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Mario Agnoli            POESIA          Frammenti di un poema

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della vita

 

PRESENTAZIONE  di  MICHELARCANGELO GALLI


L'autore ha voluto intitolare questa silloge lirica «Frammenti di un poema» ed il lettore, naturalmente, si chiederà quale sia la natura di esso poema e perché, poi, risulti costituito da «.Frammenti».

La domanda è legittima e così la richiesta di chiarimento riguardo al titolo da parte di chiunque sì accosti ad una qualsiasi opera di poesia, perché quest'arte presuppone e richiede già di per sé una certa «iniziazione» ed esperienza critico-culturale oltre che un naturale gusto estetico; ci è parsa, allora, tanto più doverosa, da parte nostra, la necessità di dover spiegare anche il titolo della presente raccolta, proponendoci di volere indirizzare ed aiutare qualsiasi lettore a penetrare lo spirito ed i valori più. autentici di essa che, in particolare, si distinge da altre proprio per un suo peculiare ed intrinseco aspetto: ci riferiamo, cioè, alla presenza nelle liriche di un che di sfuggente, di misterioso, di incompiuto, che si intuisce ed avverte, talora, costituendo parte rilevante dell’intima essenza di esse, con tutto il senso ed il fascino, quindi, del «frammento», dell'«eco» sommessa di una voce lirica rotta spesso alla commozione o all'incanto o, addirittura, al silenzio del pianto o del sorriso, davanti all'amore, alla natura, alla vita, in quei momenti cruciali per l'anima di tutti, quando i moti più intensi e profondi di essa ribollono o languono diventando a volte tumultosi e prorompenti, spesso stagnanti e silenti, ma non tanto da rinunciare a tradursi in sentita poesia delle cose, ora accesa, ora lieve, ma certamente poesia.

«Frammenti», dunque, queste liriche, di un sentimento, di una solitudine, umana e poetica, che si arresta spesso sgomenta davanti al reale o al mistero col singhiozzo, specie quando scopre il dolore che è al fondo della vita dell'uomo, nella sezione del libro intitolata «ricerca» (là dove più sofferta, intensa e promettente di successiva e ancor più interessante maturazione artistica, la raccolta a nostro giudizio, si rivela), solitudine, dicevamo, prigioniera dell'ine- sprimibilità dell'io, dell'essere, chiusa tra le pareti robuste, insormontabili, del dramma e della lirica, ad un tempo, che creano e sostengono la vita.

«Non chiederci la parola che squadri da ogni lato / l'animo nostro informe... Non domandarci la formula che mondi possa aprirti... Codesto solo oggi possiamo dirti / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

Questa l'amara scoperta di Montale:
l'impossibilità, cioè, per ogni uomo, ma, soprattutto, la sconfitta dolorosa di ogni poeta davanti alla consapevolezza di non potere, né per sé, né per gli altri (per quanto nobilissimo e drammatico possa essere ogni suo sforzo e tentativo di «ricerca» tesa a penetrare il senso autentico dell'esistenza), cogliere o rivelare certezze assolute, o almeno parziali, frammentarie di quel mistero che ci avvolge e stringe e incalza e soffoca d'ogni lato tenendoci chiusi e delusi nell'unica «ricchezza», di un ricordo confuso di esperienze reali o metafisiche vissute o, forse, solo sfiorate, o, addirittura, solo intuite, o, peggio, sognate, come in un incubo, ed espresse poi a se stessi, agli altri, attraverso «... qualche storta sillaba e secca come un ramo», per dirla, ancora con Montale.

«Lucciole / spericolate lampare / sul mare di pietra», così, gli uomini anche nella visione di Agnoli, con la terribile «impressione di essere stati», perché «anche la vita è incerta», o, meglio, una certezza la dà, ma, « di che ?» si chiede il poeta, se non «di cose senza nome»... «di uomini aggrappati alla terra / per sorprendere le stelle», «di che?», se non «di luce, di ombra, di bianco e di nero / per distinguere il Nulla».

Restano comunque «le foglie / velate d'autunno che ci iniziano al tempio dell'amore», e della natura, ma non bastano a compensare le «sensazioni di tarde grida / disperse all'orizzonte / dell'Essere», come non bastano le «illusioni di fragili spighe / al limitare della breve estate», anzi pur esse contribuiscono a colmare la vita, «coppa di cristallo», fragile «coppa», che si riempie e «si vuota con le lacrime», ogni giorno e, se a volte, «si riempie di rugiada», sembra dire il poeta, è proprio perché, talora, al pianto degli uomini si associa, inevitabilmente, anche quello del cielo, in una intima, indissolubile tragica simbiosi di sofferenza che ogni creatura deve dividere con l'Essere.

E non basta a dare un senso alla vita neppure il dolce amore di Marina, cercata, inseguita «sul colle», «tra le prime viole», nel «respiro dell'età più bella», con l'animo incantato di un fanciullo alla sua prima esperienza d'amore, che, tra gli «aquiloni variopinti» sospesi nell’aria, cerca di capire il perché di quell’«eterno cullare / tra terra e cielo», di essi, della sua stessa donna, del suo amore; forse, perché ancora non sa, o non vuole, avere coscienza che dietro quel «cullare» c'é l'eterna incertezza ed il dubbio, non di un incerto alitare di vento o paura di donna, ma le paure di ogni umana creatura nell’incontro spaventoso col vero.

Certo, il poeta riesce anche a sorridere ed a riconoscere nei loro fremiti argentei di tronchi e di foglie le betulle della sua terra natia, e, come ogni uomo, ha le sue ricchezze e certezze cui aggrapparsi; ma, esse non bastano, perché l’artista possiede l’amara coscienza che anche sulle sue amate betulle incombe la comune fragilità delle cose, quel rischio costante di una possibile folgorazione o caduta, improvvisa e fatale.
Tant’è!

Del resto, non aveva già scoperto e parlato anche Èluard di un «silenzio» che avvolge la vita, di un «semplice stupore» davanti ad ogni «argomento», perché, seppure «tutto è sbocciato / il vento deterge oscuramente / il mare e il sole», e se un «tu», «un altro», o, «un'altra», può esserci, che «amplia» le nostre risposte e, pertanto, ci «avvinghiamo» «ai rumori» che ci «aiutano a vivere / su un sentiero ove l’eco ribatte in tutti i cuori», restano, pur sempre, su quelle ardue pareti, cui più avanti anche noi accennavamo, infisse, inesorabilmente, «uscio e persiane sbarrati» ?

E tutto questo diresti che anche l’Agnoli ormai sa ed ha scoperto, esprimendolo con parole semplici, col candore ed il ritegno di un Tagore, rispondendo con serietà crativa ai più genuini richiami di ogni vera poesia, rivelandosi poeta limpido, schietto, persino ingenuo, in qualche ricercata reminiscenza d'impronta classica o nell'inesistente descrittivismo lirico, sia quando dolcemente canta l'Amore e la Natura sia quando piangendo lamenta il dolore che avvelena l'Esistenza.

Michelarcangelo Galli

 

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INDICE

 

 

  5    Presentazione

 

                L' AMORE

15        A Marina

16        L’aquilone

17        Amore

18        Marina

19        Saffica incompiuta

20        San Giuseppe a Tomo

21        Ritorno

22        Marina, Marinella Dio mio come sei bella!

23        I colori

24        II piacere

25        Castelvecchio Pascoli

26        La morte del patriota

27        Droga

 

                 LA NATURA

31        Primavera

32        II Circeo

33        La prima neve

34        La mia terra

35        Tutta frusaglia

 

 

 

 

36        I moscerini

37        Parigi

38        Poesia araba

39        Tarquinia

40        Mattinata - terra di Puglia

41        Gargano

42        II treno della     Porrettana

43        Le case sparse   di Apuania

44        II treno delle     Cinque Terre

45        Granada

46        Immagini

47        La costa verde

 

               LA RICERCA

51        II mistero della vita

52        Le lucciole

5 3    Sigaretta

54        Dolore

55        Malinconia

56        Narciso

57        Distinzione:

58        Idee come foglie

59        Elogio della pazzia

60         La vita

 

 

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                                     ALCUNE  POESIE

 

 

IL PIACERE


Piace all’ombra

nascondere

mani di radice

e alla rosa

alitare
vento di pètali

e all’olivo vivere
lo sciacquìo dell’onda.


Piace al fuscello

correre
fra seni sassosi

ed alla quercia

supplire

culle d’amore.
                                                  anno 1982
 

 

 

DROGA


Sul selciato deserto

dolorano corpi senza nervi:

nemmeno le foglie offrono sudari,

vanno col vento alla ricerca del fiume.


Altri uomini

figli della notte

scantonano
appiccicati come larve.


Fratello
dammi la mano:

barattiamo la linfa dell'amore.
                                                       anno 1982
 

 

 

PRIMAVERA

È alto ormai nel cielo il sole
che già mi sembra del segno estivo,
e dolce corre tra verdi campagne
a scoprire i primi fiori ancóra
freschi di brina e aiuole schive
e verde aghi di terre lontane.

È questo il tempo delle prime bacche
fresche di muco abboccato dal vento:
tempo di gioia, di fughe spiazzate
dai tralci secchiti dal silenzio.
Lento il frusciare tradisce la vita
che a stento s’apre tra verdi germogli.
                                                             anno 1982
 

 

 

IMMAGINI


Non dirmi dove cogliere
pietre per arginare il torrente della tua anima.

Le trarrò dall’erba verde
dove l’olivo si piega come il salice,
dove prospera la vite inquieta.


Dove il cipresso succhia
ultima goccia d’acqua:
rende alla terra l’ombra della vita.
                                                             anno 1982
 

 

 

IL MISTERO DELLA VITA


È nella terra, nelle cose e nel cielo
la vita che produce
lenta come il costruire,
palmo a palmo,
con le ombre della sera.


È nel silenzio delle notti
il contagio delle stelle.
anno 1982
 

 

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