Inizio/ prefazione |
Indice |
I simboli della mia... |
Il Dolore | Il perché | La storia |
L'ultimo grido |
Mario Agnoli: la parola e il labirinto
La poesia, quando non cede ad autocompiacimenti, svolge un lavoro
indispensabile. Porta alla superficie le ombre e i significati nascosti.
Là dove lo stesso autore non sa o non riesce a motivare, l’occhio
scrutatore e la sensibilità spiegano. Agnoli è uomo pubblico impegnato nel settore del diritto amministrativo. Di pari passo, per quanto la parola sia trattenuta nell’ambito di una sua riconoscibile semanticità (luce, ombre, stelle, fortuite trasparenze, segrete forme, deserto, fronde ultime, “inducono segrete geometrie” nell’indagine poetica), l’irrequietudine pesca nel magma linguistico postmoderno, tra italiano letterario, parlato, linguaggi tecnici, neoplasmi, contaminati per di più da forzature sintattiche e grammaticali, come “Le ipotesi / che vengono dal profondo / gambizzate da un raggio di sole: / vicine alla terra / sullo stelo divenuto nano”, (A Dario Bellezza). Si tratta di una riappropriazione linguistica all’interno di uno spazio-monodilatato fino a raccogliere tutte le possibili esperienze del soggetto, ma anche bloccato a specchio dei suoi umori e tensioni (“È tutto azzurro / tra i murazzi anneriti. / Ed il verde reclina / dove scomponesi il dettaglio. / Questo instabile di cose / non raccoglie alcun sentiero / sembra stralcio di segni / incomposti / Frammenti dell’indefinito”, Il cielo). Lo sguardo resta vigile, fermo su un contesto che, pur cambiando, amplifica l’eco di acquisti non arricchenti. Una condizione per cosi dire leopardiana viene aggravata dalle opere dell’uomo, dall’assenza di maestri, da mancanze che non possono essere ignorate (“Dove il mito s’apre agli intervalli / d’antica luce, soglionsi adunare / l’ombre ed il nulla si rifà profondo. // Ma oltre il dosso, che colma il piano / nubi inesperte s’addensano. Freme / anche il passero per quel tenue cielo. // Lasciate all’onda verde / spazi d’immenso / la noia attende”, I prolegomeni). Sono i segni inequivocabili della tragicità immanente nell’utopia novecentesca condannata ad apparire astorica. L’ultimo argine è affidato alla potenzialità umana del sogno della poesia che attinge alla profondità della coscienza. In ultima analisi, direi che la poesia rappresenta per Agnoli un impegno quotidiano, senza margine di astuzia, praticato controcorrente, ostinato a ribadire il tasto di pochi affetti, civile in assenza di pronunciamenti politici, illuminato da improvvisi guizzi sulfurei, un banco di prova per capire gli eventi che abbiamo attraversato.
Giuliana Bonacchi Gazzarrini
|
||||||||
[Cliccare sulle voci evidenziate per leggere la poesia]
|
||||||||
43- L’ispirazione 50- Il perché
51- Il mio fiume |
91- I fili del tempo
95- L’ultimo grido
100-L’ombra |
Inizio/ prefazione |
Indice |
I simboli della mia... |
Il Dolore | Il perché | La storia |
L'ultimo grido |
ALCUNE POESIE
l’inconscio, l’anima, il sogno, il segno,
il tempo e le stagioni Sono ormai essenze naturali.
inusitato. Sembra salire dal Metauro e dall’altre valli sui calanchi che scendono giù al Foglia come rituali maestrie
d’ambigue cornacchie. risucchia, dai grappoli inargentati, il canto
che sostiene la vita, trovai l pianto in ogni ragione dell’essere. Rimasi nel mio nulla, inseguendo. Mi trovai
subito nella noia siderale.
fu la ragione del dolore.
della vita che amai soffrendo (per quel male)
indefinibile concetto. un soffio di vita s u finite cose.
nascondono bastioni d’aria incerta, rimangono apparenze:
inspiegabilmente.
raccoglie il senso della storia:
che non è solo mutare. indistintamente: come greggi.
di non cure. Di desolazioni.
incurabile il dissidio sospinge alla quiete del nulla.
che non rivela?
non si rinnova: muore.
L'ultimo
grido
rifiutiamo
dalle apparenze virtuali.
esuli d’altre terre,
lombrichi senza fretta.
|