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Attilio  Fini

POESIE IN DIALETTO & INDAGINI DI COSTUME

Le fiabe dei vicoli
(
Presentazione di Alessandro Di Caro)

 

I ricordi, cosa sono? Immagini, suoni, nomi che ti colpiscono all'improvviso, inaspettati. Questo è soprattutto il caso dei ricordi infantili quando vengono rievocati, recitati nella prosa dimessa e asciutta di Attilio Fini. Sono segnali di riconoscimento, password antiche e inattuali, pronte a far decollare il passato.

La Pisciampolla, le pelli dei conigli, i fogli di giornale tra il tubo e il muro del gabinetto comune e soprattutto le palline (mai dire biglie) di vetro, gioco e insieme commercio, capitale e attività lavorativa, astuzia e maestria, geometria infantile, invenzione.

E, infine tempo e spazio. Si legge: dalle 8 alle 12 del mattino, dalle 14 alle 20 del pomeriggio. Praticamente, durante la vacanza, si gioca sempre alle palline. Lo spazio non è quello, aperto e misterioso della campagna, ma quello del mattone cittadino :"la vita scorreva in mezzo ai mattoni". I bambini "consideravano le pietre e i mattoni alla stregua di alberi e di foglie". Il terreno si presta diversamente al gioco: quello "sbrossoloso" (cioè pieno di solchi e sassi) invitava al tiro della pallina di "resto" e di "squizzo" mentre la pietra (soprattutto quella che bordeggiava il Palazzo Ducale) privilegiava la "ruzola".

Dunque il gioco, come un fatto sociale totale, fornisce l'universo comunicativo e il lessico infantile. Per cui, per esempio, per un urbinate di quegli anni la parola "funebre" ha un significato molto più tranquillo e giocoso del suo significato abituale.

Ogni altra attività viene ritagliata in questo tempo e in questo spazio: se ne accorge il parroco (Don Enzo) il maestro (il tollerante e mitico maestro Petrangolini) che devono conciliare i tempi della religione e della cultura con quello del gioco delle palline.

E' un fatto sociale totale che ha i suoi maestri: Alberto, Ivan. Quest'ultimo ottimo padrone di un castello senza proprietà e possesso: i camerini e la platea del teatro Sanzio. Era una casa che, da sempre, si presentava come spazio comune, per la sua vastità. La casa di Ivan è stata anche per chi scrive luogo di socializzazione, di gioco e di incontri.

Un paese di sogno? Certo, anche se a condire il tutto, improvvisa e inaspettata sta in agguato la testimonianza della miseria: abbiamo già detto delle pelle dei conigli (da vendere allo straccivendolo), l'esercizio da ciceroni in erba per il palazzo ducale, la posa per i ritratti dal vero per gli studenti della scuola del libro, il bagno nella bagnarola comune, il viaggio in quattro sull'ISO 125.

La miseria comunque occhieggia, non pesa. Anche perché il capitale è una partita di giro: tutto viene reivestito nelle sempiterne gemme: le palline. Unica deroga: il regalo di un soldatino di piombo da parte di uno dei figli del conte Cavalcabò (nome che pare uscito da una fiaba tipo Gatto con gli stivali, ma che

invece è storico), un furto di 50 lire per un mitico cavallino di plastica semovente (chi non ci ha giocato?). E infine due segni del cielo: la pesca miracolosa di 23 pacchetti di sigarette lasciate da qualche contrabbandiere, il primo premio di un orologio "Lorenz" della festa dell'aquilone.

E infine il denaro rimediato con la questua di carnevale "ciccol ciccol mascherina".

Una miseria talvolta esibita con orgoglio e documentata (il doposcuola al palazzo scolastico per i bambini iscritti all'elenco dei poveri) soprattutto messa in confronto con l'avarizia dei sedicenti "abbienti".

Lo stupore di riconoscere eventi e momenti che si pensava chiusi nello strettissimo budello della personale esperienza, decritti con parole altrui, crea il personalissimo piacere della testimonianza. Chi non ricorda i facinorosi (oggi diremo innocui) "teddiboi" urbinati un tantino più grandi della generazione dell'autore e di chi scrive, personaggi da "gioventù' bruciata", gli eventi politici dell'invasione d'Ungheria e infine, spettacolo nello spettacolo, le sfilate di automobili (ben 200!) -per i bambini - e di belle signore - per le mamme - del teatro rinascimentale di corte.

Questo è il mondo che il lettore di Fini conosce già.

Il nuovo sipario si apre ancora con un gioco: è il gioco della musica. In Urbino si diffonde l'abitudine di creare complessini. Ma come in una fiaba e un racconto che si rispetti, maestro riconosciuto di questo nuovo gioco è un altro Ivan. Si tratta di Ivan Graziani. Ma anche questo particolare è rigorosamente storico. Talvolta, in ambienti che conoscevano entrambi si puntualizzava Ivan B. per distinguere il primo dall'altro, più famoso.

Perché Graziani è stato subito più famoso. La sua chitarra dominava le piazze, i vicoli, il monte, la pineta, il duomo e anche alcune parti del teatro Sanzio dove altri complessini provavano. Complessi dai nomi improbabili, leggermente "dark" ante litteram: "Le candele dei corpi"; oppure scherzosi "S'è visto Bach?", i MEP, "I Principi".

A tutti questi neofiti Ivan Graziani offriva la sua maestria: insegnava a "svisare" creava le tavole della legge musical-beat faceva capire chi era "quadrato" anzi soggiungeva, all'urbinate, Velio, dopo avergli fatto battere un ritmo sulle ginocchia "bravo, sei quadrat".

Ben presto anche Ivan oltre il suo lessico, la sua parlata, il suo modo di camminare e di parlare (entrambi leggermente strascicati e digrignanti) creò anche il suo complesso l'Anonima Sound con Velio Gualazzi e Walter Monacchi.

Anche Attilio crea il suo complesso prima denominandolo orgogliosamente "I più" e poi più modestamente "le Ruote". Le traversie per comprare gli strumenti (anche Attilio come Velio si rivolge alla batteria, scelta inaugurata in mancanza di meglio con la complicità di una "brega" - pezzo di legno da ardere) vengono superate. E ben presto si forma il complesso con Angelo e Sandro personaggi tra loro opposti per formazione: il primo era un "culturale" l'altro

uno che già lavorava, onde gustosi e irosi duetti in dialetto urbinate. E una risposta data all'onnipresente Mike Buongiorno che stupidamente chiedeva se studiassero o lavorassero "un po' per sorta" rispose Sandro lasciando nell'imbarazzo il presentatore.

Il repertorio all'inizio era quello dei Nomadi e dell'Equipe 84. Ma ben presto dopo un provino "Le Ruote" si accorgono che devono lottare con il mondo ancora rigogliosissimo degli "squadrat". Nelle balere che esibiscono scale rustiche da pagliaio e mattonelle da cucina bianco-nere devono subire le intimazioni dei patiti del liscio ai quali non "fregava un cas de tutt ste' cavlet moderne". Il salto generazionale prima o contemporaneamente al '68 si faceva vedere nell'abbigliamento, capelli lunghi, musica elettronica e nel rifiuto della minima tolleranza per un capello lungo o un abbigliamento inusitato. Intolleranza che talvolta si spingeva fin sul palco dei suonatori o nella violenza verbale con cui i "cappelloni" venivano accolti. Questa intolleranza formava il filo rosso e preoccupato di questi complessi, compresa l'Anonima Sound.

Lasciamo tuttavia al lettore il gusto di viaggiare con Attilio nella stipata "Bianchina" del loro impresario teatrale Ugo, di godere dell'aiuto di Giacomo il calzolaio che portava gli strumenti. Degli aiuti - dato lo scarso repertorio -insperati e talvolta catastrofici di giovani solisti Fernando, Bruno.

Ricordi narrati quasi in forma di fiaba, ma tutti rigorosamente veri. Ma per chi quei ricordi non li ha vissuti, chi non scoppia a ridere per il ricordo della Pisciampolla, o non allucina le struggenti pelli di coniglio con dentro la carta o non ricorda il suono caratteristico dei ferretti posti nel tacco e nella punta delle scarpe che facevano assomigliare una corsa infantile al rumore di una fabbrica metalmeccanica, chi non trasalisce per parole come "pannocciato" , "autorumba", "pancotto" "sergente" "tiro alla cularotta" cosa dicono questi ricordi?

Potremmo rispondere un po' sprezzantemente: a noi ci dicono; oppure citanto-celiando Arbore "meno siamo, meglio stiamo".

Ma, per altro verso, questi ricordi parlano un po' a tutti. E' abbastanza importante che una città come Urbino sia così bella. I luoghi della miseria, le case fatiscenti (senza acqua corrente, senza bagno), erano riscattate dall'aperto, dai vicoli, dalle piazze, dal duomo. Ecco perché ancora oggi l'urbinate ricerca non la casa, ma la piazza. I due giochi, quello delle palline e quello della musica, si sono giocati sempre all'aperto. L'aperto forniva anche la prudenza di dover prevedere l'imprevedibile "Tutt'e bon tutt" o a seconda "Gnent'e bon gnent".

Proprio perché nell'aperto, tutti comunicano con tutti, è abbastanza improbabile che un urbinate di quella generazione non si riconosca in quegli eventi che si diffondevano con la velocità che nessun mass media può imitare: si ricordi l'adagio di Congiu, baby-cicerone che spiega in un disinvolto francese la scarsa visione di S.Marino: chi non la conosce?

Ma il testo di Attilio è anche una testimonianza di una socialità onnicomprensiva che gli urbinati di quella generazione riconoscono con nostalgia (le serate lunghissime sotto il portico con le barzellette di Amianto!). E non è piccola cosa - mi sia permesso un po' di amarezza in questa coda - che il mondo dell'Università non compaia che in quel border-line che era la festa della matricola con la corsa dei biroccini, che forse l'Università farebbe bene a ripristinare. O che l'Università viene mediata, superata, attraverso l'interlocuzione diretta con Carlo Bo.

L'uno e l'altro momento sono ormai finiti, ma servono forse per capire alcune crudezze dell'attualità.

Alessandro Di Caro