el DOTOR De Scrilli |
PREFAZIONE di CARLO BO
Ho conosciuto il dottor Renzo De Scrilli una mattina d'inverno, ero malato nella stanza numero sedici dell'albergo del signor Pierino in Urbino. Dico d'averlo conosciuto di persona .soltanto allora, ma dopo molti anni che lo vedevo in piazza sull'angolo della farmacia, sotto i portici o di fronte, davanti al tabacchino. In fondo bastava l'incontro per cogliere dalla sua fisionomia la gentilezza, il segno dell'altra figura più vera e nello stesso tempo così intimamente legata a quella del medico, la figura segreta del poeta. C'era nel suo modo di fare un certo piglio, un che di baldanza che non sfiorava mai l'eccesso ma tradiva soltanto una diversa partecipazione della vita, una forma più alta di conciliazione e di intelligenza.
Sempre in quella visita mi disse, al momento del congedo « un giorno Le farò leggere i miei versi». La promessa non fu mantenuta, a volte - ma senza peso, quasi di sfuggita - fu appena ripetuta. Continuai per qualche anno a rivedere il medico al suo posto di colloquio, in piazza. Poi un giorno mi dissero che era molto ammalato. Seppi così, dopo una mia assenza da Urbino, che se ne era andato. La conoscenza col poeta data, dunque, da poco ed è una conoscenza che per gran parte resta sul limite dell'ammirazione e un po' tocca il rimpianto. Ci si rammarica sempre di non aver capito, di non aver fatto un segno di riconoscimento. Ci sono passati vicino degli spiriti degni d'attenzione e non abbiamo fatto nulla per testimoniare la nostra partecipazione: il dottor De Scrilli rientra in questa grossa famiglia di poeti segreti, timidi. Gente che non ha cercato né la piccola gloria né il rumore del momento ma ha coltivato il campo della loro piccola musa con un amore geloso, con un riserbo di cui riesce difficile calcolare il peso interiore, il valore spirituale.
Perché il dottor De Scrilli è diventato poeta? Che cosa c'è all'origine della sua ispirazione? Mi sembra che si debba cercare la prima chiave della sua voce nella costante e generosa frequentazione degli umili. Evidentemente egli sapeva ricavare dalla professione, esercitata per tanti anni nel Ducato di Urbino, una conoscenza delle passioni umane che determinava nel suo spirito non stanchezza, non sfiducia ma, al contrario, pazienza, e ancora amore, partecipazione sincera. La sua poesia ha gli stessi confini del suo mestiere di medico condotto, la campagna, i monti, le stupende colline che disegnano uno dei paesaggi più palpitanti di poesia che l'Italia offre e come centro la sua Urbino, questa città che è diventata nel corso della sua vita una parte dell'anima, un luogo dello spirito. Se non ci fosse stato nel suo cuore questo disegno armonioso, questa capacità di cogliere l'essenza delle cose egli non sarebbe mai uscito fuori dei termini ambigui della poesia dialettale. Ora il cammino fatto dal poeta De Scrilli va misurato proprio in questo senso, da una musa tutta particolare, quasi casalinga e umorale a una visione completa della vita, con le aspirazioni e le cadute, con un ritmo più ampio e profondo. Naturalmente non sempre gli riusciva di « tenere » su un registro così alto ma il fatto che qualche volta abbia potuto mantenervisi con forza sta a dimostrare il lavoro, la pazienza del poeta.
La vita che De Scrilli evoca o assale nei suoi versi è priva di grossi avvenimenti, non porta tracce di storia grande. Non restano le imprese né lo potrebbero perché sono anonime, restano però le passioni o, meglio ancora, il ciclo stesso della vita che macina e annulla passioni, sentimenti precisi. Ed è proprio allora da questa fatale distruzione del tempo che si leva qualcosa di consistente, di eterno, un altro mondo a cui il poeta dà i colori delle stagioni, il sublime calendario urbinate e sopra tutto l'urto, la violenza delle sue domande. Con ciò non si vuol dire che la sua poesia tocchi il dramma, dal momento che la distruzione è avvenuta in una specie di rassegnazione o, per essere più esatti, sul filo di domande imprecanti e di conoscenza della vita, del sangue, dei nostri limiti terreni. In tal modo la .storia terrena degli uomini si divide per De Scrilli in due libri diversi, a dirittura contrapposti: da una parte la serie degli avvenimenti che in campagna, nel mondo naturale del poeta, sono scanditi su tre soluzioni, fisiche (la nascita, il dolore e la morte), dall'altra parte il giuoco delle luci, la voce del cielo. Il curioso è che dall'opposizione non nasce mai un giuoco facile, la trama di una filosofia elementare: quando diventa veramente attiva, essa suggerisce al poeta un sentimento, una passione, quella che un tempo si sarebbe chiamata passione intellettuale.
A questa immagine robusta dell'uomo che sa, che conosce e sopporta ne segue un'altra diversamente venata e percorsa da un sangue ricco di sentimenti più facili, più vicini alla storia temporale del poeta. Non sarà difficile a chi ha conosciuto il dottor De Scrilli ritrovare in certe cadenze, in certi abbandoni le conidenze e gli sfoghi immediati del suo animo. È, dunque. una gamma abbastanza ricca di voci e di espressioni: un'altra cosa da notare, di fronte a un poeta che a prima vista appare così circoscritto e magari conchiuso.
Ma resta la prima domanda. Da dove ha tratto questa immagine di vita ancor oggi così palpitante, così recuperabile alla lettura dei suoi versi?
Dobbiamo interpretare la sua disposizione poetica come una specie di rivalsa sulla parte del male, sullo spettacolo quotidiano dell'apparente ingiustizia, meglio ancora del mistero che regola la nostra vita e sembra placarsi e illuminarsi per un attimo nel momento della morte, nella voce dei morti che ha così bene restituito sull'eco delle campane di San Bernardino? La miseria umana, i limiti di chi soccorre, di chi viene in aiuto, la ruota delle stagioni, il piccolo giardino di casa le scale, il passo del fratello morto: la sua poesia conosce soltanto questi avvenimenti privati sì ma dotati di una carica generale, assoluta, di una porzione di verità.
Che caso curioso, questo, di un poeta dilettante che riesce a toccare la sponda ingenua, naturale della poesia attraverso la ripetizione dialettale. Di solito il poeta dialettale (e il dottor De Scrilli occuperà un. bel posto nell'antologia che un giorno si dovrà pur fare della poesia urbinate) é vittima del bozzetto, della macchietta, risolve tutto in chiave .sentimentale. Per De Scrilli la posizione è rovesciata,: egli ha .saputo fàr tenere in un fragile vaso, un'onda ben più alta di poesia, diciamo pure, un sentimento universale. E direi qualcosa, di. più, l'immagine di una vita spesa bene: non legata agli interessi immediati ma alimentata, nutrita da un senso delle proporzioni. quale la poesia sola può restituire, molto di più della .scienza e della stessa vocazione (nel bene o nel male).
« Un giorno le, farò leggere i miei versi », sento ancora il tono di confessione, un movimento di gioia e mi pare di capire finalmente il senso vero di quelle parole. Che cosa voleva, dunque. dire il dottor De Scrilli, alzandosi dalla sedia posta accanto alla finestra della stanza numero sedici? Che cosa se non questo: il poeta parla da solo, parla da sempre e non ha bisogno di grandi mezzi, di grosse soluzioni critiche ma per vivere e restituire la vita agli altri gli basta avere la fede, credere ingenuamente alla voce che avverte dentro di sé e a volte lo travolge. Era in fondo una piccola lezione che quel, caro dottore di campagna dava a un letterato presuntuoso, la lezione di un nonadetto ai lavori favorita a chi credeva di non essere mai uscito dal cantiere della poesia nuova, insomma la vittoria del sentimento vero e onesto sul calcolo.
Carlo Bo
Urbino, 14. febbraio 1961
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