [2]. A confermare che, almeno inizialmente, la Cappella pagava alcuni musici o cantori che prestavano il loro servizio presso la Cattedrale, vorrei aggiungere un documento a quelli citati dal Ligi, e precisamente una lettera di Francesco Maria II che mi sembra molto interessante: Luogotenente, il Maestro di Capella di cotesta città ha fatto sapere di ricevere qualche aggravio nel servitio che fa, come da lui medesimo potete intendere, pretendendosi da alcuni che li Bassi, et Soprani et altre voci sottoposte a lui, possino andare a cantare dove sono invitati senza licenza sua, cosa che dice esser insolita, et apportare pregiuditio alla Chiesa principale, dove son obligati servir prima, et all'offitio che sostiene lui di Maestro di Capella, che senza sua licenza non devono andar in luogo alcuno nel tempo del servitio dell'Arcivescovado. Però non manca-rete voi d'informarvi quanto prima di tutto quello ch'è sollito farsi in caso tale, volendo noi ch'el Maestro di Capella sia rispettato et obedito in tutto quel che conviene all'offitio suo, et si serva con lui il sollito che si fa con altri. E perché dal medesimo ci viene fatto anche intendere ch'el canonico Martinelli [3] è provisionato dalla Capella per uno de' Musici con venti scudi l'anno di provisione, et che solo non serve, ma quando il Maestro di Capella gli fa dire che vadi a cantare, dice che non ha che fare seco, et patì perciò il servitio della Chiesa; non mancarete di parlare subito alli Consiglieri della Capella per intendere come stia questo fatto, et per // farci la provisione di desse, non convenendo dar provisione a chi non serve, et potrete parlarne anco al medesimo Martinello per intendere quel che dice, per farci poi quanto prima piena relatione. Di Casteldurante il primo di luglio 1602 [4].
In ogni caso, ci occuperemo qui di seguito di alcuni obblighi statutari, in larga parte imposti dalla donazione di Guidubaldo da Montefeltro. In primo luogo, il duca aveva disposto, «ut augeatur cultus di-vinus et numerus deserventium in dieta ecclesia», la nomina di due cappellani, i quali «teneantur quotidie per se vel per alios celebrare Missam ad dictum Altarem Corporis Christi prò anima Illustrissimi Domini Ducis donatoris et deservire in Choro in Missis, Vesperis et aliis horis cantatis». Questo obbligo creò alcune difficoltà agli amministratori della Cappella, perché non sempre i cappellani adempivano con la dovuta attenzione il loro incarico. Nel consiglio del 3 ottobre 1560, fu necessario intervenire duramente per ristabilire un po' di disciplina: Adì 3 ottobre 1560. Fu ordinato, stabilito e risoluto dagli infrascritti signori consiglieri et officiali di detta Capella cioè: (omissis) che si leghino li Capitoli di detta Capella, e così per me notaro infrascritto furono letti. Maxime vedendo il disordine et il defetto dei capellani che continuamente mancano in dir e cellebrar messe et in gl'altri loro offitij. Però fu stabilito per obviare a detti disordini e deffetti che il Vicario del Capitolo dei Signori Canonici tenga cura particolare de detti capellani che mancano del lor debito e offitio che son tenuti per i decreti e conventioni e obligationi fatte sì come in detti decreti, et tanto quanto mancano in dir e cellebrar messe, quanto anco mancano d'andar all'hore cantate currenti sì come sono tenuti, sì come retener anco cura dei signori canonici // (e. 52r) che mancano, acciò la chiesa ne venga servita si come è mente di Sua Eccellenza e loro adempiano e facciano il debito loro. Et che mancando de dir messa ogni dì caschino in pena di due bolognini per volta, et quando mancano d'esser presenti all'hore cantate, caschino in pena d'un bolognino per ciaschun'hora cantata, et li giorni di festa che si duplichino le dette pene per retenersi dal lor salario, applicandosi a detta Capella, et ciò se faccia intendere tal disordine a Sua Eccellenza et se adimandi la confermatione di tal ordine. Acciò per l'avenir sia continuamente osservato inviolabilmente. Et io Gabrielle notaro di detta Capella rogato e pregato da detti signori Consiglieri [5]. L'iniziativa fu ben gradita a Guidubaldo II, che subito provvide ad impartire le disposizioni necessarie a reprimere l'atteggiamento incurante dei cappellani [6]. Proprio per impedire simili irregolarità, che dovevano verificarsi di frequente, con una delibera del 18 maggio 1581 il numero dei cappellani fu portato a quattro in modo che potessero servire a settimane alterne [7], e tale fu confermato dal capitolo X degli statuti emanati nel 1583, che stabilisce per essi obblighi precisi e varie pene per le eventuali inadempienze. La donazione di Guidubaldo imponeva inoltre alla Cappella di sostenere ogni anno, in occasione della ricorrenza della morte del donatore, la spesa per un solenne officio funebre «in quo adsint ad minus triginta Sacerdotes et Missae», obbligo confermato dagli statuti successivi. A questo officio Francesco Maria II aggiunse l'obbligo di celebrare una serie di funzioni solenni, specialmente in occasione della Settimana Santa, elencate dettagliatamente nel capitolo XIII degli statuti. Proprio a proposito della celebrazione di alcune messe, nel novembre 1583, cioè appena due mesi dopo l'approvazione degli statuti, il cattolicissimo duca reagì duramente contro l'arcivescovo urbinate Antonio Giannotti, come si è già detto. Nel consiglio del 29 ottobre 1721, poi, la Cappella si assunse l'obbligo di celebrare una messa cantata ed altre messe piane nel giorno di San Clemente, in onore del corpo del santo, conservato nell'altare della Cappella del SS. Sacramento, e di Clemente XI che aveva donato la preziosa reliquia [8]. Fra gli obblighi della Cappella il capitolo XIII degli statuti elenca dettagliatamente anche una serie di «luminarie» da allestire in varie occasioni più o meno solenni. In particolare, essa era tenuta fin dal 1507 a provvedere alla «expensa cerae» necessaria a mantenere perennamente accese le «cinque Lampade solite» davanti all'altare del SS. Sacramento, che poi furono ridotte a tre nel consiglio del 17 dicembre 1599 [9]. Inoltre, collaborava con i confratelli del Corpus Domini nella pia incombenza di portare l'eucarestia ai poveri infermi; mentre quelli, infatti, erano tenuti ad accompagnare il Santissimo Sacramento, vestiti con la tradizionale cappa [10], la Cappella forniva le «otto torce di cera bianca» con i due lanternoni, nonché una piccola elemosina ai chierici intervenuti alla cerimonia. Infine, Guidubaldo aveva disposto che il danaro eccedente fosse utilizzato «in honorem Corporis Christi et alios pios usus et cetera bona ipsius Societatis»; questa formula, espressamente citata negli statuti del 1581, fu interpretata come l'obbligo di fornire i paramenti necessari all'altare del SS. Sacramento, e di ornare adeguatamente la Cappella del Duomo ad esso dedicata, sede della Società. La Cappella riconobbe come suo obbligo anche quello di erogare qualche elemosina ai poveri della città secondo il giudizio del Consiglio. Tradizionale era la„distribuzione dei pani in occasione del Natale e di altre festività; ma scorrendo i libri delle risoluzioni consiliari si trovano anche frequenti delibere che prendono in considerazione richieste avanzate da persone particolarmente bisognose: per esempio, nel consiglio del 4 febbraio 1563 ... fu letta una poliza di Girolamo Tura dove adimandava qualche elemosina per potersi sostentare nella sua infermità. Per così fu ordinato ch'el Massaro gli dovesse dare fiorini venti. Inoltre fu raccomandato Mastro Durante vasaro nel Borgo del Monte, et detto che si ritrovava a malissimo partito et ch'essendo stato sempre huomo da bene se gli dovesse ordinare qualche elemosina, et fu risoluto che segli dovesse dare per amore d'Iddio un fiorino [11]. Nel corso dei secoli, come si è già accennato, l'attività musicale si sviluppò sempre più e, grazie anche alle buone disponibilità finanziarie, la Cappella si dedicò a sovvenzionare una serie di iniziative, come le scuole di musica e la Banda, su cui ci soffermeremo in seguito. Addirittura il nome fu mutato in quello di «Cappella Musicale del SS. Sacramento», e nell'articolo 1 dello statuto attuale, approvato nel 1854, pur essendo confermato l'interesse per la «nobiltà e decoro degli esercizi di culto», l'ente è esplicitamente definito «pubblica istituzione nel canto e nel suono». Di conseguenza il consiglio, soprattutto nel periodo fra la fine deH'800 e l'inizio del '900, si ritenne autorizzato a lasciar prevalere nel suo bilancio l'interesse per la musica di carattere meramente profano (contributi alla Banda Cittadina, all'allestimento di opere liriche, operette ecc.) a discapito della musica sacra. Questo mutato atteggiamento dell'ente diede naturalmente luogo a controversie e recriminazioni da parte di alcuni cittadini e, massime, del Reverendo Capitolo Metropolitano il quale, come tutore e promotore del culto divino della cattedrale, reclamava l'osservanza statutaria e quindi il ritorno agli scopi iniziali della istituzione. Proprio al fine di eliminare tali contestazioni, si decise di aggiornare lo Statuto nel 1924 [12]. ________________________________ [1] A tale proposito egli cita due bolle, la prima emanata da Eugenio IV il 14 novembre 1439 e la seconda da Sisto IV il 9 febbraio 1482; esse disponevano che le rendite dei beni della soppressa abbazia di S. Vincenzo di Pietralata presso il Furio, aggregata al Capitolo di Urbino, servissero in larga misura al mantenimento di un gruppo di giovani cantori e Maestri di canto: ligi, La Cappella ..., pp. 6-23; il testo delle due bolle pontificie è riportato a pp. 18-21, docc. Ili e IV. [2] ligi, La Cappella ..., pp. 3-5, e pp. 46 sgg. Vorremmo aggiungere una testimonianza, non citata dal Ligi, che ben documenta l'atteggiamento di Guidubaldo II; quando, infatti, scelse come Basso un certo frate Agostino, pagandolo due scudi al mese, il duca si dimostrò particolarmente deciso: «et comandamo et ordinamo che si eseguisse et obedisse senza replica ... il quale frate cominciò a servire alli xxiii settembre 1563.» a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 74v, consiglio del 7 ottobre 1563. [3] Solo un anno prima il canonico Martinelli, allora governatore della Compagnia della Grotta, era stato denunciato al duca per il suo comportamento irregolare, se non scandaloso: moranti, Note sulle meretrici ..., p. 82. [4] A.s.u., Cancelleria civile e criminale, Carteggio, 1602. [5] 57 a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), ce. 51v-52r. [6] ligi, La Cappella..., p. 76 sg. trascrive la lettera di risposta del duca (doc. LX) ed una sua lettera indirizzata ai canonici per sollecitare il necessario controllo (doc. X). [7] A.C.M., Libri delle Risoluzioni Consiliari, II (1581-1599), e. 6v. [8] 60 a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, VI (1712-1734), e. 69v. [9] A.C.M., Libri delle Risoluzioni Consiliari, III (1599-1641), e. 9v. [10] Cfr. L. moranti, La Confraternita del Corpus Domini ..., pp. 40-42. [11] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, I (1551-1580), e. 69v. [12] Le modifiche furono compilate dall'avvocato Carlo Grappa, allora Segretario comunale, come si legge in una lettera della Sottoprefettura del 24 maggio 1924, con la quale si delibera una gratificazione di 200 lire per il lavoro fatto. A.C.M., tit. I, busta 19, fase. II.
A questo punto occorre soffermarsi, seppure brevemente, sulle vicende del Concerto cittadino che fu dalla sua fondazione strettamente legato alla Cappella, sebbene tale attività fosse estranea alle finalità originarie dell'istituto. L'istituzione del concerto risale al settembre 1798, quando lo stato maggiore della Guardia Nazionale ordinò alla Municipalità di organizzare una banda militare di strumenti a fiato da affiancare al corpo di guardia omonimo. La Municipalità, già impegnata a soddisfare con molti disagi le necessità delle truppe di occupazione, si rivolse alla Cappella come all'istituzione cittadina più idonea ad organizzare e a mantenere una banda. Infatti, nel consiglio del 7 settembre 1798, alla presenza del «cittadino Berioli Arcivescovo», noto per le sue simpatie repubblicane, si discusse l'argomento e, constatata una certa disponibilità finanziaria dovuta all'incremento delle entrate delle cartiere e della tipografia, si concluse di destinare tutte le risorse economiche eccedenti a favore della istituenda banda [1]. Formalmente la nuova banda era alle dipendenze della Municipalità, mentre la Cappella si limitava a fornire dei contributi economici [2]; in pratica la situazione era molto più confusa, come si deduce da una risoluzione del 16 luglio dello stesso anno: ... in luogo del signor Aldebrando Ricciarelli suonatore di obboe, asportato cogli altri detenuti a Venezia, si deputò ed elesse il signor don Paolo della Corte Portoghese, il quale unitamente a Stefano Ligi e Carlo Friggeri dovranno suonare nella Banda. Tale però si aggiunse dalla Cappella per aderire ai voti ed alle istanze della maggior parte della cittadinanza ed a condizione che il resto della Banda rimanga stipendiata dal Pubblico, e tutta intiera sia tenuta et obbligata d'intervenire a suonar gratis in tutte le processioni del Duomo ...[3] Non sappiamo con precisione fino a quando la Cappella continuò ad erogare contributi a favore della banda. Certamente all'inizio dell'Ottocento l'istituto venne a trovarsi in gravi ristrettezze finanziarie, tanto da ... ridurre le musiche concertate cogl'istromenti da 5 principali solennità in tutto l'anno, onde risparmiare il soldo dei Sonatori lasciandoli quindi nella libertà di frattanto applicarsi ad altro provvedimento, al qual fine si è serbato loro l'onorario di due mesi a tutto il venturo Febrajo, ma sia pur anco diminuito per la quinta parte l'emolumento ai Cantanti ed a tutti gl'altri stipendiati della Cappella ...[4] Certamente anche la banda risentì di questa crisi; tuttavia essa continuò a sopravvivere, tanto che nel 1831 prestava ancora servizio, anche se gratuitamente: L'Illustrissimo Signor Gonfaloniere ha raccontato che ai 13 delle scorso luglio [1831] i Signori Bandisti da lui pregati, si recarono a Calmazzo per festeggiare la passata per quel villaggio dell'Illustrissimo Principe Cardinale Giuseppe Albani nostro beneficentissimo Protettore e Legato di questa Provincia, il quale venendo alla Legazione andò tosto a Senigallia per presiedere a quella Fiera; ed ha medesimamente narrato che in quella gita fatta in onore della Patria non hanno avuto né onorario né gratificazione di sorta alcuna, avendo solamente richiesto che di ciò si ragguagli il General Consiglio, affinché la cosa si sappia com'è. Tutta l'adunanza ricordante quest'atto di cortesia effettuato non senza disagio dei prenominati Bandisti, ha concordemente risoluto che se ne renda loro le debite grazie accompagnate da vive congratulazioni per l'onore che portano alla comune Patria ...[5] Evidentemente il corpo bandistico si reggeva solo grazie alla passione dei suonatori; ma è probabile che negli anni successivi esso si sia dissolto, visto che non abbiamo trovato altre testimonianze sulla sua attività. Anzi, forse proprio per colmare il vuoto creato dal suo scioglimento, nel 1852 si tentò di istituire un vero e proprio Concerto cittadino. L'unica testimonianza da noi trovata di questo generoso tentativo è un opuscoletto intitolato appunto Regolamento pel Concerto musicale di Urbino [6]. I ben sessanta articoli del regolamento farebbero supporre una società ben organizzata, ma, forse per difficoltà pratiche, il concerto musicale non ebbe in effetti lunga vita, tanto che nel 1865 troviamo un altro Regolamento pel Concerto Municipale addetto alla Guardia Nazionale di Urbino [7]. Quest'ultimo organismo è ben diverso dal precedente: mentre il primo prevedeva una società di liberi cittadini, il secondo dipendeva direttamente dal Municipio ed era soggetto alla disciplina militare della Guardia Nazionale di Urbino. Forse il Municipio, visti i non felici risultati della Società del concerto, aveva voluto garantire un miglior esito creando una banda sottoposta alla disciplina militare. Ma certamente l'iniziativa non incontrò il favore dei cittadini, anche a causa del modesto livello artistico. Il 19 ottobre 1874 un gruppo di «suonatori dilettanti», facendosi interprete delle aspettative cittadine, presentò una petizione al Municipio chiedendo di poter «costituire un concerto Municipale per decoro del Paese e per amore dell'Arte» [8]. Le prime prove del gruppo così ricostuito furono promettenti, ma in seguito difficoltà organizzative ed economiche permisero al concerto di vivacchiare a stento in un succedersi di scioglimenti e nuovi regolamenti [9]. [1] A.C.M., Libri delle Risoluzioni Consiliari, Vili (1769-1803), e. 143r. [2] Tali sovvenzioni sono ricordate in diverse risoluzioni: si vedano, ad esempio, Libri delle Risoluzioni Consiliari, Vili (1769-1803), e. 152r, risoluzione del 27 dicembre 1799: «... e per pagati ai Bandisti d'ordine della Municipalità scudi 153.88 ...»; e. 187v, risoluzione del 5 dicembre 1803: «... similmente notificossi dal Mensale che altra partita di scudi 10 dovevasili abbonare nel conto della Banda ...». Inoltre, in una risoluzione del 9 giugno 1799 {ibidem, e. 146v) il consiglio della Cappella, facendo richiesta di materiali edilizi di scarto ricavati dalla distruzione del convento dei Cappuccini e ritenuti utili per accomodare il tetto della cartiera di Fermignano, si affida «alla condiscendenza e contemplazione di essersi dalla Capella impiegata qualche somma per stipendio della Banda militare ad intuito della stessa municipalità». [3] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, Vili (1769-1803), e. 148v. [4] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, X (1814-1819). La notizia è tratta da un foglio a stampa del 5 gennaio 1816, inserito a e. 19r del volume. [5] 69 A.s.c, Consigli comunali, IV (1827-1831), p. 479, consiglio del 22 settembre 1831. [6] Ho potuto rintracciare presso la segreteria della Cappella Musicale solo una fotocopia del documento, con in fine la regolare approvazione richiesta in data 9 gennaio 1852. [7] Urbino, per Savino Rocchetti 1865. [8] A.s.c, Busta 41 (1881-1885), fase. 19. Tra i musicisti sottoscrittori compaiono quattro nomi che figuravano anche nella nota dei musicisti riportata in calce al regolamento del 1865: Giuseppe Tagliabracci, Augusto Alitti, Donato Moscati e Luciano Gianni. [9] Una breve storia dell'istituzione è tracciata dal parenti, Un quinquennio ..., p. 45 sg., ed una ricca documentazione sulle sue alterne vicende è conservata nell'archivio della Cappella e, soprattutto, nell'archivio storico del Comune. Vari aggiornamenti ai regolamenti sono datati agli anni 1882, 1884, 1921 e 1939; il regolamento del 1945 si trova in a.c.m., tit. V, busta 8, fase. I.
In queste brevi note particolare attenzione meritano ovviamente le vicende dell'archivio della Cappella, che ebbe vita difficilissima e, per la verità, non fu mai tenuto nella giusta considerazione in quanto l'ente ha sempre preferito dedicarsi, come era anche naturale, all'amministrazione dei vari beni e alle attività prescritte dallo statuto. Un tale disinteresse, purtroppo, è malattia comune a molte istituzioni e solo da poco tempo sta crescendo un interesse autentico per gli archivi, siano essi pubblici o privati, quando si è finalmente capito che, se si vuole dire qualche cosa di nuovo sulla storia di una città o di una istituzione, occorre partire dai documenti. L'archivio della Cappella musicale, pur non essendo di grande consistenza, è però di notevole interesse perché compendia cinque secoli di storia di una istituzione che, oltre a contribuire al culto ed all'amore per la musica e il canto, si è inserita attivamente nella vita economica e sociale della città. Fin dai più antichi documenti emerge il problema della conservazione delle carte; problema gravissimo per gli amministratori, specialmente dopo la triste esperienza del 1546, quando il più antico libro delle risoluzioni consiliari e forse anche altri documenti, erano andati distrutti proprio perché il notaio Orazio Giordani, che li aveva in consegna, li conservava assieme ai libri del Danno Dato. La soluzione, imposta fin dal 1556 da Guidubaldo II (doc. 1), di riporre i documenti in una cassa munita di tre chiavi, affidate a tre persone diverse, presentava vari incovenienti; primo fra tutti la scarsa praticità, tanto che molti registri restavano nelle mani degli ufficiali o del massaro, come addirittura è prescritto in vari punti degli statuti del 1583. In effetti, osservando l'elenco dei volumi, si rileva che non tutte le serie sono complete; è comunque buona fortuna che il fondo storico ci sia pervenuto quasi integro, se si pensa che la Cappella non ebbe mai una propria sede fino al 1867. Che l'archivio fosse mal tenuto ci è confermato da varie testimonianze. Il Mensale Bernardino Foschi così si lamentava nel 1643: Procuri Vostra Signoria quanto prima di far inventariare molte cose della Cappella, che nel fine del mio mensalato, ho scoperto che non sono nell'inventario, e particolarmente quelle che si fecero nel tempo dell'Emi-nentissimo Cardinale di Santa Croce, che il Signore abbia in Cielo [1]. Inoltre, doveva accadere piuttosto di frequente che i libri fossero affidati a persone estranee; così annota il Mensale Alessandro Bartolini nel 1645: ... fu anco per tale effetto cavato dalla Cassa il libro degli instrumenti della Cappella che si trova in mano del Dottor Foschi, ordinarà che sia recuperato et rimesso nella Cassa ...[2] Addirittura sulla copertina del primo volume del Giornale di spese diverse per la cartara, I (1740-1743) figura l'annotazione:
Al presente giornale ne precede un'altro dal 1 ottobre 1735 al X settembre 1740, il quale restò presso il Corradi [conduttore delle cartiere] che non ha volsuto mai restituire.
Un problema a parte era poi rappresentato dalle partiture di musica sacra, che rappresentavano un materiale di frequente consultazione. Ce ne offre una conferma una delibera del 27 dicembre 1683 in base alla quale il Consiglio affidò la responsabilità di mantenere integro l'archivio musicale al Maestro di Cappella in carica, dato che «per il passato è stato trovato alle volte mancante qualche libro di canto e musica senza sapere per qual strada sieno andati» [3]. Tale prassi già seguita da tempo, non era in grado, a quanto sembra, di garantire l'integrità dell'archivio: le composizioni, prelevate per eventuali esecuzioni, o semplicemente per studio, non sempre venivano regolarmente restituite. Più tardi si preferì affidare le mansioni di archivista, per così dire, a questo o quel componente dell'organico musicale, temporaneamente e compensando a parte tale prestazione straordinaria; ma spesso il pagamento subiva notevoli ritardi o non veniva corrisposto affatto, come si apprende dalle istanze presentate dagli stessi incaricati a tale ufficio [4]. Certamente l'avvicendarsi di tante persone, secondo un costume seguito fino a tutto il XIX secolo, non contribuì al regolare ordinamento del materiale ed alla sua conservazione. A tanta deprecabile trascuratezza si aggiunse nel 1798 il catastrofico crollo della cupola del Duomo con i conseguenti incalcolabili danni. La Cappella del SS. Sacramento non fu danneggiata gravemente, ma la stanzetta in cui era depositato l'archivio fu sgombrata e le carte furono appoggiate alla meno peggio in vari ambienti. Sebbene con notevole ritardo, nella riunione consiliare del 15 febbraio 1805 si delibera di riunirle e porle in un locale per riordinarle:
... Venutosi in seguito al proposito della necessità di raccorre tutte le carte, scritture, ed altri monumenti che formavano l'Archivio della Cappella innanzi alla caduta della Cupola, per lo che furono qua e là trasportati dalla camera in cui venivano conservati presso all'organo della Metropolitana, e trovandosi ora sparsi in diversi luoghi, e presso persone particolari, restò deliberato che si officiasse il signor Dottor Antonio Rosa di prestarsi alla divisata operazione, per quindi collocare il tutto bene ordinato e disposto in un sito decente, che pure si rimise all'arbitrio e considerazione dell'istesso signor Dottore Rosa di stabilire, ed esso non ricusò per sua bontà e gentilezza di assumere l'incarico [5]. Nonostante le buone intenzioni, passarono dieci anni senza che si provvedesse realmente; infatti nel novembre 1815 si ritorna ancora a parlare dell'archivio e finalmente si stabilisce di riunire tutto il materiale sparso per ordinarlo e sistemarlo in un locale preso in affitto nella sede comunale: Adì 16 Novembre 1815. Circa le scritture ed altri atti della Cappella, che meritano essere gelosamente custoditi si trovino sparsi con disordine e confusione si è trovato perciò necessario di radunarli tutti, e stabilire un locale per formarne l'Archivio. A quest'oggetto il signor Mensale ha ricevuto dal presente Confaloniere tutta la facoltà di prendere a pigione una camera in mezzo alle scale del Publico Palazzo, che serviva una volta per l'officio dell'Appasso, ed ivi si compiacerà stabilire e porre nel necessario buon ordine l'anzidetto archivio [6]. Non conosciamo con esattezza la data in cui avvenne il trasferimento nella nuova sede. Così come non sappiamo se abbia ragione il Ligi nel porre in relazione la scomparsa dei manoscritti musicali più antichi con una memoria del canonico Serafino Piccini, archivista del Capitolo. Da essa apprendiamo, infatti, che nel 1832, dopo il riordinamento dell'archivio Capitolare, presso il quale, anche se in ambienti diversi, erano provvisoriamente depositate anche le carte della Cappella, fu effettuata una vendita e furono «... ritratti dalla vendita di carte e libri giudicati inutili libre 600, parte a baiocchi 2 la libra, parte a baiocchi 1,5 , scudi 10. Più da carte pecore, pelli, e cartoni baiocchi 20. In tutto scudi 10,20» [7]. Con quale criterio il canonico giudicasse inutile quel materiale d'archivio non è dato sapere, ma la sommaria descrizione che ne viene fornita autorizza a pensare che potessero esservi compresi documenti antichi e importanti per la storia del nostro Istituto, sempre ammesso che il suo archivio non fosse già stato spostato nel palazzo del Municipio. Comunque, nel 1930 esso era certamente accantonato vicino all'archivio storico del comune e, quasi sicuramente, non si era provveduto a quel razionale riordinamento che era stato deliberato; nella relazione del segretario comunale Renato De Scrilli, redatta nel 1931, si legge infatti:
L'archivio è in perfetto disordine, accantonato in un angolo di quello comunale, alla balia di tutti, incostudito tanto che molte pratiche di grande importanza cominciavano ad esser preda di topi famelici. Ho creduto mio dovere di salvare il più possibile un tale patrimonio raccogliendo tutte le carte sparse riordinando con l'aiuto dell'archivista comunale e trasportando ufficio ed archivio in una sala dell'Istituto musicale [8].
La relazione fu certo stilata dopo il trasferimento eseguito nel 1930, perché le spese per il riordinamento dell'archivio, effettuato da due impiegati comunali, l'archivista Alfredo Scopa e Luigi Fossi (400 lire), si trovano annotate assieme a quella per il trasporto «del materiale d'archivio della Venerabile Cappella del SS. Sacramento dall'archivio comunale all'Istituto musicale» {25 lire); in quella occasione furono anche spese 486 lire «per aver riadattato vecchi scaffali ed armadi ad opera del falegname Gaetano Contini [9]. Da come ho trovato l'archivio non credo si potesse parlare di un «riordinamento» vero e proprio; ci si limitò piuttosto a collocare sugli scaffali le buste e i registri che si trovavano ammassati presso l'archivio comunale nel disordine descritto dal De Scrilli. Ma anche questa sistemazione si rivelò presto assai precaria, perché durante l'ultimo conflitto mondiale nella sede dell'istituto musicale trovarono alloggio alcune famiglie di sfollati e vari uffici. Il materiale, malamente ammucchiato, rimase a portata di mano di chiunque con conseguenze che è facile immaginare, tristemente sottolineate dal segretario Carlo Fontana. L'ultimo spostamento dell'archivio è avvenuto all'inizio del 1979, quando l'amministrazione della Cappella decise di restaurare il fabbricato di Via Valerio, ridotto in uno stato deplorevole. Durante tali lavori l'archivio è stato appoggiato in due stanzette al pianterreno del Palazzo Ducale, adiacenti all'antica cancelleria e libreria ducale, che erano state in precedenza sede della Sezione di Archivio di Stato di Urbino. A causa dello spazio ristretto tutto il materiale, e specialmente quello musicale, è stato affastellato in un incredibile disordine. Così, quando nell'aprile 1979, per iniziativa del presidente Filippo Marra, mi fu affidato l'incarico di riordinare l'archivio dell'istituto, ammetto di aver nutrito qualche perplessità, pensando soprattutto alle tante vicessitudini di cui il materiale era stato oggetto. E in effetti il lavoro non è stato facile, anche se spero di essere riuscito a seguire un criterio uniforme nel riordinare e descrivere nella maniera più completa possibile tutto il materiale esistente. Questo risulta oggi diviso in tre grandi sezioni: quella documentaria, che riguarda le pratiche amministrative vere e proprie, contenute in buste e registri; quella musicale, consistente in composizioni manoscritte e a stampa dei vari Maestri di Cappella succedutisi nel tempo e della Banda cittadina; infine, la raccolta dei rami incisi usati nella tipografia. Ad ognuna di esse è dedicata una sezione di questo inventario, preceduta da brevi avvertenze che illustrano il materiale conservato ed il metodo seguito nell'opera di riordino. Al termine del lungo e faticoso lavoro mi auguro che esso potrà essere di qualche utilità e, soprattutto, che la Cappella, oggi più consapevole che in passato, sappia conservare con cura il suo prezioso patrimonio e renderlo facilmente accessibile agli studiosi.[10]
[1] a.c.m., Libri dei ricordi dei Mensali, I (1641-1668), p. 15 (Mensalato dal Gennaio-Marzo 1643). [2] a.c.m., Libri dei ricordi dei Mensali, I (1641-1668), p. 3 (Mensalato Ottobre-Dicembre 1645). [3] ligi, la Cappella ..., p. 123; la delibera si trova in a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, IV (1641-1683), e. 188. [4] a.c.m., tit. I, busta 15, fase. V, ce. 135-147, contiene istanze di Vincenzo Gentili (cantore), Luciano Lucciarini (Baritono), Luigi Pavoni (Maestro di Cappella), Cre-scentino Tagliabracci (Tenore), Ubaldo Ubaldi (Tenore). [5] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, TX (1804-1811), e. 16v. [6] a.c.m., Libri delle Risoluzioni Consiliari, X (1814-1819), e. 17r. [7] La memoria del canonico Piccini, conservata nell'Archivio Capitolare, è riferita dal ligi, La Cappella ..., p. 325. [8] A.C.M., tit. I, busta 20, fase. II [9] a.c.m., tit. I, busta 19, fase. III.
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