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Raccolte di Poesie

ZENO FORTINI: poesie -  LEI
 


QUADERNI DI AD LIBITUM
In copertina: Sinfonia per una scacchiera di Floriano De Santi
Dedica: A Orlando Emanuelli mio maestro ed amico
Finito di stampare il21 Ottobre1988 nella S.T.E.U. di Urbino

 

INDICE

 

Arnaldo Battistoni - N.2 acquaforte    

Introduzione

Pag-

  5

Una pace d’assenze

»

15

All’ombra creduta

»

16

Estate

»

18

All’alba

»

19

La strada

»

20

Nella festa

»

22

Gianna

»

23

L’autunno avrà l’uva nei cesti

»

24

T’ho strappato due ciocche

»

26

Sulle impronte

»

28

L’albero

»

30

Il tuo nome

»

32

Lea

»

34

Giuliana

»

37

Poiché sei tiepido io ti vomiterò dalla mia bocca

»

38

Gli astri di fronte

»

39

Le sere di primavera

»

40

Ad A. C.

»

44

Non ho più nulla da raccontare

»

45

 

Una pace d’assenze

Le sfere han posato sull’angolo ottuso
e un sogno, trascinato al domani,
incatena il tuo pianto inrepreso.

Un ponte di timidi incontri
ha condotto il tuo passo deserto
a inciampare sulla pubblica via.
Ma poi le ferite formarono il callo.

Quel cammino, un cammino spezzato in tre punti,
ha cullato, tessuto le trame per il cieco furor del domani
che fuggiva sconvolto una pace,
travolto a una pace serrata

ora tenue, più tenue, più inerte. Una pace d’assenze.
Eppure vuoi volgerti a tratti,
o drizzi lo sguardo più avanti.

Ma chiude ormai il triangolo
sui lati dell’angolo ottuso.

 

All’alba

All’alba
inizierò la mia fatica
senza godere e soffrire.
Quella di sempre.
Sarò l’inebetito
che tenta di figgere
il chiodo nel ferro
ogni ora del giorno.
Sempre alla stessa ora,
Di minuto in minuto
una lacrima sarà una speranza.
E poi seccherà sulle ciglia.
Girare attorno
alla stessa ruota
da sempre, Signore,
è impresa assai dura.
Sisifo gronda sudore
e rifiuta il macigno e la china.
Un tempo neppure
il dolore m’era travaglio,
ma il cielo esisteva
e c’era una corda per me.

Ma essa s’è ora spezzata.

 

Lea

O figure d’un tempo remoto
non tornate
a serrarmi il nodo nella gola,
nella notte senza stelle
fantasmi stagliati di fianco al capezzale,
stagliati esattamente
che la mano non penetra.

Aveva un biancospino fra i capelli
Lea d’indache brezze
m’ha lasciato l’ansia
degli occhi irrivolti
al cuore sospeso dietro al vetro
limpida,
allineando il salir tenue verso l’arco
e non potrà varcarlo.

Nella chiesa del castello
l’armonium davanti alla Madonna nera della Passione,
le mani che ricamavan ciocche
ad affacciarsi sotto il fazzoletto,
usciva a un tratto dalla colonna
e l’unghia sul polso
a mascherar la stretta
- con gli occhi presto fissi,
occhi, mani giunte pien di tremito,
occhi dritti al piegare delle ampolle,
occhi fermi ai lucignoli
davanti a san Michele;
gli occhi scattati
lungo il silenzio del calice elevato,
e nell’incrocio le vampe di rossore
raminghe infine al reclinar del capo
perchè era peccato
ma non lo era se io non ti coglievo,
se il giro della fronte
a me non costringevi fino al portale.
Marzo s’accinge
a germinar le mammole
stupite nei recessi,
l’erbe pencoleran
sul limpido discorso delle fonti,
inclinerà sfumando i cieli tersi.
All’ombra dei castagni ingermogliati
ritornerà il colloquio degli sguardi,
l’alterno calor degli aliti accostati
a rovesciar le bocche sui sedili.
Stacca le membra Narciso
dal muro che guardava i tronchi nudi.
Festa di marzo a lui non è vicenda.
Sul piede che tradisce la fiducia
ritornerò nei vicoli stipati
con quella nenia roca a fior di labbra,
a vacillar fra gli urti delle braccia
stremate a cogliere l’attimo,
e poi fuggirli ancora sui sentieri
a ridosso dei greppi, tra le siepi
con il ricordo teso
che martella nelle tempie
quando la grandine
flagella i biancospini
ma non scalfisce le rupi di granito
che a fronte han tanagliato il mio dolore;
gli occhi,
occhi smarriti in un soave incrocio.
le vampe di rossore,
ancora, ancora, perchè io possa
riannodare i fili penzolanti
di quest’elenco . . .
usciva a un tratto dalla colonna,
le mani giunte pien di tremito,
gli occhi costretti sull’ampolla
perchè all’istante stava davanti alla Madonna.
No, Lea. E’ tutto come un velo rotto.

E’ calata la sera d’antica costumanza
a cigolar le porte
sui cardini di ruggine
e quel che fosti,
sei serrata nella chiesa del castello.
Però, il salir tenue verso l’arco
stai ferma sul ponte levatoio
e gli occhi non rivolgi
limpida
sul cuore sospeso dietro il vetro.

 

 

Introduzione
di Luciano Fabi

L’esperienza di una attenta lettura delle liriche di Zeno Fortini rischia di non trovare sufficienti corrispondenze o analogie significative nonostante tutto quel che di esemplare e di tipico il libro di Fortini non manca di presentare.

L’atteggiamento che il poeta assume di fronte alla materia dell’arte conserva (o ritrova) un carattere fondamentalmente romantico nella volontà assoluta dell’espressione essenziale e distesa, ma non per questo involuta o troppo scopertamente carica di artificio; nella capacità, in altri termini, di cercare a qualunque costo la corrispondenza il più possibile esatta tra l’immagine e il procedere del verso, tra ritmo interiore, Idea, e suono concreto, significato, dato afferrabile e comunicabile.

Questo è un problema assai antico e le soluzioni di Fortini non sono in questo senso né nuove né vecchie: sono solo - nei casi migliori - sorprendentemente esatte, di un’evidenza addirittura cristallina.

Sarebbe oltremodo interessante un’analisi dettagliata della struttura formale di alcune liriche di Fortini, a condizione di includervi, allo stesso titolo, i motivi conduttori e le trame metriche, il ritmo del verso e quello dell’immagine poiché, come un maestro antico, il poeta sembra svolgere il suo canto senza problematiche soste alle soglie della tecnica e il pensiero stesso è già prima di tutto forma significato, poesia.

Talvolta si potrebbe avere per questo l’impressione che queste liriche siano nate già così come sono, il lavoro sembra cancellato, il verso si svolge con sicurezza a suo modo assoluta, anche se ad una attenta riflessione gli elementi costruttivi, le «strutture portanti» non mancano di rivelare tutta la loro determinante funzione.

Questo non può quindi in nessun modo condurre alla impressione di una lirica «facile» in quanto incapace di rompere gli schemi di forme ormai acquisite e in qualche modo involutive: il dominio della forma, carattere distintivo della maturità di un artista, è un fine che nessuno può trascurare di perseguire e l’importante non è sempre costruire nuovi principi formali: questo è infatti decisivo solo per il destino di una cultura nel suo complesso. Dal punto di vista strettamente artistico è fondamentale che il linguaggio e la materia diventino composizione, lavoro compiuto e coerente, espressione senza squilibri. E penso che pochi tra i giovani poeti contemporanei rivelino di tutto ciò una coscienza così precisa e sicura, addirittura orgogliosa, perché risultato di un continuo «scontro» interiore tra il pensiero e le necessità dell’espressione, tra il primo manifestarsi di motivi conduttori e le ineliminabili esigenze del linguaggio, quando tra questi elementi è possibile o necessario distinguere pur con la piena coscienza della loro superiore unità: è anche in tal senso che Fortini è un artista moderno in un senso abbastanza ampio ma non generico.

I richiami frequenti e piuttosto chiari a schemi stilistici di tipo classico-romantico non contraddicono l’ultima affermazione, ma ne precisano il senso ed aiutano a penetrare più in profondità nella situazione culturale dell’artista: non si tratta ovviamente di pure e semplici «citazioni», secondo un procedimento abbastanza consueto a molti dei nostri giovani scrittori, soprattutto nel campo del racconto e della lirica: in questi casi, alcuni dei quali abbastanza noti, la citazione o addirittura il completo «racconto in stile» tendono di volta in volta a creare un tono, un taglio particolare, si inseriscono in un clima di vivace ricerca stilistica ai confini con l’avanguardia e il linguaggio rivela sempre nella sua natura dichiaratamente «artificiosa» una notevole funzione ironica che può essere a sua volta un presupposto per il brillante progredire della ricerca stessa.

Per Fortini il discorso è del tutto diverso: si vedano, a puro titolo di esempio, All’ombra creduta o L’autunno avrà l’uva nei cesti. I moduli stilistici, i giri di frase ancora parzialmente classici (o «primo novecento») sono strutture alle quali egli sente di poter aderire completamente nel senso che le immagini tendono già al loro apparire verso quei ritmi, quelle parole, quelle frasi, benché l’unità espressiva sia sempre il risultato di un lavoro complesso: siamo ben lontani (lo precisiamo ancora per evitare equivoci) dal sostenere la «spontaneità» della lirica fortiniana, mentre notiamo che il verso non si limita mai a «rivestire di parole» concetti e pensieri, ma è sempre diretto, nei casi migliori, all’identificazione di immagine e discorso, quasi come un inciso tematico di musica strumentale.

Ancora qualcosa di fondamentale la poesia di Fortini ha in parallelo con l’arte musicale: i caratteri dello svolgimento dei temi e dei toni lirici ricordano a tratti alcuni schemi di sviluppo del materiale tematico come già si preannunciano, ad esempio, nell’Esposizione di alcune sonate, anche se quasi sempre in Fortini non si tratta di un ritorno esatto di versi, ma di toni e di atteggiamenti, cioè di rimandi meno facili da analizzare, ma tuttavia molto importanti per l’equilibrio di alcune liriche.

Così è per Sulle impronte, così all’incirca per Le sere di primavera a proposito della quale si potrebbe addirittura parlare di una vera struttura ternaria, sempre però senza concrete ripetizioni di versi: la parte centrale, satirica e «maldicente» si inserisce con un contrasto insolito allo stile di Fortini e conduce serrata al breve finale in cui tornano, con l’eco di una «speranza senza tempo», il paesaggio della sera nebbiosa di primavera, le voci e i suoni vicini, dell’inizio della poesia.

Almeno altrettanto interessante è lo svolgimento delle immagini sul filo del ricordo, introdotto da alcuni versi di limpida purezza di colore e di suono in II tuo nome. Un breve tratto di tono apparentemente «narrativo» (Poz vidi la città coi suoi recinti. . .) è sufficiente per dare una stringente logica espressiva alla ripresa del ricordo che, passato a sua volta, si precisa rispetto ad un più lontano passato spezzando inesorabilmente la trama del tempo.

In Lea invece le riprese di frammenti di immagine sono gli elementi di un gioco tematico più aperto, espressione di un’ansiosa ricerca di quadri compiuti di ricordi che tuttavia sfuggono per ripresentarsi a tratti con acuta evidenza. Ma siamo già al limite di un’altra strada, nella quale la struttura dello sviluppo delle immagini è affidata a precise indicazioni, parole e frammenti di versi.

Ad ogni modo Fortini non compone mai per mezzo di semplici elenchi di immagini (secondo un vizio troppo diffuso tra molti più o meno giovani poeti contemporanei): egli avverte pienamente che la lirica va intesa quasi sempre anche nel suo svolgimento nel tempo: non giustappone quindi belle idee ma espone e sviluppa dei temi, a parte alcuni casi che - come quello di Estate (una delle liriche più deboli, a mio avviso) - rappresentano almeno parziali eccezioni.

Nelle prime composizioni è ancora abbastanza chiara la traccia degli ascendenti novecenteschi di Fortini: soprattutto gli ermetici esercitano su di lui un’influenza che gli serve ad eliminare molte possibilità di scoperto «contenutismo», a trovare, in alcuni casi, la via della sintesi in un discorso quanto mai articolato e complesso......omissis.....

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Due acquaforti di Battistoni



Arnaldo Battistoni -  Interno con figura - acquaforte
 

 



Arnaldo Battistoni - Composizione N.3
acquaforte maniera pittorica
 

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Giuliana

Non taci misero cuore
pur se non oscillano i capelli
tra la nebbia dell’adolescenza perduta;
Giuliana alla vampa diffusa di ponente,
delirio di passi trascinati,
palpito vivo degli occhi assorti
sull’erba bruciata di Loreto,
serpeggia una fuga
attorno ai cipressi austeri
perchè la seta svolazzi
sul corpo ricadente.

Con l’angolo delle braccia sui fianchi
la depone un risucchio
dal fondo sconvolto d’una trebbia.
Avanza, indugia, si volge:
annega i capelli nel sole calante
in una lenta ubriaca tortura.

 

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