Conviene precisare subito che ogni dialetto ha un proprio sistema fonologico che differisce, di poco o di molto, da quello dell'italiano. Proprio per questo ognuno di noi, dovendo scrivere in dialetto, si rende conto che le regole ortografiche dell'italiano mal si prestano alla rappresentazione dei suoni del nostro dialetto e il più spesso, in mancanza di una competenza specifica, si fa ricorso a criteri di trascrizione soggettivi, improvvisati, impressionistici e spesso inesatti e incoerenti. Fermo restando che i sistemi specialistici di trascrizione fonetica, riservati agli esperti e normalmente poco comprensibili ai profani, non rispondono alle esigenze del lettore comune, è opportuno sottolineare invece la necessità che ogni “comunità dialettale” elabori un proprio sistema al fine di rendere i testi dialettali accessibili alla maggior parte dei lettori, siano essi “locali” o “forestieri”.
I principi generali che ispirano le presenti proposte sono i seguenti:
quando il dialetto è molto vicino all'italiano conviene adottare i criteri dell'ortografia ufficiale italiana;
quando il dialetto si discosta decisamente dall'italiano è utile e necessario evidenziare il più possibile le caratteristiche fonetiche e strutturali che il dialetto assume per farne cogliere l'esatta fisionomia ed individualità;
i criteri di trascrizione, tuttavia, se da un lato devono essere semplificati per rendere l'interpretazione e la lettura dei testi il più possibile agevoli ai non specialisti, dall'altro devono però salvaguardare una rigorosa riproduzione dei suoni caratterizzanti del dialetto.
Per evitare l'uso di segni grafici non presenti nella normale pratica ortografica e ortofonica della lingua scritta conviene adottare la lettera “j” per evidenziare il suono della / j / semiconsonantica (i schiacciata contro il palato) frequente nell'urbinate in fine di parola: occhj, vecchj, sprocchj, b'docchj;
La distinzione tra accento acuto (´) e accento grave (`) deve essere adottata solo relativamente alle vocali e ed o per sottolineare l'opposizione tra / é / chiusa ed / è / aperta e / ó / chiusa ed / ò / aperta, opposizione che è molto spesso discriminante nell'urbinate, ed anche per evitare equivoci con gli omografi: l'è méss / le mèss; só = su / so = io so / so' = io sono, pó = poi / pò = può / po' = poco. Per le altre vocali l'accento acuto o grave non ha valore fonetico e indica solo la sillaba sulla quale cade l'accento.
La distinzione tra il valore dolce (palatale) e duro (velare) delle lettere finali “c” e “g” può ispirarsi ai seguenti criteri di trascrizione:
-c /-cc e –g /-gg (valore dolce) come in: pac (= pace), facc (= faccio), preg (= pregio), legg (= legge);
-ch /-cch e –gh /-ggh (valore duro) come in: lumach, pacch, pregh, leggh.
Il valore dolce di queste lettere in corpo di parola può invece essere indicato da un apostrofo: c'vetta, arcminc'ne, g'lat, G'vann.
Anche l'apostrofo può essere usato con valore discriminante e per agevolare la scansione e l'interpretazione corretta dell'espressione: 'ste = queste / stè = stare; sa 'l = con il sale; sal = sale; ma 'l = al; mal = male; t' el o te 'l, t' la, t' le, t' i = nel, nella, nelle, nei; t' un = in un, t' na = in una; senza apostrofo come tun casa, perché tun in questo caso non contiene due elementi, ma sta per la preposizione semplice in.
Gli infiniti dei verbi di prima e terza coniugazione sono sempre tronchi nel dialetto urbinate (parlè, fè,'nì, f'nì, ecc., mentre nella seconda abbiamo tiéna, lèggia, èssa), ma invece di usare l'apostrofo come segno di troncamento, come sarebbe giusto fare, si suggerisce di usare gli accenti grave e acuto per poter distinguere gli infiniti che terminano in –è (aperta), e che sono la maggior parte, da quelli che terminano in –é (chiusa): avé, poté, v'lé, dové, sapé. A proposito di infiniti vale la pena notare anche che fra i parlanti della vecchia generazione persiste ancora l'infinito in –à per la prima coniugazione: cantà, andà, magnà che è ormai arcaico.
Il dialetto urbinate, come molti altri dialetti e lingue, contiene un numero notevole di omografi e omonimi (omonimìa), cioè parole uguali o quasi uguali nell'ortografia e/o nella pronuncia. Per facilitare la loro trascrizione in modo da risolvere le possibili ambiguità diamo qui di seguito degli schemi comparativi che propongono soluzioni discriminatorie. L'accento circonflesso (^) può essere usato per indicare la contrazione di un dittongo, di altri gruppi di suoni o una vocale lunga:
i = articolo determinativo maschile plurale
i' = io
j = gli (a lui, a lei), a loro [“j'ho détt” - Tale j è semiconsonantica.
Vedi sopra anche il caso di: occhj, vecchj, ecc.]
do = io do
do' = dove
dó = due [ci sono anche le varianti du = due: “du sold”e du' = dove: “du' vê ?]
so = io so
so' = io sono
só = su
pò = può, puoi,
po' = poco
pó = poi;
di = di preposizione
di' = dimmi
dì = dire
dij = digli, dille, di loro
d'i o dî = degli, dei
ce = ci
c'è = c'è
c'he oppure c'ê = c'hai
no = no
nó o no' = noi, ma è meglio caratterizzare il suono di o chiusa, quindi nó
stè = stare
'ste = queste
lo = articolo
ló = lui
vò o vô = tu vuoi
voj = voglio
vó = voi
tò = tieni, togli
tó = tu (variante rustica per te)
en = non
èn = sono
si' = zio
si o sî = tu sei (variante rustica)
se = se condizionale
se' = tu sei
sé = si affermativo
sè= se stesso
sê = tu sai
chi = chi relativo e interrogativo
chî = quei
ch'i o ch'j = che gli (“Quel ch'j ho dett”)
mi' = mio-a-ei-e
m'i = me li (m'i han dati lor)
fè = fare
fê = tu fai
set(t) = settembre
sét = siete, la sete, le sete (è un'omofonia che non si discrimina)
'sa o c'sa = cosa
sa = con, egli sa
'nicò o 'nico' = ognicosa
sém = seme
sêm = siamo
èssa = essere
vôta o vota = vuota
vóta = egli vota
més = mese
méss = messo
mèss = le messe
prés = preso
pres(s) = presso, prezzo
spés = le spese, ho speso
spès(s) = spesso
vé = vedi
ve = vi
pél = pelo
pèl = il palo (nelle parlate limitrofe)
p'el = per il
t'i = te li, nei o negli (t'i ho fatti i') (t'i armadi)
pés = peso
pes(s) = un pezzo
vól = volo
vol oppure vôl = vuole.
Per quanto riguarda le consonanti doppie si tenga presente che qualcuno le rappresenta con una doppia e altri con una semplice, sia in posizione finale che in corpo di parola. Tale esitazione nella trascrizione delle doppie si spiega col fatto che nel nostro dialetto in realtà esse valgono una consonante e mezza e la loro durata può variare a seconda che la vocale che le precede sia breve o lunga, molto spesso come in italiano:
le nòt (o lunga) / le nòtt (o breve), la péc / le pècc (plurale di peccia).
Per i dialetti limitrofi dell'area urbinate si possono presentare problemi particolari che affronteremo successivamente.
El seller e el presémol
Dove ci porta il dialetto
Prima di avventurarci nel groviglio del sottobosco linguistico precisiamo alcune cose. Le lingue, come l'ambiente arboreo, e la similitudine è pertinente, si alimentano del loro humus (risorse e forme autoctone) o crescono e proliferano con l'apporto di nuove specie portate dal vento, dall'acqua o dalla mano dell'uomo (prestiti, calchi, ecc.). Il dialetto è generalmente una componente base di questo humus ma, indipendentemente da come noi lo consideriamo e dalla posizione che esso occupa in una data lingua e cultura, ha un indiscutibile valore documentario, sia linguistico che etnografico, antropologico, economico, politico, sociale, culturale e può costituire per lo studioso di una comunità linguistica un prezioso serbatoio di reperti altamente rivelatori. Una parola nasce in un luogo e in un ambito linguistico e culturale, ma può diffondersi in altri ambiti della stessa lingua o infiltrarsi in altre lingue; può assumere forme e significati diversi e generare altre parole o intere famiglie di parole. E' questo il caso dei termini dialettali che ci proponiamo di illustrare.
Il termine seller viene da molto lontano ed è andato molto lontano. La sua base etimologica è il greco antico sélinon. Indica una pianta già nota nel V secolo a.C., scientificamente chiamata Apium graveolens della famiglia delle Ombrellifere, usata dai greci e dai romani per insaporire le vivande e dai cinesi come erba medica, ma che è stata coltivata come ortaggio soltanto a partire dal Medioevo. L'antica forma greca è stata adattata nei vari dialetti italiani, ad eccezione del bresciano seleno, nella forma sellaro, mentre la forma italianizzata sedano, arbitraria e decisamente più tarda, è emersa quando la forma dialettale italiana si era già propagata a varie altre lingue col diffondersi in ambito europeo di consuetudini alimentari tipicamente italiane. In francese abbiamo céleri, in inglese celery (il primo riferimento all'uso del sellery è del 1664), in tedesco Sellerie, in russo sel'derej, mentre in spagnolo, ove apio riprende il termine colto latino Apium, non c'è traccia della forma dialettale italiana. Il termine seller ha avuto una certa fortuna anche in ambito onomastico e toponomastico con i cognomi Sellero, Selleroni, Selleroli e i nomi di luogo Sellero e Monte Sellero (Valcamonica) che probabilmente hanno come base la forma lombarda sèler, mentre i cognomi Sedano e Sedani derivano dalla forma italiana.
Un discorso a parte va fatto per seller selvattich e sellerón, pianta fortemente urticante che la credenza popolare riassocia al seller, ma che in realtà, pur essendo della famiglia delle Ombrellifere, è la malfamata Pastinaca urens che può provocare al semplice contatto allergie anche molto fastidiose.
Se seller è di antica formazione dialettale, il termine presémol è arrivato invece piuttosto tardi nel nostro dialetto, rimanendo in concorrenza con il più umile erbetta senza tuttavia riuscire a scalzarlo via dall'uso domestico. Nell'uso “regionale” erbetta è un termine generico per le tante erbe aromatiche, mentre nell'urbinate indica in maniera specifica il prezzemolo. Per tornare a presémol c'è da rilevare con sorpresa che, nonostante le apparenze, è linguisticamente un parente stretto di seller, perché, attraverso il tardo latino “petrosilium”, dal latino classico “petroselinum”, deriva dal greco “petrosélinon”, cioè il sedano che cresce tra le pietre, e quindi ha in comune con seller l'antenato greco “sélinon”. Il prezzemolo, scientificamente Petroselinum sativum, è una pianta aromatica originaria del Mediterraneo orientale che dall'epoca romana viene coltivata intensamente in tutta Europa. Oltre ai pregi aromatici ha importanti pregi nutritivi in quanto contiene la quantità quotidiana necessaria di vitamina A e C. Questa popolarità della pianta spiega ovviamente l'ampia diffusione del nome greco nelle lingue europee: inglese parsley, francese persil, spagnolo perejil, tedesco Petersilie, russo petrushka, ma spiega anche il notevole successo nell'immaginario collettivo che ne ha sfruttato soprattutto le idee di “cosa o persona di poco conto”, perché molto comune, e “cosa o persona molto invasiva”, perché infestante. Se ne ha un considerevole riflesso in certi detti dell'uso italiano: “la scusa del petrosello” per indicare una motivazione di scarsa credibilità, “l'occasione del petrosello” per un pretesto insignificante, ma opportunistico, “come il prezzemolo” per essere sempre dappertutto. A tal proposito nell'uso dialettale, e non solo urbinate, si preferisce dire “essa dapertutt com el pundòr”, perché la solanacea importata dall'America nel XVI secolo ha evidentemente preceduto l'introduzione nel dialetto del termine prezzemolo. Ma non c'è spazio qui per seguire tutte le connotazioni alle quali può portare la carica immaginifica di prezzemolo. Vale la pena tuttavia ricordare che petrushka, il termine russo per prezzemolo, è anche il nome della variante russa di Pulcinella che Stravinski nel 1911 ha celebrato elevando il burattino al rango di “eterno e infelice eroe di tutte le fiere e di tutti i paesi” (Abbiati). E qui il prezzemolo è stato nobilitato alquanto !
Non manca ora che spiegare l'enorme successo di presémol nell'onomastica italiana ove, utilizzando beffardamente gli attributi di “insignificante”, “noioso”, “invadente” e “impiccione” si è giunti agli esiti cognominali (in realtà soprannomi divenuti cognomi): Petrosillo, Petrosemolo, Petrosino (il poliziotto americano, celebrato da un monumento nella nativa Tropea, famoso per la lotta condotta a Chicago contro la “Mano nera”), Petruzzelli (il teatro di Bari dolosamente incendiato di recente), Persolini, Prezzolini (il critico e scrittore dei primi del Novecento fondatore della Voce) e c'è anche chi ha tentato di tirarci dentro Elvis Prestley ipotizzando, con poco fondamento, una derivazione metatetica dall'inglese parsley (che invece più probabilmente è da priest + ley = il boschetto del prete). E in fine non si può tacere il nome del famoso detersivo Persil (dal francese antico peresil, francese moderno persil per prezzemolo) nel cui marchio di fabbrica lanciato nel 1968 Monsieur Ronchetti, che per primo ebbe l'idea nel 1907 di aggiungere un po' di varechina al sapone, pensò bene di inserire un rametto di prezzemolo. Non c'è che dire: presémol è dappertutto come il prezzemolo !
L'EPITETO NELL'USO DIALETTALE URBINATE
E' opinione comune che la creatività linguistica sia una prerogativa della grande letteratura (Gadda, Joyce, ecc.), ma ad un attento osservatore dell'uso linguistico risulta evidente che la creatività e la genialità inventiva allignano ovunque, anche negli ambiti più reconditi e modesti dell'uso comune come quello dialettale, gergale e di tutte le parlate marginali.
Perseguendo questa prospettiva ci soffermeremo quindi in un terreno ove la grande letteratura e l'umile uso popolare si toccano, tenendo conto in ogni modo che nel versante elevato ed aulico abbiamo a che fare con “invenzioni d'autore”, mentre nel versante dialettale e gergale abbiamo a che fare con “invenzioni anonime”, certamente prodotte in origine da un individuo, ma condizionate e avvalorate dalla comunità dei parlanti i quali se ne appropriano e ne assumono la paternità.
La formula o matrice d'invenzione che in questo terreno salta più facilmente agli occhi è quella degli “epiteti”, che vengono prodotti in abbondanza a tutti i livelli linguistici e culturali della prassi espressiva e comunicativa.
Va inoltre considerato il fatto che gli epiteti costituiscono uno dei tanti canali attraverso i quali i dialetti e l'uso popolare in genere influenzano ed alimentano la lingua nazionale.
Per i sostenitori del dialetto è incoraggiante constatare che nel nostro paese ci sia stato di recente un proliferare di dizionari dialettali, di raccolte di detti, proverbi e soprannomi tanto che c'è da augurarsi che gli interventi legislativi che le regioni italiane si accingono a varare a tutela dei dialetti e delle tradizioni popolari, diano un'ulteriore spinta, ma anche una maggior disciplina a queste forme di censimento e recupero. Per ciò che riguarda gli epiteti, facciamo notare che nessuna raccolta è mai stata effettuata finora.
Diciamo subito che l'epiteto, per la sua forte carica comunicativa, ha avuto un enorme successo per lo meno in tutte le letterature occidentali e che fino alla “rivoluzione romantica”, che ha abbattuto molte convenzioni letterarie / retoriche, l'epiteto era considerato l'asse portante della poesia epica, lirica e drammatica, se non addirittura il marchio di garanzia della poeticità. La qualità poetica di un testo o di un autore veniva giudicata sulla base della qualità degli epiteti usati. Gli antichi modelli greco-latini: “il pié-veloce Achille”, il “ biondo-crinito Apollo”, l'occhipallido sacerdote (sul quale recentemente si è ricalcato “l'occhiglauco Redford”) costituivano per il poeta forme esemplari da imitare, onde misurare le sue capacità creative. Per contro, anche ai livelli culturalmente meno elevati, l'epiteto ha costituito un banco di prova e una sfida per la fantasia popolare che si è sbizzarrita in modi impensati e sorprendenti producendo una notevole quantità e varietà di forme.
Per arrivare al nocciolo della questione facciamo osservare che l'epiteto nel dialetto urbinate ha al suo attivo un numero considevole di forme che, come abbiamo già detto, a differenza dei soprannomi, nessuno ha mai pensato di recuperare e documentare.
L'epiteto collima col soprannome sotto vari aspetti, ma funzionalmente non è la stessa cosa. Serve a descrivere e a caratterizzare le persone (ma talvolta anche le cose e gli animali), a darne un giudizio mettendone in evidenza le qualità, la natura ed i comportamenti, ed è di uso occasionale, a differenza del soprannome che invece viene utilizzato per identificare le persone in modo informale e confidenziale e che ad esse rimane attaccato stabilmente nell'uso popolare locale. Quando l'epiteto si stabilizza su una persona, allora diventa soprannome.
L'epiteto nell'urbinate è generalmente denigratorio o affettivo, ma sempre colorito, pittoresco e divertente. Ci sembra inoltre di poter dire che l'epiteto semplice è quasi sempre affidato ad una forte carica figurativa ed agli effetti onomatopeici, mentre l'epiteto composto, con la sua struttura più complessa, è normalmente caratterizzato da una forte carica descrittiva, però ispirata al dileggio, al ridicolo, alla caricatura, alla malignità, al sarcasmo, al piacere di demolire gli altri evidenziandone i difetti. Talvolta tuttavia l'epiteto diventa anche benevolo, scherzoso ed affettivo, come quando viene usato nei confronti dei bambini, con i quali si è di solito più disposti all'indulgenza.
Proponiamo qui di seguito una descrizione ed una classificazione provvisoria
degli epiteti più o meno “nostrani” nella speranza che i lettori più interessati e volenterosi vogliano migliorarla ed integrarla:
Epiteti composti
(Costituiscono la categoria più interessante sotto ogni profilo. Sono per la maggior parte costruiti sul nesso verbo + oggetto che ci dà lo schema formativo più antico e più produttivo dell'intera area romanza. Alcuni invece sono forme reduplicate tipiche del gusto popolare o nomi modificati da aggettivo):
soffiacenner, ciacabdocchj, schiantacor, pietradag, coc'melov, masticabrod, leccacul, raffacan, beccaficch, sbroialett, straccadonn, spaccaciocch, scalsacan, beccamort, pappamolla, quatrocchj, mezzacartuccia, mezzasega, mezzaluna, rasoterra, succaplata, cascamort (anche in ital.), capramatta, cerquamatta, gattamorta (anche in ital.), fatutt/a, culrott, ciacamalta, magnagnocch, magnasonn, magnauffa, magnaostie, magnamerda, barbacan, scrullapulc, taccabutón (anche in ital.), calsapalla, cacabass, cacadoss, cacasotta, cacasella, f…rotta, taccalit, rompicoión, rompipalle, rompiscattol (anche in ital.), facoión, sgolfanat, pussacul, pisciampolla, scannagrill, ciucabirr, ciambottle, barbagiann (da barba = zio + Gianni), dormi-dormi, indurmentat, babiocch, lingualunga, bislocchj, fracanappa;
epiteti semplici e derivati
(Dal punto di vista formativo utilizzano molto il prefisso intensivo e durativo o sottrattivo s- ed i suffissi –on, in, -itt e –at ed in molti casi sfruttano i valori metaforici e traslati delle parole):
fagott, imburnitt, imbarbugitt (cf. ital. barbogio e imbarbogire), rinciculitt, rab(s)citt, patacca, strons (di uso molto comune in tutt'Italia, specialmente nel romanesco e nel siciliano, ma è di origine longobarda), lulón (< ital. lolla = simbolo di fiacchezza fisica e morale), bucalón (cf. ital. boccalone), sandrón, cagnara, baccalà, strolligh (l'adattamento di “astrologo”), stangón, cristalón, bagaión (cf. il romanesco “bacaiar” e la forma italiana “baccagliare” presa dall'uso dialettale e che deriva dal latino “bacchalia / bacchanalia” come “baccano”), busón (probabilmente importato), susón (cf. ital. < sozzone), ciución, scurgión, pussón, psciacón, psación (< bisaccia + -one), paciocón (anche in ital.), trampulón, vampolón, papulón, pedivella, 'na legera, bulgre, minchión (anche in ital.), sverchj, sfrombolón, sciaganìtt (dall'ebraico ?), mucicón, ghiotolón, testón (anche in italiano), scalcagnat (anche in italiano), incantat, boccaperta, scodronat, scoionat, adanat, sgolfanat, scuradlat, agunìa, sgamblat, sculaciat, scacarlat, scucialat (< scocciolato), sganganat, scalcinat (anche in italiano), trivialón, sbiancuscìtt, gusùtt, tontolón, saculón (< zeccolone), savardón, insustitt, cudicón, ciución, ciuciar/a, mucicón, sbrodolón, bavón, surchión, fregnón (cf. ital. frignone), cojón (con connotazioni più benevole rispetto all'italiano), capisción, ging'lón, arplitt (< ripulito ?), sciagura, sbasofión (cf. ital. bazzoffia), mamón (anche in italiano), trufulón, bragalón (cf. ital. bracalone), sciap, tignìn/tignón/tignós (anche in ital., ma con senso diverso), ribiscìn (forse dal cognome Rebiscini di qualcuno noto fra gli urbinati per il suo fisico minuto), pituchìn, pappolón / papulón, scapción, guaitón (= gattamorta ?), gimblandàn(a) / giamblàn(a) (probabilmente incrociato con “ciambellano), mosción, patacona, pecorón (anche in ital.), pastrochión, sciamanón (voce tratta dal romanesco che deriva dall'aramaico “siman” = vestito trasandato), surgnón, baiuchìn, mlichìn, ciaffón, rabcìtt, cacón, cagnara, cagnarol, gnocch, gnuculón, sfrombolón, musón (anche in ital.), pinsón, culatón (forse di importazione), capisción, pisción, cacón, scurgión, recchión (dai dialetti meridionali), indvinón, minchión (anche in ital.), fintón, grandón, catorc, vampolón, locch (da allocco), sciaparlón, sbicichitt, s-ciufarìtt / s-ciufarlón, stufarìc, sdilinguìtt (anche in italiano, è basato sul latino “delinquere” nel senso di abbandonarsi), sgamblat, slalat, smanat, scanuchiat, musón (anche in ital.), gnentìn, balùgh (cp. l'italiano “baluginare” che probabilmente viene dall'incrocio tra i termini latini “balux” e “caligo”, ma si veda anche la voce dialettale “balogio” ed il cognome Balugani), mafiós (di uno ben vestito e che si pavoneggia), spirlimpina, sbirra, svansica (dal tedesco “zwanzig” = 20), rebecca (di donna pettegola e impertinente, dallo strumento musicale “ribecca” usato per l'accompagnamento; si veda il cognome Rebecchini), mamalucch, befana, ridulini, bulgre, …[patacca, cacarella,…]
epiteti fraseologici
(gli schemi più frequenti sono [N+prep.+N] e [N+aggett.] ove l'aggettivo ha valore rafforzativo e aggiunge una forte carica immaginativa):
mort de sonn, mort de fam, succaplata, mezzaluna, lingualunga, culrott, rottincul (?), un bel impiastre, pansa d' lana, dormi-dormi, fiol de 'sta putana, nér zinz, brutt spers, trist impestat, grass infilsàt, matt schiant, ricch sfond (anche in ital.), innamorat cott, salat arabitt, incantat nett, ubriach cott, secch frull, secch brustulitt o imbruscitt, ficch da la goccia, el gall d'la checca, el lament d' Caldari, el fior del bel cantè;
espressioni costruite su una comparazione: brutt com la fam o la mort (anche in ital.), brutt com 'na scrofa, bel com un fior cacarell, bel com el cul d'la padella, sciap com la broda di gnocch, stuppid com la merda (di carabinier), alt o secch com un metùl, sord com un banch o com un ciocch, svelt con la polvra, lent com la macina d' sotta (nato evidentemente fra i mugnai), nér com un buccre, dur com un sass, rimmid com un stoc(a)fiss, pcìn com un sisìn, ross con un gamber (anche in ital.), ….
epiteti costruiti su metafore animali e vegetali
rosp, ciambottle, ciucabìrr, sc'licchia, c'vetta (anche in italiano), vipera, serpent, barbagiann, baccalà, rengarbitta (< aringa salata “arabitta”, di persona particolarmente acida e litigiosa), catramunacchia (= scalognatore), lucarìn, pacaloss, babùss o babusìn, sisìn, capra matta, gattamorta, rapa (anche in ital.), tufirón (cf. Le tartufe di Molière, ma il senso è diverso), scarciòffol / scarcioffle, f'nocchj (anche in ital.), nér com un buccre, el gall d'la checca, ficch da la goccia, el fior del bel cantè;
epiteti applicati alle cose, ai concetti astratti, alle piante e agli animali:
grattacul (le bacche della rosa canina, cf. il valdostano “grattecul” di evidente origine francese), giradìt (voce popolare molto diffusa per “patereccio”), strossapret (gnocchi di farina da fare asciutti, è d'uso regionale), scanabaghìn (di un grosso coltello), massagatt (membrum virile cospicuo), scansapél, cavacacca, stoppacacca, batocch, raica, cidrón, ciambruscle, inguilla, pistasal, tega, manganell, cavìa, seppa, stanga, fava (forse ripreso dall'uso toscano), pistolón, pistulìn, pipìn, pippo, ciurle, uccell (d'uso generale in Italia), (il Belli, nel sonetto Er padre de li santi, n.° 130, Sonetti, Mondadori, Grandi Classici, 1990, pp. 154-55, ha usato 50 termini dialettali per “fallo”), pamp(a)lón (= acero, perchè pianta con le foglie grandi che assomigliano ai pampini della vite), el fior del bel cantè (= grande abbondanza), sciacquadent (pugno ben assestato), sessol/sessle (= piedi o scarpe molto grossi), gambritt
(= capitombolo), cerquaritta (= idem), saltafoss (di un tipo di pantaloni), pistacopp (i piccioni), cinciabudej, le battchiapp (parte posteriore di giacca con i tagli laterali), 'na zulina (di pallina o altra cosa ben fatta), citruìn (= “macinino”, detto di automobile malandata, dalla marca francese Citroën), catorc (= idem, ma riferito anche a persona di salute precaria), scariòl (idem: quasi certamente da “cariola”, normalmente riferito a una macchina mal messa, col prefisso s- espressivo. Cf. il cognome Scariolo e la voce ital. scariola = varietà di indivia che non è connessa con scariol), birucìn (idem), rataplàm (di automobile dalla forma strana, da “Trata Plan”, termine lanciato dall'industria automobilistica cecoslovacca prima della guerra, ma vedi anche “rataplan”, voce di origine francese, di tutt'altro significato);
espressioni pittoresche di valore avverbiale
a spindulón (cf. “spendolone” usato da John Florio, lessicografo italo-inglese del cinquecento), a gegia, a rabastón, a cuvìn, a gatón, alla pecurina, alla jeanvaljean, alla gimblandana, a ging'lón, a stroppacerquella, a testa spuntón, a bughetta, a rutulón, a petta, a gamba soppa, a pansa sopra / sotta, a c… ritt, a c… de can, a stronch, alla ventitrè, alla mascagna, alla raffaello, de sbrisc, a pifetta, de sguaraguaj, d'arburitta, a uffa,….
epiteti che possono essere usati come insulti
(Non per nulla si dice “lanciar contro ogni sorta di epiteti”. La loro carica offensiva può essere molto diversa e variare a secondo della situazione e delle intenzioni e possono addirittura diventare dei disfemismi: si tenga presente che in americano “son of a bitch” = figlio di puttana, ha assunto un tono affettivo): strons, magnagnocch, cojón, fagott, befana, babiocch, fiol de 'sta putana, imbarbugitt, mamalucch, pèss de merda, testa d'c…, faccia de c…;
epiteti usati per i bambini: papachiott, piscialett, cacalett, p'cinaia, p'sciachìn (da “piscia chino”), pistolla / pistulìn, mucicón, tignós, pastrocchj, cacanidol, c'licchia;
epiteti che nell'urbinate sono divenuti veri soprannomi: Pisciampolla, Sbroialett, Spaccaciocch, Bugatón, Bafutt, Ciucabìrr, Ciuffle, Pussacula, Cudicón, Pituchìn, Confusión, Dormi-Dormi, Pansadlana, Trinca, Trampulón, Mezaluna, Cacasella (di ciclista urbinate che per non perdere la corsa se l'è fatta sulla sella).
Concludiamo con due riflessioni: 1) dire in maniera perentoria che un epiteto è “urbinate” è alquanto discutibile, perché molto spesso è difficile tracciare i confini tra gli usi dialettali, quelli “regionali” e la lingua ufficiale e poi perché le idee, le immagini, il pensiero facilmente travalicano i confini linguistici;
2) gli epiteti sono una grossa fonte di creatività che trova il suo alimento in un terreno comune, “l'immaginario collettivo” e sono pertanto di rilevante interesse culturale, linguistico, sociologico, etnografico ed antropologico. Per tutte queste ragioni abbiamo il dovere di recuperarli, documentarli e studiarli in modo da acquisire una maggior consapevolezza del nostro patrimonio linguistico-culturale e quindi farli conoscere come segni della nostra identità (….comunque ci vedano gli altri:
“So' d'Urbin e facc el brave, cach t' le cals e pó m' l' arlav”).
Le opinioni sopra espresse sono del tutto personali e possono essere confutate e criticate da chiunque voglia concorrere ad animare questa rubrica dialettale che il nostro sito si è proposto di tenere e sviluppare. (R.Bacchielli)
ELENCO INTEGRATIVO DI VOCI
Varie delle voci qui sotto elencate, anche se di alto valore descrittivo, raramente sono usate come epiteti. Le voci contrassegnate da (?) sono da verificare.
abbiocat adanat agonia angiulìn minòss arapat (?) arbaltat (= sottosopra) armulìtt (?) arplìtt artirat babiocch babuss badurlón (badurlìn) bagajón baghìn bagiott bajuchìn balugh / balusch bandés barbacan basettón bastian contrari batenda (= pettegolo ?) bavós/a becaficch befana bicichìn bietolón biscaglina (arcaico, cf. Nardini = donzella) bislocchj blaga bocalón / bucalón bocaperta boccia boconott/bucunott braccicorti bragalón/a bramucc’ bravón birichìn brigulat (?) brimbolón/ìn brodós/a brossolós brutòri bucalón buciulat budlona bugatt/a buggerón bulgre burdlacc’ burìn (anche in ital.) burnigia busgnacca busón buss (?) buzzurr (d’importazione) c’licchia c’rott/cerott cacanidol cacarella cacarlón cacasotta cacón/a cagnara/cagnarol capisción capra matta catorc’ catramunacchia cavalón/a cerott checca ciacabdocchj ciacabreccia ciacamalta ciacasass ciafón cidiós ciroff (= troll ?) ciucabirr ciución/a coc’melov (anche cognome) coccobello cristalón cuchìn/a cularón/a danat (= fanatico) debolessa disprat d’mestich dolc’ dormión fagott fanfarra / fanfarón farabulàn (ital. farabolone < favola+parabola) fatigón fatutt/fatutón/a fifón fintón (= ipocrita) fracanappa fregnón (cf. ital.) fregulìn frusichìn galastrón gesvìtt ghiotolón gignal / gignalón gimblandón/gimblandana/gimblana ging’lón/a gnagnarina / gnagnera gnentìn gnuclìn grandigia (?) grandón gravidìcch (?) gricitt guaitón (= gattamorta) gusutt imbambolat imbarbugìtt imbicichìtt imbranat imbregnulìtt imbriach imbrimbulìtt imbruscìtt imburnìtt impalusìtt (?) impapinat imparcìtt impastrochiat impeperìtt impepitt/a impestat
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impiastre impipat impipitt/a inaquaìtt incantat incasserecc’ inciurlìtt incricat (?) incrudulìtt incucutìtt indulìtt infrajulìtt infurtìtt ingalusìtt inganscìtt ingarzulìtt ingavinat inghiandinìtt ingranciulìtt ingulfat insustìtt / susón / ciución / cudicón intaconat introsciat intruggin (= persona invadente e antipatica) invurnìtt / imburnìtt lecacul lechìn (‘na) legera locch lucarìn lulón/a mafiós magagnat magnaccia (anche in ital.) magnaficch manat (dei fichi) mantrucchj (pescarese per “mezzo uomo e mezza donna) masticabrod masucón matarlón metùl mezzaluna mezzasega micragnós mign mign mignatta minchia/ón mlichìn mosción mucicón mugnón musón nocchiós (anche in ital.) nutulón pacaloss paciocón padlar pallós palutìn (de casa) paonass papachiott pappagall pappamolla (anche in ital. ?) papulón paracul passarìn/a pastrocchj (de casa) pastrochión / pastruchión patacca/patachìn patacóna patìtt pedìo (forma rustica) piagnón piasarol piattola (anche in ital.) piccicós pietradag’ pilandrón (cf. it. reg. pelandrone) pinsón pintanana (d’importazione) pintichiat pipacul (?) pisciacan piscialètt pisciarlón pisción/a pistolla pistulìn/a pitocón ( “ “ ) ploja presciós proìbbit psación (< bisaccione) psign (?) pulastrìn purtìn pusón rabcìtt / rabscìtt rafacàn rebecca ribiscìn rinciculìtt rincojonìtt rompiballe rompicoón ruginìtt/a rugulett (che fa il ruffiano) sacrament / cristalón saculón sagtón sandrón saputt/a savardón / sciavardón sbafichión (?) sbasofión/sbasufión sbatrac(co)lón sbatutt sbiancuscìtt sbicichìtt / imbicichìtt sbirr/a sboccolat sborón/a sbrodolón sbrossolós sbrulìtt sbudlat sbughinat sbutirat (scherzoso ?) scacacìn scacarlat scafarott (delle scarpe)
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scalamarat scalcagnat sbrulìtt sbudlat sbughinat sbutirat (scherzoso ?) scacacìn scacarlat scafarott (delle scarpe) scalamarat scalcagnat scalcinat scamorza (anche in ital.) scannabaghìn (di coltello) scanochiat scansapel (eufemistico e scherzoso per ucell)) scanuchiat scanuscìtt (dial. metaurense, cf. Conti) scapción (dai gett) scarabernell (?) scarabuchión scariol/ón/a scarpant (fanese ?) scartaflón scaviat (delle sedie) schiabutìtt (?) schiantacor (anche in ital.) schifìtt sciacquadent (scherzoso per ceffone) sciaganìtt scialat sciamanón sciap / lón / sciaplott / sciaparlott / sciaparlìn / sciasciarlón (a)sciatat (dall’ebraico sahat) sciattón/a s-cincicat s-ciufarìtt scodronat scojonat (cf. dizionario di Oli) scordarecc’ sculaciat scumbinat scuncinat scuradlat scurgión sdrenat sdrugulón/a seppia sfatìtt sfatutón/sfatutt/a sfiatuscìtt sfrombolón (s)frusichìn sfugìtt (di vestito) sfuriat sgamblat sganganat (variante di sgangherat) sgolfanat sgóna sgrinfia sguinciat (?) singre slalat sminchionat socolóna soffiacenner sonorista spalancón/a spampanat spaparansat spapparat / spapparacchiat sparagnìn sparcitt sparpaión/a spiantat spicicat spirlimpina spisciarlat sprecat/a squacquarón squarquajat squissa (di bambina “impunita”) stangón storión stracanat (= stanco morto)
straccadonn stralinguìtt stranìtt stranscìtt strascinata (= donnaccia) strìgiol / strigiulìn strolligh strons strusìn stufarell stufarìcc’ stupacìtt subulìtt (?) sucaplata surchión surgnón susón (anche in ital.) svansica (dal tedesco zwanzig = venti) sverchj svirgulat tacabutón tacalìtt taptìn testón/a tettóna tignós/a tirat (= avaro) tontolón trafichìn trapulón troccolón (?) troll trufulón tufirón tugnìn (= tedesco) vaffancul valaclavenga vampolón zulina (di pallina)
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