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Mario Agnoli               POESIA           Fili d'erba

 


 

Rivista Quadrimestrale di Poesia e Critica Letteraria

Comitato Direttivo: Alberto Armellin, Giancarlo Bachini, Fausto Ciompi, Sauro Damiani, Pierangiolo Fabrini, Helle Nyberg, Elena Salibra Manca.

Redazione: Alberto Armellin [con la collaborazione di Lionella Carpita]

Anno XIV, n. 3, Dicembre 2012

 

 

VORREI

 

Io vorrei che qui all’ombre

del tempo alte sciolgano catene

onde randagie di ceppi fangosi.

 

Le vorrei d’un senso meno vago:

nel dolce convenire delle ore

a danzare su fili di edera,

tra spighe mozze da vento di sera

con i suoni dell’arpa tra le forre,

i gerani sfioriti, i notturni.

 

Non vorrei ritorni alle grida

di questo mio dolore che preme

come il nulla che non rinvia:

cancella

 

 

 

LA MIA VITA

 

La mia vita è trave variopinta.

Scene inscindibili travalicano

il  senso informe della mia anima.

Lento il fuoco incede sulla cenere assopita

per non morire di asfissia,

d’inutile rappresentazione.

 

Sono dettagli d’inizi sottili,

aghi indistinti disseminati

sulle soglie del bosco irretito.

 

Nel suo tempo il passero sornione

attende l’estro di colombi randagi,

le briciole dell’ultima sequenza.

 

 

FILI D'ERBA

Poeta lirico per vocazione, uomo di intense passioni, di grande cuore e, ancor più, di umiltà unica, Mario Agnoli scandaglia in profondità le “domande estreme” della vita per decifrare la verità e sciogliere l’enigma di bigongiariana memoria, agendo sulla parola e sui silenzi.

“In un’osmosi di immanenza e trascendenza, di reversibilità continua fra naturale e psicologico, tutto viene salvato nell’eterno presente dell’interiorità”, chiosa Giuliana Bonacchi Gazzarrini prefando i versi di Esperia del poeta, che in quella silloge ricorda come “Il viaggio è breve: un calare di fronda,/ un fiore spento, un secco filo d’erba./ Siamo del nulla appesi alla speranza,/ come rondini in attesa dell’onda” (v. Perché, p. 13).

In Nati dal vento, sua ultima fatica in uscita per i tipi della Giraldi Editore di Bologna, l’indagine si dilata sui significati simbolici, profondi e variegati che ruotano attorno al tema dell’identità, con il passato che preme nel tempo della malinconia, ora nostalgia nel ricordo.

In sintonia con un crescendo interiore lacerante, questi tre inediti stimolano ricerche ancora più pressanti sui problemi dell’essere, sui principi primi della realtà autobiografica e universale, per trovare un filo di pietà cui aggrapparsi e così salvarsi dalla deriva di una solitudine cosmica e umana.

Sono liriche che vengono dall'oltre: dal muro, dove nei disguidi del possibile si cerca con Montale il varco salvifico; da quel muro che, come siepe leopardiana, piega l’orizzonte allo sguardo smarrito sul “ristagno di pensieri nel profondo lago della memoria”.

Sulla “cenere assopita” di una vita al tramonto (“grande albero ormai disadorno”), “lento il fuoco incede/ per non morire di asfissia” nella speranza, mai sopita, di cogliere le briciole, almeno quelle!, di un ultimo “segno nuovo”, quello della poesia sopravvissuta “all’onda di sabbia” come un semplice filo d’erba, di cui si vogliono carpire i segreti imperscrutabili del suo vivere e morire.

L’indagine estetica ricercata nelle liriche dell’Agnoli ci pone ora anche la domanda sull’inquadramento di questi componimenti nell’attuale contesto letterario. Pur essendo presenti forti retaggi del passato, rinvenibili nella lirica moderna otto-novecentesca (Leopardi e Pascoli, in particolare), s’individua, come attitudine privilegiata, la ricerca del bello e la necessità, una volta definito, di fermarlo nel tempo “tra spighe mozze da vento di sera/ con i suoni dell’arpa”. Indubbiamente emerge qui uno stile poetico puro, proprio e originale. In particolare nel coniugare puntualmente gli elementi della natura con quelli dell’essere, in modo da caratterizzare una felice simbiosi.

Fabio Flego
 

 

LE ULTIME FESTE

 

Questa d’anno nuovo rimuove l’altre feste,

con i magi d’oriente, i colori della natura,

ancora sbiaditi dai riflessi di luce opaca.

 

Non rimuove il senso delle cose indovinate

né le illusioni che vanno nel futuro,

come le ombre all’orizzonte serotino.

 

Forse è un ristagno di pensieri

nel profondo lago della memoria.

Il divenire è nel reale

raccoglie soltanto le fronde

del grande albero ormai disadorno.

 

L’arco della speranza

costruito nell’attesa

si decompone come una traccia

di nube bianca sul cielo infinito.

 

Rimane soltanto un foglio

di carta velina per un segno nuovo.

 

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