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Paolo Volponi 
Primo premio Raffaello "Urbino, I nostri ieri"

 

URBINO, I NOSTRI IERI

 RINGRAZIAMENTO DI PAOLO VOLPONI PER IL "PRIMO PREMIO RAFFAELLO"
CONFERITO DA:  Amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino, 
Biblioteca Oliveriana di Pesaro,  Università degli studi di Urbino
E altri enti culturali economici e finanziari della provincia, dedicato
all’opera di un cittadino eminente nel campo dell’arte e nel mondo del lavoro.

La cerimonia ha avuto luogo IL 18 dicembre 1993 al Teatro Sanzio di Urbino.

 

Avevo in mente qualcosa da dire, ma mi è stato cancellato da queste ultime parole di Carlo Bo [nella postilla]. Mi ricordo da ragazzo, nel 1938-39, vidi passare lungo le mura davanti a casa due persone alte, solenni, due nuovi insegnanti dell’università: Carlo Bo e Cesare Musatti. Bo c’è rimasto per sempre. Musatti, grande psicologo e ricercatore, dovette andar via perché ebreo, e fu assunto all’Olivetti come capo del personale. Perché il capo del personale all’Olivetti non era un autoritario semimilitare, ma uno che doveva indagare le persone, capirle, aiutarle a crescere, a diventare bravi.

Ho sempre seguito Carlo Bo, i suoi libri, le sue traduzioni. Con un gruppo di poesie, di foglietti, ho avuto l’ardire di presentarmi a Bo tramite l’amico bidello Mengacci. Mi ricordo come ho odiato il colore del corridoio davanti al rettorato durante l’attesa. Quarti d’ora, nella parte più interna del nostro Ateneo, c’era il vento. Bo mi scrisse una paginetta e mi disse che le potevo pubblicare: da quel momento è iniziata la mia ansia, il mio lavoro di scrittore, che è stato un po’ sempre un secondo lavoro, come ha detto bonghi, e il mio debito con Carlo Bo. Non ho mai avuto la fiducia di poter fare lo scrittore. Ho lavorato ventidue anni in una grande fabbrica come la Olivetti, facendo una buona carriera e con posti di responsabilità. Avevo scritto li uno dei miei primi romanzi, Memoriale, che mi diede una certa notorietà. Conobbi uomini importanti come Adriano Olivetti, Pier Paolo Pasolini.

Io stasera sono emozionato, si sente. Gli urbinati, che non sono pochi qui stasera, s’interrogano spesso su di me. Ma come ha fatto? Che scrittore è questo? Se non era bravo a scuola, se fuggiva per le strade, per i campi, se non si applicava, come ha fatto a diventare scrittore? Beh, diventare scrittore — è la carica dell’emozione, è la carica della voglia di capire, di intervenire, anche di rompere, di dissacrare, di rinnovare, di provarsi da sé contro le varie cose della società, entrare addirittura in contatto personale anche con i sentimenti della gente, con i valori che animano o opprimono o castigano i non valori che castigano la società.

Io, emozionato come oggi, ero qui, in questo posto, più di 60 anni fa; e c’era con me l’avvocato, il nostro illustre avvocato Sandro Santini, perché facevamo insieme parte di un gruppo ballerino, marinaretti, che recitava un’operetta messa su dalla direttrice didattica Aiuti, con dei cantanti delle scuole,  ballerini delle scuole, eccetera. In questo gruppo io ero il più goffo e il più incerto, non riuscivo a imparare il balletto che dovevo fare, una specie di saltello raddoppiato, e allora la maestra Aiuti mi chiamava fuori dalle lezioni per insegnarmi, perché ci teneva che io entrassi nel gruppo, che facessi questo balletto, che rompessi con questa timidezza e potessi essere alla pari degli altri — perché capiva la mia frustrazione. E mi aiutava e poi, non riuscendoci, perché ero ancora più in soggezione a tu per tu con questa maestra che era molto austera, e aveva una fortissima personalità, mi affidò a una delle bambine, ragazzine che cantavano da prime donne in questa operetta che non so se fosse Fior di loto o Cincillà', e questa ragazzina, gentile, bravissima a cantare, molto dolce, anche carina, urbinate, stava in cima al Monte, seppi, si chiamava Cibeli, poi credo ..., l’ho persa di vista, credo sia emigrata in Australia presto, al seguito di qualche militare dell’armata che aveva liberato Urbino. E allora anch’io ho recitato in questo teatro nel ’33, sotto queste luci, cantando la canzoncina insieme ai miei compagni, e l’emozione era forte; è la stessa emozione di questa sera, in sostanza, ecco!

Ho avuto altri riconoscimenti, è vero, sul piano letterario anche prestigiosi, ma questo è per me il più importante e più intrigante, proprio perché mi mette a contatto con tutta la mia vita, con la mia città, con la mancanza, anche, di un rapporto completo, una comprensione completa della città, come uno vorrebbe avere, dei suoi sentimenti, delle sue intenzioni, delle sue capacità, delle sue qualità - e poi perché andando avanti negli anni uno scopre che tutto non è bellissimo, ma che dietro ci sono anche risentimenti, cattiverie, opposizioni, separazioni dure. E questo premio mi mette scoperto di fronte ai miei concittadini, e non ho la presunzione per ripararmi; sento proprio di essere scoperto e arreso di fronte al loro giudizio, che spero sia benevolo, per lo meno comprensivo. E ho scritto fra gli altri libri un paio di libri che riguardano direttamente Urbino, credo che siano abbastanza degni della storia, della qualità, della cultura della città, che ne vedono certi aspetti non banali e ne presentano certe qualità non sempre scoperte e non sempre da tutti capite e frequentate.

Sono abbastanza contento di questo, mentre non sono contento di come ho potuto lavorare letterariamente nel corso della mia vita, proprio perché mi sono sempre dedicato a altri impegni, per un senso sociale piuttosto vivo e anche, certe volte, per mancanza di buona volontà e altre volte per mancanza di preparazione, proprio perché ero uno studente svogliato, trascurato. Ho preso la maturità classica nel luglio del ’43, quando tutti furono assolti insieme, non ci furono né esami di Stato né esami non di Stato, e tutti fummo promossi, cosi io potei andare il 9 settembre del ’43 a iscrivermi alla facoltà di giurisprudenza della nostra Università. Ho fatto male anche l’Università, in fretta, mi sono laureato nel 1947, avevo una grande ansia di andare via da Urbino, di mettermi a lavorare. Capivo che in Urbino non c’erano grandi prospettive, almeno per uno come me; non sapevo bene come indirizzarmi, ma poi le letture che si facevano, la scoperta di certi testi, il dibattito politico, mi hanno indirizzato verso il mondo dell’industria — che mi ha dato molto, mi ha dato tanto, per questo i miei romanzi sono sul mondo dell’industria e sono pagine non insignificanti - però mi ha anche tolto tutto il tempo e anche l’energia per potermi dedicare completamente allo scrivere.

Oggi invecchio con questo rammarico, di non aver fatto tutto quello che avrei potuto. Oggi la mia vita è anche resa difficile da vari incidenti che mi affliggono, non so ancora se riuscirò a lavorare a altre cose: però questo incontro e questo premio sono un augurio che prendo molto sul serio, mi rimetterò davanti a me stesso e ai miei propositi e proverò ancora a andare avanti con la mano su qualche foglio bianco o di narrativa o di poesia.

Ringrazio tutti, naturalmente ringrazio la provincia per il premio, e le auguro che possa tenere in piedi la nostra economia, che possa fare grandi opere nell’interesse di tutti ... e magari, alla fine, anche una bella strada fra Pesaro e Urbino.

Paolo Volponi

 

 POSTILLA DI LIVIO SICHIROLLO

 

Paolo Volponi ha cessato di vivere il 23 agosto, all’Ospedale “Le Torrette” di Ancona; era nato a Urbino il 6 febbraio 1924. La morte del figlio Roberto a Cuba il 3 settembre 1989 aveva duramente colpito un fisico già provato da una lunga dolorosa malattia. Come tutti sanno e come lui stesso teneva a dichiarare considerava la letteratura un secondo lavoro rispetto all’impegno sociale e politico al quale si dedicò per anni a tempo pieno. Dal 1956 al 1971 è a Ivrea, all’Olivetti, direttore dei servizi sociali, poi delle relazioni aziendali; dal 1972 al ’75 è a Torino, direttore della fondazione Agnelli, dove lavora a una ricerca sulle relazioni tra la fabbrica e la realtà urbana un rapporto che si interrompe per le sue aperte posizioni politiche verso il PCI; nelle liste comuniste sarà eletto senatore indipendente nel 1983; passerà poi a Rifondazione comunista e sarà eletto deputato.

Il suo lascito letterario - poesie, romanzi, saggi - è tra i meno prevedibili, anzi tra i più lavorati, “originali” sensu eminenti della seconda metà del secolo — di uno scrittore che fu anche un pensatore, evocatore di problemi e inventore di scritture. Erano appena usciti nei Tascabili Einaudi Il pianeta irritabile (1978) e La strada per Roma (1991); l’editore Manni di Lecce - che nel ’90 aveva pubblicato le poesie Nel silenzio campale — annuncia prossime Note a margine (appunti di arte, letteratura e vita); Einaudi annuncia 11 leone e la volpe, con Francesco Leonetti, una conversazione sullo stato delle cose in Italia, politica industria letteratura. Nel febbraio scorso raccomandava Corporale conversando a lungo con Filippo Bettini, «l’Unità», 19 ottobre, un’intera pagina.

Ma Urbino è rimasta il principio e la fine - e il fine! — al fondo dei suoi tormenti. Lo dimostrano versi giovanili che vorrei ricordare anche qui: ...la nemica figura che mi resta / l'immagine di Urbino / che io non posso fuggire / la sua crudele festa / quieta fra le mie ire, come anche due recenti poesie, due lettere all’amico poeta Ercole Bellucci del 1985 e la pagina di diario (la sola, pare, che ci abbia lasciato) del 1987 in ricordo della madre («La Stampa», «Tuttolibri», 27 agosto, l’omaggio più autentico reso dalla stampa quotidiana allo scrittore).

L’Amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino ha voluto onorare Volponi con il primo Premio Raffaello, istituito con altri enti culturali (Biblioteca Oliveriana di Pesaro e Università degli studi di Urbino), economici e finanziari della provincia, dedicato all’opera di un cittadino eminente nel campo dell’arte e nel mondo del lavoro. La cerimonia ha avuto luogo lo scorso 18 dicembre 1993 al Teatro Sanzio di Urbino.

Il presidente della provincia, professore Umberto Bernardini, ha messo a disposizione di «Belfagor» la registrazione della cerimonia, riveduta e integrata grazie a una redazione stenografica a cura di Lorenzo Ciaffoncini, del «Corriere Adriatico». Possiamo cosi offrire le brevi parole autobiografiche di Volponi, tra le sue ultime pronunciate in pubblico (in «Belfagor» Volponi Tu presente nel ’75, a novembre).

Carlo Bo, presidente della giuria, ha letto la motivazione: «... per l’alto e originalissimo contributo portato alla cultura italiana del Novecento attraverso la produzione letteraria e un impegno civile che hanno scrutato l’anima e le contraddizioni di un paese alla ricerca di se stesso dopo la tragedia della guerra senza mai rinunciare, con la profondità dello sguardo del poeta, alle radici culturali della propria terra e all’orizzonte inesauribile della libertà».

«Caro Paolo, nel consegnarti questa pergamena e l’opera di Arnaldo Pomodoro che l’accompagna, consentimi di dirti due parole sulla nostra storia. Da quanti anni ci conosciamo? Da quando sei venuto per la prima volta all’Università per farmi leggere i tuoi versi. Ho quindi il merito, uno dei miei pochi meriti, di avere creduto nella verità e nella luce della tua poesia. E poi abbiamo passato mezzo secolo, quasi, e tu hai sempre affermato il valore del peso della tua opera. Questo è uno dei premi dove è il premiato che onora la giuria, la città e la provincia. Tu hai avuto ben altri riconoscimenti, sei uno dei grandi scrittori del nostro paese, sei noto anche all’estero. E non soltanto hai combattuto la tua battaglia letteraria, ma hai combattuto e combatti la tua battaglia civile, e di questo, credo, tutti ti siamo e saremo grati. Che cosa valgono le parole di un testimone, di un vecchio testimone che ti ricorda, ancora dentro l’Università, costeggiare i muri del Palazzo Ducale andando verso casa, all’ombra del sole d’estate? E’ tutta una serie di immagini, un album di incontri, di parole, di discorsi, e di questo in prima persona voglio ringraziarti, e poi a nome di tutta la città, di tutta la provincia e, se permetti, anche dell’intero nostro paese voglio ringraziarti di quello che hai fatto e continui a fare, e ti auguriamo di continuare questo tuo doppio lavoro, continuando a scrivere dei bei romanzi, delle bellissime poesie e a dire la tua parola di quella che consideri la verità, a stimolo e per suscitare dentro di noi, almeno per quanto mi riguarda, quel poco o quel tanto che rimane di speranza. Grazie».

 Livio Sichirollo

 

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