Indici analitici:
sono ancora appena abbozzati
Artisti …:
contiene monografie su N. 36 artisti
Autori
dialettali:
contiene tutti
gli scritti dialettali raggruppati per ciascun autore pubblicati in
V'l'arcont in dialett, in modo da avere una presentazione
monografica (ancora in fase di completamento)
La Scuola del
Libro:
contiene
monografie degli insegnanti dell'epoca d'oro della Scuola
d'Arte a partire da Castellani, Carnevali, Bruscaglia, Ceci, Franci,
Gulino… Inoltre le vicende della scuola scritte da Carnevali, da
Rotondi e da Cuppini
Compagnia
Dialettale:
contiene i primi anni dell'attività della Compagnia Dialettale
Urbinate con Amleto Santoriello presidente e regista.
Dialetto e
Tradizioni:
Menu comprensivo delle attività più caratterizzanti; alcune voci
sono ripetute in seguito al di fuori del menu per facilitarne la
ricerca.
Barzellette:
in dialetto urbinate. Molte sono vecchie e rustiche quanto il
webmaster, come la seguente:
Tel schiopp del
cald un cuntadin sappava giolà. El fiol el chiama da casa, ch'era
só só da cima. «Babeeeeeh, Babeeeeeh» «Sa vuaaaah». I rispond da
giolà tirand tra i dent 'na mezza stecca, pensand che chel
scansafatigh del fiol aveva sempre voja de discorra. «Vien sueeeeh,
è mort el nonneeeeh». «Fa ch'sia veraaah»
Concorsi:
qui trovate tutti i 19 Concorsi di poesia dialettale "Renzo De
Scrilli" completi di tutte le parti scritte, ma da completare con
immagini e video. Notevole è la parte antologica come volume ma
anche come contenuti. In questa sono collocate oltre ad opere fuori
concorso di autori viventi, soprattutto scritti di urbinati del
passato, interessanti per ricordare le nostre origini. Ricordiamo:
Renzo De Scrilli
nel 2° e 3° Concorso, Nino Cesaroni nel 4° Concorso, Foscolino
(Foscolo Sabbatini) nel 5, Dino Tiberi nel 8°, Zeno Fortini nel 9°,
Bruno Betti e Franco Ligi nel 11°, Franco Gianotti nel 13°, Bramante
Busignani nel 15°, Alfredo Zampolini nel 16°, Egidio e Maria Conti
di Acqualagna nel 17° e Vittorio Santini nel 18°. Di quest'ultimo è
pubblicato faldone di racconti inediti ambientati nell'Urbino di
fine '800 e primi del '900; in "Borgo (cioè Urbino) il più bel
paese del mondo" si legge:
«…Gran brava gente
i borghigiani, strepitano, urlano, ma non ammazzano nessuno; sì
sbudellano a parole per ogni piccolezza, ma si riappacificano
all'osteria. Imprecano tutto il giorno contro il governo, contro il
Papa, contro la galaverna e contro l'afa; ce ne sono di tutti i
colori e partiti, ma alla domenica vanno tutti messa ultima a far
sacramentare l'Arcivescovo con l'andar via all'ite senza
aspettare la benedizione. Vanno tutti in processione (dopo aver
bestemmiato tutto l'anno} alla festa di San Crescentino, il Patrono
senza testa come i protetti. Borgo è antichissima. Basta guardare le
sue mura, le sue torri, i palazzi, il cinematografo e le due zitelle
Camilli, per averne una idea…».
Dizionario:
e molto ricco di voci trasferite dalle precedenti raccolte e dai
testi presentati ai vari concorsi. L'intenzione di farne un
dizionario enciclopedico si è fermata ad un solo vocabolo, il
bucato, cioè la bucata in urbinate, che riporto qui di seguito:
Bucata,
La -
Bucato. Grossa faccenda. Ci aspetta ‘na bella bucata: ci attende una
impresa faticosa. Ogni bucata 'na stracciata: ogni bucato una grande
usura (dei panni). Il tradizionale bucato veniva fatto in un grande
mastello di legno (mastella o mastlon dla bucata), sostituito poi da
analogo recipiente più leggero in lamiera zincata. Sulla parete, in
prossimità del fondo, c'era un grosso foro chiuso da un tappo (sur o
pioss). Nel mastello, posto su uno sgabello (banchett), si
sistemavano in strati successivi i "panni da bucato", cioè
resistenti al calore e alla liscivia, ponendo in alto quelli ancora
più resistenti. Finanze permettendo, sui vari strati si spargeva
soda solvay in polvere (lisciva compra) o sapone in scaglie. Quindi
si ricopriva con un panno spesso e fitto (c'narè o cenarè) che si
faceva trasbordare leggermente sull'orlo del mastello, dovendo
servire da filtro per lo strato cenere di legna che vi si metteva
sopra dopo accurata cernita e setacciatura. Infine si versava acqua
bollente a sufficienza per ammollare i panni. L'acqua calda estraeva
la soda della cenere (carbonato di potassio), ottenendo così la
liscivia di cenere di efficacia variabile in funzione alla qualità e
quantità della stessa cenere. Si lasciava a riposo in genere tutta
la notte. Il mattino si toglieva il tappo e si raccoglieva con cura
la liscivia o ranno (rann) ormai freddo in un recipiente basso ma
capace, di solito di forma ellittica per poter essere inserito in
mezzo le gambe del panchetto che sorreggeva il mastello. Dopo alcune
ore si toglievano i panni (smontè la bucata) che si andavano a
lavare nei lavatoi (i lavatò) pubblici, poiché normalmente anche le
case di città erano sprovviste di abbondante acqua corrente. Le
lenzuola, specie quelle matrimoniali (a du' piass) di canapa filata
e tessuta in casa, assorbivano molta acqua diventando così molto
pesanti; per strizzarle si arrotolavano sulla pietra dei lavatoi e
si battevano con grossi bastoni o tavole (masucch o battrella)
rastremati in un estremo per la presa. Nel ranno si mettevano in
ammollo e poi si lavavano indumenti delicati colorati, di seta o di
lana; e prima di buttarlo definitivamente talvolta veniva usato per
lavare i capelli. Alla fine il ranno poteva essere usato per
annaffiare i fiori o l'orto essendo privo di tensioattivi e ricco di
potassio. Le donne lavoravano così due o più giorni e alla fine
erano sfinite in maniera disumana. In quelle circostanze i vecchi si
raccomandavano con i bambini di fare i bravi altrimenti erano guai (stat
alla grilla chè le donn en stranitte, el castigh è pr' aria). Il
bucato aveva buon odore, specie se asciugato al sole, ma i panni
bianchi venivano grigi sia per mancanza di tensioattivi sia perchè
un po' di cenere e di carbone impalpabili passavano attraverso il
ceneraio.
Detti & Proverbi:
suddivisi sommariamente per
contenuto, ne cito alcuni più curiosi:
quella se lava tropp, vol di'
ch'è poca pulita – ann e bichier en s' conten mai – el cald di
lensol en fann bulì i fagiol – le donn e i burdei deven parlè quand
piscen le galin – quel pela la gaggia senza falla strida – s'en piov,
en fa le guass, la lumaca en bricca 'n cass – ognun el su' mestier,
el lup a chiappè le passer – en è bon manch a cavè un ragn da 'n
bugh – ignorant com una sappa - a casa de chiatre prima se scalda un
pia e po' clatre (a casa degli altri non si può avere tutto e
subito) – 'na fatigat da oli sant – quell en s'atacca ti spin –
paret le statue dle grott – sempre indietra com el rugol del birocc
– voios com le donn pregn – vest 'na fascina te parrà 'na regina –
cova fatta, gaggia morta – la barba en fa 'l saputt – dev'essa brav
un gran bel po', quand parla en s'capisc gnent! - fat la carità ma
'l por Gvann / chi manca i sold e 'i avansa 'i ann – ruba el fum
anca ma le cresc – un'oncia plata e concia – la carne sensa dent,
sent fredd a tutt'i temp – so' debbol, facc la pciangla – va a
soffiè 'l nas ma i gallinacc.
Ebrei in Urbino:
da materiale e suggerimenti di Maria Luisa Moscati
Le vie dei
presepi:
notizie sulle iniziative urbinati a partire dal 2005. Ancora molto
immagini e video da inserire.
Mura di Urbino:
Contiene foto e gli accorati appelli del M° Sergio Di Stefano (spiker
delle Feste del Duca e dell'Aquilone) per liberare alcuni tratti
delle Mura da occupazione abusive private e pubbliche.
Scrittori grandi
e piccoli:
a partire dal grande Volponi fino a Cristiano, bidello
all'Università deceduto giovane, pieno di timidezza e di passione
che così esprimeva:
L'indimenticabile amico Ercole
Bellucci:
|
Non c’è rimedio al
tremore
(si manifesta in pubblico)
a nasconderlo non servono
parentesi,
che sia ritmo?
perverso embrione
di un verso diverso
incontrollabile
balbuzie?
Il ballo di Sanvito bevitore |
Il singolare
Egidio Mengacci:
Io son chi sono /
non vi chiedo perdono
Urbinati
indimenticabili:
fra questi troviamo da Baldelli Crescentino al magistrato saggio
Gaetano Savoldelli Pedrocchi.
Il Baldelli che visse
negli anfratti delle Mura di Urbino per poi esplodere alla scoperta
della fisarmonica: «La scoperta di una fisarmonica nella
spazzatura ha cambiato la sua vita: ancora il mantice soffiava un
po' d'aria e qualche nota ne usciva. Dopo aver strimpellato per un
po' nei suoi rifugi va in mezzo alla piazza e instancabile senza
pause attacca a occhi chiusi note a caso aspirate e soffiate, nenie
per le sue orecchie. Un altro miracolo !!! piovono monete, da tutte
le parti. E allora il suono che produceva diventava più forte e più
duraturo. In poche ore aveva guadagnato di più che in un mese con
la raccolta di cartoni. Accarezzava e parlava con la sua
fisarmonica, la spolverava, la lucidava. Un giorno gli venne la
malaugurata idea di lucidarla con il gasolio, ma questo non si
asciugava mai. Fa fuoco con i cartoni e vi avvicina la fisarmonica.
Visto che evaporava, la mette più vicino. Di colpo prende a fuoco e
sotto il suo sguardo incredulo la fisarmonica sparisce fra le
fiamme. Si brucia le mani, la porta alla fontanella ma rimane un
triste scheletro di latta fili di ferro e lamierini.
Forse passò i
giorni più tristi della sua vita senza poter dar sfogo alla grande
smania musicale. Inaspettatamente arrivò il giorno più bello: un
negoziante di Urbino gli regalò una fisarmonica rossa, nuova
fiammante. Ora la sua musica aveva anche nome: 'Serenata celeste',
'Bella ciao', 'Il tango delle capinere' ... anche se il suono che ne
usciva era sempre quello. Era diventato persino incurante degli
oboli e a occhi chiusi estasiato andava avanti per giornate intere,
in mezzo ad un pubblico sempre nuovo e sorridente e pronto ad
applaudire e richiedere un altro pezzo. Suonava e ballava, ballava
e suonava dal sorgere del sole fino al tramonto».
Il
Dott.Savoldelli Pedrocchi così descriveva i suoi primi anni di vita:
«Intorno ai
dieci anni rimasi improvvisamente orfano di entrambi i genitori. A
Pesaro il 17 Novembre 1943 a 15 anni vidi i miei compagni di giochi
dilaniati da una bomba di mortaio inspiegabilmente lanciata da una
truppa tedesca (errore o rappresaglia!?) e caduta sul Piazzale
Spalato ora detto Piazzale degli Innocenti. Devo ammettere: “Le
vicende familiari e storiche che ho vissuto mi hanno rubato
l'adolescenza” e anche “mi sono fatto allevare dai libri”. Mi sono formato
sui colli ventosi di Urbino ospite del locale orfanotrofio prima
come assistito e poi come istitutore. Appena ottenuta la maturità
classica presso il Liceo Raffaello, ho superato gli esami a
Cancelliere esercitando poi questa attività presso la Pretura di
Urbino per almeno tre anni…»
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