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dialetto

Carla Galli
DETTI URBINATI e RICORDI SPARSI

 

Piccola premessa…

Difetti pregi stranezze

Da un pal a’n frasch

La fame il mangiare il bere

Spigolando qua e là

Salute malattia vecchiaia

Parole chiacchiere critiche

Nomi soprannomi

Amore ingenuità saggezza

Freddo caldo stagioni

Canzoncine filastrocche

Gioco della cavallina

Casa festività tradizioni

Ingiustizia collera consigli

Lavoro pigrizia bugie

Brod e acin

Il bucato

Soldi risparmi avarizia

Bambini adolescenti famiglia

Abitudini città campagna

Mietitura e trebbiatura

La sarta

Varie

  

 

 

 

DETTI URBINATI e RICORDI SPARSI di CARLA GALLI

 

 

PICCOLA PREMESSA

Nel dialetto urbinate le parole in lingua spesso diventano più corte perché si tralascia qualche lettera. Esempi: PRò = Però, FOIA = Foglia,

SPETTA = Aspetta.

Nei vocaboli maschili non si pronuncia la vocale finale:

PAL = Palo, LETT = Letto, OCCHJ = occhio.

Alle stesse parole seguite da una domanda con punto interrogativo, si aggiunge la E finale piuttosto marcata, quasi cantilenante. UN OCCHJ = UN OCCHIE? I GINOCCHJ = I GINOCCHIE? I PUNDOR = I PUNDORE?

MO DAVER DAVERE?

MANCA = neanche. Oppure voce del verbo mancare, servire.

La pronuncia delle vocali E, O di regola è stretta, in molte parole la U di una

volta è diventata Ó, la A invece è molto larga.

Comunemente la Z si pronuncia S.

QUANT S’ALSA EL SOL = quando s’alza il sole

SOL SAL SAL = solo con il sale

L’affermazione SI diventa , e si conferma con ENò quindi

ENò = SI. Spesso il si di certezza diventa: ENò, aggiungendo

“carin a enò” significa capire con partecipazione.

“È sentit sa chè sucess? Enò carin l’ho sentit’ sé”.

In senso ironico: “Enò diammin el dicevne anca in piassa”.

ENò rafforza il Si di affermazione.

ONNò vuol dire NO, proprio NO. “Onnò en vengh sigur”

“Onnò cuchin en me cucchi” ovvero: non mi lascio convincere di sicuro.  

ÓNNA è un’esclamazione di esagerazione, di meraviglia.

Ónna l’è bell, ónna l’è brutt”.

ÉNNA ha lo stesso significato di onna più mitigato. Sostituisce anche: uffa.

Énna prò, lasci gì? = Uffa però, la smetti?

ÓRCA = molto, certo, esclamazione che afferma una condivisione di parere.

CHI = Quei. Chi libre = quei libri

CHI = Che gli. Chi nissa sonn = che gli venisse sonno.

EL =IL. El pan = il pane

NA = UNA. Articolo indeterminativo femminile.

Al verbo “Avere” di solito si aggiunge la “C”.

CIà = HA. Ciavrem, ciavret ciavrann = avremo, avrete, avranno.

I = GLI. I tiraria el coll = Gli tirerei il collo

I = IO. I vria sapé perchè l’ha fatt! = io vorrei sapere perché l’ha fatto!.

EN I = NON LI. En i purtè via = non li portare via.

IÀ = GLI HA. Ià dett de no = gli ha detto di no.

IÈ = GLI É. Iè capitat dachsé = gli è capitato così

L’infinito del verbo Essere diventa ESSA o VESSA.

EN = SONO (indicativo presente del verbo essere, terza persona plurale).

LOR ÈNN= ESSI SONO. 

En = NON. EN ENN = NON SONO

SE SÈ = SE SEI. “Se sè stuppit sa chi tl’arvolti?”

 

Presente indicativo del verbo avere e del verbo essere

Io ciò          =    Io ho                                 Io sò   =       Io sono

Te cè                 tu hai                                Te sè             tu sei

Ló cià               lui ha                                 Ló è              egli è

Nó  ciavem      noi abbiamo                       Niatre sém    noi siamo

Viatre ciavet    voi avete                            Viatre sét      voi siete

Lór ciann         essi hanno                           Lór ènn        essi sono

 

EN POL VESSA = Non può essere.

EN arparlamne pió = Non riparliamone più

NUT = VENUTO. ARNUTT = Ritornato.

AR = RI. Salve poche eccezioni, i verbi che in dialetto cominciano per Ar in italiano cominciano per RI.

Arfatt = Rifatto. Arcompagnme = Riaccompagnami. Arvist = Rivisto ecc.

ACHSÉ = COSÌ. È achsé = è così (potrebbe essere modificabile)

DACHSÉ = COSÌ. È dachsé = è così (categorico)

Di = DIRE. (Iinfinito del verbo). Voi di = voglio dire. Ditle = ditelo.

Le vo’ dì le robb? = le vuoi dire le cose?

DIMMLE= dimmelo. Dicétle = ditelo. Dicétmle = ditemelo.

SE’L sapevi pudevi dill prima = Se lo sapevi potevi dirlo prima.

SA SA = cosa sa. -Mo sa sà ló? en sà propi nient.

DI = dei, degli.

DLÀ = DELLA. DLÀ o DE LÀ = di là

TEL = NEL. Tel mezz = nel mezzo. TLA = nella.

NI = venire. Vo nì? = vogliamo andare?. Nim = veniamo.

GI = andare. Vlem gì? vogliamo andare?. Gim = andiamo.

DÓNCA = dunque.

DU = dove. Du vè ? = dove vai? -Du me par = dove mi pare.

MACHÉ = QUI. MALÉ = LÌ. MALÀ = LÀ.

MALASÓ = LASSÙ.

MALAGIÓ = LAGGIÙ.

Damont e davall = In salita e in discesa.

NÓ o NIATRE = NOI

VIEN ÓTRA italianizzato diventa VIENI OLTRE = VIENI QUI

Si può anche dire: “Vien otra maché”.

CUM = COME. Cum ste? = come stai?.

IEZZOMARIA = GESÙ MARIA. Spesso si comincia una frase con Iezzomaria come esclamazione tra paura e meraviglia di un accaduto.

“Iezzomaria che lavor, è vist che robba?”.

SIT = parte o posto. Da nessun sit = In nessun posto, da nessuna parte.

TACCA = comincia. Adess tacca a discorra.

TOCCA = Bisogna, devi. Tocca gì avanti = bisogna andare avanti.

VALà alla lettera forse sta per Va Via, o Lascia perdere. È un intercalare di chi ascolta  l’accaduto di un fatto che lo lascia perplesso, ma che di sicuro  corrisponde al vero. Tocca dilli- tocca gilli a dì- Valli a dì te no?-

VLÉ = VOLERE

VLEM = VOGLIAMO

VLÉT = VOLETE

VLUT = VOLUTO.

 

Presente indicativo e Futuro semplice del verbo andare:

Io vagh          Io vado                            Io girò                    Io andrò

Te vè             Tu vai                              Te girè                   Tu andrai

Ló  va            Egli va                             Ló girà                   Egli andrà

Nó  gim         Noi andiamo                    Nó girém               Noi andremo

Viatre git       voi andate                        Viatre girét            Voi andrete

Lór vann        Loro vanno                      Lór girann             Essi andranno

 

Non si finirebbe mai di aggiungere parole detti e note grammaticali

pensando in vernacolo cioè: tel mi’ dialett, allora, sensa falla tanta lunga la

piant maché.

Da quando ho cominciato a raccogliere i modi di dire urbinati, molti mi

hanno detto: -anca te?-

Devo dire che poi, negli incontri in piazza, amici e conoscenti sono stati dei

collaboratori preziosi. -Mn’è nutt in ment una, l’è scritta questa?-

-En m’arcord, dimm’la ch’ la scriv, dop’ vedrò.

Dopo la terza estate di ricerche, ho cominciato a radunare gli appunti scritti

su fogli, foglietti, blocchetti e quaderni, li ho messi tutti insieme in questa

raccolta, come documento parziale dei ricordi di quanti sono nati intorno

agli anni ’40 e anche per non deludere gli urbinati che hanno contribuito con

i loro ricordi a ripescare parole, cose, situazioni utili ad allargare l’indagine

e realizzare l’idea di questo volumetto.

 

-Per sa fè girè avanti? ormai ste dialett urbinat l’hann scritt can e porc’?!

-Dachsé tant per levam un sfisi. Per me è na sodisfasión, se l’hann fatt

anca chiatre en importa, lasc’me fè.

 

So’ contenta, finalment è nutt alla luc.

Vaneggi oppur? - Oppur.

 

Di proposito, non ho voluto fare distinzioni tra il dialetto della città e quello

parlato al di fuori delle mura, perché non mi sembrava necessario anche se

poi, per alcune parole, ho scritto le due versioni.

Alcune parti del testo non sono tradotte in lingua, ma qualche urbinate potrà

sempre divertirsi a farlo e magari anche aggiungere altre parole e situazioni.

 

 

Toccando con delicatezza il viso del bambino a cominciare dalla fronte per

finire con il naso si diceva:

Questa è la piazza grande

Questo è l’occhio bello e questo è il suo fratello

Questa è la guancia bella e questa la sua sorella

Questa è la chiesetta

E questo è il campanon che fa din don din don.

 

Il pollice dice: Ho fame

L’indice: Non c’è il pane

Il medio: Come faremo?

L’anulare: Lo ruberemo 

Il mignolino: gnicca gnicca chi ruba s’impicca.

 

Sem gitti via nassicand la testa

Beat chi va accident chi resta.

 

 

 

DIFETTI PREGI STRANEZZE

 

Barbuss = mento. Cia ‘na scucchia = ha un mento molto pronunciato

Bisoca falsa  = persona che va in chiesa, ma non è vera credente.

Bucalón = bocca larga, chiacchierone.

Cià tutt i lardell = ha rotoli di grasso.

Cià le man lunghe = ladruncolo.

So nutta a man longh = sono venuta senza portare niente.

Ciccia bomba = modo di prendere in giro gente grassottella.

Ciccia bomba trombettiere

Manda il treno con le pere

Ma lo manda troppo forte

Da far tremar tutte le porte-.

El Ciaccapdocchj deriva da una storiella il cui protagonista muore piuttosto che smettere di beffeggiare un conoscente con la parola: ciaccapdocchj.

L’uomo anche quando è buttato in un pozzo dal suo antagonista offeso, piuttosto che tacere ed essere salvato, insiste nel dirgli: “ciaccapdocchj” anzi, mentre affonda nell’acqua, a braccia alzate con le unghie dei pollici

continua a far segno di schiacciare pidocchi fino alla fine.

Ciaccapdocchj = schiaccia pidocchi è rimasto sinonimo di testardo, cocciuto. È pegg’ del ciaccapdocchj.

Er svegghia, mo so stata gió ghiotta = ero sveglia, ma sono stata giù buona. 

Fatt’ sal scurcell o par taiat sal scurcell = Fatto alla meglio, non bello.

Scurcell = accetta, scure.

Fa el grottol = si raggomitola tutto.

Mugnón. È un gran mugnón = è uno musone scontroso e di poche parole.

Piffre = naso e anche flauto

Piffrón = Nasone. Risposta difesiva:- Ogni casa ha il suo bel camino-

Strigiol. Un strigiulin è un giovane molto magro

Pinsón = uomo piuttosto alto e ciccione.

S’è fatt un pinsón ovvero è diventato grasso e pigro.

Dai! movte pinsón si può dire anche a chi cammina lentamente.   

Sactón = persona vestita con calzoni larghi, di forma sgraziata come un sacco. Par un sactón, minca cià nessuna grasia tel vestis?   

Un surchión è una persona antipatica che non saluta e non parla quasi mai con nessuno.

 È un gran surchión, en parla né per la bocca nè per el cul. Che birr!

Strampalat = strambo. È tutt strampalat, en tocca creda ma quel ch’ dic.

È mezz matt se ste a sentì ma ló en te se fa mai giorne.

Scialat = rauco, con poca voce a causa di un raffreddamento o per aver

cantato a squarciagola.

El Scialatin era uno con la voce sempre bassa per natura.

Dur’ com un oss = duro da mangiare. È un oss dur = È caparbio, ostinato.

Sórd com un banch. Banch è sempre riferito ai banchi di legno della scuola.

Dur com un banch o come un sumar = duro nel capire.

Dur de comprendonio è più scherzoso, si completa con un cenno del

bussare. Un Succón = uno zuccone.

Com a vlé tirè fora el sangue da na rapa.

Va a la scola per scaldè ‘l banch.

Com a parlè sa un banch.

È un ciambrott = non tanto bello, tozzo, dai modi piuttosto grossolani.

È pió incantat de Tacchi è un modo di dire che tuttora resiste forse perché

il signor Tacchi è stato il tonto per eccellenza.

Incantat nett o incantata netta = tontolone, di poco senno.

Grand gross e coión.

-Chi la vanga -Chi la sappa -El più coión -Careggia l’acqua.

Trotta trotta gió pel pian che chel rott porta chel san.

Locch = sciocco. Forse deriva da allocco e di conseguenza: mamalocch o

mamalucch è uno stupido, un incantato. La deduzione è che: Mamalocca è

la madre di locch o forse no, ma sentirselo dire era proprio offensivo.

En val manca du’ baiocch = non vale niente. Baiocco = moneta di circa un

centesimo di lira, degli stati pontifici in uso fino al 1866.

Baiucchin = risparmiatore avaro. C’era anche Baioccón. 

Par un ragg matt si dice di persona sventata, frettolosa e inconcludente.

Senti? sa c’è el persciutt tl’urecchie? Cos’hai il prosciutto nelle orecchie?

-Testa grossa mandurlón -Ogni pass un cascatón

-Ogni gir una scarpetta -Accident ma te e la Betta.

En ved manch’un pret tla nev = non vede neanche un prete nella neve.

Riferito a quando i preti portavano la tradizionale tonaca nera.

Commenti della piazza riferito ai preti: Tant è i òmin anca lore?

Per sa fè i farann metta cla gonna longa fin’ai pied?.

Dopo la riforma del concilio vaticano II: È vist? adess i pret en s’arcnoscne

pió per nient; sensa la chierica, vestiti come chiatre, possen fè quell chi par

no? Pff! con alzata di spalla, tant è dachsé, gambia tutt.

Ciech com ‘na talpa oppure: En ved da ché e lé = ci vede poco.

Cià le gamb stort chi passa un can = ha le gambe storte che gli passa un

cane. Gamb a’rchett = gambe storte.

Rafacan = forse deriva da arraffare. Persona che per il suo tornaconto briga

e prende tutto quello che gli capita. Truffatore.

En t’ho sentit, s’entrat com un sprovingol = Non ti ho sentito, sei entrato

silenzioso come un fantasma.

Peccia = chioccia, oppure orologio o altro marchingegno che funziona male.

Che peccia en i lascia mai in pac ma chi burdei.

Oppure: Cià ‘na peccia d’urlogg ch’en i va mai ben.

Ingnorant com na sappa =ignorante come una zappa.

Senza scampo: I purett er’ne sol dj’ingnorant ch’en capivne nient, mei

dachsé, almen en pudevne alsè tant la cresta.

Se non ti hanno dato la possibilità di studiare quant’era ora, la colpa non è

tua, ma la voglia di capire deve essere una costante della vita.

En è da chiappattla sal burdell, minca è colpa sua? Tant quest el capirè, no?

-Sent  da che pulpit vien la predica? Lascia gì cucchina valà ch’è mei.

Fa certi discors ch’en ciann nè d’me, nè d’tè nè d’merda secca.

Ruzz = rozzo.  Ruzz com un spin.

Famm na messa cantata è meno volgare di: Famm un mannich mal

sighett. La traduzione è: non dire stupidaggini, finiscila.

Oh! me vo fe na messa cantata! = la vuoi smettere!

Svelt com’ un can legat’ = poco svelto.

Svelt com la polvra = svelto come la polvere, ragazzino molto sveglio,

veloce nell’apprendere.

Svelt com ‘na palla de schiopp poteva avere senso positivo o negativo,

dipendeva dal tono e dalla situazione. Schiopp in questo caso è il fucile.

Svansica = vanitosa. C’è da fè la svansica tant è blina? Mo valà! Fa rida

Mai sass. È vist la smena el cul? Guarda cum mov el bracc? Par semina.

Se dà n’aria, chisà chi cred da essa = si dà un’aria, chissà chi crede di

essere.  Smena l’anca sen’è putana poch i manca.

Na cavallóna o na gambriglióna  = ragazza alta con le gambe lunghe, simile a: Na stanga ch’en fnisc pió o na spilungona sempre riferito a persona alta.

Andavamo all’asilo Valerio, già da allora, rispetto alla statura media di tutti noi bambini, la Guarandelli era la più alta, in proporzione è sempre rimasta la stessa, l’abbiamo sempre guardata dal sotto in su.

Cara Guarandellona tu hai anticipato le nuove generazioni, sei stata il prototipo delle persone alte d’oggi!

Gaméli = cammello. Par un gaméli, alta com’ un gaméli.

Na signorina antica = una persona anziana non sposata.

Na gnargnina = molto piccola come una nana

Na gnaffa, gnaffina = con naso schiacciato, oppure con lineamenti poco

pronunciati, di solito piccola e insignificante. Cià na faccia spianata!

Na zitlóna = Una zitellona. Na zitlóna era detto in senso dispregiativo.

Bucchre = scarafaggio. Ner com un bucchre. C’era anche la diceria che

Gildón da pcin magnava i bucchre, pura invenzione naturalmente, ma ci si

divertiva per qualsiasi bizzarra stupidaggine escogitata al momento.

Bianch e ross com un bucchre sa  du’ occhj tla testa par ch' è viv è la

descrizione spiritosa di una persona normale.

Languida come la broda di gnocch.

Trista impestata = molto cattiva.

Trist fraid = molto cattivo. Bagnat fraid = bagnato fradicio.

Na gisvitta, te fa blin blin tla faccia e pó dic mal dietra  = una gesuita, cioè

persona falsa, ti sorride compiacente in faccia, poi dice male di te con gli

altri.

Brutta cóm’ un cólp’ = bruttissima

Secca o secch com un usc’ = molto magra o magro

Secch’ arplitt o Renga secca si dice di persona molto magra. 

Saculón, da saccola = caccola, persona sudicia, sporca.

Savardón = molto sporco

Baldracca è una poco di buono, sinonimo di chiavica. Chiavica = fogna.

Petriola = imbuto. Fa le petriole o ghiottola = è uno che tartaglia nel parlare

Ghiottolón deriva da ghiottola diventava un soprannome come Ghiottolina e

Paraghiottolina.

Girandolóna! Se tutt’al giorne in gire?

Cià ‘na faccia gricitta. Cià la gonna tutta gricitta.

Gricitta = spiegazzata o rugosa. Gricitt tla faccia e ti calsón.

Smiansa = assomiglianza.

C’asmiine o c’asmeine, c’hann le ganasc a spindulón sia el can ch’el su’

 padrón = Assomigliano hanno le guance cadenti sia il cane che il suo il

padrone.

Quattr’occhj e ‘na vetrina = modo per bistrattare chi portava gli occhiali da

vista. Bislocchj o bislocchia si diceva a chi aveva gli occhi storti.

Scarogna = Scalogna, sfortuna. Che scarogna, me mancava sol che questa

adess! De quel ch’en se vria c’è pien el piatt.

È com el can tla chiesa, en el pol veda nisciun = è come il cane in chiesa,

non lo può vedere nessuno. 

Cià un cul come Baga = ha una gran fortuna.

Cià la scarogna tacata mal cul = è proprio sfortunato.

Ciambrocle ha diversi significati da organo genitale maschile a persona

tozza.

Giamblandana = negligente, disordinata.

Ging’lóna = incurante, bighellona.

Furcinella o fermessa = molletta per capelli. Se’ sempre tutta scapciata,

dat na pettinatina e mett’te qualca furcinella. Cricca = crocchia.

La nonna teneva sopra la toeletta una bottiglina con olio e poco aceto, da

agitare prima dell’uso, per tenere a posto i bei capelli pettinati a crocchia.

Allora si usava  la brillantina, soprattutto gli uomini di una certa età hanno

continuato a impomatarsi fino all’epoca dei Beattles e oltre.

Scarpign = erba di campagna un pò spinosa, ma buona da cuocere.

Par un scarpign si dice di persona con capelli che vanno per tutti i versi,

o anche per la scelta del modo di vestirsi un pò trascurato.

Scapción = spettinato, con i capelli lunghi.

S’cifaritt = spettinato, con i capelli in disordine come appena sveglio.

Paciott paciott = buono buono, calmo.

Lament de Caldari = gran lamentoso. Caldari se persiste come modello di

paragone doveva essere lagnoso oltre ogni limite.

Che ploia, vo’ lascè gì = che noioso, la vuoi smettere.

Cià le gricc mal cul = non gli va mai bene niente. Brontolone lagnoso.

Vedrè che quell li leva le gricc mal cul = vedrai che quello lo fa ubbidire,

gli fa mettere giudizio.

Vrecchj = orecchj = orecchie. Vrecchion o fnocchj = omosessuale.

Paracul. En te fidè è un paracul da rida, fa sól i su’ interess.

Placcia = pellaccia.

Pliccia = pelle grossa e grassa delle galline o anche strato di sporco sulla

pelle. Cià na pliccia ch’ toccaria lavall sa la brusca.

Scopetta = spazzola. Brusca è la scopetta per i cavalli.

Spuntichión = qualcosa che sporge e punge o da fastidio es: barba che

ricresce, penne rimaste radicate nella pelle dei polli da cuocere, terreno con

erba secca tagliata. La seccia sa tutt chi spuntichión raspava tutt le gamb.

Le donne, generalmente, non osavano neanche pensare di potersi mettere i

Pantaloni: Sarè matt, me metterò i calson? solo le più “sfrontate” per

mietere o per altre rare occasioni, indossavano calzoni che prendevano in

prestito da qualche uomo di casa.

Seccia =stoppie. La ristoppia = ripiantare nello stesso campo la messe

dell’anno precedente.

Se matt o se birb? = sei matto o sei furbo? Equivalente al contemporaneo: ci sei o ci fai?

La sessola era una cucchiaia di legno, tipo metà cilindro con manico corto,

che serviva per prendere gli alimenti da pesare come pasta, zucchero, farina, legumi che allora si tenevano nei cassetti del bancone di vendita, la sessola serviva per mettere sulla bilancia la quantità richiesta.

Tle buttegh dupravne la carta de paia o quella oleata e c’era da sceia tra

la mortadella da pió e quella da mén. I prodotti da pió costavano di più, da mén costavano meno dipendeva dalla qualità è ovvio.

Ià dat ‘na sleppa = Gli ha dato una gran sberla, si potrebbe anche dire: na lècca o un gran cinquinón, che è sempre un grosso schiaffo.

 Cià du’ sessol de man! Se te dà na sleppa te stend  = ha certe mani

grandi! Se ti dà uno schiaffo ti stende.

Cià na sleppa de pied! = ha piedi molto grandi.

 

Lia el sà quanti gir fa na boccia si diceva di donna brava e di buon senso che sapeva amministrare bene la casa e la famiglia. Lia = lei.

È na spirlimplina, vedrè ch’en se fa fè tante legg.

Basta na bella gravatta e par na mutta nova.

Mutta = vestito da uomo con giacca e calzoni coordinati.

Vlut = voluto (participio passato del verbo volere) oppure velluto.

C’aveva na bella giacca de vlut. Iè cià vlut un bel pestin per capilla.

De chi dett n’ha scritt un cicin da rida = di quei detti ne ha scritto molti.

Batroccola o batroccol era uno strumento di legno che si suonava nella settimana santa a campane legate, forse da questo strumento deriva il verbo sbatroccola che significa smuove, trascina, calpesta.

Sbatrocolaticc = trambusto.

Se sent un sbatrocolaticc, en el sò sigur sa fann tutt’al giorne.

Vedrè ste fresch insalatina si dice tra il serio e lo scherzoso a chi probabilmente si troverà in difficoltà.

Voia = macchia sulla pelle o voglia di qualcosa.

Cià na voia tla schiena o Ciò na voia de gelat.

A voia = di sicuro. Si aggiunge al SI di affermazione.

Sporch incrudulitt, te vò dè na scrudulitta?

Incrudulitt deriva dal verbo incrudire.

Tra el corra e ‘l fuggia è un modo per dire che non c’è nessuna differenza.

En gambia nient.

Com’è en c’è pió le tette? Oppure: dù è mess le tett? Erano battute per prendere in giro le donne con poco seno, alle quali, per abitudine tramandata usava dire: C’è passat San Giusepp sa la piavla.

Piavla è il termine ormai in disuso di pialla.

Mai saputo il vero nome di una ragazza che chiamavano: zero zero tette.

C’la iò, c’la iò spiastrellate si asseriva ridendo, quando si guardava un seno effettivamente piccolo, detto chissà da chi e trasmesso di bocca in bocca nel tempo per far ridere.

- Du git Tavletta? -Du me par Cuciatta.

Zero carbonella = persona che non vale niente di niente.

Giorgio, molto timido con le ragazze, a una festa da ballo finalmente decide di attaccare discorso con la bella che gli sta vicino facendole il seguente complimento: Che begli gli ugni signorina. Il fatto risale a quasi cinquantanni fa, ma i rimasti, ancora ci ridono.

Che belle buccoline! = Che begli orecchini!

Raghin o raghne = lucertola

S’incanta com un raghin.

Avem fatt la pansa com i raghne = abbiamo mangiato poco.

Putanier = donnaiolo in senso negativo.

Alla matina le patat, al giorne le patat, alla sera le patat,

Se magna ben sa ste patat.

Sta bon ch’t’arcont  na Piccia favola.

Pien de telaragn = pieno di ragnatele.

Sfronchia che bon i va. Sent el ronfa!

Ha fatt el paìn no? Il no sta per: è vero? ti sembra?.

Bsogna accontentass no?

-È già, basta la salut e ‘l pan de gran, sa vò da Dio?.

A quattre si usa per esagerare l’idea di molto.

-Ha fatt el diavol a quattre, un ov a quattre, ni ha dett quattre vedrè!-.

Ni ho dett, mo quant m’na datt! = gliene ho dette, ma quante me ne ha date! 

La ligaccia o La gluppa era un “fazzoletto della spesa” legato con due nodi incrociati e contenente qualsiasi cosa.

Il fazzoletto della spesa è l’antesignano dei sacchetti di plastica di oggi, era molto usato da coloro che arrivavano dalla campagna, spesso uomini, per portare prodotti commestibili di loro produzione, invece per portare cose

fragili o delicate si preferiva il canestro che però una volta vuoto era più ingombrante.

Gamba stila si dice a chi ha le gambe molto magre.

Cul longh.

Ansi ch’ha fnit per na prescia = anzi che ha finito per adesso.

Prescia = fretta. Io en ciò nisciuna prescia.

I mont s’abassne, le person s’incontrne.

Lò en c’è mal, mo lia par un tavlón da ott.

Sem armasti soli com du’ cuccarin.

Queste sarien le ficch del post = Queste sarebbero le belle del luogo.

A uno che suonava il contrabbasso: quant el mett sotta la vrecchia?.

Vermin = verme, da cui: sei un vermine.

Un due tre fante cavall e re.

  

El mi gatt

Se strofina, s’arvultila

Se spultraccia tla paia e

Se i dè l’assica se sfuna.

 

 

DA UN  PAL  A’N  FRASCH

Carpinelle = pellicine delle unghie.

Spavrit = spaventato.

Sa na fava ha pres du’ pción.

-Perchè? -Perchè due en fa tre.

Malé i affar van ben sé, è propi tla bocca del lup!

Anca l’ultim gnocch vien a galla.

En me sfagiola tant per nient.

-Te chiapassa n’accident cum ste? Oppure:-Mo va a muri scanat, valà! e anche: Oh! ancora en se morte?- Erano modi di dire tra amici non offensivi, un modo brusco-scherzoso per manifestare una certa contentezza nel rivedersi. Ancora oggi noi urbinati non ci lasciamo trasportare da grandi manifestazioni di giubilo e d’affetto, ma è solo un’indifferenza apparente, in verità c’è molto calore umano e sensibilità nei cuori, si capisce soprattutto dai gesti quotidiani e forse bisogna saperlo leggere negli occhi dei pochi veri urbinati rimasti.

È stat ‘na gran sciupatura. Ló ce schersa, mo le sciupatur se scont’ne.

En schersè sal foch! 

En spaliè le mulicch dapertutt = non sparpagliare le briciole dappertutto.

En smulicchè.

I muccichin erano i frutti del tasso di un bel colore rosa-ciclamino. Il sapore era dolce e vischioso, noi li succhiavamo e sputavamo i noccioli lasciandogli attorno una leggera patina, altrimenti diventavano amari.

Gim a magnè i muccichin ai viali, abitavamo nei paraggi e gli alberi di tasso si trovavano solo lì. Conoscevamo erbe e fiori di tante qualità, assaggiavamo tutto quello che trovavamo di commestibile: i lupin, i dulcin, le brugnol, le grattacul, i sem dla malva, el fior da caccia e altro.

Sachè l’oppi del muscatelle? En è minca facil sa credi?

Santa Lucia! en l’ho vist, s’era un can me dava un mors.

Cerqua = quercia. La cerqua tocca taialla dal cul.

El tirabussón = Il cavatappi.

Chi vol che l’amicisia se mantenga -La staccia ha da fè vagh e venga.

Bon da buttè tel sciacquató = buono da buttare nel lavandino della cucina.

Chi bell vol comparì qualcosa ha da suffrì.

Ciò na smania ch’en staggh ben nè in pied nè a seda.

Baghin = maiale.

Bell baghinin si può dire con affetto anche a un bambino che bisogna lavare.

Gran baghinón è un adulto sporco fisicamente o per mentalità.

Bregn = trogolo. El bregn del baghin.

= tieni. Tò en se dic manca mal baghin.

Baghinin tò tò si diceva dando da mangiare ai maiali.

EN ÈN = NON SONO. En èn minca gitti via subbit, séé a voia!

Me vien la carne pulina, ansi pegg, me s’arcid le carne.

Me barbaia la vista.

Ià dat na bella incipriata = gli ha dato una bella impolverata.

Commento prima di mangiare un gelato vistosamente piccolo:

 -Vedrè che sa quest en se fa la compustura!-

Finalment sem arnutti alla pagión = Finalmente siamo tornati a casa.

El vent porta el fiasch tel cul ossia: quando smette di tirare il vento piove.

En c’è ‘l temp da batta i occhj e anche: El da fè me cava i occhj.

Tun che tett era o tun che tett è = In quale tetto era o in quale tetto è.

Stè gió moscia, sta só arditta!

-La cnosci? risposta: La cnosc sé, l’ho vista a nascia, è nó’ ch’ sem dventati grandi. Quant’è dura a dventè grandi. Sta sitt te port tla gorga.

Pió ve avanti e pió è fatiga a campè.

Ormai sem da sta part, clatra part en arvien ótra cioè gli anni passati non tornano. A una certa età quel ch’è pres è pres o quel ch’è vutt è vutt.

Cosa? -chi sa cosa, la merda plosa.

M’ha fatt la gambetta, so’ cascata a bocca all’avanti.

Me se spicciat n’ogna. Ogna o ugna = unghia

Va fè du’ fascin sa l’acetta arvulteta dicono verso Fermignano.

-En lascè chel pallón fora, tant volt passa chi burdiacc el chiappne só-.

Per raccogliere i frutti dall’albero: -En chiappè chi ram fini fini, tira gió el brancón- Tira giù il ramo grosso.

Bona tla chiesa, trista a casa.

Brutta in fascia, bella in piassa.

Tun chel sporch dla mundessa c’è certi sciansción.

Sciansción = grosse mosche.

Tutt ste polverig o spolverig.

Sórta = spessa, grossa. Iè nutt na crosta sórta, prima chi se guarisc!

È pres cert aranc sa na buccia sórta.

Sgaraticc = marinare la scuola, per estensione non andare a lavorare.

Un lisc e buss.

Tutt sbifricchj = tutti oggetti da poco prezzo e di poca utilità.

 -Guarda ch’s’incassa! – Vé farà ló! se s’incassa fa du’ fatigh -

Com du fatigh?  -Una per incasass e chl’atra per scasass-.

Na Babilonia cum adess en s’è mai vista.

Un marpión.

Du fratei = due fratelli. Tubin e Mezzaluna erne du’ fratei.

Ognun cià el su’ sassulin da roda oppure:

Dappertutt c’è un sassulin da roda.

 

LA FAME IL MANGIARE IL BERE = LA FAM’ E’L MAGNé EL BEVA

I arvans de quell ch’è mort dalla fam = Gli avanzi di quello che è morto

dalla fame. Furcina = forchetta. Cucchiara = cucchiaio.

Spandiccre = sbadiglio in attesa di mangiare.

Spandiciarella o spandisciarella = sbadigliarella dovuta alla fame.

En paidisc = non riesce a digerire. En ha paidit = non ha digerito.

Na sfurcinata de taiatelle = una forchettata di tagliatelle.

Na fam ch’avria magnat le cavij ma le sedie.

El magnè e’l mormorè stann tutt tl’incominciè = Il mangiare e il

chiacchierare stanno tutto nell’incominciare, non finiresti più.

Un culacin de pan sal vin.  

Un toss de pan per fermè el stommoch.

Un cuncin = un pezzettino. Un po’di tempo.

Damm un cuncin de pan. È un cuncin so’ maché ch’aspett.

Me basta na fettarina de pan. -Chiappne anca un filett se’n te basta, no?-

Supachiott = pane molto inzuppato, che ha assorbito tutto il latte o qualsiasi

altro liquido.

Na pagnutina imbutitta = un panino imbottito

El pan sciutt, el pan sal sput = Il pane solo, il pane senza niente.

El succhre = lo zucchero. Te piac sal succhre?

El pan sa l’oli e’l sal = il pane con l’olio e il sale.

Pansanella = pane inzuppato con acqua, aceto, sale e olio.

Dolc sfraganat = troppo dolce. Termine coniato di recente.

En me piac me fa nì i strangulón.

Cassinpevre = cassinpep = pinzimonio.

En salva manca el fum ma le cresc.

Faccia tosta è la metà dla spesa. Cià na faccia com el cul.

Nei giorni prima di Pasqua si facevano grandi pulizie perchè doveva passare il prete a benedire le case e le uova.

Ova chiocch = uovo non fresco. Ova tost = uovo sodo.

L’ova benedett se coceva tost e se magnava la mattina de Pasqua.

Ha fatt la visita del pret si diceva di chi veniva a trovarti e si fermava pochissimo. Giust na scappata de corsa.

Son chiocch = suono non squillante, tenue, ovattato.

Ste piatt è crettat, sona chiocch = questo piatto è incrinato ha un suono  spento. Sa la nev le campan sonen chiocch. Enò, quant te svegghi el senti dai tocch dle campan ch’ha buffat, c’hann un son sord, che‘l capisci subbit.

È magnat’ -Sé- Adess cava i dent. Finito di mangiare, si doveva star bene fino al pasto successivo, quindi i denti nel frattempo non servivano.

 

 

O fien’ o paia era come dire: quell se magna se magna, basta se magna.

Tradotto sarebbe: buono o cattivo basta mangiare qualcosa.

Quell ch’en astrossa ingrassa.

Bocca vunta en dic mai mal.

Mio nonno, la domenica, quando era invitato a mangiare a casa di qualche

parente commentava sempre allo stesso modo:

Quest en è un pranz è un sposalizi.

Tocca tirè la cinta.

Na sbobba! par l’intrisa per le galin.

O magni ‘sta minestra o salti ‘sta finestra.

Amareggia com el tosch = molto amaro. El tosch era un veleno per topi.

Com un poss sensa fond = come un pozzo senza fondo, ossia dare qualcosa

in continuazione senza finire mai. En se fnisc mai da dè.

So’ pien come l’ova. Mnè dat na bigónsa!

En m’nè buttè gió pió. Sa so’ un bua? = cosa sono un bue?.

Smiccola = mangia poco, sceglie piccoli bocconi, scarta quello che non

le piace. Sa smiccoli, magna gió ch’è tutt bon.

Se s’impunta en magna manca  s’l’ingossi com le och.

Una volta, le oche si facevano ingrassare dandogli il mangiare forzatamente.

Ingozzare l’oca era un lavoro riservato alla donna che, stando seduta, teneva

l’animale fermo con le gambe, con una mano gli apriva il becco e con l’altra

gli faceva ingoiare, con le dita fino al gozzo, bocconi di un pasto fatto di

ingredienti naturali. 

Quell passa el convent.

A tavola ha pres moi anca un frat.

Basta anca ma i frat de San Francesch si diceva quando il mangiare era

abbondante e i frati nel convento di S. Francesco erano tanti.

Cià de stantij = ha di stantio

Scarti grass, s’è vede ch’en è mai patit la fam!

Na scodella sa la colmatura = un piatto fondo colmo. Na tigella.

Ià v’sutti sal formai = li ha voluti col formaggio.

Gussutta = golosa. Ho fatt el cunill alla gussutta. Gussitudin = golosità

Valà ch’en sa gabba quant tirà gió da magnè, è un  gunfión.

Sgulfanat = Mangiare troppo e in fretta. è un gran sgulfanat.

Famm i spaghett al dent e la nonna:0 ma me fammi alla gengiva.

-Arvenghen tutti ma la greppia, oppure Arvenghen tutti mal bregn-

vuol dire che la famiglia al completo ritorna a casa per mangiare, quindi

bisogna cucinare per tutti.

Pensa solo a sbaghinare lo dicono i figli dei genitori urbinati nati altrove,

Rimpisàt = riempito = ha mangiato molto.

S’è rimpinsat com un baghin o ha magnat com’ un baghin.

Rusighè = rosicchiare. Rusiga sempre = mangia sempre qualcosa.

Ariva sempre a pappa fatta, me piaceria anca ma me.

El garull dla mela = il torsolo della mela. Me lasci el garull?

Tocca sbarzille, o sbalzille, en crederè cle butt via = bisogna mangiarle tutte

non crederai che le butti via.

Al maschile: tocca sbalzii cioè bisogna finirli.

Scroccón = scroccóne. Magna a scrocch = mangia a sbafo.

Magna a uffa = mangia a spese degli altri.

Magna pan a uffa, sarà ora ch’impari a gil a guadagnè?

A gil a guadagnè = andarlo a guadagnare.

Una porta, con la serratura a scrocch, basta tirarla e si chiude senza

chiave, avrà qualche nesso con scroccóne? 

Me fa gulin = mi viene voglia

Se sgulina = gli viene l’acquolina

Se sgulinaria da gicc = gli piacerebbe molto andarci.

Modest = moderato. -Magna modest- -magn magn.- Se chiamava Modest.

I tien pió i occhj che ne la bocca.

Ormai gonta, t’affogasc.

Blich = ombelico.

Blich d’ai = la parte centrale della piantina d’aglio fresco cioè la più tenera

prima che faccia il fiore.

La bagiana era un piatto a base di fave fresche. Si lessavano le fave con le

bietole, i liscre o i blich d’ai e si condivano con un soffritto di olio e aglio.

La carne dura fa i cincigón, en se s’cincicca, fa el masticott.

-Li fa passè sotta el nas per fai nì voia sensa dai nient- ha lo stesso

significato di: -Prima li sdruggina ti dent e pó en i dà nient del tutt-.

Cioè: gli fa vedere bene una cosa da vicino per fargli venir voglia e poi non

gliela fa neanche assaggiare.

Sdrugìna o sdruggina = strofina.

Me se sdruginava tutt adoss. Sa te sdrugini vo’ ste in là!

Ho sdruginat tant, mo le macchj en èn gitte via.

Magnè, chi magna magna, mo le bevut han da essa pari.

C’avet un color vinaccia  -anca vo’ en set cott in bianch.

Belle! Belle?! -Tutte pagate ficcanas.

È gitt gió com un zulin = è andato giù bene, si dice di un bicchiere di liquore

o altro, bevuto volentieri.

Datme n’antre bicchier de vin che ch’l’atre mla bevut tutt el biscottol.

El biscottol o ciambellón era il dolce per eccellenza, si faceva spesso, si portava a cuocere dal fornaio, era buono e si manteneva fresco per più giorni come il pane.

La tradizione del ciambellone continua con poche varianti, ora si cuoce  in casa e quando non si lievita bene si dice: er’mast tassat se si sbaglia la temperatura del forno: se bruscia o arman incrudulitt.

Arculisat = alcolizzato. Par n’arculisat = è detto in termine offensivo.

Na sgónsata = un sorso.

Cotto duro oppure cotto come na mela.

Le bevut en se contne = le bevute non si contano.

Ciucca = sbornia. Ha fatt na ciucca o anche: na cuccuma.

Cuccuma = caffettiera. Mett só la cuccuma del caffè.

Gulla o pan del cucch = escrescenza rotonda che nasce sui rami della

quercia.

Cià ‘na cuccuma, o cià ‘na gulla = È ubriaco

Na sbornia da oli sant.

Che mina, burdei, en s’arconta! Le risat da pisciè adoss.

Ercole e Bruno vann a Venesia, Picnic va a glen grant.

Fa le ciampanelle = barcolla

S’ciampanella, en sta pió in pied tocca ‘compagnall a casa.

Se uno aveva bevuto troppo la sera, la mattina dopo al bar chiedeva acqua minerale. Commento: L’è fatta bella iersera eh? -risatina ammiccante-:

bevi l’acqua sa i bocciol.

Schiccheri = Bevi. Maché se schicchera sempre è?

‘Na foietta e ‘na gasosa = mezzo litro e una gassosa.

Alcuni amici d’osteria erano: Strawischi, Alcolino Bevucci, Beverani, Abboccato e altri.

Vria na motocicletta ch’ facessa sempre: bombo bombo.

Ai bambini piccoli (pupini) si parlava con parole adeguate al loro linguaggio. Bombo = vino. Vien dal nonn ch’ te dà da beva el bombo.

S’erne ‘na tavlata longa, avem magnat a crepa pansa o com i lup

= Eravamo in una lunga tavolata, abbiamo mangiato tantissimo.

 

Il giovedì prima di Pasqua s’andavano a visitare i “sepólcri” allestiti nella

penombra delle chiese. In quel giorno un altare, veniva abbellito in modo particolare, era molto illuminato e decorato con piante e fiori, lì davanti si sostava per una preghiera di raccoglimento. Dovevamo far visita a un numero dispari di chiese (tre o cinque). Scherzando: -Gim a fè i sepólcre- vuol dire: -andiamo a bere da un’osteria all’altra.

 

 

 

 

Una volta c’erano molte osterie dove gli uomini s’incontravano, mangiavano qualcosa per tenere meglio il vino, giocavano alle carte, fumavano e chiacchieravano. L’osteria era luogo d’incontro anche per chi arrivava dalla campagna. -Arrivaven tl’osteria sa la gluppa, tiravne fora un furmai che camminava dai vermin, bevevne qualche bicchier de vin, ridevne fort,

s’arcontavne só qualcosa dle lor bestie e di lor affari, qualca batutta spiritosa na botta tla spalla per salutass e via. Gigin Caretta racconta: In Urbin ancora  dop la guerra se contava fina a 25 osterie, ce divertimi a cantè, oh! tropp avem cantat, certi cori. Adess invec en c’né pió nisciuna.

Tla piassa dl’erba cioè nella piazza delle erbe i cuntadin potavne a venda tutto quello che producevano in campagna come uova fresche, pollame vivo, verdure e altro, si andava a comprare la mattina presto.

A ‘st’ora se vien tla piassa? è tropp tardi carina, a st’ora en se trova più nient.

Pochissimi portavano una bilancia da casa, ma c’era sempre un omino urbinate che prestava la sua stadera in cambio di quel poco o niente che gli davano per ringraziarlo. Si scherniva: -en voi nient- (figurarsi andava di buon’ora in piazza apposta) -Mancariatre, me fat sempre el piacèr, chiappat

ste tre quattre pesch, en un po’ macatine, mo basta capalle, en bone!

Andare in piazza significava guardare, scegliere bene e stare attenti a  non comprare: le noc nocchiose, i pundor guissi, i fich mannati, i ova chiocch, i pción vecchi; era sempre meglio andare da qualcuno che si conosceva almeno di vista. Guardi bén i pciuncin quant i compri, tla testa cian d’avé ancora cle piumarin legére chen hann fnit da gambiè. I piccioni si cucinavano arrosto o in umido ma sempre con la riempitura cioè col ripieno.

Era un pción bon sé, mo cundit achsè saria stata bona anca na cvetta.

La frutta si sceglieva: -cla pió tostarina-. 

Na mulicca = un poco. Datmne giust na mulicca.

Na mulichina apena apena, ééh! un cincinin per ‘sagialla!

Na mulicca quant un’ogna o quant un segn.

Se consideriamo Mulicca come unità di misura Oncia è un po’ di più  e Greia è un poco meno.

M’navet dat quant un’óncia, mettetne gió nantre dó, só.

 

 Plucca benben cl’oss iè lasciat tutt el più bon malé.

Dio te mantenga la vista burdell, che la fam en te manca.

 

 

 

 

 

SPIGOLANDO QUA E LÀ ovvero “I ARCOITICC”

C’era ‘na volta, mo la volta s’è slamata.

El pciól = vino di nessun pregio, molto leggero. Dopo l’ultima spremitura

dell’uva, se metteva l’acqua ti scart dla bott e quei bulivne no?  Da malé niva fora el pciól ch’se beveva tna giornata e mezz, dop dventava trist.

-Sa l’inguria s’fa tre us’-S’ magna s’ bev e s’lava el mus.

Me vien d’argoita = me vien da rimetta = mi viene da vomitare.

M’er nutt só anca i budei = ho vomitato tutto.

C’era la carestia de parecchia robba = mancavano molte cose

Cià datt la caccia = ci ha rincorso

Rigulisia = liquerizia. È ner com na rigulisia.

Caminava tutta slalata.

Sporch de sogna o de morchia.

-Sa me guardi?- Se guarda un palass, podrò guardè un pupass!-

Al di fuori delle mura era: -perché me guardi?- risposta: -Se pol guardè un

cepp d’erba, se podrà guardè ma te, pess de merda!-

Tura e stura = tappa e stappa

Du vè? –“Per stavolta tel digh: du me par, n’antra volta en mel dmandè

per nient-” cioè per questa volta te lo dico: dove mi pare, un’altra volta non

me lo chiedere per niente. Va ben achsé?

Per tuffas ha dat na spansata.

La robba de lana è armasta tutta intacconata, guarda sta maia è tutt un taccón -La mia invec s’è slimbata tutta, sa iò da fè?

Me so’ rott le scattol o me so’ rott i stival o me so rott i coomber, ch’saria sempre quella.

Dio bono che saracca!  Saracca = botta forte.

Venghen só ben com le cann secche.

Fè come don Contucc ch’se ardótt a dì messa sa un copp.

Testa vota. Fra Masón. Pensa sa i pied.

Te vol sempre metta i pied sopra la testa.

En c’è goccia propi de nessuna rassa = non ha voglia di fare proprio niente

En tutti caffi sti calsett, minca se trova mai el cumpagn. Ovvero: sono tutti spaiati questi calzini, mica se ne trovano mai due uguali.

Schment probabilmente deriva da sgomento,

Ha vutt un bell schment = ha avuto un grande spavento.

Chi fuma cià un grad pió dla merda.

-Anche la m…. fuma no? allora chi en fuma cià un grad de men de quella. 

Bigulón longh longh.

Sono scento propi davanti casa, scento invece di sceso ancora resiste.

El Signor manda el fredd second i pagn.

 

SALUTE MALATTIA VECCHIAIA.

Anche lo poracc n’ha vist quattre.

Bianch com un cenc oppur com un pagn lavat.

Capirè, se camparà quant na cotta de taiulin.

I taiulin ovvero i tagliolini, come tutte le paste fatte in casa, si buttano giù nell’acqua bollente, in un momento ritornano a galla e sono cotti.  

Ogg ce sem e dman chisà = oggi ci siamo domani chissà.

Tocca fai tutt, custodill e guarnall com ma’n burdell pcin = bisogna fargli tutto, imboccarlo e badarlo come a un bambino piccolo. 

Catorc = catorcio o chiavistello. È un catorc = è malandato.

Sa ste scur chisà cum fè a tirè só el catorc! En se trova el bugh dla chiav.

Du crederà da gì sa chel catorc!

Cià ‘na salut de ferr, minca è mai stuffa! 

Cià pió magagn ló dl’asin de Bulgre o anche: Com la cavalla de Bunella,

centcinquanta magagn sensa cuntè quella sotta la coda. 

Valà ch’ha vutt ‘na bella stranitta, en ha pió tanta voia da gì alle git.

È fatiga a fatighè, adess so’ stuffa, c’è anca dman ch’en è tocch.

È un scioperat = non ha riguardo per la propria salute

En ciò la salut da venda, sa credi?.

Fa com el mars ma i vecchj = Fa come il marzo ai vecchi, cioé non fa

niente. Anche gli anziani, come tutti, con la bella stagione dovrebbero stare

meglio invece non hanno nessun miglioramento.

En c’hann nessun giovament.

Tira el fiat sa i dent.

Rinciculitt = rattrappito. S’è rinciculitt tutt in genere si dice del vecchio

rimpicciolito per l’età. Rincoionit = rincoglionito.

E’ un rinciculitt si dice anche di giovane piuttosto piccolo e magro

Tant s’è ardótt blin! si dice di qualcuno malridotto.

Tutt le mosch vann dai can magre.

Scarnit, tutt’oss da fè paura.

È tutt scuncassat. È tutt scuccialat. 

Vecchj bacucch ch’ sta só per ingegn.

Appena fa du’ pass’ spancia.

En vria gì a f’nì ti Capucin = non vorrei andare a finire ai Cappuccini.

Capucin = Cappuccini ex convento, nato come ricovero dei poveri soli e

abbandonati, con gli anni era diventato la casa di riposo dei vecchi in

generale. L’anticamera dla mort.

Cle infermier c’hann na grasia com el lup a chiappè le passre.

Nei ricordi è rimasto sempre un luogo di tristezza e solitudine anche quando

era migliorato di molto.

Ora gli anziani sono in una struttura nuova, adeguata alle loro esigenze.

L’intero colle dei Cappuccini, ricordato dal poeta Giovanni Pascoli nella

poesia “L’aquilone” ora fa parte dei college dell’Università, così la

tradizionale passeggiata del 15 agosto, molto seguita da sempre, dopo il

trasferimento degli anziani, sta perdendo d’interesse.

Ce va poca gent, en j importa pió ma nisciun.

La festa degli aquiloni invece continua e si rinnova ogni anno con grande

entusiasmo da parte di grandi e piccini. È una gara tra le contrade della città,

che una volta si faceva alle vigne, dopo alla fortezza Albornoz, adesso

l’appuntamento è sempre per la prima domenica di settembre, alle Cesane. 

Ooh! Fann certi aquilón sempre pió bei.

Le espressioni:

-Se’n sta ‘tent c’armett le bucc, -Sta a’tentin ch’ ce lasci le penn,

-Va ‘fnì ch’ ce lascia le stroppie- significano tutte che non si deve

perseverare su cose troppo faticose o troppo rischiose per non morire.

Per stavolta l’ho sfangata = per questa volta sono sopravissuta.

L’hann arpres per i capei = l’hanno ripreso per i capelli.

Sta ‘tent te fenen il detto modernizzato è: -Sta ‘tent te stiren-.

Falcnara = falce fienaia. Forse una volta era pericoloso mettersi davanti

a un uomo che tagliava il fieno, poi il pericolo si è spostato verso le

macchine e l’automatizzazione.

Sa scrulli o sgrulli minca so’ n’alber de succin.

Va a lett sa le galin = va a dormire presto.

I modi di dire: È un sciaparell, È sonat, En c’è tutt, I manca qualche

giuvdé sono chiare allusioni riferite a persone considerate non proprio sane

di mente.

È stupit dalla testa ai pied = è  proprio stupido

Chiud la stalla quant en c’è pió i bua = chiude la stalla quando non ci sono

più i buoi. Come dire che è inutile voler mettere riparo a una cosa avvenuta

per negligenza. Bisognava pensarci prima.

È arrivat zagh zagh = è arrivato piano piano.

Vè zaga com na lumaca, te movi?

Chi cià el pan en cià i dent.

Seldre = seller = sedano.

Ch’l’omcin datme un seldre tendre sinonca en el rósghe,

ossia: Quell’uomo datemi un sedano tenero altrimenti non lo rodo.

La pignatta sbrangata dura de pió de cla nova si dice per incoraggiare chi ha qualche acciacco: Camparè de pió de chi sta sempre ben.

Pignatta = tegame, pentola. La pignattina, piuttosto alta e poco larga, serviva per cuocere i fagioli davanti il fuoco del camino acceso.

I fagiol sa la cuddica? -Séé, mo erne boni da rida.

Capirè po’ capì c’è i fagiol sensa cundì.

Negli anni del dopoguerra si usavano molto i tegami di coccio e quando

si rompevano in due o tre pezzi invece di buttarli via, si portavano dal

“spranghin o sbranghin” che con un filo di ferro li aggiustava e si continuava a usarli. Era la stessa cosa per i piatti grandi.

La cocciara era la donna che vendeva  i cocc, ossia articoli in terracotta e

ceramica. C’er mast sol i cocc = ci sono rimasti solo i pezzi.

È sempre stat un cucciarin = da coccio, è sempre stato di salute delicata.

 

Lavagine, il Mercatale, san Bartolo, santa Lucia, il Duomo e san Polo sono le contrade più antiche. Urbino era circondata dalle mura e, attraverso le porte si entrava e si usciva dalla città. Attraverso Porta Nuova entravano i carri con le merci e dovevano pagare il dazio.

-Tu hai dichiarato solo metà maiale invece è intero-

-I del baghin n’avria vlut a massè na pacca, mo en ho pudut-. I =Io.

Quant? -ééh chisà quant? quant el lupp metteva i guant. 

Fa el tont per en paghè el dasi = fa il tonto per non pagare il dazio.

Vecchj è i pagn’ io so’ ansiana. Oh! ma me me sa mei vecchia de ansiana.

Sgamblat o sgamblét = sgangherato nel camminare, sciancato

Te si giovne, vieni a dmandè i sold ma me? ho bsogn per me ch’ camin tutta sgambléta. Toccarà essa sfaciati un gran bel po’.

Te dagh la polpa. Te dagh la strada da corra.

S cianchetta s cianchetta, mo purett en ià riesc nient a caminè si dice di qualcuno che fa fatica a camminare.

Ardótt un stracc= ridotto maluccio. Ardótt un crin = ridotto male.

Chi en cià bona testa cià bone gamb.

Cià quattre giobbie. È passat quattre giobbi = È passato molto tempo

Cum va?  -Va ch’en va. -En vol gì. -Cum vò ch vagga se va all’indietra-.

Cum ste? stè ben? -Capirè è un ben tacat sal sput.

Se stava mei quant giva pegg oppur: Giva mei quant giva pegg.

-Te nissa un colp cum ste? è tant ch’en te veggh!.

Poracc se sta consumand com ‘na candela.

Porett tant sa i vo’ dì el vedi com’è ardott?

Ormai è belle gitt ma’i can.

En l’ha ‘fogat el latt dla balia ovvero è morto molto vecchio

Ormai ha fatt’ terra per el cec = è morto da un bel pezzo

Imbarbugitt = rimbambito. E’ nutt tutt imbarbugitt en par manca pió ló.

Stremuliss = brividi di raccapriccio. Me vien i stremuliss sól’ a pensacc.

Lasc’le tel su’ brod = lascialo nella sua ignoranza.

 

A fè ‘l ben ma i sumar se ricev i calc.

Me so’ rugolata gió per le scale, me so fatta un mal tel cudirón da non pudem pió mova = mi sono rotolata giù per le scale, mi sono fatta un male nell’osso sacro da non potermi più muovere.

È cascat a testa spuntón = è caduto a testa all’in giù.

En se sarà fatt tant mal, mo stava mei prima.

Ha fatt un gambritt oppure: ha fatt un crist da rida = ha fatto un gran

capitombolo. 

DA RIDA è aggiunto in diverse occasioni per accentuare l’accaduto.

Ha dat na succata d’armana dur malé.   Brignoccola = bernoccolo

Ciò un mal fin tel stommoch e pó en me passa di solito si dice per qualche

dispiacere avuto. Ciò un gran magón.

Ho sentit un suchè com un gnocch tel stommoch, insomma m’è nutt da

piagna.

Pappalisagna = sonnolenza e fiacca,

M’ha pres na pappalisagna ch’è no voia da fè nient.

-Pro purtin = però poverino. -Seé purtin è chi en cià i occhj-.

Stracch ch’en s’arcoi = stanchissimo, sfinito di stanchezza.

S’è sbucciat ’i ginocchj = s’è scorticato le ginocchia.

Ciò na puntura tla schiena = ho un dolore forte nella schiena

Galorgna = malleolo, caviglia.

Ma le galorgne gonfie, toccaria fai i bagnol tl’acqua sal sal.

Sal sal = con il sale.

Pansa = pancia. Ha mess só na pansulina. Na bella trippa.

-Me dol la pansa -Va dalla Costansa

-Te dà n’acinin d’ua -Te fa passè la bua.

Pantriscia = riferito soprattutto alla pancia di persona molto grassa che

dimagrisce troppo in fretta e le rimangono rotoli di pelle molli e cadenti.

Sciala Minghin t’ho cott un ov.

Cià le lacrim o el piant tle sacocc’ si dice di chi piange facilmente.

Gobba d’Varea era detto, senza cattiveria, al ragazzino che stava con le

spalle curve, per ricordargli di stare più dritto.

Forse a Varea, dove oggi c’è una struttura comunale, c’è vissuto qualcuno

gobbo.

Cià i calamar fina i ginocchj = Ha grandi occhiaie

Cià du occhj com un scattón cioè scalamarati per stanchezza o per malattia.

Scodronat = camminare male per un dolore fisico.

Ha ‘vut na bella scodronata = s’è fatto molto male.

Ha vutt na bella pentita si dice di persona che dopo un malanno è visibilmente sciupata.

Ééh! Cià la febbre magnarella! cioè non ha nessuna febbre.

 

I gaión = i orecchión = la parotite.

-Signora ste burdell cià i orecchión- È già, sarè bell te!.

I fantiglión = convulsioni. Purtin, ha vutt i fantiglión da pcin.

La schiola = il morbillo.

I schiopett = La varicella.

La tossa convulsa = la pertosse.

El grupp = la difterite. -Iè nutt el grupp en c’è stat nient da fè-

Un sfógh = arrossamento, allergia. Tocca gì dal specialista dla pell.

Par el mal del rasp ch’se chiappa dai gatt cioè una specie di dermatite.

Schiafne = piccole lesioni leggermente squamose della pelle secca.

Rusum = prurito.

Brisciòl = foruncolo. Tutt chi brisciòl i darann rusum.

Bugn ciech = grosso foruncolo.

È un bugn ciech, i metti un pò de pomata d’ittiòlo per fall nì in cima, vedrè

ch’sé scampa da per ló, senò tocca scampall.

Materia = pus. Ià fatt tutt la materia, i nirà anca l’infesion se’n sta ‘tent.

Ranguscia = raucedine.

Ciò un raspin o un rusighin tla gola = mi fa male un pò la gola.

Cià na garganella  o raganella = respiro affannoso con catarro.

Sent che bolza! Te c’è schersi, se fa prest a gì de là. Cià un cimurr!

Fument = suffumigi. “Chel catarr s’ha da scioia, fai fè i fument”.

La brunchitta = la brunchit = la bronchite.

La pleurit, el mal de fegghet, el mal de cor, el mal d’oss.

Filosofia di chi si avvicina alla terza età:

Se sa che quant se dventa vecchj qualche malarin c’lè sempre, mo se pensi

sempre malé en campi pió. Traduzione: Si sa che quando si diventa vecchi,

qualche piccolo male ce l’hai sempre, ma se pensi sempre lì non vivi più.

Per gli ultra ottantenni la parola senò = altrimenti, sarebbe da sostituire

Con la più antica sinonca che ormai viene usata raramente.

El mal cadut = Epilessia

Un mal trist o un de chi malacc ch’en perdónen = cancro.

La malingit = la meningite.

È tissigh = è tubercoloso.

Stroppia = storpia.

Vò aiutè a fè qualcò? Tant en se’ minga stroppia = vuoi aiutare a fare qualcosa? Tanto non sei mica stórpia.

Cià la cacarella quando è detto in senso ironico significa: non ha niente.

Cacarella = diarrea, dissenteria. Chi chiapassa la cacarella doppia.

Sciolta = diarrea dei bambini.

Sa cl’influensa ancora so’ mezz troll.

El giraditta. Le man crepate. Tutt raspat sa i spin.

È cascat tra l’urticca s’è bocciolat tutt le gamb.

-Oh Dio stagh mal - Sta sitt so’ stracch vengh da Cerquét Bón-

-Oh Dio stagh mal – T’ho dett sta sitt so stracch vengh da Cerquét Bón-.

Come dire: Non m’importa se stai male, io sono stanco e voglio dormire.

S’è salvat per el rott dla cuffia, ah! Iè gitta ben cum iè gitta.

Tars = tartaro. Cià i dent gialli com el tars.

Sa le gnocch ti pied = con le nocche ai piedi.

Tutt sciancat. Tuttt sfraglat d’arcoia sal cucchiarin.

Iè se fatt fastidi = è svenuto

En sarà l’amor del mond, sa vu ch’ sia!.

En toccherà murì per campè.

M’incend la schiena, en ne poss pió da quant so’ stuffa.

Sa la pression alta basta a magnè l’ai, tutt le mattin, s’né  butta gió un spicciulin sa la buccia e tutt -Com sa la buccia e tutt? -dachsé en t’arvien só alla vegghia. Traduzione: con la pressione alta è sufficiente mangiare l’aglio, tutte le mattine si ingoia un piccolo spicchio senza sbucciarlo, così non ti ritorna su il sapore, lo digerisci bene.

Un spicciol d’ai = uno spicchio di aglio.

M’ha pres per asciat è come dire: mi sono lasciato convincere per

sfinimento.

Bricca bricca sensa cumbinè nient.

Va gió ch’ te da lia la sidocca.

Te vo fermè na mulicca, se’ sempre tutta scalmanata?

Me vien i fum sól a pensacc = mi viene il nervoso solo a pensarci.

Ciò i fum = ho le vampate di calore.

En se pol tucchè per nient, par ch’è de vetre.

Quant se dventa vecchj s’arvà ti pagn o ti pied di burdei.

È ‘l fior del bel cantè = ancora è cosa da poco, più avanti sarà molto peggio.

 

Se tutti portasser i lór guai in piassa, ognun archiapperia i sua.

Me sa ch’è propi vera: ognun argirìa a casa sa le su’ gamb.

 

Singhioss singhioss

la rana tel poss

la rama tel fich

el singhioss è sparit.

 

 

 

 

 

PAROLE CHIACCHIERE CRITICHE

Ariva la madre badessa, la fatutta, la fatturóna.

bagaiè = chiacchierare. Bagaióna = chiacchierona

È ‘na gran batenda = è una gran pettegola.

Fè ciataia = più persone che parlano di cose futili.

Sbraitè = urlare brontolando. Cià sempre da sbraitè per qualcosa.

Sgaggia = parla ad alta voce, urla. Cià el vizi de sgaggè.

Urla sempre com na stracciara.

Stracciar o stracciarol = straccivendolo.

Lo straccivendolo passava nelle strade e gridava: Ié stracc donne.

Oltre gli stracci prendeva a pochissimo prezzo qualsiasi roba vecchia,

anche la pell del cunill. Il coniglio si comprava vivo, come tutto il pollame in genere, in casa poi, dopo averlo ucciso (lavoro da uomo), con precisione e competenza si tirava giù la pelle senza romperla e la si faceva essiccare appesa al rovescio con della paglia dentro, poi si vendeva allo straccivendolo. La pell era di burdei, con il ricavato compravamo il gelato o le golia che costavano una lira l’una.

Il coniglio, tirata giù la pelle, se sbarava cioè si toglievano le interiora;

si lasciava a bagno in acqua fredda con un po’ d’aceto per tutta la notte, poi si cucinava. Spesso veniva cotto in porchetta col finocchio selvatico.    

En cià i pel tla lingua o Na lingua ch taia e cusc = lingua lunga.

È scopert i altarin = hai scoperto quello che non volevano si sapesse.

Me saria dat un mors tla lingua ovvero mi sono accorto subito di aver detto una cosa sbagliata. Me scapat dett, en l’ho fatt aposta, scusat.

Ha magnat la foia = ha capito

Lia ha da fè sempre la tersina sotta.

Fa sempre tutt per dispett.

Cià ‘na testa ch’en la rod manca un sórc.

C’entra cóm i cavol a merenda = non c’entra proprio niente

Sa ‘na scarpa e ‘n socch; oppure: un socch e ‘na ciavatta, si dice quando  due cose che non vanno bene insieme .

È un Cuntadin arfatt, c’aveva le pess tel cul fin’ a ier, sa vo’ pretenda?

Ha da gì a parè le pecor = deve andare a pascere le pecore oppure:

Ha da gì a sappè la terra = Deve andare a zappare la terra, sono commenti che si fanno su persone incapaci di fare il proprio mestiere.

Sa tutt chi discors te strónca o te schianta ovvero parla troppo.

En schianta fila = non smette mai, non finisce mai.

N’arconta de tutt i colór. El pió dle volt l’inventa de sana pianta.

Quant l’arcónta i fa la giunta = racconta aggiungendo cose inventate.

Na arcuntat un sacch e ‘na sporta = ha raccontato di tutto.

Scorcia o scórta cla biscia = non esagerare. “Cala!”.

Prova a buttalli só, en se sa mai.

Vol fè el capisción quant en sa nient. 

Parla a vanvera. Parla per dè fiat ma la bocca.

En parla nè per la bocca nè per el cul = sta sempre zitto. “Par un chiù”

Parla cóm un libre stracciat.

Sfarfuiè = farfugliare. Sfarfuia tutt ch’en se capisc quel dic.

Fa nì el latt mai ginocchj = fa venire il latte alle ginocchia, cioè è noioso.

Che sólfa = che noia

Stóls = sobbalzo. Ho fatt un gran stóls.

Cià le cart da matt ovvero è un matto riconosciuto.

Ciocc = scarpe di poco valore e molto consumate. Mett sempre certe ciocc!

En m’importa nient. Propi men de nient.

Vagga el mond tna cesta, chi se ne frega.

Stracch svlenit = stanchissimo

Un discors tutt arzigogolat = un discorso tortuoso, ingarbugliato.

En s’arcorda dal nas alla bocca si dice di chi ha poca memoria.

En se slaccia tant i bótón = non dice molto

En val un sold bugat = non vale niente

Rugn = mugugna. Sa rugni sempre.

Strafalción = sbaglio. Vol parlè in italian, mo dic certi strafalción.

Tacca butón o botón = persona che ti parla a lungo e non riesci a staccarti

En te fermè sa quella, è ‘na tacca botón ch’en f’nisc pió.

Na botta e n’armessa.

Iezzo l’è lenta, par ch’ha magnat el gioj.

Valà ch’en casca all’avanti ossia non ha fretta di arrivare.

Sa tutt chi fiol par na cunilla.

Orca miseria! sè’ svelta com un gatt de piomb.

Énna maduschina te cià vlut.

Lia è sempre l’ultima rota del carr.

Miarà = toccherà = bisognerà.

Toccherà fè da cla via = bisognerà fare in quel modo.

Alé l’avem fatta tonda si dice a conclusione di una mezza giornata

trascorsa fuori casa senza pensare alle faccende domestiche.

Svoidè = vuotare. Svricchiè = scartare cioé togliere la carta.

Me vo’ svricchiè sta caramella?

Tl’ho datt per el press del cost cioè te l’ho detta per come me l’hanno raccontata.

C’è vol quarantacinque guardie del Papa per cavè na rapa.

 

 

 

Negli anni quaranta si costruiscono le case popolari di via del Popolo, nella zona del Monte. Il monte è la parte più alta della città, allora era tutta da sistemare, in poco tempo si strappano rovi e sterpaglie, si spiana il terreno, si piantano alberi.

Nel 1947 la statua di Raffaello viene spostata da piazza Duca Federico al nuovo piazzale di pian del monte abbellito poi con panchine e giardinetti.

La balaustra che circondava il monumento viene collocata come parapetto sull’alto di un declivio, da cui si gode un’ariosa visione degli Appennini, con monti, colline e vallate che si stendono giù fino al mare. Della guida che accompagnava i turisti a vedere il paesaggio è passata alla storia la seguente frase: Là San Marinò vedere no perché caliginò.

 

En buttè via nient, en se sà potria servì. 

Sent che scoreggia, me sa ch c’è el lavor per la lavandara.

Scurgión = scoreggione

Scarpisc la raica = strappa la radice.

Staggia = asta di legno.

Matematica: Cos’è una tangente?

Risposta: -‘na staggia a raschión m’an cerchj-

Raica de dó = radice di due

El batusc = botola sul pavimento comune nelle case di campagna, di solito collegava, con una scala di legno, al piano sottostante dove c’era la stalla. 

Quant parla tira certe spalinate! Tira tutt chi sput!

El boccia era il zagazzino apprendista manovale o di altri lavori in genere.

Va a fè el garzon a bottega era più specifico per chi andava a imparare un mestiere da qualche artigiano.

È gitt sempre a garzón, mo è un po’ córt, en li fa a imparè nisciun mestier.

Arnéga, a occhio e croce, dovrebbe derivare da rinnega. Nel detto

popolare: Na pussa ch’arnega significa: una puzza da rinnegare, cioè

ripugnante.

Alé tombola, Alé anche questa è fatta. Alé precede un’esclamazione di

soddisfazione per aver compiuto qualcosa.

Alé anche questa è fatta diceva quel ch’ castrava i frat.  

Se sent un sdrugulaticc = si sente sbaraccare, chiasso di piccoli mobili che si trascinano. Se sent a sdrugulè le sedie.

Baragoda, rutéc, ratatuia, rapascét = baldoria, confusione, trambusto.

L’ha vutt de sguaraguai = l’ha avuto di nascosto, senza autorizzazione

Alla mei = alla meglio. S’arvertica = si rovescia. Sta ‘tent te s’arvertica tutt sopra el tavlin. Ha gontat el latt = ha traboccato il latte.

 

 

NOMI SOPRANNOMI

I nomi di battesimo erano di tradizione italiana possibilmente ispirati ai Santi. I nóm erne bei mo i storpiaven tutti.

Anna = Annetta, Netta, Nina. La Netta Bigarina me sapeva trista, m’ha dat’ tanti de chi schiaffón. Adele = Dela

Achille = Chilin.Chilin aveva un’osteria quasi in cima al monte. A un turista che chiedeva dov’era il monumento di Raffaello un uomo rispose: -Lei vagga só sempre dritt’ quant’è da Chilin ‘i ved’ la testa-.

Strade e case erano conosciute da chi andava a piedi e da chi doveva dare informazioni. Andando verso Gadana per esempio c’erano: El Piansver, Gentilini, la cerqua bella, el palass dl’orlogg, Fonsecca, Tarulla, I Cipress, I Tirant, La Chiesulina, I Nebbi, Le Logg, le Selve, la Brecciulina, Balsmin, el Gallett, Cella d’pietra, Chi Rosc ecc. ecc. Per andare da qualsiasi parte non si parlava di vie, ma della direzione che si doveva prendere es: Vers i Dunin, dop Biancalana, giri tun chel stradon dop la celletta dla Madunina, el vedi da distant c’è ‘na gran pianta de nóc’. D’altronde ancora oggi a Urbino città, le indicazioni date dalla gente sono: Quant ve só per el Dom, per gì al Ducale, davanti S.Francesch, propi malé dop l’ospedal vecchj e così via.

Antonio = Tonino, Tugnin,Toni, Turin.

Annunziata = Nunsiata, La Nunsiata del Petricc, la Nunsiatina.

Cesare = Cesre. El fiol de Gambin el calsular o calsolar.

Crescentino = Scentin.

Domenico = Minghin, Mingón.

-Sa fè Mingon?  -“pisc pisc” -e adess?  -“adess el scrull”.

Enrico = Ricco. Io e te Ricco sem brutti.

Edmondo = Mondo. Emilia = Milia. Ester = Sterina. Evangelina = Vangéla.

Gabriele = Brighella.

Giacomo = Giacumin o Jachmin.

Giovanni = Gianni, Gvann, Gvanna.

Giuseppe = Pepp, Pepin, Pepón. 

Per distinguere una persona con il nome uguale a quello di altri, si aggiungeva il nome di qualche famigliare, del mestiere, della località da cui proveniva o abitava es: Pepin dla Ida. Gvann dla Turdulina ecc.

Giuseppina = Peppa, Peppina.

Laura = Lavrina. Luigi = Gig, Gigin, Gigión.

Il lavoro del Ciaccasassi o Ciaccabreccia consisteva nello spaccare le pietre

con un martello riducendole in piccoli sassi, quella era la breccia, che si metteva sulle strade per togliere polvere e fango. Quando si chiedeva com’era la strada e ti dicevano: Se camina bén, c’ hann mess la breccia, en c’è la malta per nient, si andava più volentieri.

Se poi aggiungevano: È tutta alla piana era il massimo che si potesse pretendere per una camminata in un paesaggio come il nostro che è tutto greppi e fossi.

Gigión dla Gioia da giovane aveva fatto tutti i mestieri anche el ciaccasass, da vecchio quando qualche conoscente lo invitava in casa a bere un bicchiere di vino, accettava, ma aveva paura di disturbare. Sbasufión, brutt e bon com el pan, ripeteva spesso: “Scusat mo en so’ nutt per cimentè, me pudessa squissè el cervell se so’ nutt per cimentè la gent; no, no me chiapassa un sbocch de sangue se so’ nutt per cimentè la gent”.

Maria = Marietta, Mariulina, Mariulla o Mariòla.

La Mariòla aveva fatto la comparsa in un film girato a Urbino dal titolo: “Due selvaggi a corte” gran boiata e gran risate, perché riconoscevamo un pò tutti, ma il boato ridanciano culminava nella scena in cui lei, per esigenze di copione, si vedeva in primo piano vecchia e sdentata tale e quale era nella realtà. Se c’arpens me sa ch’en c’era manca tant da rida = a ripensarci non credo che ci fosse tanto da ridere.

Oreste = Resto.

Cla Rosetta ch’ cià la bancarella in piassa, enò la cnosci sé.

Raffaello = Raffaell, Rafailin, Rafailon.

Stefano = Fanino.

Quant en se storpiava el nóm le person se c’noscevne per el sopranóm.

Baldiserra. La Baldiserra era conosciuta per il modo trascurato di vivere

e la sua sporcizia ed è passata alla storia urbinate per quelle caratteristiche.

Insustitta com la Baldiserra, Par la Baldiserra, En fè la Baldiserra.

Insustitta = sporca. Par = sembra. En fè = non fare.

Pochi anni fa un bambino che stava litigando con la sorellina come massima

offesa le disse: “Se’ na gran Baldiserra, ecco cosa sei”.

Un turista interessato chiese :”What’s baldiserra?”.

Bibin el fornar: El pan de Bibin scroccola.

Bersaglier: El Bersaglier aveva masat ma la moi sal scurcell.

Brussulóna. La Brussulóna era molto conosciuta, faceva le cart, levava le fattur, era na strolliga, tradotto sarebbe: leggeva le carte, toglieva il malocchio, era un’astrologa, un’indovina.

Marangana  = Strolliga =  strega, astrologa.

So gitta tant volt a famm leggia le cart, mo séé, en cè secca mai.

En ce secca mai = non ci azzecca mai, non ci indovina.

Ciccio el sagrestan, alto circa un metro e quaranta, orecchie a bistecca, a suo modo simpatico, camminava a passi corti e veloci facendo tintinnare un gran mazzo di chiavi. È stato l’ultimo sagrestano del Duomo che fino

agli anni sessanta, accompagnava i turisti a vedere l’oratorio delle grotte.

 

Alla cripta del duomo, conosciuta col nome di grotte, si accede dall’esterno

a sinistra della facciata. Le grotte in Urbino si potevano visitare solo la domenica e il lunedì di Pasqua.

Si scendeva per una scalinata e arrivati nel sotterraneo, c’era tutto un rito

religioso da rispettare, ad esempio si dovevano fare tre giri dentro un cunicolo scavato nella roccia (da cui grotte) e facevam el gir del perdon.

Camminavamo adagio, toccavamo le tre Croci di legno, una per ogni curva, facendoci il Nome del Padre (segno della croce), poi potevamo fermarci, per una preghiera davanti alle sculture di legno a grandezza naturale, colorate e teatralmente espressive che rappresentavano la Deposizione di Cristo.

Infine si passava in altre due stanze costruite sotto la parte absidale del Duomo, breve sosta davanti il famoso Cristo morto in marmo del Giambologna, tre giri intorno a un altare toccando arredamenti e simboli sacri del martirio di Gesù ed era finita la visita, ma per risalire e guadagnare l’uscita, ci si fermava ad ogni scalino per recitare: Pater, Ave e Gloria.

Ognuno mormorava, per conto proprio, la preghiera in latino, ma si proseguiva scandendo all’unisono i passi e arrivavamo in cima insieme a quelli con cui avevamo cominciato a salire.

Il lunedì di Pasqua era un giorno di devozione, ma anche d’occasione per incontrare persone che si vedevano una volta l’anno.

Arrivava molta gente dalla campagna; ci si metteva il vestito nuovo, di solito sempre troppo leggero, ed era l’unico giorno dell’anno in cui il cinema era aperto anche la mattina.

Cresciulina: La Cresciulina vendeva le cresciulin, i bombolon, i maritoss o pan nociat, alla scola del libre e in tutte le altre scuole.

Móntarina: I dicevne la Móntarina. I dicevne = la chiamavano

La napoletana m’nava i fiol sa le tett. Aveva parecchi figli, quando li chiamava dalla finestra di casa elencava una sfilza di nomi e diceva: salit’angopp. Come dire: Nitt só ovvero Venite su.

Porcodó, detto anche Girometta, era lo spazzino.

Per pulire strade e vicoli usava la granata de bruscol.

Granata de bruscol = Scopa di pungitopo.

Porcodó tornava a casa con un fascio di pungitopo che gli passava il comune, sceglieva i rami più adatti e, ogni dieci quindici giorni, faceva la granata nuova.

Una sturba de fiòl da sfamè = Tanti figli da sfamare.

Rustich = rustico.

A un uomo che una volta non aveva voluto restare a cena con

gli amici, gli dissero: Se’ un gran rustich. Così abbiamo conosciuto

El rustich, la moi del rustich, i fiol del rustich, l’Anna del rustich.

 

Stiff = gabbie per uccelli.

Stifón vendeva le stiff da cima Santa Lucia, era un punto di riferimento per lasciare cose da passare a riprendere.

Raganaccia. Ancora oggi il riferimento è sempre: Dop el mercatal, Tra dlé,  poch dop’ o na mulicca prima la casa dla Raganaccia, anche se lei “è da chel dì ch’en c’è pió”.

Rebellant. El Rebellant era sempre in giro per la campagna, dormiva nelle stalle e viveva di quel poco che riusciva a racimolare. Calmo nel parlare e nel muoversi con voce da basso si lamentava perché gli davano le uova, ma non i soldi, diceva: I óv sé, mo i sold enn i dann.

Una volta dopo aver bevuto all’osteria, uscendo disse: “segnat”

e l’oste: -Mo maché en se segna- “Allora c’avet la memoria bóna”.

In quegli anni la spesa se giva a fè a cricca, c’avevam un librett per segnè.

Ogni giorno nel libretto, (piccolo quaderno), il negoziante segnava la cifra della spesa, alla fine del mese bisognava saldare il conto.

Se rimaneva il debito non ti davano più niente, così quando non si riusciva a pagare in contanti si facevano le cambiali. Per le cambiali ci voleva sempre la garanzia di qualcuno con una firma di avallo.

Topaceca, stava ma le conc: er ancora un bordlacc e quant arniv dal lavor dla fornac dovev gì a taiè l’erba per i cunill = ero ancora un ragazzino e quando tornavo dal lavoro delle fornaci dovevo andare a tagliare l’erba per i conigli. È solo un esempio di come i ragazzini lavorassero tanto e obbedissero sempre.

Zagobello o Zagubello, artigiano, lattoniere. Il sabato, girava in piazza per vendere lumi a petrolio di sua produzione e il “Barbanera” libretto annuale utile per le previsioni del tempo e soprattutto per la semina, il raccolto e tutti i lavori agricoli sempre basati sulle fasi della luna.

Guarda un po’ quant arfà la luna? Ch’ho da tramutè el vin?

C’è Zagobello? -En se chiama Zagobello, se chiama Alfredo, rispondeva la figlia che oggi conoscono tutti come la Zagubella.

Sono pochi gli artigiani rimasti en convien, per sti mestier se lavora tropp e se guadagna poch, el falegnam, el fabbre, el stagnin, quell faceva le cole, quella ch’ arsgarzava le sedie e così via erano tanti, poi c’era chi si adattava a fare di tutto. Te chiamle quant è bsogn che lò fa tutt: stura i lavandin, pulisc le stuff, el camin, gambia i fil dla luc, è un brav t’arcommoda nicò.

Bussè = bussare. È buss = è cavo, è vuoto dentro, di solito riferito a cose di  legno scadenti.

Buss era anche un nomignolo e ce n’erano tanti altri come: el Beatin, Bottcin, el capon femmina, el cavalier di broccol, Centequindic, Ciaccamalta, Lansetina, l’oca de pasagg, Piacque, Plamadonna, Sifuletta, Trinciat fort, la vergin canuta e così via, tutti genialmente appropriati.

Veri maestri nella lavorazione del ferro battuto erano i fratelli Santini.

Fuffi si ricorda di più perché ogni tanto presentava le sue sculture in ferro

negli angoli più caratteristici di Urbino: Vien a veda so’ malé da Corboli.

Il mio primo pensiero era: -oddio dov’è Corboli? Credevo di conoscere tutto della mia città e invece no, brava studentessa urbinate!-

Conserviamo una testa scultorea che ritrae l’urbinate Fulvio Corboli sopra  un capitello addossato al muro in una loggetta di via Garibaldi.

Gli piaceva farci scoprire piccoli spazi che di solito non notavamo, era lì che

presentava con soddisfazione e modestia i suoi maufatti, veri capolavori di abilità tecnica e sentimento, su ogni lavoro esposto ci raccontava una storia in un dialetto urbinate perfetto.

Era un uomo saggio i suoi aneddoti diventavano poesie di vita.

Narrava i fatti del vissuto in modo surreale e delicato, noi ascoltavamo sorridendo, i guai capitati a lui, ai suoi famigliari o agli amici.

Nella memoria sono rimaste frasi come:

“En me mnat ve facc le sepp per le sapp” = non mi menate vi faccio le zeppe per le zappe. Oppure: “Oh Dio so’ mort” -I morti non parlano- E gió bastonat dal guardian di discol.

Episodi sulla guerra o verità anche tristi, erano dette senza astio per nessuno.

    

Alla fortezza, dove oggi c’è un parco aperto a tutti, fino alla fine degli anni

cinquanta, c’era l’orto dgli Scalzi lavorato dai ragazzi del riformatorio ovvero da quei del discolat. Il guardiano di quel terreno coltivato era chiamato Fisso, noto per la sua intransigenza e cattiveria, proprio lì c’erano gli alberi da frutta più belli di tutto il circondario. Riuscire a prendere uno di quei frutti per  tutti i ragazzini era si, una tentazione, ma soprattutto era una sfida contro un uomo ritenuto crudele e ingiusto. Arrampicarsi e scavalcare il muro di recinzione era una prova di coraggio, solo i più audaci riuscivano ad entrare, ma venivano sempre scoperti, proprio sempre. Nel fuggi fuggi generale per riuscire a salvarsi dal terribile Fisso dovevano saltare il muro di cinta che in alcuni punti era molto alto, il rischio di farsi male era reale, uno di questi “birbanti” di allora, per una mela è diventato Giulio el sopp. Chi veniva preso era duramente malmenato. Set di delinguenti, degli assassini e giù botte.  Nomi ormai in disuso sono: Prim o Primin, Scond, la Tersa, Quinto, Sesto, Settimio, Ottavio e anche quelli legati al momento storico di allora come: Benito, Italia, Roma che è diventato Romina e altri.

 

 

 

 

 

AMORE INGENUITÀ SAGGEZZA

Ha ‘rpres moi = ha ripreso moglie

I bósch en c’hann l’orecch, mo le mett’ne = i boschi non hanno orecchie, ma le mettono. Anche se non vedi nessuno, qualcuno può sentire.

Intruggin = persona pesante noiosa sempre d’intorno.

N’intruggin come quell en el vria sigur.

Bagiott = fagioli freschi, ancora col baccello.

Bagiotta = non più tanto giovane. Se sposa adess, mo è bella bagiotta.

Bella sverchia = molto bella. Blina sfonda = molto bellina

Blina blina = bellina bellina.

Parla una blina, lia pol stè sól sitta = Ha tanti difetti, che a lei conviene stare solo zitta. E lallera! allora en capisci, sa c’è el cervell d na galina?.

Brutt spers = molto brutto

Brutt ch’en se guarda = brutto da non poter gurdare.

Fa el cascamort.

I fa el fil = la corteggia.

È stat un foch de paia.

Bastava guardare la luna piena e ripetere tre volte senza batter ciglio

i seguenti tre versi:

-Luna mia bella luna-Fammi dormir sognando-Chi sposerò vivendo.

che la notte avresti sognato il tuo futuro sposo.

El tien a batecca = lo tiene a bacchetta cioé fa quello che vuole lei.

En vol essa sbachettata tant = non vuol essere comandata tanto.

En cià nerb = non ha forza di carattere

-Bella com el cul dla padella.

-El cul dla padella è rotond io so’ la più bella del mond-.

Curnut com un cest de lumach.

El ters incommod oppure i tien el moccol = Persona in più tra due innamorati.

Cè anca el moccol dla candela o e‘l moccol come bestemmia.

Na robba ch’en sta nè in ciel nè in terra.

T’avrà pars, mo en era ló = ti sarà sembrato, ma non era lui.

I tocca magnanne de cotte e de crude.

I tocca stè come l’erba taiata. Com chi can legati tla catena.

Conta com’ el due fora de briscola o men del fant de copp.

-Par Surdin e la Peppa- si dice di due persone che vanno d’accordo.

Sempre insiem come Surdin o Sordin e la Peppa.

Se si assomigliano per il carattere e il modo di fare si dice anche:

Venghen dall’Acqualagna - Crist i fa e pó i accompagna.-

È vero: chi s’assomiglia si piglia.

Sa ‘na mantella en ce fa ‘na bretta = un incapace.

S’è mess a sonè la messa = non ha capito niente nè prima nè adesso.

Su per gió, o gió per só = pressapoco. A occhj e croc.

En su per gió ugual, en sapria sa sceia = sono pressapoco uguali non saprei

cosa scegliere. En tutti d’na sorta = sono tutti uguali.

È tutt pampne e nient ua = è tutta apparenza. Fassne o facessne = facessero.

Se tutt i pampne facessne l’ua! = se tutti i pampini facessero l’uva!

Se tutt i pampne fassne l’ua! En basteria i pied per pistalla.

L’ua l’hann magnata tutta c’er mast sol i raspuj.

Raspuj = graspo. Cap d’ua, captin = grappolo d’uva, grappolino.

Ua = uva. Pampne = pampini cioé foglie della vite.

Un schiantol oppure un schiantulin d’ua.

Ha truvat un schiant de ragassa ovvero si è fidanzato con una ragazza alta e bella. Invece: cià un shiant pcin = ha un giro vita sottile.

Biccica = cispa.  Legg legg ch’el mond va sempre pegg.

Sempre sbicichitt sopra chi libre, si dice di chi esagera nello studiare,

Sbicichiss = affaticare gli occhi.

Na volta se sbicichiven i occhj per ricamè la dota.

È un gran sbicichitt assume significato del tutto negativo.

Er’mast scornat si dice per una delusione subita.

Domè = domare. Quel te doma cioè te fa metta giudisi.

S’abiocca = s’addormenta.

M’ha pres na biocca = m’ha preso un gran sonno.

Te se mess na biocca! di solito si dice prendendo in giro chi si è messo un copricapo nuovo.

Altri commenti, più o meno benevoli, sullo stesso argomento possono essere: È mess un capell allè ventitre! Oppure: -onna che bella bretta du l’è presa? Ah blina! dachsé impari-  anche: -par na bretta cascata sa chi ton-.

È matta schianta si dice di chi fa o dice cose inverosimili o anche vere, ma

raccontate in modo da far ridere.

È un’ sensa art e nè part.

Uccòla = prendere in giro. Appena l’han vist i hann dat l’uccola.

La succa vol la dot dla donna brutta. È una similitudine: come la zucca deve essere insaporita bene per poterla mangiare cosi la donna brutta deve avere una ricca dote per farsi sposare.

Gira mista imbroia alla fin l’ha vutta d’vinta ló.

Sta ‘tent burdell che quella t’ha fatt e quella t’armagna.

Se s’acorg so fritta oppure me pilotta.

En te sapria spieghè ben, so ch’el su’ sìo vendeva “i lupin” lia era na roscia ch’se faceva i ricc sal manich dla paletta. Boh! m’arnirà in ment el nom.

Ló è un moscardin da rida.

Tutt armulitt sa na bella mutta = Tutto ripulito con un bel vestito

Faceva el paìn = faceva il fanfarone.

È voia è da ‘dess ch’ facevne l’amor mo lo è gitt via sa n’antra, sa vo fè?

Fai ‘na cantata sal ciufilin = Battuta che conferma un torto subìto di cui ormai non puoi far più niente.

Minca è da chiappè tutt per or’ colat = non credere a tutto quello che ti

dicono. Sinonca en va ben = altrimenti non va bene.

Tant fè schioppè da rida, podrà essa na robba vera?

Se ‘na credulóna, se te digghen che Crist è mort dal fredd te c’è credi.

Te vol fè creda che Crist è mort dal fredd invec era el padrón dla legna.

C’è tanti moscón chi girne intorne = ha tanti pretendenti.

Sturzè = scherzare. En ho voia tant da sturzè.

Le sturze = giochi amorosi. Ancora ha voia dle sturze.

-Se sposat? –No -En ch’nosci el bon. -Se sposat? –Sé -È fnit da goda.

L’amor alla Vincensa, ló el fa e lia en ce pensa.

Se sposerann l’ann del mai e’l mes ch’en c’è, oh! poretta no’ en i passa

manca per l’anticamera del cervell da sposass.

Poretta me, poretta nó oppure poretta te si usa intercalando nel raccontare  un fatto risaputo.

C’aveva na gonna sfugitta = aveva un vestito corto e stretto

C’aveva un vestit alla cirigina = aveva un vestito troppo leggero per la stagione.

C’RÉG nel gergo dei nonni erano le ciliegie, da cui cirigina.

La Cirigina, vendeva le ciliege in piazza. Era conosciuta solo con questo nome.

Tun ch’le cilieg c’è l nonn = in quelle ciliege c’è il verme.

Te para = ti guarda, non ti perde di vista.

Te par? = ti sembra?

Tant gió da risalto ad una convinzione obiettivamente da approvare.

Te par prò? tant gió, en è na robba fatta giusta = ti sembra una cosa giusta?

Vesti ‘na fascina par una regina.

Ha pres el pegg, l’ha scelt tel mass.

Spirit de patat = spiritoso detto in senso ironico.

Ha girat el cul en se fatt pió veda = è andato via e non siè fatto più vedere.

En el voi manca pió sentì a tossa.

Sgrigna = ridere molto per niente

M’aveva pres ‘na sgrigna o sgrignarella.

Cià na vista bona ch’ved un sisin tla Csana. Sisin è un uccellino molto

piccolo, Csana ovvero Cesana è una collina panoramica nei pressi di Urbino.

-Vo’ set buffe ?  -No, so’ Petrin dla Csana.-Ve digh che vo’ set buff.

Voi siete buffo = no, sono Pietrino della Cesana.

 

Tra l’orc e la mattra = intrappolata, messa alle strette.

Da questo detto si racconta la seguente storiella di origine romagnola:

-M’aveva mess tra l’orc e la mattra

-Tira fora un ciambròccle

-Ch’arluseva com na speda

-È ch ci avev le mutand alla rugantina

-Senò chel mostre li feva

-Ai deva ai deva.

 

Da un giorne a chl’atre nasc un fungh o fongh.

Sfronchia = russa. Ha sfronchiat tutta la nott a voia a dai i calc.

En c’è bsogn da sbandierall ai quattre vent = non c’è bisogno di dirlo a tutti

En c’è bsogn da fè sapé fich e fior ma tutti.

Tle macchj de Bacàn. 

Ti foss de Braccón.

Na piattola ch’en sapev pió com staccalla, oppure:  È un gran impiastre si dice di persona noiosa, lagnosa, con la quale non vorresti fermarti a parlare. Per carità en i dè da dì. È pegg dna mignatta iezzomaria en te fè veda.

Impiastro = impacco. Sa un bel impiastre o impacch cald iè passat subbit.

Un sacchettino con i semi di lino molto caldi, messo sullo stomaco la sera

prima di addormentarsi faceva passare tosse e raffreddore.

Dai na ciaccatina e spianli ben, vedrè ch’el caldinin com i fa ben.

Granata e scopón = scopa e spazzolone

Singher, singhne o singre = zingaro è detto in senso dispregiativo.

Pari un singhne te vo dè n’armulitta.

En s’è manch accort d’avé la bottega aperta.

Tutt chi cinciangol a spindulón en me piacne per nient.

Du coi coi = dove coio coio (in senso scherzoso) cioè dove prendo prendo.

Com a cerchè un agh tun paiar chisà cum fè a truvall.

Me urta a vedle tra i pied ma chel susón.

Ha pres na gran scuffia per ‘na mezza sciaparlina che pó ià tuccat a sposalla. Ha pres na scuffia o s’è innamorat pers. Invece:

Ià dat na scuffia ch’ià fatt girè faccia da cl’atra part è tutt’altra cosa.

Ancora en è imparat a stè al mond, ognun tira l’acqua mal su’ mulin sa credi?.

Dè du’ sold ma gambin e vè a piedi.

El fum va da chi bei. El fum va da chi pió infumichit.

Signorina fuma? –No mo è calda bén-

ALÉ bonanott ai sonatór.

 

 

Valà che prima s’è scapricciata com ià pars = Prima s’è tolta tutti i capricci che ha voluto.

Valà ch’el lup gambia el pel, mo en gambia el vissi.

C’è vlut del bell e del bòn per falli capì = c’è voluto molto per fargliela capire.

Batt só cla porta = socchiudi quella porta.

M’ha spisciarellat tutt per terra = mi è gocciolato tutto per terra.

L’ha spaliat dapertutt = l’ha sparso dappertutto.

È tutt sbrossol si dice di strada con ciottoli.

Brussulosa può essere la crema o la polenta quando rimangono dei grumi.

La crema ha da nì fina fina sensa manca un gnucchtin.

La polenta. La pulenta niva ben tel caldar de ram.

El caldar o  caldarin = Il caldaio era di rame si usava per far bollire l’acqua e cuocere pasta, polenta o altro ed era appeso alla catena del camino.

S’en pù nì = s’en pò nì = Se non puoi venire.

N’arciaplata só alla mei = Un’aggiustata alla meglio.

-Se’ incinta? -No è l’aria. Dopo qualche mese...

-Me vo fè veda sta scoreggina.

Rimbusca significa cercare, rovistare, mettere a posto, trovare da fare tante

cose tutte dentro casa. Cià sempre da rimbuschè = ha sempre da fare qualcosa. Deriva da rimboscare che era un insieme di cose da fare continuamente per mantenere in buono stato le zone delle nostre montagne appenniniche.

Ruspa dapertutt.

Schiupassi =schioppassi = scoppiassi.

Ha fatt foch e fiamm e pó nient è fnitta malé.

El prim april tutt i minchión (o i coión) vann in gir.

Com gira la terra? ho vist che chel paiar en s’è mai moss, è ‘rmast sempre malé?.  Che chel paiar = che quel pagliaio.

Burslin = borsellino

Tel mezz del broccol è come dire: Tel più bell ovvero: nel momento meno opportuno.

Solustre = riverbero. Me fa mal ste solustre ti occhj.

Fa el patacchin o ‘l patacca da cui: -a forsa da fe’l patacca er’mast impataccat- di derivazione romagnola. Come dire: ha sempre fatto il fanfarone che alla fine ci ha rimesso lui. Quasi a dire: ben gli sta.

Te lo giuro, quando mangio le sorbe caco duro.

 

 

 

 

FREDDO CALDO STAGIONI

È vist che temp? C’è un vent porta via. S’è arvoltat el vent, un ventacc.

S’imbomba = S’inzuppa, si bagna assorbendo liquidi. C’ho le scarp’ tutte imbombate d’acqua. Tant per forsa, piov ch’ sversa!

Barburana = vento gelido. Tira ‘na barburana!

Buffa = nevica. Buffa che bòn i và, stavolta la fa, se mess gió de bon.

I bromból ti tett = i ghiaccioli nei tetti.

Brimbolè = tremare. Se brimbolava dal fredd’ = si tremava dal freddo.

Pulisca o fa le pulisch. Sa fa le pulische? = comincia a nevicare?

Dopo una nevicata: Tocca spalè la nev. Tocca fè la rotta. Tocca scrullè le piant. C’è le strad ch’en se camina.

Se t’un sti scalin en ce mett’ne un pò de segatura se casca a rugulón.

Sa sta galaverna se sguilla da matt. Sguilla = scivola.

M’è sguillat dalle man e s’è rott en l’ho fatt a‘posta.

C’è poch da dì e poch da fè, è da cla via = c’è poco da dire e poco da fare, è  proprio così.

Giaccia = fredda. Giacc g’lat = freddo ghiacciato, freddissimo.

Un’acqua giaccia com el gel = un’acqua fredda come il ghiaccio

M’ha pres i rass tle man si diceva quando le mani facevano male per il freddo.

Gelóni. Dal fredd niva i gelón ti pied, ma qualcun anca tle man.

Me so’ incocutitta davanti el foch

El foch chiappa moi = il fuoco si sta spegnendo.

En fè smorciè el foch = non far spegnere il fuoco.

Sta gió n’antra mulicca, sa è tutta ‘sta furia, c’è el foch mal cule?

Furia = fretta.  Squiss = schizzi.

Sbobbarina o squaiarella = neve mista ad acqua.

Adess che la nev’ s’inchmincia a squaiè c’è tutt ‘na sbobbarina ch’ salta i squiss dapertutt.

Troscia = fango misto ad acqua

Malta = fango. Ciò le scarp tutte immaltate.

Na sciorina = un’aria fredda.

Bab loffa, Mama loffa, Nó’ lóffam, Dach’sé ce riscaldam.

En me saria mossa manca per idea, manca per sogn = non avevo nessuna voglia di muovermi per uscire

Bugatt = pupazzo di stoffa, fantoccio

Bugatta = bambola. Con i ritagli delle stoffe che avanzavano alle sarte, noi bambine facevamo i vestitini alle bambole. Noi eravamo contente, le mamme anche, perché così Imparavam a cuscia.

Bugattón = giocherellone fuori posto, anche ragazzo belloccio e stupido.

 

In inverno con la neve alta: Te facem fè ‘l bugatt significava che ti volevano buttare o farti cadere sulla neve fresca. Considerato un dispetto scherzoso, era ben riuscito quando rimaneva l’impronta di tutto il corpo del compagno preso di mira, che si rialzava dalla soffice coltre tutto bianco e rideva con gli altri.

Per divertimento, ci si poteva far cadere sulla neve di peso lungo e steso con

braccia e gambe aperte come un fantoccio. Guarda che bel bugatt ch’ho fatt? 

Tel vernì ancora c’è’n gel ch’en se scioi per adess. En se sverna.

Refne = refolo. Sa chel vent è tutt refne.

Na catassa de legna = una catasta di legna. Ch’l’ómne de sulà dop el Tuf m’ha purtat ‘na bella legna secca, taiata corta, tutt bagulett en c’è i pess grossi, per la stuffa è l’ass de briscola. Negli anni cinquanta, all’interno delle case, molti camini  vengono sostituiti con la stufa economica che andava a legna, aveva il forno, la caldarina per l’acqua calda, la piastra con i cerchi che si potevano anche togliere per far bollire presto le pentole, cioè

le marmitte e i tegamin. Il tubo della stufa, con un buco nella cappa portava il fumo fuori e, se attraversava la cucina era meglio perché scaldava di più.

Sa ste fredd tocca scaldè el lett. Sta sera vagh a lett sal pret.

A lett sa un madón cald ti pied. Madón = mattone.

El pret sa la monnica = servivano per scaldare il letto. Il prete era di legno serviva per tenere alte lenzuola e coperte, la monaca era il contenitore della brace e veniva messa nel prete dentro il letto.

La scaldaletta era una specie di scaldino di rame col manico lungo, con dentro il  carbone acceso si passava più volte tra le lenzuola per scaldare il letto.

Butacc = diga di neve fatta dai ragazzini a metà discesa per fermare l’acqua mista a neve che più in alto si stava sciogliendo.

Quant avem fnit el butacc, facem cacco.

Cacco era quando si apriva el butacc per far scorrere via tutta l’acqua accumulata.

El bragér acces = il bracere acceso.

Vacch = mucche oppure macchie rosse temporanee che in genere vengono nella pelle delle gambe se si sta troppo vicino al fuoco.

M’è nutt le vacch perchè so statta tropp vicin al foch.

L’estat = l’instat = l’estate.

Cald = caldo. Sa ste cald ‘na fiacca ch’en me vien dietra le gamb,

en se strascina le gamb.

Tel schiopp del cald = nel momento più caldo del giorno.

 

 

Bagnata suppa, me niva gió el raghinell de sudór tla schiena. Invece:

I se vedeva un bel raghinell tra ch’le du’tett non centra niente con quello del sudore en du raghinell diversi.

Tutta molla de sudór, bsogna me sciór.

Sem stati a giagia o a gegia sotta un paiar = siamo stati sdraiati all’ombra di un pagliaio. Un paluss sotta el paiar.

Al mar i purett se brusc’ne, i signor s’abronz’ne.

Manca ma le bisc, na robba dachsé.

Caldagna, ciafagna = caldo umido fastidioso.

È l’aria trista, ‘na caldagna ch’ te strónca.

Ciò la ciafagna. ‘Na ciafagna ch’ te manca el fiat.

E’ tutt brusciat, è da ‘dess ch’en piov.

C’è na gran bruscia dapertutt = è tutto secco.

C’è ‘un sol ch’ spacca le pietre.

Ciaramiccol = tipo di zanzara delle nostre parti

En è le zanzar è le ciaramiccol.

Pistariccia = orme di viavai sul pavimento con scarpe sporche.

Tel vernì = la parte fredda di un luogo, dove non batte mai il sole.

Tel caldes = la parte calda dove batte sempre il sole.

Sbiavit dal sol per i panni colorati.

Sbiancat dalla paura per le persone. Sbiancuscit = pallido.

En è minca la strada dl’ort.

Ma l’anguria fai fè el tassell.

Dop Natal i giorne s’allunghne, Per l’ann nov un pass de bov,

Per la pasquella un pass de vitella, per sant’Antoni (17 gennaio) un’ora bona.

Pasquella = epifania.

A mars tutt i vilan vann scals, April villan e gentil.

Piscolla = pozzanghera. Sta ‘tent è tutt piscolle.

Sa sta grandin s’arvina nicò = con questa grandine si rovina tutto.

M’ha pres per el coll = ha insistito tanto da non poter rifiutare

Rottacerquelle = molto forte. Ha cors a rottacerquelle una variante che si può dire è: Ha piovut a strosciacerquelle.

Toccaria sdrasalla, mo en si fa.

È mess un capott bandés. Bandes = grande.

Ton = tuono. È sentit che ton? me sa ch’ha da essa cascat poch distant.

Ai bambini si diceva: Senti com tona? È ‘l diavol ch’arugola la moi per i scalin. Certe tanacche!

De botta e chiopp = all’improvviso.

IÒ = gli ho. Iò datt na scandaiata, mo en ho trovat nient.

Natal sal sól, Pasqua mal ciocch.

È nutt gió un scrocciol d’acqua = è venuto giù uno scroscio d’acqua.

Quant el gatt se lecca el pel, L’acqua vien gió dal ciel.

A occhj e croc = pressapoco.

Picchiapot = pasticcio, groviglio. Hann fatt un gran picchiapot, chen se capisc pió nient.

Psin psant = granellini colorati dolci, usati per le torte, che compravamo con poche lire quando non ci bastavano i soldi per le caramelle.

In primavera facevamo belle camminate, fino ai fossi, per raccogliere fiori come le viole, i campanacc e le mammol.

Durante la quaresima tenevamo in tasca el foraverd foglie di bosso, l’accordo era che dicendoti: Foraverd tiravi fuori il tuo rametto e rispondevi: fora el tua ch’el mia en perd. L’altro gioco simile era: m’arcord ogni volta che ti chiamavano per nome dovevi dire: m’arcord e poi rispondere alla domanda. M’arcord = mi ricordo.

Bugattón de mezza quaresima.

Ma do? = dove?

Cè sempre el temp contat.

Schiodte = schiodati cioé spigrisciti. Te vo schiodè? = ti vuoi muovere?

Te vò sdulì? = ti vuoi sdolenzire?  Sduliscte na mulicca.

Spiccet = spicciati, fa presto. Dai tira via. Dai che dalla cipolla dventa l’ai.

Sempre ugual, par incartapecorit, en è gambiat per nient.

 

Al gioco delle carte si può giocare anche in due, ma quando si gioca in quattro: due contro due, è più divertente, ci si può sfottere e il giorno dopo fare la rivincita. Detti più comuni che ancora resistono sono:

Baston va dai coión, Copp va dai locch,

Spada chi la volta la paga, Denari alla pari.

Sta ma me so’ de mana. Dai chi facem capott.

Tant la prima è di burdei, lascli fè.

A scopón en se parla è ‘l gioch di mut.

A briscola, si puo dire tutto quello che si vuole cercando anche di bleffare gli avversari. Alcune battute ricorrenti in ordine sparso sono: -Vo un carrich? -C’è na briscultina? -Va lisc me stross  -No, en torna adess, en è vestita  -È troppa grossa- o -è troppa pcina e così via. 

Hann fatt centeventi com i svisser.

 

 

 

 

 

 

CANZONCINE FILASTROCCHE GIOCHI e TIRITERE

La filastrocca più antica che conosco è la seguente:

Nebbia nebbia folta folta

Trova le legn per fè la torta

La torta la iò fatta

Mettla sora ma cla banca

La banca era rotta

Sotta c’era scritt

Ce sta quattre donn da maritt

Una taia

Una cusc

Una fa’ capell de paia

Una gussa la curtella

Per furè l’urecchj mal cucch.

 

Lunedì ti pagherò

Martedì se ce li avrò

Mercoldè en te poss de nient perchè

Giuvdé è san Clement

Venerdé vien a bonora

Sabot a qualunq ora

Se dmennica en t’ho pagat

Lundé arch’ minciam da cap’.

 

Pirulin sonava la piffra

Tutt le donn correvne a veda

Chi in mutand e chi in camiscia

Pirulin sonava la piffra.

 

Chcchirighì le tre formich

Chicchirighì du sarann gitt

Chicchirighì en gitte al Gall

Chicchirighì quant’arnirann

Chicchirighì arnirann stasera

Chicchirighì en c’è nient da cena

Chicchirighì c’è l’insalata

Chicchirighì en l’avem capata

Chicchirighì la caperem

Chicchirighì c’arvedrem.

 

 

Staccia stacciola

*Alberto va alla scuola

 Alla scuola del bubù

 Buttalo giù giù giù.

*(nome del bambino con cui si giocava)

 

Staccia minaccia

Quel bambino va ‘la caccia

Va alla caccia del bubù

Buttalo giù giù.

 

Staccia mineta

Le donne di Gaeta

Che filano la seta

La filano per Gesù

Buttalo giù giù.

 

La pera la mela

l’ha fatta Bastian

pera mela pussa e can.

 

Un due tre

La Peppina fa ‘l caffè

Fa il caffè con la cioccolata

La Peppina s’è ammalata

S’è ammalata di dolor

Va chiamè el sor dottor

Sor dottor dalle ciabatte

Qui mi duole e qui mi batte

Qui mi dà una gran puntura

Sor dottor dalla testa dura.

 

A BI e BA

La maestra ce le dà

ce le dà con la bacchetta

Santa croce benedetta.

Scartato a te tocca

-San-ta-cro-ce- be-ne-det ta, le parole si scandivano bene, chi faceva la conta ad ogni sillaba indicava un bambino che era scartato.

Eravamo disposti a cerchio, l’ultimo rimasto stava sotto ossia doveva contare se giocavamo “a cut” o rincorrerci se giocavamo “a caccia”.

Ambarabà ci ci cò cò

tre civette sul comò

che facevano l’amore

con la fuglia del dottore

Il dottore s’ammalò

Ambarabà ci ci cò cò

 

Giro giro tondo

Casca il mondo

Casca la terra

Tutti gù per terra  Ciiiii

 

Giro giro tondo

Il pane sotto il fondo

Quel mazzolin di viole

Per darle a chi le vuole

Le vuole Alessandrin

In ginocchio il più piccin

Ciiiii (e tutti a cuvin)

 

Il giovedì grasso i bambini mascherati cioè abbigliati con i vestiti dei grandi, andavano nelle case a chiedere “el ciccol” tutti davano loro qualcosa.

Ciccol ciccol mascherina

Se’n c’è l’ov cè la galina

El baghin l’avet massat

Su pel mur l’avet tacat

Se’n ve chiappa la nostalgia

Sensa ciccol en vagh via.

Il finale aveva altre due versioni come:

se’en mne dat un bel cuncin                       

accident ma vo’ e ‘l baghin.

Oppure:

se mne dat un cuncinin ce farò i taiulin

se mne dat un cuncinón ce farò i maccarón.

 

Burdella fatta a canella                     Burdell fatt a cannet

molla tl’acet                                      moll tl’acet

fiola d’un pret                                   fiol d’un pret

 

 

 

Gioco della CAVALLINA

Nel gioco della cavallina o cavalletta potevano giocare diversi ragazzini, fatta la conta, uno stava sotto cioé piegato in avanti con le mani sulle ginocchia e la testa bassa, in posa stabile. Dei rimanenti, uno per volta prendeva la rincorsa, poggiava le mani sulla schiena del compagno sotto e con un salto lo superava, chi sbagliava andava sotto.

Facendo il salto si diceva uno dei seguenti versi:

La bella insalatina

L’è fresca e tenerina

E’ buona da mangiare

La signora ne vuol comprare

Ne compra un baiocchetto

Ce lo ficco ce lo metto

Glielo schaffo (metto) fino al busto

La signora ci prende gusto

A un’ora la signora apre l’uscio e piscia fora

Alle UNA monta la luna

Alle DUE monta il bue

Alle TRE monta la figlia del re

Alle QUATTRO battimano

Alle CINQUE raccolta di frumento

Alle SEI incrociatura

Alle SETTE incornatura

Alle OTTO piroletta

Alle NOVE fa buon tempo se non piove

Alle DIECI pasta e ceci

Alle UNDICI accidenti a tutti i sudici

Alle DODICI per quattro volte muta

Alle TREDICI tirata di capellini

Alle QUATTORDICI tirata d’orecchini

Alle QUINDICI battuta e culata

Alle SEDICI quando passerò il mio pegno lascerò

Alle DICIASSETTE ora che son passato il mio pegno ho lasciato

Alle DICIOTTO quando ripasserò il mio pegno riprenderò

Alle DICIANNOVE ora che son passato il mio pegno ho ripigliato

Alle VENTI pasticca lenta e molla battuta e culata

Alle VENTUNO pasticca lenta e molla battuta e culata

Alle VENTIDUE pasticca lenta e molla battuta e culata

Alle VENTITRE pasticca lenta e molla battuta e culata

Alle VENTIQUATTRO pasticca lenta e molla battuta e culata.

 

GIOCO DELLA CAVALLINA o Cavalletta in versione ridotta

UNA alla luna

DUE al bue

TRE monta a cavallo la figlia del re

QUATTRO battimano

CINQUE  raccolta di frumento

SEI pacatina

SETTE saltatore

OTTO piruletta   (otto il mio tacco si è rotto, invenzione personale di Gigin)

NOVE fa buon tempo se non piove

DIECI pasta e ceci

UNDICI accidenti a tutti i sudici

DODICI battuta e culata.

 

Con delle variazioni si giocava anche a “SCARICA BOTT”

Un ragazzino, con la schiena appoggiata al muro teneva le braccia lunghe con le dita delle mani incrociate per sorreggere la testa del primo che stava sotto, cioè rimaneva curvo tenendosi con le mani sulle ginocchia, tutti gli altri della sua squadra, stavano giù nella stessa posizione. I ragazzini della seconda squadra, saltando uno per volta, dovevano rimanere tutti in bilico sopra la schiena di chi era sotto finchè l’ultimo a saltare diceva: Uno due tre quattre cinque sei sett ott scarica bott!.

Bastava che uno solo sbagliasse non rimanendo su, che cambiava il ruolo di tutta la squadra. Si cercava sempre di scegliere i compagni migliori, naturalmente.  

 

Il gioco dello zoccolo si faceva in spiaggia quant’eravamo in colonia. Seduti in cerchio ognuno con uno zoccolo in mano tutti insieme lo passavamo al vicino scandendo le parole della seguente canzoncina:

Allo scalo di Rò

Si gioca al casinò

Giocherò e giocheremo

Allo zigolo zigolo lò

Allo zigolo zigolo là.

Andavamo a ritmo prendevamo da sinistra per dare a destra, arrivati agli ultimi due versi si teneva lo zoccolo in mano si faceva battere da una parte e dall’altra davanti a sé e si ricominciava. Chi sbagliava veniva scartato.

 

Lumaca lumaca

caccia fora i corne e l’aca

L’aca e le spille Lumaca dall’inguille.

IL GIOCO DELLA PALLA

Era riservato soprattutto alle bambine, i maschi giocavano a calcio.

Poter giocare con un pallone vero e proprio era una fortuna.

Tirando la palla sul muro, prima di riprenderla si eseguivano le mosse

rispettive alle parole che si dicevano.

Muovermi                        si tirava la palla e si riprendeva

Senza muovermi              si tirava e si riprendeva senza muovere i piedi

Senza ridere                     non si doveva ridere

Senza piangere                 non si doveva piangere

Con una mano                  si prendeva la palla con una sola mano

Con l’altra mano              si prendeva con l’altra mano

Con un piede                    si alzava un piede
Con l’altro piede              si alzava l’altro piede

A da battere                      si battevano le mani

Zigo Zago                         si battevano le mani davanti e dietro

Violino                             si facevano girare le mani davanti

Un bacino                         si mandava un bacio

Tocco terra                       si toccava terra con una mano

La ritocco                         si toccava di nuovo

Cuore                                si toccava il cuore

Angelo                              s’incrociavano le mani sul petto

Paradiso                            si toccava la fronte

 

Palla pallina

Che va dalla nonnina

Che salta

Che balla

Che gioca alla palla

Che sta sull’attenti

Che fa i complimenti

Che dice bongiorno

Girandosi attorno

Gira rigira

La testa mi gira

Che non ne posso più Pallina casca in terra e poi ritorna sù.

 

 

 

 

 

 

Palla pallina

Dove sei stata

Dalla nonnina

Cosa hai mangiato

Pane e formaggio

Cosa hai bevuto

Acqua di mare

Buttala via che ti fa male.

 

Rinoceronte

Che passa sott’il ponte

Che canta che balla

Che gioca alla palla

Che sta sull’attenti

Che fa i complimenti

Che dice buongiorno

Girandosi attorno

Gira rigira

la testa mi gira

che non ne posso più

pallina cadi in terra

e poi ritorna su.

 

Eravamo molti bambini, giocavamo sempre fuori: “a cut, a caccia, alle palin”, a palla avvelenata alle belle statuine, ai quattro cantoni, alla catena, alla corda, è arrivato l’ambasciatore, le recite, i gran girotondi, costruivamo le capanne, ci arrampicavamo dappertutto, “ce rugolavam”, ci divertivamo con niente. Il nostro territorio era il monte, con i giochi non s’interferiva “sa i burdei” degli altri rioni, erano estranei e nelle scorribande sempre nemici.

 

Nel gioco della catena la canzoncina era la seguente:

Io son quel bel gobbetto chiamato Gelsomino

Padron della mia gobba padron del mio giardino

Tre soldi per la pipa quattro per il tabacco

Sebben che sono bacco io son da rispettar

Col mio gobbetto indosso io faccio quel che posso

E quando non ne posso più piglio la gobba e la butto giù

Se tutti ce l’avessero sarebbe una gelosia

La gobba è la mia e me la tengo mè

A BI CI DI E EFFE GI ACCA I ELLE EMME ENNE O PI QU ERRE

ESSE GI TI U VU ZETA.

Due file di bambini affiancati si tengono per mano con le braccia aperte

(il secondo dà la mano al primo e al terzo, il terzo dà la mano al secondo e al quarto, il quarto al terzo e al quinto ecc.) Una fila per volta si avvicina all’altra  posizionata di fronte, fa l’inchino e torna a posto indietreggiando. La fila che si muove canta:

1° É arrivato l’ambasciatore sui monti e sulle valli

    è arrivato l’ambasciatore oilì oilì oilà

2° Ma da dove voi venite sui monti e sulle valli

    ma da dove voi venite oilì oilì oilà

1° Noi veniamo dalla Cina sui monti e sulle valli

    Noi veniamo dalla Cina oilì oilì oilà

2° Ma una che cosa voi volete sui monti e sulle valli

    ma che cosa voi volete oilì oilì oilà

1° Noi vogliamo una principessa ecc. ecc.

Continuava con: come la vestirete, come la pettinerete, cosa le darete da mangiare e altre domande ancora finchè potevano scegliere il personaggio

richiesto.

 

MADAMA DORÈ.

Oh quante belle figlie madama Dorè

Oh quante belle figlie

Il re ne domanda una madama Dorè

Il re ne domanda una

Che cosa ne vuol fare madama Dorè

Che cosa ne vuol fare

La vuole maritare madama Dorè

La vuole maritare

Entrate nel mio castello madama Dorè

Entrate nel mio castello

Nel castello ci son gia entrata madama Dorè

Nel castello ci son già entrata

Scegliete la più bella Madama Dorè

Scegliete la più bella

La più bella me la son già scelta madama Dorè

La più bella me la son già scelta.

 

Le ciliege le milanese

Le vanno a cogliere

Col panierino

Questo è il frutto del mio giardino

Vorrei ballar con te  Vorrei ballar con te.

CUCCHIAIN O CUCCHIAIÓN  ( invece di cucchiain e cucchiaión si può far scegliere tra il nome di due fiori o di due frutti ecc.)

Maria e Anna, una di fronte all’altra, fanno un ponte tenendosi per mano con le braccia alzate, gli altri bambini in fila passano sotto, mentre insieme cantano: “le porte sono aperte per chi vuol passeggiar, l’ultimo deve restar”

L’ultimo viene fermato con l’abbassamento delle braccia e gli si chiede:

-cucchiain o cucchiaión? –

se la risposta è -cucchiain- dietro Maria

se è -cucchiaión- dietro Anna.

Le due bambine rappresentano una il paradiso e l’altra l’inferno, (si sono messe d’accordo prima dell’inizio del gioco) così alla fine

si dirà inferno, inferno, facendo le corna a chi ha sbagliato a scegliere.

 

GIOCO DEL FORNAIO

Ci si mette in cerchio, dandosi la mano, il cerchio si apre tra Mario, (cliente) e Beppe, (fornaio), i due si trovano uno di fronte all’altro, Mario chiede:

-Fornaio è cotto il pane?

Risposta:-È un po’ bruciato

-Di chi è la colpa?

Risposta:-Di Tizio (nome del bambino che dà la mano a Beppe)

Mario e gli altri bambini passando in fila sotto le braccia di Beppe e Tizio  tutti insieme cantano: -Povero Tizio messo in catene tra le sue pene gli toccherà morir Fri fri fri-.

Passano facendo il giro per ricomporre il cerchio Tizio rimane con le braccia incrociate e il viso rivolto verso l’esterno. Si continua con il nome del bambino vicino a Tizio, tutti passano sotto le loro braccia e così via finchè tutti rimangono imprigionati.

 

CENTOCINQUANTA

Il gallo canta

Risponde la gallina

La donna meneghina

S’affaccia alla finestra

Con tre corone in testa

Passan tre fanti

Con tre cavalli bianchi

Bianca la sella

Bianca la guarnella

Bianco è il girasole

Gesù ci mandi il sole.

 

Calzolaio birbaccione

Fa le scarpe di cartone

La signora non ci bada

Perde il tacco per la strada

 

Gennaio mette ai monti la parrucca………  Genar mett mai mont la parucca

Febbraio grandi e piccoli imbacucca            Febrar grandi e pcin imbacucca

Marzo libera il sol di prigionia                      Mars fa nì fora el sól dalla prigión

April di bei color orna la via                         April orna de fiór vigol e cantón

Maggio vive tra musiche d’uccelli               Magg campa tra le musich di uccell

Giugno ama i frutti appesi ai ramoscelli        Giugn cià i frutt taccati ti ramoscell

Luglio falcia le messi al solleone                   Luij arcoi ‘l gran sal solleon

Agosto avaro ansando le ripone                     Agost spilorc tirand el fiat l’arpón

Settembre i dolci grappoli arrubina                Settembre bianca o nera l’ua matura

Ottobre di vendemmia empie la tina              Ottobre fa el vin e la bott piena tura

Novembre raccoglie aride foglie in terra        Novembre arcoi le foi secche per terra

Dicembre ammazza l’anno e lo sotterra.   Dicembre massa l’ann e ‘l butta sotta terra

                        (L’ann vecchj è gitt, tutti pronti per archmincè chel nov.)

 

Oh che bell castello

diron diron dirondello

Oh che bel castello

diron diron dirondà

È più bello il nostro diron diron dirondello

È più bello il nostro diron diron dirondà

Lo distruggeremo

diron diron dirondello

Lo distruggeremo

diron diron dirondà

Come farete    diron diron dirondello

Come farete   diron diron dirondà

Prenderemo una pietra

diron diron dirondella

Prenderemo una pietra

diron diron dirondà

Qual’è questa pietra   diron diron dirondella

Qual’è questa pietra   diron diron dirondà.

Si sceglieva una bambina e ricominciava il gioco.

 

Piove piove la gatta non si muove

Si accende la candela si dice buonasera.

Piove piove

La Madonna raccoglie un fiore

Lo raccoglie per Gesù

Finalmente non piove più.

 

RECITA

-Ma dù se stat Martin   sangue de micurbin

Ma dù se stat Martine?

-Sò stat alla fiera Marianna   

sangue de micurbin

Sò stat alla fiera Marianna.

Sa me preparat da magnè

sangue de micurbin

Sa me preparat da magnè?

-La pulenta è sopra el foch   sangue de micurbin

La pulenta è sopra el foche.

-La pulenta en me piac

sangue de michurbin

La pulenta en me piace. (fa segno di dare un calcio alla polenta)

Sa la pulenta c’è vol un bichier de vin

sangue de micurbin

Sa la pulenta ce vol un bichier de vine.

-Sa m’er purtat de bell   sangue de micurbin

Sa m’er purtat de belle?

-T’ho arpurtat un bel caplin

sangue de micurbin

T’ho arpurtat un bel capline.

-Facem le pac Marianna

sangue de micurbin

Facem le pac Marianna

-Facem un bel balett Martin   sangue de micurbin

Facem’un bel balette. (ballano insieme).

 

Cantarola cantarola

chiappa el libre

e va alla scola.

cantarola = maggiolino. Preso il maggiolino lo facevamo camminare in mano ripetendo le stesse parole finchè prendeva il volo.

 

Chi fa l’ov tla paia?

-la gallina- Merda in bocca a chi c’indvina.

RECITA

Chi bussa alla mia porta

Chi bussa al mio porton?

Chi bussa alla mia porta chi bussa al mio porton.

-So’ il capitan dei mori

-Con la sua servitù

-So il capitan dei mori con la sua servitù.

-Dov’è vostro figliolo

-dov’è vostro figliol?

-Dov’è vostro figliolo dov’è vostro figliol.

Il mio figliolo è in guerra

Non potesse più tornar

Il mio figliolo è in guerra non potesse più tornar

Il pane che lui mangia

Lo potesse astrozzar

Il pane che lui mangia lo potesse astrozzar

Il vino che lui beve

lo potesse avvelenar

il vino che lui beve lo potesse avvelenar.

-Io son vostro figliolo

-Io son vostro figliol

-Io son vostro figliolo io son vostro figliol.

Perdon perdon figliolo

Non lo farò mai più

Perdon perdon figliolo non lo farò mai più.

-Io non perdono donne

-che dicon mal di me

-Io non perdono donne che dicon mal di me.

La spada tirò fuori la testa le tagliò

La spada tirò fuori la testa le tagliò.

 

Lucciola lucciola

vien da me

ti darò il pan del re

il pan del re della regina

lucciola lucciola lucciolina

 

 

Angelo bell’angelo vieni qui da me?

-Non posso venire c’è il diavolo che mi piglia

-Alza le ali e vola

-Lupo ci sei?

-Sono nel letto

-Lupo ci sei?

-Metto la camicia…si continua a chiedere “lupo ci sei” – metto i calzoni- si va avanti finchè finito di vestirsi risponde: -Apro la porta e vengo a mangiare tutte le tue galline ….e subito comincia a correre per prendere almeno un partecipante al gioco per fargli fare il lupo.

 

Susanna si fa i ricci, i ricci

Susanna si fa i ricci i ricci per ballar

Ma quando fu al ballo nessuno nessuno

Ma quando fu al ballo al ballo nessuno la invitò.

Soltanto il fiol del conte tre giri tre giri

Soltanto il fiol del conte tre giri la portò

Per fare il terzo giro un bacio un bacio

Per fare il terzo giro un bacio le donò.

Oh Susanna come ti senti

-Male dei denti male dei denti

Oh Susanna come ti senti

-Male dei denti in verità.

Corri presto a chiamare il dottore

-oh che dolore oh che dolore

Corri presto a chiamare il dottore

-oh che dolore in verità.

Ecco il dottore che sale le scale

-mamma sto male mamma sto male.

Ecco il dottore che bussa alla porta

-mamma son morta mamma son morta.

Il dottore ecco che arriva

-mamma son viva mamma son viva

Il dottore ecco che arriva

-mamma son viva in verità.

 

Gobbo il padre, gobba la madre,

gobba la figlia della sorella,

era gobba pure quella era gobba pure quella (ripetere la strofa)

la famiglia dei gobbon.

E dopo nove mesi è nato un bel bambino,

anche lui col suo gobbino, anche lui col suo gobbino (ripetere la strofa)

la famiglia dei gobbon. (ricominciare dall’inizio e ripetere la 1° strofa)

 

Mana rotta mana rotta

Dà na schiaffa ma la tu’ bocca.

 

Chi fa la spia non è figlio di Maria

Non è figlio di Gesù quando muore va laggiù

Giù giù giù.

 

Io son contadinella

Della campagna bella

Se fossi una regina

Sarei incoronata

Ma son ‘na contadina

Mi tocca lavorar.

E suonan suonan le campane (2 volte)

Sai tu dirmi che cos’è

E tira e molla e molla e tira

E tira e molla e molla e tira

E tira e molla e lascia andar.

E son trecento cavalieri

Con la testa incoronata

Con la fronte insanguinata

Sai tu dirmi che cos’è

E tira e molla e molla e tira

E tira e molla e molla e tira

E tira e molla e lascia andar.

Era un girotondo, nel ritornello: tira e molla le bambine si giravano a due a due, una di fronte all’altra e tenendosi con le mani facevano il tira e molla allungando e piegando l’uno e l’altro braccio.

 

Indovinelli:

Tutt el giorne magna magna

Quant’è la sera se copre sa la su merda.

(Risoluzione: Il fuoco)

 

Longh longh com un budell

Tond tond com un crivell.

Sachè?

-El poss. -La merda fin’al goss.

 

Tutt’al giorne camina camina

Quant’è la sera arman a bocca aperta.   (La scarpa)

E la Rosina bella la va al mercà

La va al mercà quel dì di lune La va al mercà a comprar la fune

Lune la fune e fine non avrà e non avrà

E la Rosina bella la va al mercà (due volte)

La va al mercà quel dì di marte La va al mercà a comprar le scarpe

Marte le scarpe Lune la fune

E fine non avrà e non avrà

E la Rosina bella la va al mercà (due volte)

La va al mercà quel dì di mercole La va al mercà a comprar le nespole

Mercole le nespole Marte le scarpe Lune la fune

E fine non avrà e non avrà

E la Rosina bella la va al mercà (due volte)

La va al mercà quel dì di giove La va al mercà a comprar le ove

Giove le ove Mercole le nespole Marte le scarpe Lune la fune

E fine non avrà e non avrà

E la Rosina bella la va al mercà (due volte)

La va al mercà quel dì di venere La va al mercà a comprar la cenere

Venere la cenere Giove le ove Mercole le nespole Marte le scarpe Lune la fune E fine non avrà e non avrà

E la Rosina bella la va al mercà (due volte)

La va al mercà quel dì di sabato La va al mercà a comprare l’abito

Sabato l’abito Venere la cenere Giove le ove

Mercole le nespole Marte le scarpe Lune la fune

E fine non avrà e non avrà

E la Rosina bella la va al mercà (due volte)

La va al mercà quel dì di festa la va al mercà comprar la vesta

Festa la vesta

Sabato l’abito

Venere la cenere

Giove le ove

Mercole le nespole

Marte le scarpe

Lune la fune

E fine non avrà e non avrà

E la Rosina bella la va al mercà e la Rosina bella la va al mercà.

 

 

 

 

 

 

Nel bosco c’è la legna zibin

nel bosco c’è la legna zibón

nel bosco c’è la legna

la bella baión zibin zibón la ciumba lallà

Nel bosco c’è la legna.

Vogliam veder la legna zibin

Vogliam veder la legna zibón

Vogliam veder la legna

La bella baión zibin zibón la ciumba lallà

Vogliam veder la legna.

-Con il ritmo delle prime due strofe e il zibin zibón continuava:

Il fuoco l’ha bruciata zibin ecc

Vogliam vedere il fuoco

L’acqua l’ha già spento

Vogliam vedere l’acqua

Il bue l’ha bevuta

Vogliam vedere il bue

L’uomo l’ha l’ha ucciso

Vogliam vedere l’uomo

La morte già preso

Vogliam veder la morte

La morte non si vede

La storia è già finita zibin

La storia è già finita zibón

La storia è già finita

La bella baión zibin zibón la ciumba lallà.

 

Facem el gioch dl’ua, ognun a casa sua.

 

Due bambini girati di spalle si tenevano forte con le braccia piegate l’uno alzava l’altro da terra dicendo:

-Pulcia pulcia quant s’è alta?

-Alta alta (rispondeva quello su)

-Casca in terra e fann’ un’altra. (rimesso coi piedi a terra sollevava a sua volta il compagno alternandosi uno sù uno giù)

 

Alla larga Alla stretta

Pinocchio in bicicletta

Alla bì alla bò

Pinocchio se ne andò.

 

Zucca pelata dai cento capelli  Tutte le notti cantano i grilli

Cantan di là cantan di qua  Zucca pelata non pol più cantà.

 

Muccichin passava el fium

E la moi i tneva el lum

El lum s’è smurciat

Muccichin s’è fogat

 

Gioco che si faceva intorno al fuoco del camino in inverno in campagna:

Tutti i bambini seduti, solo uno in piedi passando davanti a ognuno mostrava uno straccetto bagnato sporcato con un po’ di cenere e diceva:

- Riderai, sgrignerai, el cinciulin a mollo bacerai.

- Io non riderò, non sgrignerò e ‘l cinciulino a mollo non bacerò.

“Se ridevi, te sbatteva el cicnciulin bagnat tla bocca toh!”

Errida ! = Il ridere!

 

-Regina Reginella

Quanti passi mi fai fare per arrivare al tuo castello

Con la fune, con l’anello e con il fiore nell’occhiello?-

Risposta:

un passo da formica, un passo da leone, un passo da gambero ecc.

 

Spia spia del palass

Porta el libre sotta el bracc

Portne un’ portne dó

Spia spia del cacató

 

Longa longagna

Trapassa la montagna

Porta el foch tla bocca

Sachè?   

(El fucil)

 

Fossombron è ‘na città accidenti chi ce sta

C’è sta la mi’ sia accidenti anca ma lia

Ce sta la mi’ nonna i cascassa tutt la gonna

Ce sta i mi’ parent i cascassa tutt i dent.

 

Larga è la foglia stretta la via

Dite la vostra che ho detto la mia.

 

Orié 

Che tamurè

Sorrì                                                 

Tappo                                     

Tippete tappo

Con un piè

Con l’altro piè

Con una mano

Con l’altra mano

Cuore

Angelo

Paradiso.

 

Punta parentempintenpà

Tappe tapperugia

Punta parentempintenpà

Tappe tappenghin.

 

Qui di seguito si ritrovano dei versi già sentiti, ciò dimostra che spesso le filastrocche venivano inventate, rielaborate e adattate al proprio territorio.

Staccia mineta

Le donne di Gaeta

Che filano la seta

La seta ed il bombagio

A me non mi piace

Mi piaccion le castagne

Che batte san Giovanni

Le batte troppo forte

Da far tremar le porte

Le porte son d’argento

Che valgon cinquecento

Centocinquanta la gallina canta

Canta la gallina

Risponde la pulcina

La pulcina sta in finestra

Con tre corone in testa

Passan tre fanti

Con tre cavalli bianchi

Bianca è la sella

La mia morosa è bella

Un piatt de taiulin Un piatt de cicerchin Butta via ma chel più pcin.

“Dai facem el cerchie e giocam a Rosa rosetta”

Velocissima, alzando la mano: “Io sto tel mezz”

-Io vlev stè tel mezz- “No l’ho dett prima io”.

 

Rosa rosetta

La rosa è già fiorita

Bianca è la rosa

In mezzo ai fior

Fate la riverenza

A chi volete voi

La signora va in giardino

Passeggiando un pochettino

Passeggiando un altro poco

La signora perde il posto

Falla ballar falla saltar

Se non ti piace lasciala andar.

 

An din don

Tre gallin e tre capon

Che andavan a la cappella

Cera na ragassa bella

Che sonava le ventitre

Un due tre

Scartata e ma te tocca.

 

Sotto la cappa del mio camino

C’era un vecchio cappuccino

Che suonava la chitarra

Uno due tre sbarra.

 

Gli ultimi indovinelli di una semplicità disarmante come tutte le storielle più antiche: Sta sempre dentra, quant s’adopra ha d’armana affaciat tla finestra.

(Il bottone).

Pió s’allarga e pió dventa pegg. (il buco nella stoffa).

 

M’ha pres alla cuiona no? Cioè: m’ha preso in giro.

 

Oh! Menelicche licche licche

Battete le man le man le man

La vita è bella e l’amore si fa.

E licche licche…….

Sono andato a piazza Castello

Non avevo il cappello

Mio fratello che fa il colonnello

È andato a piazza Castello

Con il cappello.

 

Dindolón della catena

Dì ma babo ch’venga a cena

Venga a cena dalla tu mamma

Bimbo bello fa la nanna.

 

Sotto la cappa del mio camino

C’era un vecchio cappuccino

Che suonava la chitarra

Uno due tre sbarra.

 

Bi a ba, Bi a bebè, bi u buba bebè bibì a bà bebì bibò

Ci a cià, ci a cecè, ci u ciucia cecè ci a cìà cicì ciciò

Di a da, di a dedè, di u dua dedè di a da didì didò

(si continuava così con tutte le lettere dell’afabeto)

 

 

Qualche aggiunta:

El poch è com el tropp, arvansa.

Tocca avé occhj e gamb.

Troppe toccherà a scontanne, prima da murì.

Vaggh a fè un gocc d’acqua.

-Du vè?

-dietra el nas.

M’ha butat i pió, mo ho fatt finta de nient.

Purtina d’ora, cuchina santa, vo el ditin tla bocca?

Tocca fatighè fina ch’en se tira le gamb.

Loppa. Le lopp se s’ingarbugliaven ti capei, per districalle se fatigava, gira e argira sa le lopp niva via anca parecchi ciuff de capei.

Tondi Rosa!

Zazzera. Vu gì a taiè chi capei c’è na zazzera tun chel coll.

 

 

 

 

 

CASA FESTIVITÀ TRADIZIONI

Tra ló e la moi hann fatt el diavle e pegg.

N’arcumudata alla mei o N’arciaplata só, en c’è bsogn da fè ‘na robba tanta de fin = Un’aggiustata alla meglio, una cosa rimediata, non c’è bisogno di fare un lavoro troppo raffinato.

Duvria bacè du camina sa tutt quell ch’ià fatt.

Purtalla in palma de man = portarla in palma di mano.

Eccle, chel fracanappa!

Frac de scgnat = tante bastonate.

La casa nascond, mo en ruba.

Arivne sempre a pappa fatta o a pappa pronta.

Certe scagnarat! Cagnarol che’n se atre, se’ sempre te ch’inchminci.

Longa com la messa di gobb = lunga come la messa dei gobbi, cioè molto lunga. I gobb sono anche i cardi, che con i gobbi non c’entrano niente.

Cià tutt, i manca sol el latt de galina = Ha tutto, gli manca solo il latte di gallina, cioè niente.

I portarìa anca l’acqua sa le orecchj = gli porterebbe anche l’acqua con le orecchie come dire che lo accontenta in tutti i modi possibili. 

Fa i sprocchj = pastrocchia = pasticcia

È tutt sprocchj cioè cosettine fatte a mano non importanti.

È tutt batanai = è tutta roba che non serve a niente, di poco conto.

Com el bussarell d’na porta ‘nticca.

I ranguian o raguian del poi = le frattaglie del pollo.

Ho fatt el cundit sa na bella battutina de lard, i ranguian del poi e i pundor fatti in casa è nut na pastasciutta sai fiocch, buonissima.

-Adess sa facc? -Farè com i antich

-Sa facevne i antich? -Scendevne dal pér e muntavne tel fich.

Sta gió alla vegghia ch’arbevem = Stai ancora alla veglia che ribeviamo.

Cassetta = cassapanca. Cià na cassetta piena de truscèll.

El truscell era un rotolo di tela grezza tessuta a mano che portava in dote la ragazza da marito. I truscell erano utilizzati per fare le lenzuola.

Me lega le man = non riesco a fare le cose.

C’avev un gran da fè, lia stava malé a guardè e m’ha dett: « La devo aiutare a fare qualcosa signora? » Risposta: « Se gissa via me faria un gran piacer senò me lega le man ».

En avè l’acqua dentra casa par te lega le man, en se pol fè nient.

 

 

 

 

 

La donna incinta oppure che aveva parturit da poch era trattata con un certo riguardo. Fino al tempo della seconda guerra mondiale si partoriva in casa e quando cominciavano le doglie il marito andava a piedi o in bicicletta a chiamare  la levatrice: gli uomini non assistevano mai al parto, erano faccende da donne. Madre e bambino durante la nascita rischiavano la vita.

Io sono nata al Topo, casa della nonna paterna, una mattina presto, c’era la neve e la levatrice Vignoli è arrivata giusto in tempo per legarmi l’ombelico.

A partorì fa un gran mal, quant en li fè pió e credi da murì, nasc.

La nascita di un bambino è un vero miracolo, rimane sempre la più grande emozione esistente.

Paranansa = grembiule.

È pregna = è incinta. Ha fiat = ha partorito. Sono due espressioni riferite agli animali. Da quant’è che non si confessa? Da quant ha fiat la baghina.

Bucaletta = boccale.

Mett’ce un po’ de gél tun cla bucaletta = mettici un po’ di ghiaccio.

Quant en c’era el frigorifer se giva a cumprè el gel.

L’acqua sal viscì l’abbiamo bevuta tutti e quando non c’era il vino si beveva l’acqua con l’aceto. D’acquata sa l’acet.

Sartóra = capo sarta. Se tó la sartóra, saprè mei cum tocca fè.

È detto in modo scherzoso, riferendosi a un lavoro di cucito da fare, come dire: decidi tu che sei esperta e sai meglio come fare.

Per dindo rindella, Dio bon, porca maghella.

Dio silla, ogg piov e dman se sguilla.

Du vè Carlin te lavi? 

Ha mess diec mai come Buratta = ha messo dieci maglie come Buratta.

Il sei gennaio passava la befana, l’attesa era sempre grande e la delusione anche. Noi bambini eravamo buoni e ubbidienti, ma i regali dei nostri sogni rimanevano desideri per l’anno dopo.

Da sempre la piazza è il punto d’incontro degli urbinati, non si specifica il nome, la piazza è quella e basta. T’aspett in piassa sotta l’orlog.

A ging’lón per chla piassa el sè quant s’narcontne = A zonzo per quella piazza sai quante se ne raccontano. Le chiacchier? Vé da na part entren e da ch’latra scappane, farann lor.

Vagh in piassa a veda chi cià la testa più grossa.

Gli urbinati spesso parlano di persone che non ci sono più ma che vivono ancora nei ricordi. Se vè al cimitero, quei ch’en incontri pió in piassa i trovi tutti malà sotta chi cipress. Alla processione di sant’Antonio del 13 giugno ognuno di noi portava un bel giglio bianco che, nell’attesa che uscisse il santo dalla chiesa, sbatacchiavamo con poca delicatezza sporcandoci col colore giallo dei pistilli. Sant’Antoni fat piova sensa lamp e sensa toni, dal fondo una vecchietta: e sensa graindla. Graindla = grandin cioè grandine.

Una processione molto suggestiva era quella della Madonna di Loreto, del 10 dicembre, si svolgeva di sera e, per l’occasione, grandi e piccoli portavano un lampioncino di carta colorata con la candela accesa. La Purcisión della Madonna del Giro era un avvenimento di grande

rilievo, importante per tutti.

San Crescentino protettore d’Urbino si festeggia il primo giugno. Alla processione del patrono non mancava mai nessuno: partivamo in fila per due dal Duomo e ci dividevamo uno per parte ai lati della strada appena cominciavamo a camminare, sempre attenti a non superare o restare indietro rispetto al compagno con cui partivamo. Procedendo ordinati e compatti facevamo un giro che passava per il Pincio, via Garibaldi, la Piazza poi su in via Veneto per ritornare al Duomo. Bambine vestite da prima comunione col velo bianco, maschietti con giacca, calzoncini scuri e camicia chiara, boy scout, i maschi e le femmine dell’orfanotrofio, fraticelli, donne col velo in testa, collegiali, suore, seminaristi, stendardi, Arcivescovo in pompa magna con clero al completo, autorità, rappresentanze in divisa, banda musicale, poi uomini col cappello in mano tenuto dietro la schiena e tutta una folla variopinta seguiva la processione o guardava facendo ala sulla strada per poi accodarsi. C’era sempre na mucchia de gent da destare meraviglia.

Alta su tutti, quasi alla fine della lunga fila di gente, arrivava ondeggiando la statua di San Crescentino sorretta a spalle da uomini che camminavano adagio. La scultura colorata è di grande suggestione, rappresenta la figura del Santo vestito da soldato romano con un bel piumaggio sull’elmo lucente. Attraversava la città tra i canti e le preghiere dei fedeli, i gran battimani e il suono a festa delle campane.

Oggi come allora la ricorrenza è molto sentita, si preparano scritte con fiori e dalle finestre ornate con drappi, si fanno cadere petali di ginestre, papaveri e rose ed è sempre una giornata di sole.

Se vo veda le belle d’Urbin vien alla festa de San Crescentin.

Se vo veda le belle e le brutte vien alla fiera le vedi tutte.

El lavor dla festa va tutt per la finestra.

Era scur, toccava gì a tastón.

Tra lum e scur oppure: Tra l’imbra e l’ambra.

Mei na passera presa che cent da chiapanne è come dire:

Meglio un uovo oggi che una gallina domani.

Tutt lustre = tutto lucido, pulito.

Ogg a ott = tra otto giorni

Ha fatt un sett = Si dice quando si fa uno strappo involontario a un indumento. M’ha pres la mannica t’un pioss iò fatt un bel sett.

Sbregh e sett significano entrambi taglio. Sbregh si usa anche per un taglio fatto sulla testa o sulla pelle.

Porta el spirit e’l bombag che Pippi s’è fatt un sbregh tla front.

Na fumaraia, so scappata sensa smurcè el furnell. Ambè! avesc vist che lavor! m’ha tuccat a buttè via tutt.

Se sent na pussa de brusciaticc, sa chè brusciat? = Si sente un odore di bruciacchiato, cos’hai bruciato?

En s’è saput pió nè pussa nè brusciaticc = non si è saputo proprio più niente. Com se fa ne manca un pess oppure Com se fa se fa mal.

La gira e la birla com i par = la gira e rigira come vuole.

El lavabo era un mobiletto da camera con bacile e brochetto coordinati per lavarsi la mattina. Urinal = vaso da notte che si teneva dentro il comodino.

En c’è goccia propi = non ha proprio voglia di far niente.

I castricott vivne de carne incantata.

La donna sfacchinava sempre, quando la vedevi seduta, di solito era perché stava facendo il formaggio, tenendo un recipiente sul grembo, lavorava a lungo con le mani latte e caglio. Da questa mansione deriva il detto:

Ste malé ferma sa le man tla gaida, sa fè el furmai?

Gaida = grembo. Stregna = stringia cioè stringere.

Se cascat dal lette? È cascat dal lett.

Nicò = ogni cosa, tutto.

È arvinat tutt nicò è come dire hai rovinato proprio tutto, nicò viene aggiunto per aggravare l’accaduto.

Rinsegulitt = raggrumato, rappreso.

T’aranci, s’er giacciat nicò, el cundit s’è risegulitt tutt = T’arrangi, s’è raffreddato tutto, il condimento s’è rappreso completamente.

Rinsegulitta = molto magra, rinsecchita.

Rinsega = segno lasciato da qualcosa di troppo stretto. Guarda che rinsega m’ha lasciat, ansi ch’en era legat strett, sentiv stregnéva.

Metémce a gegia o a giagia = mettiamoci sdraiati.

C’lò fin sopra i occhj si dice quando non si ha più voglia della solita cosa.

Che tédi! Sempre tra i pied en se sopporta. 

È dapertutt com la gramigna.

Me cunsum a stè maché sensa fe nient che a casa ciò tant da fè cioè:

Mi consumo a stare qui senza fare niente che a casa ho tanto da fare.

Partecipazioni sentite e argomenti da discutere di certi avvenimenti rimangono irripetibili  come l’arrivo del nuovo arcivescovo monsignor Cazzaniga nel 1953: c’era tutt Urbin a incontrall. Il giro d’Italia con Coppi e Bartali: passat tla strada del sillos. ll circo al mercatale: quant a nì só

per Valbona vedevi na fiumana de gent. L’ultim dl’ann al veglión del teatre. I trasport cioè i funerali a piedi fino al mulino, se non fino alla Croce. Quant al cinema c’era sempre: el pienón. 

Cla volta giva ben dachsé, adess va ben dachsà.

INGIUSTIZIE COLLERA CONSIGLI

La rabbia o nervoso o collera faceva dire cattiverie con esagerazioni

primordiali molto violente quanto improbabili. Le espressioni:

Te tirarìa gió la pell oppure: Te levaria ‘i occhj e pó te farìa corra

sono minacce di una violenza impressionante, ma erano solo parole dette da

persona arrabbiata e impotente sul da farsi.

Le bestemmie arnuvolaven l’aria.

El castigh è pr’aria.

El nervos me porta via.

Ciò un diavol per capei.

Sò’ verd dalla rabbia o dalla tigna. Te fa veda i sorc verdi.

Na rabbia ch’me magna i budei. È rabit ti budei.

En dij nient ch’ s’arabisc com un can, en el fè rabì.

L’ha pres per la colotta = tradotto alla lettera sarebbe l’ha preso per la collottola, ma è come dire: l’ha pres per el grovatin, cioè: con decisione e severità lo ha obbligato a fare quello che doveva.

L’ha pres per el grovattin e l’ha sbatutt tel mur.

Iè saltat ti occhj. S’è arvultat com na biscia.

En sa pió ma che sant argirass. Fa nì el nervos anca ma i sant.

-L’infilsaria sa ‘na furcina, -Saria mei sal furcón.

Na bagolata tra cap e coll.

Ambè ansi vè per le spicc è il commento di chi ascolta propositi di vendetta davvero esagerati.

Ma certa gent toccaria ‘taccalla só tel mur.

M’le tiri fora dalla bocca = mi fai dire quello che non vorrei.

M’ha tirat fora la parola dalla bocca = ho detto quello che forse era meglio non dire. Ormai el sbai l’ha fatt, sa fè, el vò massè?

Anca te le vè a cerchè sal lumicin prò.

Basta dai un ditta ch te chiappa el bracc.

E c’hann tutt le rutelle a post, el pió san de cla famiglia parla da per ló.

En dà fastidi manca ma le mosch. Dorme in pied.

En metta becch = non intrometterti.

Quant ho pensat per me so’ stracca e sudata.

S’è fatt tirè dalla su’ part = l’ha convinto a dargli ragione.

Hann fatt comunella = si sono messi d’accordo tra di loro.

Vo’ lascè gì fina che la strada è sciutta = vuoi smetterla prima che succeda qualcosa di peggio.

Vlem gì fina che la strada è sciutta si dice quando conviene andare via subito, prima che le cose si mettano male.

Partit in tromba = ha subito reagito, è partito di corsa.

È com un can sciolt.

En armagnè le parole = Non negare quello che hai detto.

En n’imbrocca una = non ne indovina una.

En ne fa una per el vers giust = non ne fa una giusta.

Bassica = frequenta. Bassica certa gent da metta paura.

En c’arcav le gamb.

En arcapess nient.

I vann tutte storte, avrà pisciat tel battesim.

Se rod e feghet per sensa nient.

Te chiapp per n’urecchia. Te dò na botta tel cepp d’nurecchia.

Ià chius la bocca = l’ha fatto star zitto.

I dagh un calc ch’el spans.

I daria ‘na sampata da fai squissè i coión.

I dagh un calc tel cul sa la rincórsa.

En ‘i dè l’assica = non lo stuzzicare

Chiapp = prendo. Sett chiapp = se ti prendo.

Chiappa = metà culo. L’ha vutt tna chiappa sal fucil a piombin.

Due ragazzini si rincorrono, quello dietro gridando dice:

-Set chiapp. Un passante: -Tre cul e mezz.

Sel chiapp i facc le bucc ovvero: Se lo prendo gli faccio le bucce.

T’ariva ‘na sciavardata tla schina oppur t’ariva ‘na botta tla schiena.

Tocca tienla bona senò en se combatte!

D’venta un diavle, dventa ‘na bestia, par n’assatanat.

Tiri un sput tla faccia.

Te facc papa è detto tra il serio e il faceto: Ti spoglio completamente. 

M’er ‘mast tel goss = non l’ho digerito, mi dispiace di non aver reagito subito come andava fatto. Ancora c’l’ho tel goss.

Sempre scoionat = sempre di umore nero cupo, serio.

Per c’noscia ‘na persona a voia quanti quintal de sal c’è da magnè insiem!

La gent en se f’nisc mai da c’noscia.

L’ha conciat per le fest = l’ar dott blin = ha ‘vutt ‘na bella s’cincialata.

Valà ch’en te scappa i budei dalla fatiga.

Rosc’ = con i capelli rossi, era consuetudine scherzosa dire:

El più bon di rosc’ ha massat la madre.

Un rosciacc sa tutt cla semola tla faccia. Semola = lentiggini.

Vai vicin, è d’mestich da rida, iesso maria l’è trist.

Di persona cattiva in senso ironico si dice: Tant è d’mestich!

I tira ‘l cul = è arrabbiato. Sta sitt chi tira el cul!

Questa ml’arpaghi, mla legh tel ditta. Se’n ste attent te dà ti ditta.

Diavolo porco. Merdaccia porca.

Per arcurdat fa un nod tel fassulett = per ricordarti fa un nodo al fazzoletto.

Me so’ sdrenat = mi sono stancato molto.

Nel vecchio ospedale, di santa Chiara, ma anche in altri luoghi pubblici

c’erano le scritte: Vietato sputare in terra. La persona civile non bestemmia.

Te dagh ‘na botta tla testa te facc dur = ti dò una botta in testa che ti faccio duro. El ciaccaria dalle bastunat.

Te daria un ciacagnin tla testa.

Tra Ciacagnin e Niss c’è poca differenza si tratta sempre di un pugno in testa. El niss è caratterizzato da una botta data con la nocca del dito medio.

Nissa mai aiutam quachidun (qualcun)  = venisse mai aiutarmi qualcuno.

È strani bene, se en el chiappi per el vers giust.

L’ha mess in riga. Ià fatt metta giudisi. La mess sa le spalle al mur.

Ià fatt un altolà che per forsa o per amor ià toccat a ceda.

È stat sitt com na puttana.

Ardamm i mi sold ch’ t’ardagh la tu’ robba.

En cià tutt le rotelle a post.

Ià dat de volta el cervell.

En m’arcord nient, me par d’avé la testa anacquaita.

Me va via la testa en li facc pió.

Se dat la sappa ti pied.

El podresti massè mo tant fa sempre de testa sua.

Guarda è verament dachsé. È un modo di dire per attestare che dici la verità o credi in quello che stai ascoltando.

Scaiè = scagliare, lanciare.

Ià scaiat un sass che s’el chiappa l’amassa, ià fatt un sguinc! Traduzione: gli ha tirato un sasso che se lo colpisce l’ammazza, l’ha sfiorato.

I stava per scaiass adoss, furtuna ch’l’han tnut.

Squaiass = allontanarsi senza farsi accorgere.

Se squaia = si scioglie.

El squai de cioccolata cioè la cioccolata calda, si dava nei rinfreschi e in occasioni importanti. Se squaia invece significa si scioglie oppure s’allontana, sparisce dalla circolazione. Quant ha vist el bell e ‘l brutt s’è squaiat.

Ambaradan = confusione

Me fa un ciuffle = non mi fa niente oppure non m’importa niente.

Ciufflareia = chiacchiericcio confusionario.

Se i arvò archiappi = se li rivuoi riprendili

Se arvall a chiappè, se se bon = si vai a riprendelo, se sei capace.

Sa se fa sempre tun stè cas sarà mei a scappè na mulicca.

Te fann ricc, vai vicin!

Te fann la coda alla leoncina.

 

 

Oste el sgagnolava, l’avevi da sentì!

Sgagnola è un tipo di lamento da interpretare, è lì lì tra il vero e il falso.

Sgagnola deriva da miagola.

Gran sbocacciat. El chiapparìa a schiaffón.

Che codanna a sopportat!

Per la madunina de cocc, allora, en me vrè fè bestemmiè.

Fa sempre i gran ribir per fè le robb che n’ha da sapé nient nisciun.

È vera, fa quel ch’ha da fè sotta sotta, ha paura chi rubne qualcò.

Basta cla schianti = basta che la smetti.

Me ‘rmast tla groppa oppur tel gropón.

Toh canella! Monta maché ch’ vedi Roma!

Ma me en me cucchi pió vedrè!

Ià dat un cassot l’ha stés. Ià dat ti dent.

Ià dat un pissicott argirat ch’ià fatt ‘na gran mora.

Tigna = rabbia – tarma

Cià na gran tigna = è molto arrabbiato.

Sta maia è tutta tignata = questa maglia è tutta bucata dalle tarme.

Cudicón deriva da cuddica cioè cotenna e vuol dire sporco.

La pinsa era na pagnuttina fatta sa la pulenta, dura dura ch’en se rompeva manca a tiralla tel mur.

I foi = i fogli. Le foi = le foglie.

 

LA SCUOLA

In genere i maestri erano severi, per farci imparare a leggere, scrivere e far di conto usavano anche metodi maneschi. Noi sempre zitti, le nostre madri per loro avevano un gran rispetto e ogni tanto gli mandavano qualche presentino gentile.

Anca ogg m’ha tirat i capei la maestra, ansi ch’i arport la pulenta.

Nel palazzo scolastico c’erano due entrate una per i maschi e una per le femmine, la divisione era rigorosa sia per gli alunni sia per i maestri. In ogni banco c’era il calamaio inserito in un buco apposito, noi alunni in un astuccio di legno portavamo cannuccia e pennino.

Nei fogli dei quaderni l’inchiostro spandeva sempre, ma tutti avevamo la carta assorbente che in parte rimediava anche ai danni delle macchie che immancabilmente facevamo cadere.

I quaderne erne sa l’urecchj e sa qualche foi bugat a forsa de scancelè.

Mangiavamo alla refezione in piatti e bicchieri d’alluminio, gli urli del maestro Bigonsi ci hanno accompagnato per tutte le elementari nel vano tentativo di farci fare silenzio e di non sbattere i cucchiai nei piatti.

La busta dla scola cioè la cartella era di cartone, averla di fibra era il massimo.

LAVORO PIGRIZIA BUGIE

Atrechè è un gran coc’me l’ov = Altroché è uno che non ha voglia di far niente; si fa servire in tutto.

Lenta cóm la macina de sotta.

Sempre l’ultima com el rugol del birocc o anche: com la coda del can.

Rugol del birocc = rullo situato nell’ultima parte del carro dove c’era una corda che si tirava manualmente per aiutare a frenare. Serviva in discesa quando il carro era molto carico e i freni delle ruote non erano sufficienti.

Treggia = carro agricolo a slitta cioé senza ruote perciò sempre trainato.

Se’ com’una treggia = sei molto lenta.

T’arduci = ti riduci. En s’arduc’ a nì via = non arriva mai al punto di uscire.

Sbrigh’te, se vlem gì a chiappè ‘sta boccata d’aria bona, mo en te movi mai.

Ma me mel dici? el cul tel pulisci sa la tu camiscia vedrè, no sa la mia.

Pigrizia vo’l brod? -Sé- Porta la tassa -Accidenti el brod e chi el passa-.

Quando ci raccontano cose a cui non crediamo la risposta ironica è:

Sé, i coión del birr, oppure: Sé, i coión dla vitella.

Valà ch’en m’imbianchi i occhj = non m’inganni, lo so che non è vero.

En se batt un chiod’ = non si conclude niente.

En mov un puntell de spilla è come dì ch’en mov ‘na paia =

Non muove la punta di uno spillo è come dire non muove una paglia.

Per forsa o per amor l’è da fall = per forza o per amore devi farlo.

È un gran vagabond, trova tutt le scus per en fè nient.

En ciò ‘l temp manca da batta i occhj e ló sta malé a giung’lón, sensa fe nient tutt’el giorne. En c’è pió religión! 

Ciaff e strefol sono un po’ meglio degli stracci veri e propri, sono straccetti da indossare di pochissimo valore. 

Tun cla bancherella malé c’è sempre tutt ciaff, en s’nè fa nient.

Dle custin bline = delle cosettine carine.

È ora da stacchè = è ora di fare una pausa (riferito al lavoro).

Iò dat na scandaiata, mo en ho trovat nient, toccherà guardai mei.

Com a metta el cott sopra el bullit = è la stessa cosa se non peggio.

Faénd o faiénd = facendo. Qualcosa vien faiénd = qualcosa sta facendo

Quell cià ‘na voia da lavorè come io da corra.

Valà chel lavor en l’ha mai ‘massat.

El dic anca el dottor: vita bona e ripos.

Ce lasci la pessa ma tutti = tu vai via e noi dobbiamo continuare a lavorare.

Mett’ce ‘na pessa = ormai è fatta, non puoi farci niente.

È sempre vestit d’na pessa = è sempre vestito uguale, allo stesso modo.

Ha da gì a fè ‘l suldat, amò per un pess en l’arvedi. Amò = ormai

Nel gergo militare lascia la stecca si dice di chi ha finito di fare il soldato.

Da noi: ha tirat gió ‘na gran stecca vuol dire: ha detto una gran bestemmia.

Ghiffola = gomitolo. Ved mama ho rubat ‘n agh,

risposta: Podevi chiappè anca la ghiffola.

È facile trovare la stessa parola con altri significati:

Ho fatt na ghiffola = ho fatto una gran dormita.

Papulón = bugión = bugiardone.

Un papulón de prima riga = uno dei più bugiardi che ci siano.

Pappola = cosa assolutamente non vera, bugia.

Quel ch’arconta è tutt pappol, inventa tutt.

O dent o ganascia = o znì o znà tocca falli per forsa.

Znì o znà = In un modo o nell’altro è necessario riuscire a risolvere la cosa.

Sta alla grilla = sta attento

Sa fè i occhj anca ma le pulc = brava a fare bene qualsiasi cosa.

Campa cavall che l’erba cresc.

Matt com na cesta. Ogni tant ardà da matt.

Matt da leghè = matto da legare. En tocca dai da dì, en se sa com ragiona.

Un lavor com un scassat.

En c’è tutt sigur ogni tant fa certi sfulgre per sensa nient.

Sfulgre = sfuriata, simile a squart. Ià fatt un squart ch’la mess subit in riga.

Valà ch’è birb en è cuion

La colpa è sempre de chiatre = la colpa è sempre degli altri.

Ho smuscinat dapertutt = ho rovistato dappertutto.

Muscina = mescola, dal verbo mescolare

Fa le tign com un burdell pcin, purtin vo la ciuccia? Oppur: vo’l ditin tla bocca? = Fa i capricci come un bambino piccolo, poverino vuoi il ciuccio? oppure: vuoi il ditino in bocca?

Catroppola = trappola.

Per chiappè i sorc tel fond se metteva la catroppola sal formai ovvero:

Per prendere i topi nel “fondo” si metteva la trappola col formaggio. In tutte le case vecchie c’era el fond cioè un ambiente nelle fondamenta con il pavimento di terra battuta per tenere la legna, simile a cantina.

Toccaria strida.

Datt ‘na mossa = muoviti, fa qualcosa.

En è bon da tirè fora un ragn da un bugh.

Fa el signor sa i sold de chiatre.

Furment o forment era il lievito. Del pane fatto in casa si lasciava sempre un pezzo di pasta lievitata da utilizzare la volta seguente, quello era el furment.

Formentón =granoturco. Pari un furmentón = sei in disordine.

Nei campi di mais, quando le pannocchie erano immature, pettinavamo le barbe che fuoriescono dall’involucro: la codina o le trecce, legati o sciolti decidevamo noi “mamme come fare belle tante bambine” lascandole poi lì

nella scuola cioè attaccate alla pianta a maturare.

BROD e ACIN

El paiericc fatt sa le foi de furmentón era il più economico e si faceva in campagna con le foglie secche di granoturco, ma i materassi più usati erano di crine, che è una fibra vegetale. Col tempo i materass de crin sono stati sostituiti con quelli di lana.

Ormai en se fann fè pió i materass de lana c’è tant ben chi compri = ormai non si fanno fare più i materassi di lana ci sono tanto bene quelli che si comprano.

Scardassè la lana era un lavoro che facevano sprattutto le donne e i bambini.

Sputasentens, presuntuos e fanfaron.

È un gran fanfaron, cred da essce sol ló.

En vrè murì per campè? Se en li fè, en li fè no? = non vorrai morire per campare, se non gliela fai non gliela fai.

Malé se legg e malé se scriv.

È gitt via tutt impeperit, sa un cul ritt.

Piccia el lum = accendi il lume. Ormai si usa solo in tono scherzoso.

I brucchin = i chiodi che usava il calzolaio.

Le scarp arsolate = le scarpe risuolate.

La suola delle scarpe si consumava molto, il calzolaio detto el calsolar

lavorava su un piccolo tavolino con martello, lesina, trincetto e altri attrezzzi

a portata di mano, li ricordo in bugigattoli con poca luce e con mucchi di scarpe da riparare.

Già da nuove, nella punta e nel tacco delle scarpe si facevano mettere

i ferrett, per falle durè de pió, quando camminavamo i ferretti risuonavano ad ogni passo ed eravamo abituati, meno sopportabile era il fatto che fossero sempre dure e ci facessero male ai piedi. 

Chisà sa c’avrà sempre da rida cla sciasciarella.

En fè el scarica baril = non fare lo scarica barile.

En cià bocca = non ci abbocca = non ci crede.

Se dventata alta! po’ magnè i maccherón sopra la mi’ testa.

N’acqua torbia = un’acqua torbida

M’ha pres per asciat = ho lasciato perdere per stanchezza.

Amomenti = tra poco. Amomenti è ora d’ar gì via, Quant parti?

Cepp d’ambroll, cepp d’insalata, cepp d’nurecchia.

Finalment l’ho sbolognata, mo è stat un lavór da rida.

Aparecchj = aeroplano.

La cicogna era l’aparecchj di alleat, sa quella en c’era d’avé paura.

Pió per scott che per atre = più per scotto o irritazione che per altro.

Ogni lavata na struppata o na stracciata.

Se stroppa = se straccia = si strappa.

Grida vendetta da quant è sporch. 

IL BUCATO ovvero LA BUCATA

In un mastello “Tla mastella” fatta con assi di legno tenuti stagni da due cerchi di metallo, con un buco nel fondo chiuso da un tappo, “el sur” dentro si mettevano i panni bianchi da lavare, si spianavano bene con le mani, senza lasciare avvallamenti perché poi l’acqua doveva passare adagio senza ristagni. (Dove l’acqua ristagnava i panni si macchiavano di rosa-rosso).

Ogni gir de pagn un gir de lisciva alla fine, la biancheria, si copriva con un panno vecchio o più brutto, si metteva cenere di legna buona setacciata e sopra il tutto si versava acqua bollente. Qualche caldarin d’acqua bolent.

La mastella era sollevata dal pavimento e poggiava su due file di mattoni o sopra un asse in modo che, quando si toglieva il tappo ovvero: el sur in una bacinella detta bagnarola appoggiata in terra e messa sotto, si poteva raccogliere el rann cioé l’acqua di scolo. El rann era usato poi per lavare i panni colorati e, per tutte le pulizie in genere, diluito con l’acqua serviva anche per lavare la testa e gli indumenti delicati.

I panni del bucato per il risciacquo si portavano al lavatoio per arsciaquai tocca gì mal lavató andare al lavatoio era già meglio che andare alla pozza o al ruscello, dove talvolta bisognava allontanare il verde dell’acqua stagnante e si stava in ginocchio.

La biancheria s’immergeva e si ritirava su più volte, si batteva sopra delle pietre apposite con un legno pesante a manico corto chiamato massucch o battrella. Il lenzuolo lavato per strizzarlo bene era preso da due donne, una per parte, che lo giravano arrotolandolo nei due sensi opposti.

Aiutme a stregna ste lensol.

I panni erano pesanti se portavne sal birucin cioé si portavano con il biroccino o in due con la bagnarola.

Si stendevano all’aperto sopra le fratt ossia le siepi, nei prati, nei fili e si stava attenti che non li rubassero.

El rann era fort rodeva tutt nelle mani si facevano le crepacc.

A lavè la testa mai sumar se spreca el sapón e ‘l rann.

El rann vergin si otteneva in questo modo: si prendeva dell’acqua bollente e la si faceva passare attraverso un panno che conteneva cenere.

L’acqua che filtrava nel recipiente che veniva messo sotto era el rann vergin perché non aveva attraversato la biancheria sporca del bucato ed era più leggero. Si faceva per lavare per capi delicati.

Chi pagn ch’ho stes en s’en sciuttati ben, mo hann vutt na bella sbrulitta = quei panni che ho steso non si sono asciugati del tutto, ma si sono scolati bene. Chi pagn en armasti tutti mezzi incrudulitti, stavolta en en nutti ben per nient, toccheria fè le robb tutte da per sé. Ma me en me serve nisciun apposta.

 

SOLDI RISPARMI AVARIZIA

Un gran arplìtt. Un arplìtt ch’en daria manca l’oss’ mal can.

Arplìt = avaro

Nud’ com un vermin o nud brill = nudo completamente.

Nud e crud = senza più niente. Come S. Gvann a bagn.

Rumit deriva da eremita, significa non voler spendere.

Che rumitti ragassi! en è da creda.

Le pecre cónt’ le magna el lup.

C’è ‘na bruscia = c’è una crisi

Chisà du i trov? tra le legn o senò tra le gamb del governator. Sa co’ da fe,

en el so sigur?  -I avrò da stampè? = -li dovrò stampare?

En è minca un psign, ló ha d’avé come chiatre = non è mica un figlio di

nessuno, lui deve avere come gli altri.

Brendola = farfalla, o carta moneta di grossa taglia. Ha tirat fora ‘na brendola.

I sold fann gì l’acqua a damont oppure: I sold’ fann’ i sold’.

Pòl piscè tel lett’ e di’ ch’ha sudat.

Risparmia per la canella butta via per el chiucón.

E’ un gran rosp’ = è un grande avaro. Brutt com un rosp = molto brutto.

Tropp i rosp ha mandat gió = Troppe cose ha dovuto sopportare.

È ‘na robba de pió. Na robba ch’se pol fè a men.

En da’ manca el curtell mal boia.

Par chi levi el pan dalla bocca.

Par chi manca sempre la terra sott’i pied.

‘I tien’ pió ì occhj che ne la bocca

Valà ch’en trema dal fredd.

Casca sempre in pied’

Fnirà anca ma ló. E’ fnit le nóc ma Bacucch ch’ c n’aveva sett solar e ne

magnava una al giorne.

A forsa de spenda e spanda.

Sparagna = Risparmia. Chi sparagna el gatt li magna.

Sparagnin = che spende poco, è simile a baiucchin.

Se en c’è en frigg.

Se chiud’ na porta se apre un portón.

Se la carta en dic’ tocca magnè pan e radic.

Chi gioca e spera da vincia, scappa dai stracc entra ti cincia.

Pidocchiós o arplitt = spilorcio, taccagno.

Schiantacor è un avaro per cose di poco conto del quale si ride anche per i tanti episodi raccontati dagli amici.

De chiopp = all’improvviso. Ha decis de chiopp.

Un scrull de guadrin = tanti quattrini.

M’ardrissa ‘na custiccia, si riferisce al denaro, come dire: mi serviva proprio. Custiccia = costola.

M’armetteria na custiccia a vincia tutt chi sold.

Vedrè che quell t’indrissa le custicc = Vedrai che quello ti mette giudizio

Le man bugate = mani bucate

En val ‘na cicca, en val un sold bugat.

Sel massi en fè ‘na lira de dann.

Scroccón = magna a uffa = mangia a spese degli altri.

Argaravella = racimolare, farsi regalare. Va in gir tu’n ‘ste cas a d’mandè, argaravella sempre qualcò.

é ‘na gran pitoccóna, fa el lament per fass compatì.

Vogna = ungere. Tocca vogna le rot mal birocc per fall gì avanti.

Ungere gli ingranaggi per far scorrere le cose.

Bsogna vogna = bisogna ungere, per ottenere qualcosa devi dare qualcos’altro.

Tocca sempre tirè ‘l coll o tirè la cinta ch’è la stessa cosa.

Piagn miseria, ste mor amassat.

El beccamort = il becchino.

Gran beccamort si dice di persona antipatica, odiosa.

Ramengh = senza niente. So’ gitta a ramengh = Non ho più niente.

È pió l’armessa che’n’el guadagn.

El guadagn del castagnar oppure: el guadagn del menga.

En se scastagna tant, en si fa a sbarchè el lunari.

Manca sempre’l sold per fè la lira.

Manca sempre un frat = manca sempre qualcosa o qualcuno.

Me va via i sold come rena.

En ciò un sold per fè cantè un ciech o anche da caccè t’un occhj.

Se lamenta del brod grass.

È mei sta sitt a lamentas lo fa schif e vergogna = meglio che stia zitto se si lamenta lui fa schifo e vergogna. Non ha proprio motivo di lamentarsi.

Par ch’è nat tel bombag, en s’arcorda quant stava per chi foss!?.

Sa ne farà? Tant i tocca lasciai tutti MALÉ anca MALÓ.

L’hann splucat fin’al midoll = gli hanno preso proprio tutto.

So’ alle pule = non ho più niente.

E’ nat sa la camiscia. Cià un gran cul.

-A dì la verità c’ l’ha sempre avut quest se pudrà dì sé ?!

Se fà bastè quell c’è.

-I rincresc a metta le man tla sacoccia-

-Atrechè, car el mi rincresc, se i parli da paghè i se fa fastidi.

E’ un ch’en paga mai.

Ha raschiat el fond = Non ha più niente, non ha più una lira.

Ha toccat el fond = é sceso molto in basso, ha perso ogni stima.

Un tempo molti alimenti si conservavano nella paglia, da questo deriva il detto: Hann magnat la paia sotta.

M’hann svenat, m’hann splat = ho dovuto dare molti soldi.

Purett in canna.

I mett tutti per curtell = gran risparmiatore

Suppa = zolla. Suppa come minestra o suppa come accumulo di debiti.

Ha fatt ‘na gran suppa de debbit ch’ è gitt a pr’aria.

Cià i buff dapertutt o è pien de buff, si dice di chi ha debiti un po’ ovunque.

Il giro dei debitori, strada di circonvallazione ancora esistente, la faceva chi

aveva debiti in centro e non voleva farsi fermare dai creditori.

Basta me ved da distant che svigola subbit per en fass veda.

Gli urbinati vanno o tornano In Urbino non A Urbino.

In Urbin c’è na mucchia de vigol. Appena poss arvengh in Urbin.

Svigolè = svicolare, schivare.

Costerà un milion? – Sé e na figura. Na figura = di più.

En i caca ‘na c’vetta = non costa tanto poco.

Me pres a goda = ne approfitti.

Tocca sempre bacilè = bisogna sempre pensare per risolvere le cose.

En bacil tant, i daggh ‘na botta tla testa -A sé en vè per le spicc.

Chi pió spend men spend.

Scialaquón = Spendaccione.

Se sè tropp bon dventi stuppit = se sei troppo buono diventi stupido, cioè gli altri ne approfittano. Te chiappne pel cul e t’argirne cum voine.

En se fa in temp a cumprall chel sapón, par se magna sal pan.

Par se magna sal pan si diceva per qualsiasi cosa che si consumava molto ed era necessario ricomprare subito.

En se fa el pass più lung dla gamba. En te fè infinocchiè.

Fall subbit fina ch’è calda, che dop en el fè pió = fallo subito, adesso che ti è capitata l’occasione, che dopo non lo fai più.

En so’ calda per nient’ si dice quando l’idea di decidere una cosa o andare da qualche parte non entusiasma granché.

Quando si parla d’alte somme di denaro: Mo el sé quant’enn? Ciann na coda ch’enn fnisc pió.

I pagn stiri sal cul, i pieghi benben e te ce metti a seda sopra, se stiren benissim.

 

 

 

 

 

BAMBINI ADOLESCENTI FAMIGLIA

Burdei = bambini

Tutt na burdlara = bambini dappertutto

Tutt chi burdei un pio pcin de ch’latre, ‘na gran pcinaia o pcinara.

Un chiass ch’ te faceven immatì, un gran diavléri!

Certi fulett da rida = birichini, vivaci.

Spartisc ben ben = fa le parti uguali

Fa tata sa la manina = fa ciao. Che squissa!

I burdei a fai en è nient, arlevai ch’ ce vol cioè: i bambini a farli non ci vuole niente, è allevarli che ci vuole.

Ormai l’è arlevat, pol gì sa le su’ gamb, è bsogn per te.

La pianta tocca ardrissalla da p’cina, senò en c’è nient da fè.

E’ un ciocch dul metti sta. Bon com un ciocch.

Vieni oltre che malà c’è il bubbo.

Sempre a strascinón per terra.

E’ ‘na sbirra da rida = Riferito a una bambina è sempre affettuoso = birichina. Da rida è un rafforzativo, sta per molto birichina.

Invece dire: E’ ‘na gran sbirra a una persona adulta diventa dispregiativo.

Inganscit di solito si dice di bambino che guarda incantato qualcosa che vorrebbe avere. Era inganscit malé davanti.

Batanai = cianfrusaglie, roba di poco conto.

Capirè che giocattol! È tutt batanai da buttè via.

Badurlin = giocattolini di poco conto

Me so’ badurlata = ho perso tempo.

Ha pres un gambón!

E’ ‘na teppa da rida.

Lulón era un bambino più alto dei coetanei.

Galastrón = gallo castrato male, nè gallo nè cappone. 

Ha fatt na vóc da galastrón, è il tono di voce del ragazzino che sta crescendo.

Muccich = moccio. È fnit da piagna tignós?

Muccicón = moccioso. Va via brutt mucicón. Magna muccich.

Sbudlat. Mett’te a post cla camiscia se’ tutt sbudlat si dice in senso bonario per far migliorare l’ordine nel modo di vestire. Se tutt sbudlat, fatt veda ch’ te mett ‘na mulicca a post, si può dire anche a un bambino, tirandogli su i calzini o allacciandogli dei bottoni.

Invece: È un gran sbudlat diventa un commento ostile.

Sostituire l’aggettivo “tutt” con “gran” e riferirsi ad un adulto non presente assume un significato negativo. S’è tutta smucichitta o è una gran smucichitta ha un senso molto diverso.

M’ha dat un sciropp sarà per la tossa oppurimento per rinforsillo.

Tetè = tettare il latte dal seno. Vria sempre tetè.

Tutt ste rutéc vlet gì via burdei, vlet gì fora.

Che ravell! per carità fatme scappè subbit, ste casin me fa gì via la testa.

Bavarola = bavaglino.

Rid rid che mama ha fatt i gnocch.

Ià m’nat sa la cintura ià lasciat le tegh = L’ha menato con la cinghia gli ha lasciato i segni, i lividi. Tega = baccello oppure segno lasciato da una bastonata. Ià lasciat na tega, vedrè ch’ s’arcorda per un bel pestin.

Iezzo, l’è bell ste burdell!

S’ha da fè i oss = si deve abituare

Svelt com un luzzin = molto svelto.  Luzzin = lampo

Alla domanda: Sa se magna stasera? Risposta: Le pastumach

Pastumach = cibo non esistente come: La sement di ficcanas.

Da ment = ubbidisci

Da ment ch’se me fè nì otra me paghi ‘l viagg = ubbidisci che  se mi

fai venire lì mi paghi il viaggio.

Le buschi oppure te men forte è come dire ti dò le botte.

Pacata = sculacciata.

Mustacción = ceffone. Te daggh un mustacción tla bocca, sa la mana all’arversa.

Porett’a no’ diceva quell ch’era sol = Poveri noi diceva quello che era solo.

Mo me coión, ch’en poss fè mai nient de quel me par.

E’ de sett e segna le doi si diceva di bambino molto vivace.

Cunna = culla. Nassica cla cunna = dondola quella culla.

Cunna = di più. C’avrà trent’ann? -sé e la cunna.

Mett’te a post na mulichina pari el fiol de pegg.

Minacce dei genitori:

-Te mand a durmì sotta le Volt de Risciol.

-Te mand tel discolat.

-Sta sera quant arvien el tu’ padre li digh ch’me fatt’ ‘rabì, vedrè ch’ tle dà

sa la cintura.

-Te chiud tel fond sa i sorc.

Ruschia = frusta = ramo lungo e flessibile.

Te dagh sa ‘na ruschia tle gamb.

Lazzarón quant te chiapp vicin tne daggh sensa fin, vedrè te, tant el matt fugg mo la casa en fugge?

Per fè granata para mén ma tutti, achsé en sbai.

Piscialett ragazzino che e interviene nei discorsi non adatti alla sua età

sicchè c’è sempre qualcuno che dice: te sta sitt piscialett, sa fè maché? va, a giuchè sa chiatre burdei. A un ragazzino che racconta una frottola gli si può dire: Valà burdell va a fè le scoregg tl’acqua achsé ved’i bocciol.

Parla quant piscia le gallin = sta sempre zitto.

Sachè = Cos’è.  Sa chè fatt? = cos’hai fatto?

Sachè st’ardunata burdei? gitt via valà sensa famm arabì che n’ho voia.

Sghittle, russigh, o scaruss = solletico.

En i dè d’russigh ma cla ‘nucentina chi si svegghia i vermin.

En i dè scaruss ma chla burdella chi si svegghia i vermin.

Non dare solletico a quella bambina che le si svegliano i vermi.

Vé una io e una el mur si diceva al bambino disubbidiente facendogli vedere la palma della mano aperta. En fè ‘l sprecat lascia gì.

E’ scaviat tutta la sedia, vo ste ferme quant se a seda?

Bada malé, en discorra sempre.

Sta sitin ch’è mei = sta zittino che è meglio.

Cuntent com ‘na pasqua.

È andat in brod de giuggiol = è stato molto contento.

El sa quell boll tla pignatta = Lui sa cosa ha fatto.

Sa ch’è fatt? -Ho magnat la minestra  e ho rott el piatt oppure: ho magnat

le nóc e ho stracciat el sacch.

En li è da dè sempre de vinta = non gliela devi dare sempre vinta

En iè da fe fè tutt quell vol = non devi fargli fare tutto quello che vuole.

La stecca vien dal ciocch.

Se parla l’uc’lin vol dì ch ha parlat l’uc’lon = se lo dice il piccolo vuol dire che l’ha sentito dire dal grande.

I burdei èn la scumpessa de casa.

Scumpessa o mundessa = immondizia.

T’ne combina de tutt sort, ch’en se combatt.

Ma = mama = mamma.

Ba = babo = babbo.

Mamta o la tu madre = tua madre.

Babte o el tu padre = tuo padre. Du è el tu’ ba?

È vist la mi mama? -Sé c’l’aveva tla bocca un can, chisà du vò ch sia gitta?.

Quanti siete in famigia?

So ié, la moi de ié, la Betta e ch’el fiulin chiappa la tetta.

T’ar mand da du se nutta = ti mando via.

Al cinema s’andava poco, da bambina ricordo giusto “Bernadette”, ma  negli anni cinquanta, ragazzi e adulti, andavamo tutti a piangere con i film di Amedeo Nazzari e Ivonne Sanson. Nei giorni feriali appena possibile entravam a bughetta, uno di noi faceva i biglietti per cinque mentre in sette otto s’infilavano dentro, oppure la scusa più comune era sempre la stessa: vagh gió na mulicca a veda se c’è un mi’ amich arvengh só subit. Scarnicchia era el padrón del cinema annuiva e stava zitto, faceva sempre finta di non accorgersi di niente.

Cerquaritt = capriole. Gran marzocch = tonto.

En per te come l’oss pel can, era riferito al bambino che aveva combinato qualche marachella.

Me sformiccola le man da quant ni daria = mi formicolano le mani da quante gliene darei.

I nonni spesso raccontavano cose molto ingenue come ad esempio: El sé? Quant fè la Cresima l’arcivescov te mett un chiod tla front, col tempo era diventato: Te dà na schiaffa tla faccia, enò vedrè te? Forse era per giocare o mettere alla prova la credulità dei bambini. Gli anziani, vissuti in campagna, dicevano: En se sapeva nient, en cnuscevne nient, dle volt ce purtavne a Urbin, mo poch, tun chi camp c’era sempre da fè. C’era sol la fam, mo pó quei prima de nó stavne pegg ancóra.  Arlevè = allevare i bambini piccoli.

Quando i bambini diventano giovanotti, con meno entusiasmo si dice: L’ho arlevat, mo ancora me tocca mantienle ma me. 

Fascia la testa prima d’avella rotta.

Per un bel pess ho fatt unc e uncin e pó so gitta a sprecai tutti d’na volta.

Per un bel pezzo ho risparmiato e poi sono andata a sprecarli tutti in una volta.

Fina ch’lutta = finchè dura. Lutassa = durasse.

Se sent un sdrugulaticc = si sente sbaraccare, chiasso di piccoli mobili che si trascinano. Se sent a sdrugulè le sedie.

Baragoda, rutéc, ratatuia, rapascét = baldoria confusione

L’ha vutt de sguaraguai = l’ha avuto di nascosto, senza autorizzazione

Alla mei = alla meglio

Vien gió maché ch’ te do io la bicchia.

L’è blina cla c’licchia. È na sfrussa ch’en sta mai ferma.

Tiénle sa la man dietra la schiena, ch’ se sfila, era la raccomandazione di

chi dava un bambino piccolo in braccio a qualcuno poco esperto.

Fa el bregnulin si dice guardando la bocca del piccolino che sta per piangere.

Vezzeggiativi per bambini molto piccoli: che bella fiulina, cum cresc ben,

eeh l’è blina! Guarda cum sta! par ‘na ranucchina, gioia santa, oh! che bella pacchiarotta, cicciulina, stellina, passarina, patatina, squissarina e tutti i diminutivi di qualunque cosa diventano complimenti.

Cià tutt i capiulin, le belle gambotte, la faccia tonda e ai genitori: avet fatt le cos propi benben eh? Appena piange: pora cocca sa t’hann fatt? te fann piagna sempre? Quando non stanno bene: -en magna nient, pora gioia, par un stracciulin, oppure: -ogg en ha ‘na gran voia è moscia moscia. 

Tutti adoss, va fnì ch’la svegghj’ne!

Oh! Che bell burdell gross! subito la madre: e pó adess ha calat.

 

Abitudini CITTà CAMPAGNA

Urbino fa parte del paesaggio e la natura circostante entra nella città.

Tra la città e la campagna c’è armonia ambientale e una stretta connessione

nel modo di vivere con scambi continui tra l’andare e il venire, il dare e l’avere.

Il dialetto non è proprio uguale, dalle diverse flessioni non solo si capisce la distanza tra Urbino e i dintorni, ma anche se la provenienza è più vicina o

più lontana.

Il sabato è sempre stato giorno di mercato, il mercatale era il luogo preposto

per la contrattazione e la vendita del bestiame soprattutto di buoi. I bua.

La parola data con una stretta di mano era garanzia sicura del rispetto

dei patti.

Nei modi di dire della gente di campagna le parole erano più contratte di quelle di Urbino, ancora oggi mantengono caratteristiche di origine più arcaica.

Alcune differenze nel parlare contadino, urbinate, italiano sono nei seguenti esempi:

CENDRA = CENNER = cenere. Tiri la cendra ti occhj.

DIAVLE = DIAVOL = diavolo.

GIULÉ = TRA D LÉ = tra di lì, poco lontano

GIULÀ = MALÀGIÓ = laggiù, lontano

È gitt giulà distant a rompa’l coll.

RIPPA = rupe. È gitt só per cle ripp.

DAMONT e DAVALL = in salita e in discesa

VU = VÒ = vuoi

SEL VU = SEL VÒ = se lo vuoi

DA PIA Valbona = DA PIEDI Valbona

I PIA = I PIED = I piedi

-So gitt a pia - Sor nutt a pia –Un mal de pia -Ch’en sto in pia.

Anch’io so’ stat a Roma, ho lavorato a “PORTA PIEDI”.

Quasi tutti i vecchi non erano andati a scuola, ma avevano spiccato senso

pratico e per fare i conti erano di una abilità insuperabile.

Che giorne è rentrat ste mes?

Ricordavano in quale giorno della settimana era cominciato il mese per

risalire velocemente alla data di tutti gli altri. Ad esempio se il primo del

mese era un lunedì, sempre di lunedì erano i giorni: 1-8 -15 -22 -29.

Mio nonno, classe 1886, analfabeta suo malgrado, aveva imparato a leggere

el stampat come diceva lui e aggiungeva: Se sapessa leggia e scriva dmanderia se c’è Roma da venda.

Tla luna en ce girann mai, i segreti di Dio non si scopreno.

Scopren = scoprono.

I rass, rassulin, ucclin = gli uccelli, uccellini. 

Mio nonno s’interessava di tutto veniva da me per farsi leggere e scrivere le

lettere, ma soprattutto voleva sapere i fatti, le novità.

Fino all’età scolare i bambini urbinati degli anni quaranta parlavano solo

il dialetto. Con nonni e genitori è un’abitudine che persiste ancora, ma

con figli e nipoti no, tutti tendono ad italianizzare le parole.

Quando hanno mandato il primo razzo sulla luna, il discorso con mio nonno

è stato il seguente:

-Avet sentit nonn? hann mandat un rass tla luna!

-Com un rass tla luna? e dop’ cum han fatt?

-l’hann fatt gi só e pó l’hann fatt arni gió

-Arnì gió? mo è arivat vive?

Non riusciva a capire una cosa tanto inverosimile solo perché

Rass per lui era un uccello e per me Rass era un razzo spaziale.

 

TOCCA GUERNÈ MA I POI = TOCCA DÈ DA MAGNÈ MA I POI

 = Bisogna dar da mangiare ai polli.

 

L’intrisa per i poi era un preparato a base di vercatura che si faceva per

dare ai polli. Nell’aia i polli si chiamavano a raduno dicendo ad alta voce

“Ciir ciir”

VERCATURA = semola di grano, crusca.

Na gallina ch fa’l grottol è una gallina che si rannicchia perché sente freddo e col freddo non fa l’uovo. Galina paciotta

El pulè cioè il pollaio veniva costruito dalla parte calda della casa, tel caldes.

È pulit com el baston del pulè si diceva di qualcuno sporco.

UNVELL = da nisciuna part = da nessuna parte

Un fà e un liga = aiutarsi a vicenda

LA PCANGLA = LA DINGOLA = l’altalena.

DA TUTT I CANT = DA TUTT LE PART = da tutte le parti.

HO DA GÌ MOGNA LA VACCA = devo andare a mungere la mucca.

(la mungana)

El mantil = la tvaia = la tovaglia. Mett so el mantil.

Ammanisc la tavla = prepara il tavolo.

NANS = prima. Nans ch’è fatt, nans ch’se rivata.

Nans nans, intant incomincia.

L’inchminc è la metà dl’opera

Maché inchmincia e maché fnisc en ne voi sapé propi nient.

Portugalla = melarancia = arancia.

TE SA MILAND ch’arvenghne? = non vedi l’ora o sei contento che

ritornino? Te sa Miland è un modo di dire, ormai in disuso, dei nostri dintorn, ormai lo dicono solo alcune persone anziane.

Tocca gì alla ciancia en c’è la luc.

Mattra = madia. Radmattra = attrezzo che serviva per rimuovere la pasta rimasta attaccata sulla spianatoia della madia. Rasagnol = matterello

La pasta in casa la facevano tutti, ingredienti necessari erano farina e uova.

Se non c’erano le uova si metteva l’acqua.

In media per ogni etto di farina ci va un uovo, la pasta mentre si lavora se è troppo dura si aggiunge l’acqua, se è troppo morbida si aggiunge la farina.

Sa credi farina ch’en c’è pió acqua?

Sa credi acqua ch’en c’è pió farina?

La pasta va smenata ovvero lavorata bene finchè diventa liscia e di morbidezza giusta. Poi sal rasagnol si fa la sfoglia se lascia imbruscì cioè si lascia asciugare quei dieci minuti per poterla piegare e tagliare senza attaccarsi.

Da come si taglia si fanno Tagliatelle, tagliolini, quadrettini o maltagliati ossia: Taiatelle, taiulin, cicerchin.

Va a chiappè na brocca d’acqua o un órc d’acqua mal poss.

Gim Urbin a veda el circol = Andiamo in Urbino a vedere il circo.

ET = avet = avete

INVIG = invec = invece.

In Svissera el mi marit fa el palista -Com el palista?

-Sé, invigio del badile dopra la pala ‘lettrica.

ÓMNE = òm = uomo

Un’omne è fatiga sta da per ló, en li fa, invig na donna campa.  

LISTESS = lu stess = lo stesso

BURNIGIA o CNIGIA è la cenere mista a tizzi ancora accesi.

C’è ancora la burnigia pò darsi ch’el foch archiappa.

Talvolta nella “burnigia” per far ardere il fuoco, si buttava un pizzichino di zolfo e faceva subito una fiammata. Roba da grandi, ai bambini era proibito.

Manca un fulminant per cenda el foch = Neanche un fiammifero per accendere il fuoco.

Givam a’rcoia = andavamo a raccogliere l’erba di campagna da cuocere,

la più comune che si conosceva era: l’artondarella, i dafne, i spargi, i grugn,le vitalb, i stridi, i scarpign, le patatelle, le galin grass, i caccialepre, i rapastell.

La crescia sa l’erba de campagna è la su’ mort cioé è buonissima.

La crescia mantiene la caratteristica di specialità locale, si presenta

simile alla piadina romagnola, ma è tutt’altra cosa.

Gli ingredienti sono: farina, uova, poco latte, strutto sale e pepe.

Città o campagna ancora la fanno buona dappertutto, vederla lavorare e cuocere,  è possibile in qualche locale con cucina all’aperto.

MAIESA = maggese = campo arato con coltivazione a riposo.

Falasch = erbaccia alta da tagliare. È gitt a taiè el falasch.

È gitt a fè el fien per dè ma le bestie. Le bestie sono i buoi.

Quando andavo in campagna, le raccomandazioni del nonno erano:

M’archmand camina sempre tla cunetta.

Da un cant dla strada e sempre da la tu mana = da una parte della strada

e sempre a destra.

Pischin = un pochino

Vien otra ch’te dagh un pischin de farina. Lascia stè chi pulcin sotta la crina. En gì a tocchè la macchina dla tritta. T’ho mess só la corda per fè la dingola. Va gió tel camp a magnè el pan sa le fav fresche.

Bastano poche parole o frammenti di frasi per farmi ricordare tempi di gran fiducia nella vita e giornate di tutto sole. El crin e la crina o crinella erano simili a grossi cesti, servivano per portare erba e fieno o per tanti altri usi.

Lampa a carburi = lampada a gas di acetilene, averla era quasi un lusso rispetto al lume a petrolio.

CIVIL = delicato, che vive in città non abituato alla campagna.

Era un burdell pcin, civil civil, avem pruvat a fall caminè scals, purtin pareva caminassa ti ova = era un bambino piccolo, delicato delicato, abbiamo provato a farlo camminare scalzo, sembrava camminasse sopra le uova. Ahio! sia che mal = ahio! zia che male. Sa fè cammini ti ova?

S’ARPÓN = SE NASCOND = si nasconde

Quant el sol s’arpon petta i mont del Carpegna. Petta = dietro

S’è arpost  petta la porta = S’è nascosto dietro la porta.

En fè tanti lunari = non prendere tante scuse per niente

I fich = i fichi. I fichi non maturano dopo la raccolta, non si devono scegliere nè passati nè acerbi. I filostre sono quelli di qualità migliore.

I fich per essa maturi hann d’avé la camiscia stracciata.

I fich manati sono i fichi troppo maturi, non buoni, acidi.

Me dà l’assica = mi stuzzica

El distrutt = lo strutto. La p’scicca del baghin sal distrutt era la vescica del maiale riempita di strutto. La grascia era: il grasso di scarto del maiale.

Dai la grascia ma chi scarpón dachsé en te passa l’acqua.

El stabbi = il letame. El stabbi era messo in una gran buca come una pozza, vicino c’era el capann: per necessità fisiologiche, tutt’intorno: i sambuccre.

Va gió arcoia un canestrin d’ua, scei quella te par ch l’arporti a casa.

Di uva c’era: el moscatell, l’ua da tavola, quella di can, la berzigana (faceva crescia le tett) el bianchell e altre qualità. L’uva bianca era bona anca da tacchè só. Si legavano due grappoli, si appendevano con un filo a cavallo di un palo messo in orizzontale e si manteneva bene fino a Natale.

Ruba ruba el moscatell ch’el padron en c’è unvel.

 

Tle cas de campagna chiamavne ma Checch per gì a sunè l’urganett.

Dai da beva ma Checch, ch’è fatiga a tirè ch’el diavle.

Lutta = continua. Lutta mostre era detto in serate d’allegria.

Han balat gió da rida = Hanno ballato molto.

Gió da rida = molto. Da rida in genere si usa come rafforzativo di molto.

Urganett = fisarmonica. Sómp = salt = salto.

El sfrussica = gli dà fastidio, lo infastidisce, riferito a una persona.

Sa sfrussichi sempre si dice quando si continua a toccare e dar fastidio a una piccola escoriazione o qualcosa di simile del  proprio corpo.

Sa sfrussichi, lascia gì ch’è mei = Cosa insisti, smetti che è meglio.

Oh dio corr corr ch’è tardi.

So d’Urbin e facc el brav, cach tle cals e pó le lav.

È vera che in Urbin le gallin c’hann le mutand senò i ova i se rugolen

per le disces? A Urbin en pió le disces o le salit?

Sa troppi gall a cantè en se fa mai giorne.

Agobass = piegarsi per raccogliere qualcosa per terra.

Svarión = errori nel parlare in italiano.

È tutt fufign, fann com i par.

Galinacc = tacchino. El brod del galinacc è bon cald e giacc.

È ‘na leggerina = è una stupidella, una superficiale.

Singhioss singhioss va via te stross.

En ariesc nient a lavrè sa sta lana.

En s’aresc a pulì ch’sa sporca subbit.

Spara tun tutt i passer in genere si riferisce a un qualche ente amministrativo in difficoltà finanziarie che cerca di recuperare soldi da ogni parte possibile.

Sa sta bruscia spara anca ti sisin.

Viddica = tipo di vimini diversi dai vinch che sbucciati e fatti seccare al sole diventavano bianchi, servivano per fare i canestri.

El camin sa la iola alta, la paletta, le muiett, el trepied, la ventarola, i ciocch, i bagulett, la catassa dla legna, sa cla legna verda fa un gran fum, le luij.

I’arluccica i occhj dalla cuntentessa.

Se vedeva chi niva da piagna, c’aveva du’ occhj lucidi.

Lascia gì = lascia andare. “Lassa gì” era una variante scherzosa.

Ch’l’erba moscia falla arnì tl’acqua fresca.

Cidiós deriva  da accidia. È cidiós da quant è antipatich.

 Na rabbia ch’ daria d’mors mal diavole.

Vaffan cul, en nè va mai una per el vers.

Era pulitta da rida, tneva la pulenta tel cass’tin di pettin.

Par scannen el baghin sa chi j urle. Sa urli m’è inciurlit.

Fa straveda da quant ne dic.

Sta sa i pied per terra oppure: scend dal fich.

Scancella tutt nicò = cancella tutto.

Cià ‘na sia = ha una susta = ha una gran sporcizia.

Cià ‘na sia che’n arvien cristian = È troppo sporco che non ritorna pulito.

Ha tirat gió quattre madonn = ha bestemmiato.

Se stima tutta = si guarda compiaciuta.

Vedi com se stima i par da essa bella! È tutta impeperitta da rida.

Na s’ciavattata tel mus.

Sa na botta tla spalla: -oh! Ció cum stè-

I piacer i fa el castrin.

El can sotta el birocc non è chiappabile.

Melott o pertichè = aratre cioè aratro.

Metull = palo del pagliaio.

De ogni paia fa un paiar o paiè = di ogni paglia ne fa un pagliaio cioè esagera tutto quello che racconta.

En c’è terra per fè palotta = non c’è nessun modo per concludere.

Cav e mett sempre quell = tolgo e indosso sempre quello è riferito all’abbigliamento è come dire: Sò sempre vestit dla stessa pessa.

Na volta qualcosina stava a sentì, mo adess en se governa pió dice il genitore quando non riesce più a farsi ubbidire dal figlio.

Vol fè sempre quell chi par ma ló.

Erne du bei dó = erano molti.

M’è fann tutt le legg = mi comandano tutti in pratica mi fanno fare quello che vogliono loro.

Du ce sta el tant ce sta anch’el poch

Toccava murì da un colp dalla fatiga.

Caschi a fagiol.

Me vergogn com un ladre.

Mo sta sitt, valà, è ló ch’ se dovria vergognè com un ladre, no te.

Se c’era un uccellino saltellante in terra e avresti voluto prenderlo i grandi dicevano: Per chiapal iè da tirè el sal tla coda.

Smastricci = tocchi troppo.

 

Brindisi a un allegro matrimonio di campagna:

Bon el vin, bona la ciccia

Evviva la sposa e chi la smastriccia.

 

 

 

 

MIETITURA e TREBBIATURA

Per alcuni lavori come il raccolto i contadini si aiutavano a vicenda.

Se cambiava la giornata è capit? Quei di puder vicin nivne all’opra da no’ e dop no’ givne da lor.

Per la mietitura del grano si partiva insieme e si procedeva sempre appaiati, con una mano si stringeva il grano, con l’altra si tagliava un po’ più in basso con la falce. Le spighe, legate con alcuni dei loro stessi steli, venivano depositate in terra a mazzolini detti i manell perché era la quantità che stava in una mano, poi erano raccolte a “bracciate” affastellate, legate insieme con la roccia e si facevano i cóvi, più covi formavano i covoni. La roccia era una specie di corda fatta con il grano intrecciato e/o rigirato.

En avria da essa na gran fatiga, mo sotta chel sol e agobbass sempre en è ch’dà tant gust.

Con le bestie “i buoi” il raccolto si portava nell’aia “ara” e si faceva “la barca”. Tutto il grano  ammucchiato ordinatamente si lasciava lì in attesa della trebbiatura. La macchina da batta cioè la trebbiatrice era ogni giorno in un podere diverso, con la squadra cioè degli uomini a seguito, ognuno dei quali  aveva un compito specifico. Si diceva: El pegg de tutti è quel sta tla pula. La minella era un recipiente per misurare la quantità del grano.

Alla trebbiatura assisteva il fattore, il grano era diviso a metà tra il padrone e il  contadino mezzadro. Quando qualcuno arrivava ai cento quintali si sparava un colpo di fucile in aria e si sentiva il fischio della trebbiatrice.

La giornata finiva sempre con una bella mangiata comunque andasse.

Tel cul tel cul sor padron ariesc la barca!

 

Non c’erano tanti detersivi: gli unici contenitori all’uopo erano tre barattoli bianchi in bella vista nella cucina con scritto: sale, soda, sapone.

Le buttiglie se lavavne sa la cocciola dl’ova e l’erba murella.

El ram = il rame con aceto e sale grosso diventava lucidissimo.

Slavacciata. Slavaccia dapertutt = bagna schizzando l’acqua dappertutto.

Si stava attenti a non sprechè tant’acqua. In campagna l’attingevano dal  pozzo, in Urbino l’acqua corrente spesso non arrivava nelle case così facevamo la fila per riempire i recipienti alle poche fontane pubbliche.

Da piedi lavagin l’acqua niva sempre, mo na fatiga a portalla só.

Da min chel Chiocch fina maché, “Da min o min da” era per dire da lassù o da laggiù, ma in modo specifico si usava per dire: da quel luogo chiamato…  perché era sempre seguito dal nome proprio della località, quasi a sottolineare un lungo tragitto di solito fatto a piedi.

Cla volta nivne min da la Pit Cagna fina Urbin, tutta a pied che significa:

quella volta venivano dalla Pieve di Cagna a Urbino facendo tutta la strada a piedi.

LA SARTA. Nei primi anni cinquanta prendevamo coscienza che, se una ragazza non poteva studiare, doveva saper fare un mestierin.

Il mestiere più consigliato dai nonni era gì a imparè da cuscia.

Non si comprava il vestito confezionato, ma si acquistava la stoffa per farselo fare dalla sarta. Tutte le donne facevano lavori di cucito e di rammendo: arconciaven ben na mucchia, certi arconc detti anche arconciatur erano veri ricami d’amore per la famiglia. Arconc = rammendo

“I lavortin” da sarta erano: el sottpunt, tirè só  l’orle, arfè le sacocc e anche gambiè el coll ma le camisc, daltronde fino dopo gli anni sessanta la scatola della camicia nuova da uomo conteneva colletto e polsini di ricambio.

Per fatt fè na bella gonlina è da gì dalla sarta brava: te chiappa le misur, tla taia, tl’imbastisc, tla fa misurè più volt.

Eravamo sempre perplessi, sulla qualità della stoffa, la scelta del colore e del modello, ma lei, la sarta, ci rassicurava  sul risultato finale: Vedrè ch’ vien ben, ancora è la prima misura, basta tirè só maché, tirè gió malé, du cugn, un puntarin, scorciè le mannich, l’allargam na mulicca tel pett, guarda la lunghessa se va ben? gira un po’ vedem s’è tonda?

Se, se, per sabbot tla fnisc.

Le rifiniture si facevano a mano, ma era indispensabile la macchina da cuscia per fè le righett. La Singer trionfava, le bambine chiedevano le pessulin di i artai cioè le pezzuole dei ritagli di stoffa, per giocare con le bambole alle signore.

Rimanendo in argomento, altre espressioni, in ordine sparso sono le seguenti:

Sposta la finta, guarda le finestrelle, el pancrud c’l’ho, i cuscinett ce voine, la canlina del fil me basta, manca la ftuccia da ripulì, du’ uncinell e basta. 

El verd sbatt, s’è sempre dett che sal verd ogni bella perd, el blu va sempre ben, el ross spicca tropp, sa chi fior grandi en me piac, el ner no! no è da lutt. Il nero non piaceva perché era il colore del lutto.

L’uomo se rimaneva vedovo poteva portare, per qualche tempo e per sua scelta, una striscia nera legata al braccio, ma tutte le donne vedove, almeno per un anno vestivano sempre e solo di nero dalla testa ai piedi.

Finta = Striscia di tessuto che nasconde l’abbotonatura delle giacche, la pattina è la parte dove si attaccano i bottoni.

Le finestrelle = le asole, i cugn = le pence.

L’infilsetta, el sopraman, el sottpunt, l’imbastitura  sono tipi di cuciture.

Qualche difettin se spiana sal ferr, se dic’ a posta chel ferr è ‘l rufian dla sarta. El bavre o  el baver = il bavero o colletto.

Guarda un pò se te va bén sta blusa? Tla pudria dè per metta chel giorne!

-Oh! Grassie, va benissim, sa cla gonna è l’ass de briscola, en pudev truvè mei.

È na stofaccia ch’en s’arcoi da nisciun vers.

Arconciata mal = rammendata male

N’arcunciata sa tutt i argnón è simile a: É cuscitta mal, tò cià tutt i cec.

Voleva dire che il cucito era fatto male, con dei rigonfiamenti per il filo troppo tirato o per altri motivi.

Piccichin = piccolo lavoro di cucito più impegnativo del previsto.

Armisùrla, che quant è taiata è taiata = Rimisurala, che quando è tagliata è tagliata. Cento misure un taglio solo.

Na gonna ch’va ben per gì a venda i ov in piassa = vestito brutto, adatto a una contadina che vende uova in piazza.

Di solito si cercava di rimediare in tutti i modi agli inconvenienti dell’usura dei capi di vestiario, ma certe volte non si poteva proprio:

È un capott tutt consumat carina, anca se vlessi cambiai le mannich o facc’

qualcos’atre en convien en ci’arcapessi nient, è tutt lis non sol ti gommit

mo dapertutt, fina ch’el po’ metta el metti dachsé, dop el butterè via.

L’arversina del lensol sa le fudarett erne ricamate de fin! Le nonne avevano lenzuola e federe ricamate a mano con grande raffinatezza. Col punto pieno si facevano le iniziali del proprio nome o le scritte tipo: Sonni lieti, Buon riposo e simili, ma la più emblematica del tempo che fu, cioè dei primi ‘900, rimane la seguente: “Non lo fo per piacer mio ma per far piacer Iddio”.

VARIE

O d’abet o de noc ognun cià la su’ croc.

Se tel digh vol dì ch’è vera, ma me en m’arvien nient.

Sa lia en ciò nient da spartì. Strascinata = poco di buono.

Stroventa = scaraventa.

Te spela viv a gì tun chel negosi, è vist che prezzi? È roba da matti.

Se cià la luna per travers è mei ch’i ste alla larga.

Ha chius baracca e burattin.

Guassa = brina.

Pdocchj arfatt, nì vagh a dì subbit quattre, en me tien pió manca le catén.

N’accident te spacca. Sé e un te sbrega.

En fa in temp a dè el rest = ha sempre molto da fare.

El cavaocchj è un insetto simile a grossa vespa.

Fratina = frangetta. Te par ‘na cosa blina la riga mal cul sa la fratina?

Tuffirón = grosso schiaffo. Sitt e mosca se’n le vo chiapalle.

M’ha smanat tutt i casett = mi ha messo in disordine tutti i cassetti.

Tutt un bullirón per sensa nient = Grandi chiacchiere e agitazione per nulla.

Sacch de loff, pansa d’lana, sacch de pula..

Gabbia de matt.

Calma e gesso ch’ gli avem guasi fatta.

Oh! Porca madosca. En vrè fè el gioch di bussolott.

È vergogna vituperia.

Iò dat un po’ de carne d’allodola = Gli ho fatto tanti bei compliment per farlo contento.

El butt alla grappa chi el chiappa el chiappa significa: lo butto in aria chi lo prende lo prende. Alla grappa = alla presa. Per esempio nei veglioni di carnevale  buttavano alla grappa le caramelle.

En riscot fiat = parla molto senza mai fermarsi.

Iè sempre datt ótr ótra = gli hai sempre dato in continuazione.

Tant cocca i tocca stacc’ ma chi i capita, ah! Per forsa.

Tocca chiappè quel manda Gesù Crist.

La società è bella dispari non più di due.

Gignala = simpatica. È propi gignala ch’ dà gust a stacc insiem.

In accezione negativa diventa: Ambè tant è gignala oppure: séé, è gignala da rida.

En i dè corda. Lasc’le perda.

Le scalanch sono i sobbalzi che si fanno quando si viaggia con un mezzo a ruote su strada con buche.

Na strada propi brutta, sent machè? È tutt scalanch.

Due donne non più giovani vissute nei dintorni, stavano parlando tra di loro, sedute vicino a me, più continuavano nella loro conversazione fatta di ricordi, più  destavano la mia meraviglia per la loro lucidità mentale nel raccontarsi. Con naturalezza e curiosità sono entrata nei loro discorsi di vite trascorse nel loro duro lavoro quotidiano e nella grande disuguaglianza sociale.  Tornando indietro nel tempo la gente comune faticava di più e aveva molto poco da mangiare: en c’era propi nient del tutt erano abituati ad avere soggezione e reverenza nei confronti dei ricchi, che da parte loro si facevano servire in cambio di qualche promessa o per pochi spiccioli.

No’ facevne la bucata ma i signor d’Urbin- el lundé gimi a chiappè i pagn,

el martedé se faceva la bucata, se giva per chi foss ar sciacquè, se facevne sciuttè, se piegavne, el venerdì s’arpurtavne.

La sera per arpusass gimne in cinqu o séi a chiappè l’orc dl’acqua ovvero: La sera, per riposarci, andavamo in cinque o sei per farci compagnia a prendere l’orcio di acqua.

Così ho saputo che nel campo di lino “de Che Grillón” c’era sempre uno spaventapasseri molto originale, poi ho imparato i nomi dei poderi vicini a dove abitavano loro da giovani. Dopo il cimitero più sopra  c’era:

El Palass, Cancellier, Montarin, Chel Casin, Che Corona.

De sotta sopra la galleria vicin alle Cónc: Scarpuccia, Che Pucc, Che Gulin. Caroni era tla strada maestra sotta el pont dla ferrovia. El Tassón, El Curcell tla strada rossa. Da statra part dop el tira segn, c’era: la casa de Puntlin, Vasari, Ca Palotta, Balducc, Munchett e così via.

Che soddisfazione aver scorazzato in tempi andati!

Sono salita nella giostra della memoria ho fatto un viaggio tra parole e profumi di una realtà ormai diventata sogno. Sono tornata senza rimpianti né malinconia tenendo stretti insegnamenti positivi per andare avanti.

 

Se indvini sa ciò tel canestre tne dò un grappol? L’anguria.

Sta sitt, en fiatè per nient senò ardagh da matt.

 

A proposito dell’ironia e della voglia di scherzare degli urbinati, questo è accaduto ultimamente: un gruppo di turisti chiede a dei cittadini fermi davanti S. Francesco la strada per il monumento di Raffaello, si fa avanti uno e con prontezza risponde: andate giù lì per lavagine e quando siete in fondo risalite a sinistra su fino in cima alla montata.

Grandi sorrisi e via tutti arzilli dietro la bandierina alta della guida.

Mo cum’è che iè mandati malagió invec da fai gì só dritt per el mont?

Oh! Lor c’hann tant temp da gì in gir, io en so pudut a gì mai da nisciuna part, lasci caminè!

 

Una sera in piazza, guardandosi attorno, il grande poeta scrittore Paolo Volponi disse: “Guarda quant’è armast tutt bell! La fortuna d’Urbin è stata la miseria”.

Adess è sempre tutt bell ugual, la miseria en è pió quella d’una volta, e dato che -Urbin è sempre Urbin e i vlem ben, m’archmand tutti insiem:

“TNEMLE DA CONT!”

Già TENIAMOLO DA CONTO in altre parole cerchiamo di proteggerlo e conservarlo il meglio possibile in ogni senso e in tutti i modi con grande rispetto. È prioritario fare un’attenta manutenzione della città ed è giusto rinnovare nella logica dei cambiamenti dovuti al progresso, ma per favore

facciamo le cose senza stravolgere tradizioni e abitudini.

 

El tropp stroppia, adess basta daver!

 lunedì 6 ottobre 2003                              

 

·       Carla Galli

·       Via Sotto le Stallacce, 12

·       61029 Urbino Tel. 0722 350080

 

·       Via A. Del Sarto,29

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