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Mario Agnoli           POESIA                    Esperia

Prefazione
Mario Agnoli
G.Bonacchi
Gazzarrini
Presentaz.
a Firenze
Presentaz.
a Pistoia
Perché Eravamo Perché tu sei
la mia vita
Ricordi
Le donne La solitudine La mia ora L'uomo dell'Africa Inizio
Indice
I cicli
del tempo
Piange la
Trabaria
Dimensioni del tempo La mia
terra

 

Giraldi Editore, Bologna  2010

 

INDICE

 

Prefazione di M. Agnoli

p. 5

Una lunga eredità  di G. Bonacchi Gazzarrini

p. 6

Esperia

p. 11

Perché

p. 13

Eravamo

p. 14

La sorpresa

p. 15

Poesia triste

p. 16

Il triste autunno

p. 18

Elegia

p. 19

Le mani aperte

p. 20

Un ricordo

P- 21

Il deposito dei sassi su una pietra tombale

p. 22

Perché tu sei la mia vita

p. 24

Deportati

p. 25

Il suono delle campane

p. 27

Giorno di festa

p. 28

Giugno

p. 29

Il nero fumo

p. 30

Le voci di Saint Maio

p. 31

Anima

p. 32

Ricordi

p. 33

Il sogno

p. 34

Immagine

p. 35

Un altro perché

p. 36

Divagazioni sul tema natura

p. 37

Variazioni sul tema della fuga

p. 38

Capriccio marino

p. 39

Illusione

p. 40

Anelito

p. 41

 Dove finisce la speranza

 p. 44

L’amore

p. 45

Gente di borgo

p. 46

Il muro

p. 47

4 novembre

p. 48

La fretta

p. 49

Avvento

p. 50

Autunno

p. 51

I casi

p. 52

Senza titolo

p. 53

Le farfalle

p. 54

Le donne

p. 55

La mia terra

p. 56

La solitudine

p. 57

Il ritorno

p. 58

La mia ora

p. 59

Come sono le stelle

p. 60

Nutrimento di follia

p. 61

Non ho

p. 62

Non conosco

p. 63

La rondine ed altro di un
frammento senza nome

p. 64

L’uomo dell’Africa

p. 67

Le ragioni del tempo

p. 68

Preludi

p. 69

Rimembranze

p. 73

Epigrammi

p. 76

I cicli del tempo

p. 81

 Piange la trabaria  p. 82
 I fiori  p. 82
Le dimensioni del tempo  p.83

 

 
 

INIZIO PAGINA

Prefazione dell'autore

 

Il termine “Esperia” non è rinvenibile nei dizionari della lingua italiana. È una parola che si nutre di assonanze: il riferimento diretto è all’idea della speranza, ma contiene anche un richiamo a “Esperò”, la “stella della sera”, quella luce che compare in cielo nell’ora

........................... che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;

e che lo novo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more...

(Dante, Inferno Cap. VIII)

In questa tarda maturità di vita infatti la linfa vitale della speranza si intreccia con la nostalgia delle persone perdute e delle esperienze ormai concluse; ma rimane intatto l’incanto del giardino interiore delle “Esperidi” (ultimo e più nascosto collegamento semantico), dove l’albero dai pomi d’oro della poesia risplende nella luce sempre viva dei sentimenti e dell’appartenenza umana.

Mario Agnoli

 

Una lunga fedeltà di Giovanna

 

Con il ricorso di scadenze decennali ho letto e riletto le nuove poesie di Mario Agnoli, attratta da un’affettività pudica, vigilata, mai retorica, da una metafisica consegnata a un passo feriale, da una salvezza provvisoria e breve. Per quanto ritenga antipatica l’autocitazione, non posso fare a meno di richiamarmi a una segnalazione iniziale. Proprio recensendo Ozi d’agosto (1988), parlavo dello “strano racconto” di Agnoli, “dove nulla accade e tuttavia si presentisce un dramma: come tale può essere letto in chiave di storia d’amore, che è anche storia di un incontro e di una separazione. Diversamente, consente di essere interpretato quale avventura dell’essere e del pensiero, o come metafora della scrittura, perpetuo esilio senza conciliazione, vettore di solitudine e di contrapposizioni programmatiche”.

Da allora Agnoli ha intensificato il suo prezioso isolamento, la sua strategia dello stare fuori dalla mobilitazione generale di un’industria culturale sempre più distratta e spietata, fedele al rigore interpretativo di una poesia ‘in sottovoce’, ma non priva della forza e della purezza di una contemplazione metafisica. Così, con Esperia (2009, dopo la tappa interlocutoria di Essenze (1999), il percorso poetico del viaggio autobiografico di Agnoli va incontro alla sua più profonda natura metaforica. Qui, nel nuovo libro, l’affettività si fa più esposta e radicale, mentre la ‘metafisica’ diviene il luogo delle domande estreme, dell’oltre in cui si incurva “la ragione/con la vita che muore senza sogni” (Poesia triste), di una speranza appannaggio di “rondini in attesa dell’onda” (Perchè).
Si tratta di una macchina poetica arresa allo stupore ‘causato’ dalle armonie naturali: dal volo degli uccelli ai mestieri dei campi, alle stagioni. Tra echi leopardiani (Giorno di festa) e pascoliani (Il suono delle campane) la cosmogonia di Agnoli pullula di “lichene” odoroso, di “betulle gestite dal vento” (Ricordi), di “fiori, d’altre verzure/raccolti entro verdi cappucci” (Immagine), di “acque piane” e di “cento rogge/aggrappate alle deboli radici” ( Variazioni sul tema della natura), di “sole recluso”, di stelle “comegocce di luce/appese alle soglie del nulla” (Come sonole stelle), di “sfere di ghiaccio/dove l’orizzonte s’accende./Uno sciame d’api toglie/al vento essenze sfiorite” (Anelito). Anche la speranza “un tempo era appesa/ tra germogli rampicanti/[..Infine venne il disagio/e tutto sembrò senz’ombra/immobile nel deserto dell’anima//La speranza, tra mura di siepe/fu sensazione d’attesa” (Dove finisce la speranza). In un’osmosi di immanenza e trascendenza, di reversibilità continua fra naturale e psicologico, tutto viene salvato nell’eterno presente dell’interiorità: dal filo d’erba, al passero, al mare, al “sapore del vino”, alle “siepi malconce”, al “dolce divenire delle stelle”, alla “nebbia tra Tacque del rigoglio/d’autunno” (4 novembre).

Nella parola poetica, dunque, viene fatto coincidere un processo che va dall’essere all’esistere, in una interiorizzazione di paesaggi e figure affidati ai ricordi, a impronte che si convertono in meditazioni. E sono le doline dell’amato Cadore, indimenticata terra d’origine: “Tre valli, tre fiumi/Un solo ricordo/Una sola radice/[...] Ed il mio borgo antico appare/Sorpreso tra le nebbie che alte/S’alzano dal fiume/Come ali incerte tra terra e cielo” {La mia terra)', “il trenino/Di bianco e d’azzurro/[...]l’eco dei freni/Ad intervalli/Come il soffio del vento”[...] “la mia casa/Così lontana, così vicina/[...] il viottolo” {La stazione)', “il dolce ritaglio del volto” {Epigrammi) delle donne amate in luce d’anima come la madre. Soprattutto, è un visiting angel dai capelli d’oro, fragile e fugace, a raccogliere la tenerezza di “impressioni rapide”: “la vita ti lasciò/incredula/in mezzo al guado/sulla pietra appena scalfita.//Rimase[...] la malinconia come languore/entro gli occhi di cielo:// [...]il perché/nel dedalo d’amore/riluttante da sembrare disagio/sospeso nel vuoto/[...]nella trasparenza/nell’arte
indovine/d’etemo {Il triste autunno). Il ritrovamento e la ricomposizione dei nessi affettivi, per Agnoli, non sono mai indenni dall’usura del tempo, dell’inquietudine, del dubbio; in modo da rendere l’approssimazione al vero metafisico un’inchiesta disperatamente lucida sull’assedio vittorioso del negativo.
L’accento di questa realtà che si squaderna davanti agli occhi del poeta nella sua metamorfosi incessante e vitalità contraddittoria, per disvelargli le proprie falle esistenziali, potrebbe sembrare antico, anche per la scansione strofica in terzine e quartine o nell’alternanza di versi brevi e lunghi, se non intervenisse la presenza dell’uomo del Novecento ‘stregato dal dolore’. “È il dolore che soggiace inerte/privo di ansia, in attesa d’essere/ragione d’urlo prima della morte”(.Perchè). “Mi sono chiesto perché. Fu silenzio./Lo compresi dalle foglie immobili/sui rami adulti, dal lento volare/del passero, dal senso mutevole.//Rimase nulla, inspiegabilmente nulla, e fu dolore senza fine.” (Poesia triste). Non a caso il tema della morte insieme a quello del dolore e dell’assenza di “formula che mondo possa aprirti”, montalianamente parlando, diviene uno dei centri tematici di irradiazione dell’ultima produzione.
Anche solo da questa rapida elencazione appare evidente come il nuovo libro poetico di Agnoli rappresenti un punto di arrivo e una ricapitolazione di tutta la vena umanistico/classica (modello/miraggio la lirica greca) e naturale in cui, insieme al punto di vista   linguistico, si giustappongono le due ‘anime’ del poeta, quella ‘letteraria’ legata alla tradizione lirica otto - novecentesca di Leopardi, Pascoli, Montale, Ungaretti, e quella della ‘terra’. Ma farei un torto all’uomo pubblico, esperto di studi giuridico-filosofici da gran commis deH’amministrazione comunale che ha scoperto, innanzitutto, di essere un poeta, se non accennassi al suo impegno sociale e civile, se ne coglie un riflesso ne L’uomo dell’Africa, dal “cuore puro/l’occhio aperto ai colori del tramonto/l’udito all’armonia dei suoni della foresta”, contrapposto al manichino materialistico della civiltà occidentale.
Rappresenta una conferma ulteriore di come il cosmo poetico di Agnoli contenga una miriade di universi e  controuniversi creaturali in una ininterrotta meditazione sul tempo che si fa spazio: “Un fremito d’ala/ ed è solitudine/mi ritrovo come un guscio spento/sopra ceneri/tolte alla noia//In quest’ora serotina/la pietra/del finito/nell’infinito/s’è raccolta sui viottoli di terra/macchiati di verde” (La rondine ed altro di un frammento senza nome).

Giuliana Bonacchi Gazzarrini
Firenze 2009
 

EravamoRicord

INIZIO PAGINA

 

Perché

 

Forse è nelle cose che rivedo
il convenire distratto dei sogni

o nelle cure d’inconsci pensieri.

Non saprei: li sento più leggeri
d’un andare di vento, d’un sciogliere
di fronde lungo i rami d’abete .

 

Questi ritorni d’antico recano
favole d’orchi e storie di silenzi,
del tempo delle istanze senza fine
come appese a fili di seta.

 

È più dolce il sonno che non svela

o il sopire distratto nella sera
con le ombre in rotta sulle onde
di sole chino sull’ orme di verde?

Sono come le grida nella notte
germogli d’altro giorno senza fughe.

 

È il dolore che soggiace inerte,
privo di ansia, in attesa d’essere
ragione d’urlo prima della morte.

 

Il viaggio è breve: un calare di fronda,
un fiore spento, un secco filo d’erba.
Siamo del nulla appesi alla speranza,
come rondini in attesa dell’onda

 

 

i

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Perché tu sei la mia vita


Perché tu sei il dolce regredire
che rapido si consuma nella mia carne.


Perché nessuno spazio si riprende
fuori di quest’archi
che d'un verso s’allentano
sulle aspre doline del sogno.


Perché nel lento venire
del mutevole mio pensiero
raccolgo immagini del tuo virtuale.


Perché inagibili sentieri
vengono all’indietro sollecitando
identità che penso, che non conosco.
 

 

INIZIO PAGINA

Eravamo


Eravamo nell’indugio
come pietre affioranti
come rivoli addossati.


Eravamo nell’attesa
d’un segno
vi fu solo una nube
un’immobile apparenza.


Eravamo aggrappati
a spezzoni di roccia
come stelle, come rovi.


Ora il richiamo è spento
forse s’illude di essere
provvisoriamente ignoto.


Poi fummo nel silenzio
impauriti della luce
Senz’ombra.

 

 

 

 

INIZIO PAGINA

Ricordi

Avevamo alcuni prati
di qua del monte, al taglio
odoravano di lichene.
Alcune betulle gestite dal vento
recavano dolci spazi di quiete.
In quest’altra stagione
ove sorprendono le ragioni dell’essere
mutuano i silenzi, nebulose avanzano
le morte stagioni.
Eravamo soliti graduare
quelle snelle terre che scendevano
al piano. La gioia correva d’incanto
col respiro del ritorno.
Alla sera, ogni sera d’estate
con i campanacci scomposti,
il canto scioglieva i vespri.
Ricordare è amare, perché rimane
accosto il senso della vita.
Ricordare è una cognizione
a cui il tempo affida finite cose
e minuti pensieri e ritorni d’ansia.
Avevamo alcuni prati di qua del monte, al taglio
odoravano di lichene,mia madre attendeva
sulla soglia del casolare, trasognata
forse d’altri ricordi, d’altri luoghi.
 

 

 

donne

 

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Le donne

 

Erano in tre a scoprire
angoli d’antica polvere
nutrire foglie d’ umori.
Poi scioglievano accordi
intuiti
lungo diversi sentieri.
Maria era per il canto
razziato tra lembi
d’ambiguo ricordo.
Luisa era per le rapide forme
al voler di concreto.
Giovanna era per l'immagine
che veniva d’estro antico.
Erano in tre alla sera
raccolte
ai ceppi di ginepro
per ricordare
per rimuovere
per ricucire altre veglie
fuori del tempo.
 

 

 

solitudine

 

INIZIO PAGINA

La solitudine

 

Quella solitudine sembrò infinita.
Lo fu come d’incanto
Impenetrabile.
Quando provai ad amarla
fu improvvisa la sera

 

 

 

 

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La mia ora


È questa dell’ombra l’ora che vorrei
per quelle cose che tu non conosci.
Hanno ragioni d’immenso, segrete
che raccolgo nel cuore come il senso
del fiore sull’intorpidito stelo.
Lo è quel tanto che dolce ritorna
e m’illude di essere oltre il muro.
 

 

 

 

 

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L'uomo dell'Africa

 

Sei scalzo ma io ho scarpe di coccodrillo.
Sei affamato ma io ho la frutta esotica.
Sei abbandonato nel dolore del corpo
ma io ho ospedali con legni pregiati.
Sei senza servizi di trasporto
ma io ho l’automobile a benzina.
Hai l’amaro sorriso
ma io ho il gusto della materia.
Hai il cuore puro
l’occhio aperto ai colori del tramonto
l’udito all’armonia dei suoni della foresta
ma io ho l’angoscia dell’essere
che è come una grande cupola,
un deserto dove lo spirito diviene nulla.
Il tuo sentiero porta alla sorgente della vita.
Ora è il tuo tempo
quello delle sublimi inversioni.
 

 

 

cicli

 

INIZIO PAGINA

I cicli del tempo
...............
I fiori

 

Ho chiesto più fiori in arredo
di queste mie stanze
fredde per la tramontana.

Mi hanno risposto che quest’anno
il freddo ha mutilato gli steli.
Furono i vasi di cotto

a reggere l’illusione
come il ritorno improvviso
d’anime morte.
 

 

 

 

 

INIZIO PAGINA

Piange la Trabaria


Piange sulla Trabaria galavema
come d’onde bianche di neve appena
sdruciata, e finite foglie vanno
nella fretta ventosa alle balze
del Metauro. Piange anche il cuore
nel rivenire all’altre terre avanti
allo schiudere d’anse tiberine
e via ai dolci colli che di fretta
vanno alle velate sponde d’Arno.
Perché questo è tanto in natura?
Non conosco i segreti dell’essere
né del venire casuale; sospesi
come d’attesa, restano misteri.
 

 

 

 

 

INIZIO PAGINA

La dimensione del tempo


Sono le pieghe assopite sulle convenzioni
che segnano il tempo
o il venire di natura ? Non saprei,
mi smarrisco tra le cose senz’ombre
come foglia tra l’ultime fronde.


O forse è la poesia che mi coglie
pellegrino di terre interminabili.


Non saprei. Qui tutto ha sembianze
d’inerzia: accede ai silenzi
frettolosamente per non pensare.

 

 

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

Parte impetuosa del Boite

 

 

Valle Agordina

 

La mia terra

 

Tre valli, tre fiumi,
un solo ricordo
una sola radice
il Cadore e il Boite
sono della mia carne
lo Zoldano e il Maè
sono delle prime esperienze
di lavoro e d’altro che m’illuse
l’Agordino e il Cordevole
sono dei miei sogni
in quel tempo di ogni mia stagione
che ora vado cercando nei ricordi
altrove mi ritrovai pellegrino
anelando invano alla quiete
ed il mio borgo antico appare
sorpreso tra le nebbie che alte
s’alzano dal fiume
come ali incerte tra terra e cielo

 

 

Val Cordevole

 

 

Nebbia sulla valle

 

 

Presentazione a Firenze



 

Presentazione a Pistoia



 

 

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Presentaz.
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