La poesia come colloquio di Donatella Galli

L’ultimo libro: “Come Penelope”

di Gastone Mosci

Donatella Galli fa una scommessa con se stessa: svolge la sua poesia esclusivamente al femminile. E ci riesce. Passa in rassegna volti e nomi che hanno attraversato la sua vita: i volti in quanto proiezione della ricchezza e della poliedricità della persona, tante icone quante le strade di Pesaro; i nomi che restituiscono la complessità della convivenza umana, sono nomi di persone vere e di esistenze esemplari. Ne risulta una raccomandazione intensa di vita: essere consapevoli di quanto si sceglie, cercare  una condizione calda e protetta. La sua sesta plaquette, “Come Penelope” (Edizione Farnedi, 2006), comprende 42 testi poetici che rappresentano ognuno nella assoluta unicità un variegato universo femminile, dunque la  femminilità, come legge Marco Andreolli nella presentazione. Ma quanto soprattutto convince è la forza delle sue domande. “Le farfalle dell’esistenza” così suona: “Sto tessendo la mia trama / con profili, segni, figure e orizzonti. / Sto macinando i miei pensieri / con fantasmi e silenzi. / Sto vivendo”. (p 15).

Si tratta di una dichiarazione di ricerca di un cielo nuovo, come atto di consapevolezza. Nello svolgimento della sua immaginaria agorà ripercorre altre figure e percepisce una condizione generale, l’“Essere donna”, ed in essa la sua esistenza: “Essere donna: / un mistero, / una magia, / un’emozione, / un amore / grande / come una casa. / Questo è nascere, / vivere, / soffrire, / morire, / al femminile”. (p.43).

La situazione storica, il vivere nella realtà, da parte della Galli, il giustificare una vicenda antica che non è presa come modello ma come ispirazione, la coscienza critica con una leggera, appena sfiorata, sottolineatura al femminismo, è la trama da cui si dipana il filo conduttore della poesia “Sparta”: “Una donna che pensa / una donna mescolata con l’aria / che riempie la stanza rossa, / che si specchia sul fiume della memoria. / Una donna / che ha inventato la sua storia. / Occhio che vede / dentro il passato, / nella fune del tempo. / Preziosa luce / di sguardo incastonato / dentro arabeschi di nuvole / e di femminismo”. (p.21). L’affresco generale è una piazza con tante persone, tanti itinerari, in una polis ricca di esperienze di vita, voci, canzoni, narrazioni, onde visive, frammenti, segnali di luce e di passione: il tutto pervaso dalla consapevolezza della morte e delle attese ultime, dalla forza di una religiosità accennata e di una commozione asciutta, senza la drammaticità e le vertigini  di Alda Merini, in una forma di colloquio dolce e persuasivo.

Il nuovo amico, 11 febbraio 2007.

Gastone Mosci