1. PRODIGI DELLO SCOTANO
II panorama che si gode dal pianoro delle Cesane è sicuramente uno dei più suggestivi che è dato ammirare in questa nostra regione, se non altro per la possibilità che l'occhio ha di spaziare a tutto campo.
Quando,
col vento di levante, cade l'ultimo velo di caligine, dal Catria all'Adriatico
tutto appare come ricamato in una sottile e preziosa lastra di cristallo. E' il
magico effetto autunnale delle prime ore del giorno che porta ad un più intimo
contatto con la natura perché tutto appare lì a due passi; tutto è possibile
scrutare nei particolari come in un quadro appeso alla parete: case, sentieri,
fossi, querceti e perfino il geometrico zigzagare dei solchi nei campi ancora
gialli di foglie di granturco. A sud, invece, i fossi di Montebagno e di Ca'
Ciccolina sono lingue di verde cupo proteso verso il letto del Metauro,
interrotte da profonde strozzature di calcare che l'acqua ha scavato,
stendendole qua e là come lenzuola ad asciugare. La vecchia chiesetta di San
Marino è lì a due passi, avvolta in una solitudine che fa tenerezza, specie a
chi alza gli occhi verso il Petralata che la domina dall'alto del suo tozzo
pianoro, tirato a lucido, in queste assolate giornate novembrine, dal primo
nevischio.
Ma a sorprendere chi scende questo versante per sentieri scoscesi a malapena segnati da sassi e da folte chiome di ginepri, non sono i segni eclatanti di una natura incontaminata come le querce secolari, i tanti casolari di pietra grigia della Cesana, i fazzoletti di seminato incastonati tra i fossi o le colline che svaniscono a distanza tra i ricami di una persistente caligine che sale da valle.
Sono invece gli scotani che dominano tutto il pendìo in un tripudio di colori che non pare abbia eguali in altri siti del nostro Appennino. E ciò per il loro estendersi in fittissimi e rigogliosi cespugli, tutti in bellavista su di un crinale che ti attrae come oasi di pace al centro di una corona di alture che vedi lì di fronte ma, grazie a Dio, non tanto a ridosso da toglierti il fiato.
E' vagando su questo mare di colori che mi si è riaffacciata alla memoria una incredibile storia-miracolo di nonno Lazzaro, riferita proprio allo scotano. Un arbusto della famiglia delle anacardiacee la cui corteccia fu usata, per secoli, per tingere di giallo tessuti e cuoi. Dire come e da chi egli avesse appreso di questa vicenda lontanissima di secoli, e per di più riferita ad un territorio sperduto come la Guinza, non è possibile. Né è dato valersi del supporto di storie locali, di testimonianze per sentito dire o di una qualsiasi fiaba circolata a scuola o attorno al fuoco nelle serate d'inverno. Quindi un inedito, ma così ben ricamato nella fantasia e così ricco di sentimento da offrire una immagine dell'antica famiglia rurale, forte nei suoi valori e nei propositi di vita, quanto fragile nelle sue illusioni.
La casa di Antonio - racconta Lazzaro incantando noi bambini con la parola e con gli occhi - non ha confronti in quella porzione di altopiano ai limiti del mondo. Domina per la struttura muraria a castello, i tetti spioventi, le logge ampie quanto l'aia e i pagliai fittissimi, stesi tutto attorno come graziosi formicai. Ancora più importante la famiglia che tutti sanno dotata di ogni ben di Dio, con cinque figli maschi, dolci come zucchero ma robusti come querce.
Ma quando tutto sembra filare liscio in sintonia con i tempi e l'immobilità di quella porzione di Appennino ecco, a metà novembre, un evento fulmineo, distruttivo come una sferzata di grandine in un campo di messi. E, ancor peggio, irreparabile: la morte del capoccia. Poco più che sessantenne, ancora nel pieno vigore fisico e mentale colpito, nel breve arco di una notte, da un male oscuro per quei tempi che tutti sanno esistere ma che nessuno osa pronunciare per nome.
Sarebbe lungo raccontare nei particolari, con le parole del nonno, il seguito di quel decesso improvviso che assommava, allora, alla sofferenza lo sconcerto per un chissà quale misterioso disegno voluto dall'Alto. Così come non si finirebbe di parlare della solidarietà della gente accorsa da ogni angolo di campagna per vegliare la salma, a turno, l'intera notte; dei lunghi rosari; del tavolo della grande cucina, imbandito di quel tanto che basta per liberare dai crampi di stomaco chi aveva viaggiato per decine di chilometri. E ancora, delle donne silenziose e rigorosamente vestite di nero, intente ad intrecciare ghirlande con rami di edera e bacche di rosa canina; del figlio maggiore e dei capoccia vicini di casa impegnati a mettere assieme il soldo da elargire alla cancellata del cimitero a tutti i partecipanti all'accompagno, bambini compresi.
L'imprevedibile, che pure era da attendersi a conclusione della triste storia, è rappresentato da Pirozzo, figlio minore del defunto, appena sedicenne. Il bene che legava il ragazzo al padre era immenso e tutti lo sapevano. Tanto forte da portarlo a chiudersi in un silenzio sconcertante, steso supino nel grande letto di foglie di pannocchia, smarrito quasi che il vivere non avesse più senso. Ma è soltanto un momento di vuoto, colmato poi dalla imminenza dell'evento al quale Pirozzo sente di non poter mancare: l'accompagno. Così che prende a ragionare, tra sé e sé: Come posso seguire il feretro a mani vuote? Senza un fiore? Senza qualcosa di bello e di diverso che ci accomuni ?
Quasi di nascosto scende il sentiero delle Brecce, dove primeggiano cespugli di scotano; ne coglie i rami più freschi legandoli con fili di ginestra e, stretti nelle mani, si fa dietro al feretro, a fianco dei fratelli. Tormentato però, nel suo intimo, quasi a vergognarsi di fronte a tanta gente per un omaggio così banale Tanto più che lo scotano è ancora cespuglio comunissimo in quelle terre aride e vegeta, da sempre, con foglie di un verde tenue, uniforme e uguale per tutto l'autunno.
Ma ormai per Pirozzo non c'è via diversa per offrire qualcosa di più bello all'anima santa di suo padre. In fondo quei poveri rami, cresciuti a ridosso dei muri di casa, altro non sono che la testimonianza più autentica delle cose care e sofferte di una intera vita.
E' così che si fa largo tra la gente pigiata nella penombra della chiesa con il mazzo di rami alto sulle teste. Unico dei fratelli a raggiungere sul gradino più alto la bara del padre per deporvi il suo umile messaggio d'amore. Ben lontano, però, dal presagire quanto di straordinario sta per accadere sotto gli occhi di tutti.
Quando, al momento delle esequie, i fumi dell'incenso sprigionati dal turibolo si sciolgono salendo su verso il buio delle capriate, lo sguardo di Pirozzo resta prigioniero di una strana allucinazione. Così almeno è portato a pensare vedendo le foglie di quell'arbusto fremere impercettibilmente, quasi che un genio occulto stesse accarezzandole con il pennello.
L'orlo seghettato si fa di un bel rosso porpora che si attenua, più al centro, in chiazze di rosso mattone. Il giallo si sovrappone, a volte oro a volte paglierino; le nervature appaiono di un bianco cenere macchiato. E il verde, che mezzo minuto prima dominava sovrano, lo si può soltanto cogliere in un concerto di colori dagli effetti incredibili.
Da quel momento - disse nonno Lazzaro ponendo fine alla sua storia infinita - in tutti i terreni dell'Appennino lo scotano divenne l'oggetto poetico degli amanti della natura; le pagine più varie ed incantevoli di un grande libro, dipinto nelle brume della tarda stagione dell'anno.
E, per i rami divelti innanzi tempo, caduchi nei loro ornamenti, il fiore giusto per la bellezza di un giorno. Quello più significativo e più legato alla memoria e agli affetti dell'uomo: il due novembre, ricorrenza dei defunti.