ZENO FORTINI:
poesie - LEI |
QUADERNI DI AD LIBITUM
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Introduzione L’esperienza di una attenta lettura delle liriche di Zeno Fortini rischia di non trovare sufficienti corrispondenze o analogie significative nonostante tutto quel che di esemplare e di tipico il libro di Fortini non manca di presentare. L’atteggiamento che il poeta assume di fronte alla materia dell’arte conserva (o ritrova) un carattere fondamentalmente romantico nella volontà assoluta dell’espressione essenziale e distesa, ma non per questo involuta o troppo scopertamente carica di artificio; nella capacità, in altri termini, di cercare a qualunque costo la corrispondenza il più possibile esatta tra l’immagine e il procedere del verso, tra ritmo interiore, Idea, e suono concreto, significato, dato afferrabile e comunicabile. Questo è un problema assai antico e le soluzioni di Fortini non sono in questo senso né nuove né vecchie: sono solo - nei casi migliori - sorprendentemente esatte, di un’evidenza addirittura cristallina. Sarebbe oltremodo interessante un’analisi dettagliata della struttura formale di alcune liriche di Fortini, a condizione di includervi, allo stesso titolo, i motivi conduttori e le trame metriche, il ritmo del verso e quello dell’immagine poiché, come un maestro antico, il poeta sembra svolgere il suo canto senza problematiche soste alle soglie della tecnica e il pensiero stesso è già prima di tutto forma significato, poesia. Talvolta si potrebbe avere per questo l’impressione che queste liriche siano nate già così come sono, il lavoro sembra cancellato, il verso si svolge con sicurezza a suo modo assoluta, anche se ad una attenta riflessione gli elementi costruttivi, le «strutture portanti» non mancano di rivelare tutta la loro determinante funzione. Questo non può quindi in nessun modo condurre alla impressione di una lirica «facile» in quanto incapace di rompere gli schemi di forme ormai acquisite e in qualche modo involutive: il dominio della forma, carattere distintivo della maturità di un artista, è un fine che nessuno può trascurare di perseguire e l’importante non è sempre costruire nuovi principi formali: questo è infatti decisivo solo per il destino di una cultura nel suo complesso. Dal punto di vista strettamente artistico è fondamentale che il linguaggio e la materia diventino composizione, lavoro compiuto e coerente, espressione senza squilibri. E penso che pochi tra i giovani poeti contemporanei rivelino di tutto ciò una coscienza così precisa e sicura, addirittura orgogliosa, perché risultato di un continuo «scontro» interiore tra il pensiero e le necessità dell’espressione, tra il primo manifestarsi di motivi conduttori e le ineliminabili esigenze del linguaggio, quando tra questi elementi è possibile o necessario distinguere pur con la piena coscienza della loro superiore unità: è anche in tal senso che Fortini è un artista moderno in un senso abbastanza ampio ma non generico. I richiami frequenti e piuttosto chiari a schemi stilistici di tipo classico-romantico non contraddicono l’ultima affermazione, ma ne precisano il senso ed aiutano a penetrare più in profondità nella situazione culturale dell’artista: non si tratta ovviamente di pure e semplici «citazioni», secondo un procedimento abbastanza consueto a molti dei nostri giovani scrittori, soprattutto nel campo del racconto e della lirica: in questi casi, alcuni dei quali abbastanza noti, la citazione o addirittura il completo «racconto in stile» tendono di volta in volta a creare un tono, un taglio particolare, si inseriscono in un clima di vivace ricerca stilistica ai confini con l’avanguardia e il linguaggio rivela sempre nella sua natura dichiaratamente «artificiosa» una notevole funzione ironica che può essere a sua volta un presupposto per il brillante progredire della ricerca stessa. Per Fortini il discorso è del tutto diverso: si vedano, a puro titolo di esempio, All’ombra creduta o L’autunno avrà l’uva nei cesti. I moduli stilistici, i giri di frase ancora parzialmente classici (o «primo novecento») sono strutture alle quali egli sente di poter aderire completamente nel senso che le immagini tendono già al loro apparire verso quei ritmi, quelle parole, quelle frasi, benché l’unità espressiva sia sempre il risultato di un lavoro complesso: siamo ben lontani (lo precisiamo ancora per evitare equivoci) dal sostenere la «spontaneità» della lirica fortiniana, mentre notiamo che il verso non si limita mai a «rivestire di parole» concetti e pensieri, ma è sempre diretto, nei casi migliori, all’identificazione di immagine e discorso, quasi come un inciso tematico di musica strumentale. Ancora qualcosa di fondamentale la poesia di Fortini ha in parallelo con l’arte musicale: i caratteri dello svolgimento dei temi e dei toni lirici ricordano a tratti alcuni schemi di sviluppo del materiale tematico come già si preannunciano, ad esempio, nell’Esposizione di alcune sonate, anche se quasi sempre in Fortini non si tratta di un ritorno esatto di versi, ma di toni e di atteggiamenti, cioè di rimandi meno facili da analizzare, ma tuttavia molto importanti per l’equilibrio di alcune liriche. Così è per Sulle impronte, così all’incirca per Le sere di primavera a proposito della quale si potrebbe addirittura parlare di una vera struttura ternaria, sempre però senza concrete ripetizioni di versi: la parte centrale, satirica e «maldicente» si inserisce con un contrasto insolito allo stile di Fortini e conduce serrata al breve finale in cui tornano, con l’eco di una «speranza senza tempo», il paesaggio della sera nebbiosa di primavera, le voci e i suoni vicini, dell’inizio della poesia. Almeno altrettanto interessante è lo svolgimento delle immagini sul filo del ricordo, introdotto da alcuni versi di limpida purezza di colore e di suono in II tuo nome. Un breve tratto di tono apparentemente «narrativo» (Poz vidi la città coi suoi recinti. . .) è sufficiente per dare una stringente logica espressiva alla ripresa del ricordo che, passato a sua volta, si precisa rispetto ad un più lontano passato spezzando inesorabilmente la trama del tempo. In Lea invece le riprese di frammenti di immagine sono gli elementi di un gioco tematico più aperto, espressione di un’ansiosa ricerca di quadri compiuti di ricordi che tuttavia sfuggono per ripresentarsi a tratti con acuta evidenza. Ma siamo già al limite di un’altra strada, nella quale la struttura dello sviluppo delle immagini è affidata a precise indicazioni, parole e frammenti di versi. Ad ogni modo Fortini non compone mai per mezzo di semplici elenchi di immagini (secondo un vizio troppo diffuso tra molti più o meno giovani poeti contemporanei): egli avverte pienamente che la lirica va intesa quasi sempre anche nel suo svolgimento nel tempo: non giustappone quindi belle idee ma espone e sviluppa dei temi, a parte alcuni casi che - come quello di Estate (una delle liriche più deboli, a mio avviso) - rappresentano almeno parziali eccezioni. Nelle prime composizioni è ancora abbastanza chiara la traccia degli ascendenti novecenteschi di Fortini: soprattutto gli ermetici esercitano su di lui un’influenza che gli serve ad eliminare molte possibilità di scoperto «contenutismo», a trovare, in alcuni casi, la via della sintesi in un discorso quanto mai articolato e complesso......omissis.....
Due acquaforti di Battistoni
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