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PRESIDENTI DELL' ACCADEMIA RAFFAELLO DI URBINO - dal 1861 al 2006
di Luciano Ceccarelli (Relazione integrale)
La fondazione dell’Accademia Raffaello, avvenuta nell’estate del 1869, è stata per la Comunità urbinate l’atto conclusivo di quella magnifica epoca italiana non solo di grandi fermenti politici, bensì anche culturali, la quale, malgrado le molte ristrettezze d’ogni genere, in cui magramente sopravviveva la nostra società prevalentemente dedita alle attività piccolo-borghesi e contadine, aveva coinvolto il popolo tutto a intraprendere unito la grandiosa impresa di costituire uno Stato nel nome soprattutto di un retaggio culturale comune, che, nella seconda metà dell’Ottocento, era chiaramente contrassegnato da un patrimonio artistico e letterario di enorme valore, un vero tesoro senza pari al mondo; un’eredità culturale e spirituale, che, al di là e al di sopra di ogni considerazione sociale, costituiva la vera base fondante di quello Stato sovrano e unitario, che si era stati capaci di erigere ex novo e coincidente col concetto di Nazione italiana.
Fu certamente la venerazione al genio immortale di Raffaello che nel 1833 indusse i Virtuosi al Pantheon, probabilmente fondati in Congregazione d’Artisti dallo stesso Raffaello, e gli Accademici di San Luca, anch’essi organizzati in sodalizio dai fratelli Zuccari di origine vadese e quindi pur essi sudditi del Ducato di Urbino, a progettare la ricognizione dei resti mortali del Divino Pittore, che si sapeva aver eletto con disposizione testamentaria a sua estrema ultima dimora terrena il muro perimetrale interno del Pantheon, posto sotto lo sguardo del simulacro della Vergine, cui era stato cristianamente intitolato quel bel tempio pagano, dedicato a tutti gli dèi falsi e bugiardi.
Dunque, l’Accademia Raffaello ha preso avvio dai due momenti culturali e politici appena descritti, cioè dal mito magnificamente redivivo dell’inimitabile genio di Raffaello e dalla felice conclusione del processo politico-culturale del Risorgimento italiano, che condusse all’edificazione del nuovo Stato nazionale velocemente radicatosi nel cuore di tutti gli Italiani.
Il conte Pompeo Gherardi, all’epoca segretario e insegnante di Storia dell’Arte nell’appena fondato Istituto di Belle Arti delle Marche, più tardi conosciuto come “Scuola del Libro”, era profondamente convinto che, sebbene il mito di Raffaello fosse diffuso in tutto il mondo, esso tuttavia doveva trarre continuo alimento dall’onore che gli doveva essere costantemente tributato nella sua patria, ossia in Italia e soprattutto in Urbino.
Proprio tali considerazioni appassionarono molto l’animo generoso del conte Pompeo Gherardi, ma soprattutto fu la sentita e profonda necessità di onorare degnamente Raffaello che nel giugno 1869 lo sospinse con appena 12 altri amici urbinati (fra i quali l’insigne scienziato Alessandro Serpieri) a fondare l’Accademia Raffaello, un’istituzione culturale che con uno spirito del tutto nuovo s’inserisse con idealità affatto moderne nel solco progressivo e incalzante dell’arte espressa nella seconda metà dell’Ottocento, ma che tuttavia non ripudiava il solco tracciato lungo i secoli da altre Accademie urbinati via via scomparse per l’usura del tempo, come l’antica Accademia degli Assorditi, che si vuole fondata prima del 1450 e che nel 1476 si sa presieduta da Federico Galli, Segretario del Duca Federico. Fra sospensioni e riorganizzazioni essa proseguì la sua attività fino al 1831 in varie sedi, dal Palazzo Ducale alla Biblioteca del Convento di San Francesco alla sala del Parnaso in Palazzo Veterani.
Silenziosamente scomparse le antiche, il 10 aprile 1862 fu istituita in Urbino una nuova Accademia di Scienze Lettere ed Arti, patrocinata dal famoso medico e scienziato urbinate Francesco Puccinotti (Urbino 1784 - Firenze 1872), che per le sue benemerenze era stato nominato Senatore del Regno; essa non ebbe vita lunga nonostante una rendita annua assegnatale dal Municipio e le tornate accademiche fossero ospitate nella sede dell’Università. Proprio la recentissima fondazione di quest’ultima istituzione culturale, favorita da un Senatore del Regno, ostacolò non poco la costituzione dell’Accademia Raffaello in quello stesso torno di tempo, ma non disanimò il conte Pompeo Gherardi, che nel giugno 1869 annunciò la fondazione dell’Accademia “artistica” Raffaello non senza un’allusione polemica che si avverte nella premessa allo Statuto del giugno 1869, dove scriveva che “Molte Accademie, anche troppe, sono in Italia che si intitolano di Scienze, di Lettere e d’Arti, ma che d’arte non trattano mai”.
Finalità principale della nuova istituzione culturale, qualificata come “palladio urbinate delle arti”, consisteva soprattutto nel “cooperare allo sviluppo progressivo delle Belle Arti” sotto l’egida del nome universalmente venerato di Raffaello, al quale fu intitolato anche il bollettino dell’Accademia, che si proponeva di provvedere ad erigergli un monumento degno del suo genio.
In tal modo ebbe origine l’Accademia Raffaello, creata per onorare le Belle Arti dal suo fondatore e primo Presidente, il conte Pompeo Gherardi, che non a caso la poneva accanto all’altra ancor giovane istituzione culturale fondata espressamente in Urbino dal Regio Commissario Straordinario per le Marche Lorenzo Valerio con decreto n. 740 del 6 gennaio 1861 col quale aveva costituito l’Istituto di Belle Arti delle Marche, più tardi denominato “Scuola del Libro”, considerando che “fra tutte le città della regione non potrebbe non darsi la preferenza alla patria di Raffaello e Bramante, antica sede di una corte gentile, che amò sinceramente il bello”. Analogamente il conte Gherardi scriveva nella premessa al primo Statuto: “Io mi persuasi nessun luogo essere più di Urbino opportuno per la fondazione di un tale sodalizio accademico sia perché questa fu la patria fortunatissima di Raffaello e Bramante, sia perché già sede di una corte gentile, ammiratrice del bello e delle sue manifestazioni; sia perché dotata di un Istituto di Belle Arti e di molti lodatissimi stabilimenti d’istruzione”.
E quasi a voler meglio innestare tra loro le comuni radici, il conte Gherardi nella sua duplice qualità di segretario e di insegnante nell’ancor giovane Istituto di Belle Arti delle Marche ospitò la prima tornata accademica del 15 settembre 1869 nella sala delle adunanze dell’Istituto di Belle Arti, che all’epoca aveva trovato sistemazione nell’ex monastero delle monache di San Benedetto, ossia in quella che è l’odierna sede della facoltà di Economia dell’Università, in cima la salita di San Polo, più ufficialmente detta via Saffi.
Proprio nel suo duplice ufficio di segretario e di insegnante di Storia dell’Arte nell’Istituto di Belle Arti, il conte Pompeo Gherardi poté svolgere un ruolo fondamentale nell’attuare il decreto istitutivo del Regio Commissario Lorenzo Valerio, che aveva previsto un museo annesso “a maggior lustro ed incremento dell’Istituto”, nel quale fossero conservati “i monumenti e gli oggetti d’arte appartenenti alle case religiose ed alle collegiate soppresse”.
Così il Gherardi poté costituire nella sede dell’Istituto di Belle Arti il primo nucleo di opere, che più tardi - nel 1883 - troveranno finalmente sistemazione nel Palazzo Ducale, dando origine alla Galleria Nazionale delle Marche. Nel frattempo il Gherardi prematuramente scompariva nel 1877, non prima però d’aver trovato una degna sede alla sua Accademia Raffaello, per la quale aveva appuntato i suoi occhi nel più importante e grandioso palazzo di Urbino, il Palazzo Ducale, ben presto decaduto dopo la devoluzione del Ducato alla Santa Sede nel 1631.
La richiesta del conte Gherardi fu accolta: all’Accademia veniva assegnata la Sala delle Udienze con la cappellina di Guidubaldo II e lo Studiolo del Duca; come deposito avrebbe potuto utilizzare le due stanze più piccole in fondo all’appartamento della Duchessa. L’ospitalità nel Palazzo degli antichi Duchi nel 1870 permise all’Accademia di celebrare con solennità il 350° anniversario della morte di Raffaello, accogliendo quasi religiosamente il calco del teschio, inviato espressamente dai Virtuosi al Pantheon e traslato dal Virtuoso marchese Tullio Dandolo, che lo depose con religioso rispetto sul piccolo altare della Cappellina di Guidubaldo II.
Tuttavia, nel 1873 il Gherardi aveva fatto in tempo a veder realizzato un altro suo sogno, che andava covando addirittura ancor prima della fondazione dell’Accademia: l’acquisto della casa natale di Raffaello, di cui era andato fantasticando fin dal 30 maggio 1869 sul giornale che aveva fondato e dirigeva, “Il Raffaello”, ma che non era ancora il bollettino ufficiale dell’Accademia, peraltro non al momento istituita.
I suoi scritti ponevano in evidenza il pericolo che poteva derivare a Urbino, all’Italia e al mondo intero se la casa fosse stata venduta “a gente, forse speculatrice, che avrebbe potuto ammodernare l’edificio e mandare all’estero il prezioso dipinto” della Madonna col Bambino.
L’appello del Gherardi non rimase inascoltato, tanto che appena un mese dopo la comparsa dello scritto sul “Raffaello” n. 15 del novembre 1870, lo stesso Ministro della Pubblica Istruzione concorse all’acquisto della casa, destinando alla pubblica sottoscrizione la somma di Lire 1.000.
Nel 1872 furono esposti in Palazzo Ducale i doni ricevuti per realizzare fondi finalizzati all’acquisto, che si poté realizzare il 6 aprile 1873 per il munifico intervento di un mecenate inglese ammiratore entusiasta di Raffaello, John Morris Moore, che destinò la bella somma mancante di 5.000 lire per concludere a favore dell’Accademia l’acquisto della casa del Divino Pittore, non peritandosi affatto delle malevole critiche pervenutegli da alcuni suoi compatrioti, che gli rimproveravano quella inusitata generosità verso una piccola città italiana, allorché avrebbe potuto con minor spesa acquistare per gl’Inglesi la casa di Shakespeare.
Ma davvero Morris Moore dette prova della veridicità del detto che “dove c’è gusto, non c’è perdenza” se poi continuò a tornare in Urbino ogni anno fino al termine della sua vita per poter dormire una notte nella stanza da letto, che la tradizione indica come luogo della nascita di Raffaello.
Tuttavia, nonostante l’annuale ospitalità riservata a Morris Moore, che non mancava ogni volta di portare con sé magnifiche riproduzioni delle opere di Raffaello, sia a stampa, sia in fotografia, di cui peraltro non era per nulla entusiasta, la disponibilità della casa natale di Raffaello assunse una rilevanza del tutto particolare per l’Accademia, che la elesse subito come sua sede, iniziando ad allestirvi sia il cosiddetto “Museo raffaellesco nazionale”, sia a sistemarvi la “Biblioteca raffaellesca”, una creatura particolarmente cara all’Accademico Giovanni Vico, un amante dell’arte amico di Morris Moore e funzionario di alto rango del Ministero dell’Interno, il quale si dava cura di raccogliere e inviare all’Accademia Raffaello una grande quantità di libri antichi e moderni, italiani e stranieri, i quali per l’intero o per incidenza dessero notizia della vita e delle opere di Raffaello, con l’intento di realizzare una scelta biblioteca, la quale contenesse tutto ciò che si è detto sul sommo pittore. In seguito la raccolta bibliografica si arricchì gradualmente di altre ricche donazioni, ampliando l’idea di una biblioteca soltanto squisitamente raffaellesca; ad esempio la Real Casa inviò in dono l’opera monumentale “Le case e i monumenti di Pompei” oggi valutata come preziosa rarità bibliografica.
All’infaticabile conte Gherardi restava ancora la realizzazione del sogno monumentale: appunto l’erezione del monumento al suo “Angel d’Urbino”. L’epoca miseranda non era certo delle più propizie per spese abbastanza superflue come quella di erigere delle statue celebrative, tuttavia egli non si perdette d’animo e prese a diramare inviti in Italia e all’estero per la necessaria raccolta di fondi, lanciando in tal modo una sottoscrizione mondiale, a cui doveva partecipare, sosteneva lui, ogni nazione perché Raffaello è gloria del mondo e quindi il mondo intero doveva concorrere ad innalzargli un monumento in Urbino sua piccola patria. Il bel sogno fu infranto da una polmonite fulminante, che rapì ai vivi quell’intrepido personaggio il 4 luglio 1877 nella giovanile maturità di appena 45 anni.
Scomparso improvvisamente il conte Pompeo Gherardi, dopo la rinuncia per ragioni religiose dello scienziato scolopio Alessandro Serpieri, rettore esimio del Collegio Raffaello, fu eletto Presidente dell’Accademia il Professor Giuseppe Fiocchi Nicolai, docente di Diritto Amministrativo alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università e, dopo la morte del Gherardi, insegnante di Storia dell’Arte nell’Istituto di Belle Arti delle Marche, del quale fu eletto anche Presidente nell’anno scolastico 1887/88. Autorevole capo del movimento monarchico liberale, il Professor Fiocchi Nicolai fu un uomo assai impegnato nella politica attiva del suo tempo, tanto che fu eletto dapprima Consigliere comunale e poi Sindaco di Urbino, impegnandosi sempre con efficacia a difendere gli interessi della sua città. Profondamente sensibile alle istanze di giustizia sociale, il Prof. Fiocchi Nicolai destinò all’asilo infantile per i figli del popolo la sua villa suburbana, proprio al Popolo intitolata, che ancora oggi svolge il suo compito istituzionale.
Durante le celebrazioni centenarie del 1883 e i festeggiamenti del 1897 per l’inaugurazione del monumento, andò sempre più evidenziandosi la profonda crisi finanziaria in cui versava l’Accademia priva com’era di redditi propri e abbandonata alla munificenza della Real Casa sovente più prodiga di onorificenze che di denari, alla instabile liberalità della politica e alla più sicura ma non risolutiva generosità dei Soci e di non molti cultori d’arte italiani e stranieri. Almeno per arginare in qualche modo le spese vive e ricorrenti si decise d’interrompere non senza rammarico la pubblicazione degli “Atti” e de “Il Raffaello”, cercando di porre rimedio alle sofferenze finanziarie con l’approvazione di un nuovo Statuto il 19 dicembre 1897, il quale nella premessa all’articolo 1 dava comunicazione dei riconoscimenti nazionali e internazionali di cui l’Accademia poteva fregiarsi, come il titolo di Regia concessole con Sovrano Brevetto il 23 gennaio 1872 e la sua erezione a Corpo Morale conferitole con Regio Decreto del 16 febbraio 1873, n. 1257, che confermava l’Accademia Raffaello nel suo scopo di “cooperare al progresso delle Belle Arti” e di “promuovere e favorire ricerche e studi di Storia Patria locale”. Inoltre, il nuovo Statuto all’articolo 8 si occupava del contributo finanziario dovuto annualmente dai Soci poiché l’Accademia “non ha rendite proprie, ma soltanto spese”. Per tale ragione, lo Statuto del 1897, pur restando sostanzialmente fedele a quello primigenio della fondazione, organizzava una diversa gestione dell’Accademia, non più esclusivamente incentrata sulla sola figura del Presidente, bensì coadiuvata dalla specifica nomina tra i Soci residenti di un economo-conservatore e di un bibliotecario. Infine, nel nuovo Statuto del 1897 fu stabilita l’annuale Tornata Accademica Solenne per celebrare Raffaello il 28 marzo nella ricorrenza del suo giorno natalizio. La presidenza Fiocchi Nicolai cessò nel 1913 con la sua scomparsa.
Dopo varie designazioni e altrettante rinunce, si dovette attendere fino al 7 febbraio 1915 per l’elezione di un Presidente durevole nella persona di Luigi Renzetti, che proseguì anche il parallelo rapporto con l’Istituto di Belle Arti delle Marche, del quale più tardi divenne Presidente, carica di cui si avvalse per trasformarlo nel celebrato Istituto di Belle Arti per la Decorazione e l’Illustrazione del Libro, unico in Italia, perfezionato col riconoscimento del titolo di “Regio Istituto” e la pubblicazione dello Statuto con R. D. del 9 dicembre 1928.
Cura precipua del Presidente Renzetti fu di dotare nuovamente l’Accademia di un bollettino, estendendo a questo scopo l’attività della rivista “Urbinum” che egli redigeva dal 25 gennaio 1914 con lo scopo di riferire “il movimento esistente negli istituti culturali della città”, avvalendosi della collaborazione del conte Luigi Nardini, bibliotecario dell’Università, e del famoso storico dell’arte Lionello Venturi. In tal modo la rivista “Urbinum” sostituì “Il Raffaello” nella trasmissione commentata dei principali eventi culturali che contrassegnavano tutta la vita intellettuale della città e del suo territorio con speciale riguardo alle celebrazioni raffaellesche, che diventavano sempre più solenni con l’approssimarsi del 1920, anno del IV centenario della morte di Raffaello. I preparativi per quell’attesissimo evento erano già iniziati nei due anni precedenti, patrocinati e indetti dal Comune, nel quale il Renzetti ricopriva la carica di Sindaco, un rango che gli consentì di porsi in proficua relazione e collaborazione con i Sindaci di Roma, Firenze e Perugia, ove analoghe celebrazioni centenarie raffaellesche erano state pure indette.
Altro evento memorabile della presidenza Renzetti fu la celebrazione raffaellesca del 6 aprile 1927, che coincise con l’arrivo a Urbino da Firenze del Ritratto di Gentildonna, noto anche con la denominazione di Muta, inviato “per volere del Duce” alla città che dette i natali a Raffaello. Il dipinto fu accolto con enorme entusiasmo non solo dalle grida di giubilo del popolo, bensì fu anche ricevuto con tutti gli onori da membri del governo, da deputati, dalle autorità civili, militari, religiose e da noti cultori dell’arte. Esso venne collocato, com’ebbe a dire il Renzetti, nel “superbo palazzo che accolse lo splendore del più vivo e del più puro Rinascimento”.
Il rinnovato Consiglio Direttivo dette nuovo impulso alla programmazione delle attività accademiche non solo col proposito di mantenere vitali e sempre attuali gli studi sulle opere di Raffaello, ma anche di onorare altri grandi Urbinati, che si distinsero sia nei campi dell’arte, sia in ambiti letterari e scientifici. A tale scopo l’Accademia potenziò la sua pregiata biblioteca, arricchendo con rari volumi il “corpus raphaëlicum” col proposito di costituire per gli studiosi il più importante centro bibliografico raffaellesco in Italia e all’estero. Inoltre, alla tradizionale giornata celebrativa del 28 marzo venne aggiunta la cosiddetta “Settimana del Sanzio” da tenersi in novembre alla riapertura dell’anno accademico, durante la quale si organizzavano in Urbino dei convegni per cultori d’arte e critici insigni, che dessero lettura di studi, memorie e proposte per sempre più lumeggiare e onorare il sommo Artista urbinate.
Animati da tali propositi, gli Accademici fecero richiesta al Ministero per ottenere l’istituzione di un Centro di Studi ove svolgere dei corsi di lezioni e dei cicli di conferenze con il parallelo allestimento di mostre ed esposizioni d’arte, di cui ancor oggi si ricordano quelle del libro urbinate e della ceramica antica e moderna. L’attivazione dei corsi con l’allestimento di mostre non fu estranea alla formazione del gruppo “Amici dell’Accademia”, che nel 1932 comprendeva più di 200 iscritti.
Gli eventi bellici dei primi anni quaranta del trascorso Novecento causarono la cessazione della pubblicazione della rivista “Urbinum”, che fungeva da bollettino ufficiale dell’Accademia, però il Presidente Renzetti ottenne che le statue bronzee del monumento a Raffaello non fossero requisite per scopi militari. Fu questa l’ultima attività compiuta dal Presidente Luigi Renzetti, il quale il 18 ottobre 1945 si dimise per insorgente grave malattia, che lo condusse a morte il 16 novembre di quello stesso anno.
Il Vice-presidente, l’impareggiabile Soprintendente Pasquale Rotondi, nel comunicare al Ministero la scomparsa del Presidente Renzetti, poneva anche il quesito se, per procedere all’elezione del nuovo Presidente, gli Accademici dovessero attenersi allo Statuto del 1936, pervaso di sapore autoritario, che prevedeva un Presidente direttamente designato dal Ministero, o se invece i Soci potessero procedere all’elezione nella chiara luce della loro tradizione democratica secondo il disposto del vecchio Statuto del 1897. Dal Ministero pervenne l’inequivocabile risposta di doversi attenere alle disposizioni contenute nel Decreto Legge Luogotenenziale promulgato il 9 novembre 1944, n. 381, che aveva abrogato le norme antidemocratiche emanate in materia di nomine dei Presidenti e Vice-presidenti di Accademie ed Istituti Culturali contenute nel R. D. L. del 26 settembre 1935, n. 1803, cui s’ispirava appunto lo Statuto del 1936. In tal modo, il 3 marzo 1946 gli Accademici riuniti in assemblea elessero Presidente dell’Accademia Raffaello il conte Vincenzo Maria Petrangolini e Vice-presidente il già celebre artista Francesco Carnevali.
Il Presidente Petrangolini predispose ben presto un ambizioso programma di lavoro, suddiviso in 3 campi distinti: 1) la cultura rinascimentale, cui prepose il Prof. Pasquale Rotondi, Soprintendente ai Beni Storici e Artistici delle Marche; 2) la storia patria con speciale riguardo a quella di Urbino e del suo antico ducato, che affidò al Prof. Virgilio Gentilini; 3) gli eventi artistici, rimessi alla competenza professionale e alla sensibilità artistica del Prof. Francesco Carnevali.
Il Presidente Petrangolini costituì anche un Ufficio Tecnico Amministrativo del quale incaricò l’Avv. Antonio Santini con vari scopi, dall’aggiornamento dello Statuto secondo i recenti criteri della riconquistata democrazia, all’ordinamento della Segreteria e dell’Archivio, soprattutto per provvedere con efficacia all’espletamento delle pratiche necessarie per ottenere la restituzione del Ritratto di Gentildonna di Raffaello, riparato a Firenze durante la guerra e da dove fece finalmente ritorno nel 1947.
Sotto la Presidenza del conte Petrangolini notevole impulso ebbe il programma diretto dal Prof. Carnevali, riguardante l’attivazione di un Centro di Attività Artistiche, che coinvolgeva ad ampio raggio tutti i problemi di Urbino nella loro complessità con la segnalazione delle parti della vecchia città che non solo non sarebbero dovute essere mai toccate, ma anzi riportate all’antico loro aspetto da sapienti interventi di restauro o di manutenzione. Nella tornata accademica del 2 febbraio 1947 lo stesso Prof. Carnevali espresse concrete proposte sull’avvenire turistico di Urbino, città monumentale quasi senza paragoni e città ideale di studi. In quella memorabile occasione, egli propose l’integrazione della Commissione Artistica da lui presieduta con giovani docenti dell’Istituto d’Arte, aggiunti alla Commissione come elementi tecnici per la risoluzione del problema prospettato dal miglioramento e soprattutto dall’accrescimento edilizio della città: un’espansione che si doveva risolvere con criteri moderni, ma sempre costantemente intonati al carattere monumentale della città.
Secondo quelle severe convinzioni, nel 1947 fu votato a maggioranza dagli Accademici il trasferimento dalla piazza Duca Federico al piazzale alberato sul Pian del Monte del monumento a Raffaello, tenendo conto delle ragioni espresse dal Soprintendente Rotondi e sostenute dal Prof. Carnevali con parole diventate famose: “Dove è stato posto fino ad oggi il monumento, nuoce all’armonia della piazza, interrompendo l’euritmia dell’architettura del Palazzo, e nuoce a se stesso moltissimo nell’immediato raffronto. È monumento di quelli celebrativi del periodo umbertino, pensati tutti per essere posti tra alberi e fiori, con sfondo di cielo aperto; e questo in ispecie per la varietà della sua colorazione: bianco e verde bronzo, verde chiaro, grigio, oro; per la linea spezzata e complicata, vero specchio del gusto di un determinato momento della vita italiana. La sistemazione più logica appare quella del Monte: luogo aperto, uno dei culmini urbinati, balcone che si apre sopra un panorama meraviglioso, che la città farà bene a curare e a sfruttare come un’attrattiva turistica”.
Pure alla presidenza Petrangolini si deve ascrivere il rinnovamento in senso democratico dello Statuto rimasto in vigore fino al 2 ottobre 2006, votato dall’Assemblea dei Soci il 2 febbraio 1947 e successivamente approvato con Decreto del Presidente della Repubblica del 20 luglio 1948, illustrato agli Accademici dall’Avv. Antonio Santini, che tra l’altro evidenziò come l’Accademia non intendesse più affermarsi unicamente nel campo artistico-culturale, bensì fosse sua intenzione intervenire anche per conservare o promuovere tutto ciò che valorizzava il nome e la dignità di Urbino, “divenendo l’organo propulsore di tutte le migliori iniziative atte allo scopo”.
Altro merito del conte Petrangolini fu la fondazione delle edizioni dell’Accademia, che fino allora nei suoi apporti culturali si era avvalsa e accontentata soltanto di lezioni orali e di conferenze. “Verba volant, scripta manent”, diceva spesso al Prof. Gino Franceschini, indimenticabile docente di Storia all’Università e Accademico-presidente della sezione rinascimentale. Proprio il Prof. Franceschini inaugurò la serie delle edizioni dell’Accademia, pubblicando una rara raccolta di documenti archivistici attinenti alla storia dei Montefeltro e di Urbino. Analogamente lo stesso invito di pubblicare le loro ricerche e i loro studi il Presidente Petrangolini rivolse ai Professori Emanuelli, Valli e Brancati, che dirigevano rispettivamente le sezioni di Storia Patria, di Letteratura e di Archeologia.
Il conte Petrangolini fu rieletto Presidente per la quinta volta il 7 aprile 1961; il 7 maggio poté partecipare ancora a una tornata accademica, nella quale annunciò e predispose l’adesione dell’Accademia alle solenni celebrazioni previste nel prossimo autunno per i concomitanti centenari dell’Unità d’Italia e della Fondazione dell’Istituto di Belle Arti delle Marche. Non poté parteciparvi perché il 25 ottobre 1961 scomparve improvvisamente a causa di un tragico incidente stradale.
Le sorti dell’Accademia furono rette dal Vice-presidente Avv. Antonio Santini fino al 1° febbraio 1962, allorché venne eletto Presidente il Prof. Carlo Bo, che rivestiva la carica di Magnifico Rettore dell’Università di Urbino e con l’Ateneo urbinate l’Accademia fu chiamata a condividere numerose iniziative come nell’occasione del conferimento della laurea ad honorem ad Enrico Mattei, al quale l’Accademia inviò il proprio diploma d’onore destinato a personalità che avessero rivolto o rivolgessero particolari interessi alla soluzione dei problemi della città.
La presidenza Bo conferì maggiore slancio ai rapporti e alle comuni iniziative con l’Università, nella quale insegnavano non pochi Accademici, come i Professori Claudio Varese, Giorgio Cerboni Baiardi e Walter Fontana i quali promossero in Accademia l’istituzione di un premio da assegnare a giovani universitari che avessero presentato una tesi di laurea su temi di letteratura e storia urbinate.
Nel frattempo andava consolidandosi anche l’attività del gruppo giovanile nei locali dell’antica bottega di Giovanni Santi, dove gli Accademici artisti Renato Bruscaglia, Carlo Ceci e Piero Sanchini dirigevano con grande successo l’allestimento di pregevoli mostre d’arte.
Nel 1964 si deve segnalare un evento degno di nota: le celebrazioni marzoline per il 481° anniversario della nascita di Raffaello furono inaugurate con un discorso pronunciato dal pittore di chiara fama internazionale Renato Guttuso, del quale il Presidente Bo sottolineò l’elevata statura di artista contemporaneo.
La presidenza Bo cessò il 19 gennaio 1970 con la presentazione delle sue dimissioni dalla carica, causate da sempre più gravosi impegni istituzionali.
Gli succedette il Prof. Francesco Carnevali da lungo tempo sensibile animatore della Commissione artistica, da sempre consapevole, come spesso aveva ripetuto, che l’Accademia aveva un volto ben definito, che le derivava da quello stesso della città che l’aveva originata e che l’ospitava: “Urbino e l’Accademia – sosteneva il Prof. Carnevali – sono qualcosa d’indissolubile, questa compenetrata dall’atmosfera dell’altra, l’una e l’altra pervase da quel non so che di miracoloso che fa di Urbino la città particolare su cui il tempo passa con leggerissime ali, recando alle coscienze sol quel che di universale c’è nell’umano... Così è che le istanze poste con estrema urgenza, con forma rude e imperfetta, dall’arte e dalla cultura moderna... trovano... ospitalità presso l’Accademia..., sfrondate di quanto oggi può giudicarsi essere stato inutile e dannosa scoria bruciata dal tempo”.
Proprio in quell’anno 1970, nel quale ricorreva il 450° anniversario della morte di Raffaello, si segnalano due eventi importanti. In occasione della ricorrenza raffaellesca pervenne da Roma il suggerimento di collocare una lampada votiva, costantemente alimentata dall’olio prodotto dagli ulivi dei colli urbinati, sul sepolcro di Raffaello al Pantheon. L’Accademia, accogliendo subito il consiglio romano, commissionò la creazione della lampada votiva al celebre scultore marchigiano Pericle Fazzini, il quale immaginò due colombe in volo armonicamente composte, che sarebbero rimaste mirabilmente librate in volo sull’alto dell’archivolto.
Assai solenne fu la tornata accademica del 7 luglio 1971, che celebrava la consegna della lampada portata in Urbino da un Accademico illustre come il Soprintendente Rotondi. Nel saluto di accoglimento il Presidente Carnevali descrisse la simbologia raffigurata dal Fazzini come “idea espressa di un volo costantemente teso, l’incontro di due alati in amorosa attrazione”, associando in tal modo nelle due colombe che si congiungono in volo l’amoroso incontro ideale tra Urbino e il suo grandissimo Figlio, sepolto nella magnifica euritmia architettonica del Pantheon.
L’attività del Presidente Carnevali dette nuovo impulso a tutte le iniziative culturali generosamente attivate nell’immediato dopoguerra, consolidando innanzitutto la casa di Raffaello con adeguati e mirati interventi edilizi che consentissero la sicura fruibilità del museo riordinato nei piani superiori e una più appropriata utilizzazione degli spazi nei locali a pianterreno dell’antica bottega di Giovanni Santi, dove ormai venivano continuamente allestite delle mostre personali e collettive molto apprezzate in campo nazionale e all’estero.
Tuttavia, il Presidente Francesco Carnevali sarà ricordato soprattutto per il notevole impulso impresso alle pregevoli edizioni dell’Accademia, dando l’avvio alla Collana di Studi e Testi, ritenuta una “perla” nel contesto generalmente arido e inelegante dell’editoria contemporanea.
Nel 1985 a Francesco Carnevali subentrò l’Avv. Nino Baldeschi, che ebbe numerose riconferme per un lungo e fertile periodo nel quale non solo si continuarono a potenziare tutte le attività culturali consolidate dalla tradizione, bensì si attivarono molteplici nuove iniziative rese operanti in un Centro Internazionale di Studi per il quale erano necessari degli idonei spazi da individuare assolutamente al di fuori della Casa natale di Raffaello, i cui ambienti erano ormai stati destinati e sistemati definitivamente a museo.
Validamente sostenuto dal Segretario dell’Accademia, Dott. Giuliano Donini, il Presidente Baldeschi individuò i vasti spazi offerti da numerosi locali che la famiglia Pandolfi De Rinaldis possedeva inutilizzati in Palazzo Viviani, uno dei palazzi storici di Urbino ancora immune da deturpanti manomissioni.
Presi i debiti contatti e accordi con i proprietari non più residenti a Urbino da molto tempo, si procedette al risanamento e al restauro di tutti gli ambienti a lungo disabitati, dove nel 1987 trovarono adeguata sistemazione gli uffici di Segreteria, la Biblioteca dell’Accademia, la cui grande importanza era stata riconosciuta formalmente dalla Regione Marche, l’Emeroteca, l’Archivio, pure riconosciuto d’interesse storico dalla Soprintendenza Archivistica delle Marche, e il Centro Internazionale di Studi, fra le cui varie attività si distinsero soprattutto i corsi di grafica condotti da docenti dello spessore artistico di Carlo Ceci, Renato Bruscaglia e Piero Sanchini, e i corsi di restauro del dipinto, della carta e particolarmente del libro antico, dove operavano noti restauratori di altissimo livello tecnico come Giuliano Rettori, Arnaldo Dondi e Vincenzo Santoro.
Ritiratosi l’Avv. Baldeschi per ragioni personali, nel 2001 fu eletto Presidente il Dott. Gaetano Savoldelli Pedrocchi, che nel febbraio 1975 come Procuratore della Repubblica aveva tenacemente ed egregiamente diretto le indagini sul celebre furto dei tre capolavori, nientemeno il Ritratto di Gentildonna di Raffaello, la Madonna di Senigallia e La Flagellazione di Piero della Francesca, sottratti - quasi fosse uno scherzo beffardo - durante una notte di carnevale dalla Galleria Nazionale delle Marche in Palazzo Ducale. Per ben 14 mesi l’infaticabile Magistrato profuse in quella indagine tutte le sue doti di finissimo, sensibile e competente conoscitore delle ambiziose debolezze umane, una dote di alta qualità intellettuale, che tra ostacoli d’ogni genere di gente senza scrupoli, di doppiogiochisti e di miopi burocrati dello Stato, lo condusse a ritrovare i quadri in un caveau di una banca svizzera, da dove li trasse e li riportò in Urbino nell’aprile del 1976 tra ali di popolo in giubilo.
Come Presidente dell’Accademia il Dott. Gaetano Savoldelli Pedrocchi potenziò le prestigiose collane edite dal Sodalizio; si adoprò per ridare lustro alle annuali celebrazioni raffaellesche, invitando conferenzieri di alto prestigio internazionale; promosse il restauro della facciata della Casa natale di Raffaello e del suo monumento, eretto nei giardini comunali sul Pian del Monte, riuscendo ad ottenere, almeno per quest’ultimo, il coinvolgimento del Comune e soprattutto i necessari finanziamenti dal mecenatismo della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, presieduta dall’Accademico Avv. Gianfranco Sabbatini, mai restato insensibile alle preghiere che gli rivolgeva sorridendo ammiccante l’amico Toto, come confidenzialmente lo chiamavano gl’intimi con un grazioso vezzeggiativo adatto alla sua figura minuta e schiva.
Soprattutto, però, il Presidente Savoldelli Pedrocchi sarà ricordato da tutti per aver saputo dare generoso impulso a riannodare il filo spezzato della pubblicazione del bollettino dell’Accademia. Nel 2002 vide la luce il primo numero della rivista semestrale “ACCADEMIA RAFFAELLO – Atti e Studi” , che egli volle numerata impropriamente col numero zero, quasi per esorcizzare la pubblicazione dei numeri 1 e 2 previsti per quell’annata. In tal modo nacque la pregevole rivista di notevole spessore artistico e culturale, che in breve tempo è diventata la voce autorevolmente scritta dell’Accademia.
Dopo non troppo lunga malattia, che egli sopportò con silenziosa accettazione quasi al limite di un tranquillo stoicismo, il Presidente Savoldelli Pedrocchi ci ha lasciato il 16 aprile 2005.
È seguita la proficua reggenza del Vice-presidente Avv. Alessandro Santini, al quale è capitato - come al padre suo Avv. Antonio - di dover traghettare il Sodalizio tra uno Statuto riconosciuto obsoleto e la formulazione di un altro più aderente alle esigenze contemporanee. Difatti, il Presidente Vicario Santini non solo ha proseguito a potenziare l’editoria e tutte le attività culturali dell’Accademia, ma soprattutto ha diretto con competenza i lavori di una Commissione di Accademici giuristi preposta a stilare il rinnovamento dello Statuto, che ha sottoposto al giudizio dell’Assemblea dei Soci, che l’hanno approvato nella tornata accademica del 12 luglio 2006; tale approvazione è stata perfezionata col decreto del Prefetto della Provincia di Pesaro e Urbino del 3 ottobre 2006.
Nella tornata accademica del 25 novembre 2006 è stato eletto Presidente dell’Accademia Raffaello il Prof. Giorgio Cerboni Baiardi, già Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
Luciano Ceccarelli
Dott. GAETANO SAVOLDELLI PEDROCCHI Il Saggio Magistrato
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