ANTONIO FABI Urbino |
TRAGICO RISO: Postfazione
Quando qualcuno ti dona (o ti induce a comprare) un suo libro di poesie stampa, ti trovi quasi sempre di fronte ad effusioni tra il sentimentale e il filosofico, beninteso espresse in linguaggio allusivo e vago, dal quale non si cava uno straccio di discorso. Omero avrebbe detto: "Architetti di balle che neppur visualizzi !" Purtroppo, non sempre va meglio con le raccolte dei poeti laureati nell'ultimo mezzo secolo. Ma non è colpa loro, sono innocenti: la poesia narrativa, quella satirica, anche la lirica in senso pieno, sembrano quasi scomparse dal mondo, e per ragioni profonde, non contingenti, che del resto nessuno riesce a puntualizzare con chiarezza. Poter leggere versi nuovi, attuali, che parlino al nostro orecchio come i versi dei classici parlavano all'orecchio dei loro contemporanei (e continuano a parlare al nostro) è come imbattersi in una delle rare fonti naturali di acqua fresca, sfuggita alle canalizzazioni e alle condutture. Questo è l'effetto che mi hanno fatto le composizioni di Tonino Fabi, quando me le ha presentate in anteprima, alla vigilia della stampa. Appunto, "composizioni", cioè lavori pensati, studiati, strutturati in frasi concatenate, limpide, e perfettamente ingabbiate nella norma del metro. Alto artigianato, quale è l'arte vera, non libera polluzione verbale. La sua scelta, evidentemente la sua vocazione (o una delle sue vocazioni), è caduta su uno dei generi classici di stile umile, uno dei più difficili dal punto di vista tecnico, l'epigramma giocoso. Altrettanti "crescendo", che si snodano intorno ad una pointe sempre graffiante, trasformando enunciato per enunciato i metri e le rime, letto di Procuste per chi non è poeta, in eleganza, arguzia e tenuta del dettato. Complimenti e ad majora. Giovanni Cerri |