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Raccolte di Poesie

ZENO FORTINI: poesie -  LEI
 


EDIZIONI DEL PANIERE - Verona 1980
Peridico Trimestrale n.3 1980

collana diretta da Roberto Sanesi

In copertina: grafica ideata da S. Saglimbeni
interpretata da V. Angelini

 

Una pace d’assenze

INDICE

 

Presentazione   7

Altre vie

42

Ti cerco lungo i fossi

42

Perchè non volli

44

Il trovatore

45

Antiche voci

46

Ad Adriana

47

Castel di Mezzo

49

I ricordi

49

Lamento lungo

51

Il tradimento

51

Il tradimento (II)

52

Signore quando

53

Frammento

54

Nel guizzo che volava più alto

55

Ritornello

58

Vergine bella

56

Il tradimento (III)

57

Le notti di guerra

59

Storia

60

Ricordo di Emanuelli

61

Disperazione

63

La colpa

65

Lettera a Letizia

66

Bellezza

67

La notte brava

68

Anonima nel canto

69

Settembre senza lei

71

La fine del canto

72

Quando mi prende

73

Ernesta

74

Dolce Signor

75

La speranza

75

 

 

 

 

Ti cerco lungo i fossi

 

O poesia,

ti cerco lungo i fossi della mia giovinezza,
ti cerco dentro l’ansia che m’avvolge
come un cobra strozza la gazzella,
ti cerco nei versi consumati di una volta
e non vuoi tornare coi tuoi venti
umidi d’amore, di gloria, di gesti incontaminati.
Patria dei miei sogni,
landa delle mie notti deserte come il pianto,
non t’appartengo più,
tu non mi riconosci,
non vuoi asciugare queste lacrime
indurite di granito.

C’era una volta, or mi ritorna in mente,
versi che non son miei
detti senz’anima nella stanza delle mie carte
vuote.

Vuote le mie carte
e questi ritmi che non hanno voce
a che mi servi tu povera mia vita?
Perché non mi ritrovi sui cigli della strada
a sillabare Keats, a recitare Eliot o Montale.
Un’utopia l’amore delle stelle
l’amore che trova corpo
in una donna
plasmata con la creta
di una giornata popolana.

Almen l’amore candido o profano
l’amore sporco dei baci venduti sul quadrivio,
una droga per la mia anima stremata
che si ridesti
con Lazzaro che s’alza dalla tomba.
S’è messa là in un canto
povera anima mia
come si getta il fiore
che ha perso il suo profumo.

E mi ritorna in mente,
e mi trafigge il ricordo
di donne che furon solo mie
prima che le sfiorasse la prova della vita.

 

 

 

Antiche voci

 

Non mi chiamate più antiche voci

che vi stendete spoglie coi rami dell’autunno.

Vi prego,

non voglio risentire il De Profundis
di tutte le speranze adolescenti
bruciate dal fuoco dei vent’anni
quando s’alzava una palomba
e gli occhi la inseguivano lontano.
Lei non c’è più,
fatta di umori azzurri
e cieli luminosi
sotto l’incalzo dei passi nel loggiato.

Vi prego, non mi chiamate
antiche voci del pianto mio severo
versato nella conca di un sogno smisurato.
A vent’anni volevo ubriacarmi
di sole e primavera
e rotolarmi nella sorgente chiara,
ma venne il cielo grigio
e la fonte si è seccata.

Alzo lo sguardo e scorgo le piante nude.
Nude le piante
come l’anima
di un penitente che si confessa,
ed i germogli raccolti a piene mani
son diventati cenere.

 

 

 

Lettera a Letizia

 

Versi che tu fanciulla chiedi
come fossero perle per una festa.
Eppure la tua innocenza
è un’imposizione diversa
quasi rifiuto dell’omaggio,
ma furia di spasimi inespressi.

Io te li dò come dono e come insulto
per tutto quello che il sogno chiede
ma tu, diversa dal desiderio,
ma tu, reale, a me poeta non potrai dare.
Eppure dal poeta
prendi quello che ha di più caro.

 

QUI DI SEGUITO SOLO ZENO FORTINI

FORTINI - L’esatta dimensione del lirismo
di Giancarlo Volpato

Più personale (in confronto con quella dell'Angelini) appare la poesia di Zeno Fortini che affronta, spesso in maniera diversa e con un respiro interiore, i piccoli e grandi temi della vita quotidiana. Non più ricerca formale assoluta, ma frammenti di spiritualità che sopraffanno il linguaggio anche se, sovente, Fortini usa un lessico comprensibile e più « poetico », dove tale ultimo aggettivo sta a significare una comunicazione immediata nel senso tradizionale del termine.

Il poeta, urbinate lui pure e forse non a caso accomunato ad Angelini anche ed oltre l’uguale residenza, ripercorre tre grandi sentieri sui quali l’uomo ha camminato da sempre: l’amore, la poesia, la fede. Tre momenti che ci sembrano indissolubili e che ci parlano dei sentimenti più profondi: un romanticismo essenziale, godibile da un animo tormentato e sincero dove l'uomo del Novecento, nonostante le sue realtà esteriori e le infinite comodità, ripiega in sé per gioire e martoriarsi delle pieghe recondite.

Un poco vezzoso allorquando evoca le vie dell’amore, spesso dal volto di donne, Fortini crea un’aria di compatta sensualità avvertita attraverso le parole e le calde immagini che ci ricordano i canti dei trovatori; mescola il sapore agrodolce d'un corpo di donna al rimpianto che la favola d’amore ha sempre instillato nell'uomo; oppure il nome femminile non è che il pretesto per raccontarsi gl’idilli smarriti con occhio ancora immagato, svegliato dalla malinconia: <« ...andrò ramingo per le vie / con la tua figura / alzata negli occhi / e il profumo del tuo viso / mi passerà accanto / leggero, come una carezza ». Ma ancora, Fortini, viene colto, talvolta, dal candore che il suo animo pieno di sogni e d’amore non sa trattenere: «Tu sei un mondo / pieno di sole...» dove, al di là d'una possibile retorica, è facilmente intuibile il canto sereno dell’uomo-poeta che vorrebbe camminare sulla strada più bella che gli sia stata tracciata: siamo in presenza di toni crepuscolari che rievocano sensazioni corazziniane; come colui che, squarciato il suo cuore, è in attesa di qualcosa che riempia il dolore rasserenato da una certezza che non tarderà a venire. E saranno la fede, il ricordo (moneta sonante che non è destinata a languire), le lunghe primavere che resteranno ancora da vivere.

No, non c'è disperazione per l’amore che si dissolve come i germogli al soffio del vento perché uno, forse il più grande tra gli amori, non verrà mai meno. «Signore, quando mi condurrai ai tuoi rivi / berrò l'acqua di una nuova giovinezza, / quando la parola non sarà più fango j allora sgorgherà la fonte dalla roccia / e rinnovare dentro la mia persona / sarà assaggiare i frutti polposi del tuo granaio».

Quale certezza più profonda, più rasserenante del Dio che ci disseta? Quello stesso Dio, cercato e perduto dietro le luci abbacinanti delle aiuole moderne, ma infine ritrovato per rendere più dolce e più azzurro quel cerchio di luce dove i « pascoli sono ridenti ». E’ qui che Fortini, almeno per noi, dà l’esatta dimensione del lirismo della sua poesia: questo umanissimo gesto d’umiltà dove tutti ci troviamo a rievocare la finitezza del nostro essere, ma non ci pieghiamo invano. Gli accenti più belli dei poeti moderni cattolici (ma ha poi un senso chiamarsi poeta cattolico?), da Jammes a Villaroel passando attraverso la sofferta e dolorosa esistenza péguyana, vi sono tutti in Fortini anche se forse gli manca la corposa realtà d’un cristianesimo testoriano.

La poesia. La poesia è un sogno, è un mito, è una realtà indistruttibile dell'uomo, è tutto ciò che si cerca, è come l'amore delle stelle, è come un fiore dal sommesso appena percettibile profumo; ognuno può accostarsi ad essa; Fortini ne ha bevuto alla fonte e vi è rimasta nell’anima, perseguitandolo, creandogli lo spazio per una speranza non effimera non certamente per glorie od onori.

Su questo versante, Angelini e Fortini così diversi per ideologie e tematiche, si sono ritrovati e la barca del loro spirito è approdata insieme ad un porto dove sono bandite le rincorse quotidiane.
... omissis ...

Giancarlo Volpato

Altre vie

 

Stefania,
tu non m’ispiri
che poche frasi storte
che affido
alla brezza della sera.
Altre vie sono nella tua vita
e segnano di solchi
il mio silenzio.

Oh, questo silenzio
furibondo,
che vuol placarsi
nell’uragano dei tuoi capelli
tenebra
come i tuoi occhi
dove passa a ondate infinite
la mia tristezza.

E stringere fra le mie mani
il simulacro del tuo viso
umido di carezze trattenute,
e addormentare il capo arrovesciato
sul fiore del tuo seno;
domani sarà l’assenza
e resterà il rimpianto
di un corpo
che fugge col tuo nome
sull’ala della fiaba antica dell’amore.

 

 

Signore quando

 

Signore, quando mi condurrai ai tuoi rivi
berrò l’acqua di una nuova giovinezza,
quando la parola non sarà più fango
allora sgorgherà la fonte dalla roccia
e rinnovare dentro la mia persona
sarà assaggiare i frutti polposi del tuo granaio.
Ho tanto cercato per vie impervie
tra boschi di rovi acuminati
per trovare la liscia radura
dove crescono i germogli delle tue primavere.
Ho tanto cercato e sempre mi sono perduto
dietro le luci abbacinanti
che mi riverbera
quest’aiuola d’erba ingiallita.
Ancora ti cerco, ma il passo non è saldo
perché ho ancora sul labbro una parola impura
e mi riflette il mondo i suoi colori intensi.

Ho tanto pregato e ho sempre sbagliato,
ho mangiato alla tua mensa
e ho ritrovato

il sapore salato del mio pane

Per me hai sofferto e t’hanno dato il fiele,
versa anche a me un poco del tuo fiele
ma come fare a berlo

se dalla croce non stendi la tua mano...

Ho speso la giovinezza, tu lo sai,
cercando invano l’azzurro ed i germogli,
china ora tu su quest’anima prostrata
i tuoi occhi ricolmi d’infinito.

Dicono che per me sei morto.

Ma io so che per me dopo sei risorto.

Non mi lasciare

in questo cerchio di luce che m’acceca.

Prendimi portami,
nei tuoi pascoli ridenti.

 

 

 

Ad Adriana

 

Mi piace il profumo dei tuoi occhi
amaranto senza calore per le mie notti
dove chini i tuoi seni
carichi del buon vino che dà vita
fanno parlare le fate
di turchese e di cielo
e le colombe solcano i tramonti
nei paesi del Sud.

Amore, parola veloce,
sonora come un colpo di fucile.
Mi rintrona nel capo l’urlo
delle tue labbra
che m’aprono
ad abissi di piacere.

Nel baratro della tua candida voluttà
vorrei precipitare tutti i miei sogni
per tornare adolescente accanto a te
che sei di un altro tempo.

Allora potremmo tenerci per mano
e vagare sui colli
di questa radiosa primavera
che non è, ma sarebbe la mia vita con te.

Ma tu sei d’un altro tempo
e se mi guardi e sorridi
la lama di una sordità perversa mi trafigge.
Tu sei un mondo
pieno di sole.

Io appartengo ad una galassia che non dà luce
perché troppo è lontana
per incrociare ai tuoi i suoi raggi.

Eppure io t’amo, quasi,
ma quando questo mio povero cuore
t’apparterrà del tutto
andrò ramingo per le vie
con la tua figura
alzata negli occhi
ed il profumo del tuo viso
mi passerà accanto
leggero, come una carezza.