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Mario Agnoli         POESIA             Nati dal vento

Inizio pag. Presentazione
di Fabio Flego
Note
dell'autore
Indice Presentazione
a Pistoia
Alcune Poesie

 

 

 

 

 

 

In Nati dal vento è il passato che preme nel tempo della malinconia: quella che sorprende il poeta alla fine del giorno, con le prime ombre della sera.

Un filo d'erba tra il cemento, simbolo della tenacia della vita che può affermarsi vigorosa anche nelle condizioni più difficili, seguendo impenetrabili percorsi: è il mistero del vento che racchiude il seme della vita, della nascita biologica, psichica, spirituale.

L'identità, frutto di una lotta autobiografica e universale contro il dolore e le avversità, "rimane in bilico come una foglia nell'ultimo volo", ma si sostanzia attraverso l'amore "alito supremo che dà vita al germoglio, che non delude il silenzio, che s'inserisce in ogni pensiero".

E se la solitudine del poeta traspare incerta entro le frastagliate rocce della sua terra, a lungo evocata, con il timore che ogni profezia possa "essere soltanto un tragico raggiro", è ancora la memoria d'amore, ragione intima di ogni connessione, a trasformare la malinconia in nostalgia, il dolore in un'ansia che "non s'avvede d'essere ricordo".

Mario Agnoli   
 

 

 

 

Poesie come tessere di un mosaico
di  Fabio Flego


Hai decifrato i segni dell’enigma?
Hai ascoltato la voce del possibile
fin dove le prove sono in mano all’impossibile?
(Piero Bigongiari, "Dove sei andato?",
in "Tra splendore e incandescenza", 1996)

 

I nati dal vento sono quei fili d’erba e quelle piantine che crescono nelle fessure del cemento, ai margini dell’asfalto, negli interstizi fra i mattoni e le pietre dei muretti, nelle gronde delle terrazze, ovunque un seme possa posarsi trovando una manciata di terra in cui attecchire.

Queste piccole creature parlano alla mente e al cuore dell’uomo: sono il simbolo della tenacia della vita, che riesce a svilupparsi anche in condizioni molto difficili, talvolta con imprevedibile vigore.

La loro presenza suscita domande: perché dallo sciame dei semi errabondi nell’aria proprio il seme di quella piantina si è staccato, nel giusto momento, per venire ad arricchire, sul cornicione del mio poggiolo, la schiera degli arbusti piantati dall’uomo? Quali leggi sconosciute hanno regolato il suo volo e la sua caduta, qualcuno ha voluto questa nascita?
Il mistero del vento che racchiude la vita ci richiama ad altri interrogativi: le espressioni della nostra creatività, l’arte e la poesia, sono più simili a piante ben curate dopo un’attenta semina o a piccoli steli che sembrano autogenerarsi?

Nell’immaginario di questa nuova silloge poetica di Mario Agnoli sono presenti il colore e il profumo dei fiori di campo e di roccia, tanto cari alla sua infanzia cadorina, mentre l’esistenza di un semplice stelo assume significati simbolici profondi e variegati attorno al tema dell’identità. D’altro canto, la sopravvivenza psichica è per tutti garantita da una lotta continua contro avverse condizioni, mentre la privazione e il dolore sono alla base dello sviluppo del pensiero umano: nella raccolta si avverte distintamente l’eco di questa lotta, autobiografica e universale, in cui ciascuno può riconoscersi, in quanto stelo portato e, almeno in parte, certamente piegato dal vento.

Questi componimenti segnano l’ulteriore corso della vita del poeta, i cui nuclei essenziali dello sviluppo teorico, teso a decifrare e sciogliere l’enigma di bigongiariana memoria (v. Esperienze chiaroscuro e Nessun fiore), si colgono già nel nome delle precedenti raccolte: se in Rami divelti (Castaldi Editore, Feltre 1972) la riassunzione lirica è nelle sembianze dei rami tagliati e sparsi senza ordine nel bosco e in Poesie (Rebellato Editore, Quarto d’Al tino 1977) la forma rimane in evoluzione, in Mercato (Rebellato Editore, Quarto d’Altino 1981), più propriamente inteso come un negozio d’idee al quale tendere affannosamente, il poeta trova rifugio nei beni dello spirito. La costruzione poetica tende poi all’accorpamento secondo un programma astratto in Frammenti di un poema (Rebellato Editore, Quarto d’Altino 1983), per farsi poi tristezza/ombra di un dolore che non si riesce a nascondere in Ombra (Nuova Compagnia Editrice, Forlì 1988). Un sorpasso ideale, con il superamento delle esperienze precedenti, si registra in Essenze (La Nuova Agape, Forlì 1999), cui fa seguito Esperia (Giraldi Editore, Bologna 2010), dove nella grande oscurità dell'infinito appare una stella, un frammento di luce.

Ora, in Nati dal vento, è il passato che preme nel tempo della malinconia: quella che sorprende l’uomo alla fine del giorno, con le prime ombre della sera (“sorella della quiete”), quando gli spazi “ampi”, “lenti”, “ignoti”, “remoti”, “finiti/infiniti” si fanno frammentati all’orizzonte (“oltre il finito [...] l’orizzonte s’apre all’infinito”, in La fine del tempo) e, nell’ansia di scoprire oltre l’illusione l’ultimo confine, la solitudine del poeta traspare incerta entro le frastagliate rocce della sua terra, nella diafanità dei ricordi risucchiati dall’inconscio.
In questa poesia non sembra esistere un solo ciclo della vita o dei suoi “segmenti”, il cui mistero “impenetrabile” (“l’uomo è trascinato al mistero / s’illude d’attesa nel dedalo della sua anima”, in La profezia) può “essere soltanto un tragico raggiro” (Rimasi senza alibi). Esistono, invece, frammenti dell’essere (si v dano i titoli degli otto cicli che formano la silloge e quelli dei componimenti che si aprono alle conversioni tematiche, spesso in punta di piedi per non tradire il silenzio) che il poeta trasferisce in simboli. Sono simboli delle cose che hanno radici lontane, come i ricordi che “hanno fretta”, “premono”, “fluiscono” nel tempo e si perdono nel deserto (Il deserto) in virtù di una frenetica proiezione nell’avvenire; o vicine, come la terra, entro le ragioni dell’essere, del tempo e dell’anima.

Il tempo che “era della poesia [còlta] come / un fiore dalle serre di un sogno” ed “ora è altro [perché] scorre come un fiume d’ansia” (L ultimo giorno dell’anno), quel tempo che segna l’andare (“fili di fronde per risarcire la fretta dell’andare”, in Gli intervalli) e il venire {Le vicende del ritornare) dell’uomo, come un girare o “mulinare” per acque dolci di fiume grande, si stacca dai fondali del suo consistere, per manifestarsi nella memoria, nei ritorni con le date assiepate sul muro dell’anima, le misure d’archi tracciati sulle illusioni, il mutare delle stagioni, le ricerche affannose.

La terra, entro il ciclo del suo stesso essere, è invece attratta dall’estro poetico, che ripropone sulla scena senza alcuna aggregazione: rimane strada “breve”, immagine (“guizzi di tempo / per ricordare”, in La mia strada), paesaggio, borgo antico. Una terra che muta con le percorrenze vissute e quelle romanticamente sognate tra abeti, betulle, pini, magnolie, mimose, licheni che abitano le candide montagne e le care valli dove “ogni sentiero riprende l’antico filo” (La valle).

In quel tempo e in quella terra, la vita, il cui senso “avanza regredendo” {Legrandifeste), “schiuma entro / minute zolle al vento aprico” {Figli del vento), “s’accorcia nei lembi del divenire” ed “è anelito al sogno / che rinnova illudendo” (Un giorno ventoso), perché “essa è nel dubbio del camminare / che ha relazioni con l’infinito” {Ritornare). E all’infinito e alla morte, che ne indagano il fine, Agnoli risponde positivamente con la forza della speranza che poggia, nell’aprire e chiudere le ragioni di questi versi, sull’invocato aiuto materno (“ti prego, mamma, aiutami a sperare”, in 1946), ma che “rimane in bilico / come una foglia nell’ultimo volo” (Il tempo nuovo), come lui stesso a penzoloni sul muro che grottescamente si allontana, si avvicina, si apre.

Ma questo ventaglio che soccorre l’indugio del poeta non nasconde tra le sue pieghe la ragione intima di ogni connessione: l’amore, che si definisce empiricamente filo conduttore (/paletti). Esso è alito supremo che dà vita al germoglio, che non delude il silenzio, che s’inserisce in ogni pensiero. E la malinconia diventa nostalgia, il dolore un’ansia che “non si avvede di essere ricordo” (Amore).

Il verso libero di Mario Agnoli si scosta dalla consuetudine letteraria e cerca l’armonia nelle parole che ritornano, all’interno delle composizioni e con le frequenze del caso, alla ricerca della dimensione compiuta e si ribellano alle leggi, per rilasciare spazi di luce diversa. Nelle prime raccolte si percepivano ampi accostamenti alla poesia italiana dell’ultimo Ottocento e del primo Novecento, con riflessi romantici e attitudini alla selezione degli argomenti. Si rileva ora, invece, un nuovo filone stilistico caratterizzato da equilibri tematico-innovativi in cui i singoli componimenti tendono a costituirsi come tessere di un mosaico dove individuare, nella continuità, l’universale che esce dal particolare, lo sviluppo nel contesto della realtà in cui viviamo. Una poesia che per la sua consistenza semantica, linguistica, formale, stilistica è destinata a collocarsi nell’ambito di un più ampio progetto culturale, quello in cui la particolare esperienza di Agnoli-uomo e le immagini soggettive e inconsce di Agnoli-poeta sono vissute come realtà dense di significati, a volte profondamente scandagliati nel loro simbolismo concettuale, a volte volutamente oscuri, per quel bisogno forte di continuare a pensare sulle cose rimaste in sospeso, sui dubbi, sui silenzi, sui misteri dell’essere, nell’awentura complessa della ricerca.
Ma, “in attesa dell’alba” (Ildramma d’inverno), “è la sera che cerco - confessa il poeta - nel silenzio / d’immensa quiete dove dolce / il sogno torna all’età fanciulla” (Il balcone) e li, come in Foscolo, si placa tutto il suo travaglio, il suo male di vivere.
 

Inizio pag. Presentazione
di Fabio Flego
Note
dell'autore
Indice Presentazione
a Pistoia
Alcune Poesie

 

 

Nota dell’autore

 

Dal titolo delle precedenti raccolte di poesie edite è possibile cogliere alcuni aspetti, peraltro essenziali, del relativo sviluppo poetico:
- in Rami divelti, la riassunzione poetica è proprio nelle sembianze dei rami tagliati e sparsi senza alcun ordine entro il bosco;
- in Poesie, l’accostamento alla poesia si ispira alle tecniche del romanticismo, senza tuttavia perfezionare la forma;
- in Mercato, il poeta trova nei beni dello spirito il suo rifugio, ed è più propriamente un “negozio” di idee al quale tende affannosamente;
- in Frammenti di un poema, la costruzione poetica tende all’accorpamento secondo un programma ideale. In effetti l’accorpamento ha luogo, ma “un incendio” = simulazione distrugge più parti del poema. Rimangono per l’appunto solo “frammenti”;
- in Ombra, il titolo si fa sotto nell’immagine dell’ombra. E sono ombre le cose nel chiaroscuro della sera. La tristezza del poeta è come l’ombra del suo dolore, che non riesce a nascondere;
- in Essenze, il poeta supera le precedenti esperienze, organizza il pensiero poetico e tende al sorpasso ideale;
- in Esperia, nella grande ombra dell’infinito appare una stella; un frammento di luce;
- in Nati dal vento, è il passato che preme nel tempo della malinconia: quella che sorprende il poeta alla fine del giorno, con le prime ombre della sera.

 

Giuliana Bonacchi Gazzarrini
Firenze, 18 marzo 1998
 

 

 

 

INDICE

[Cliccare sulle voci evidenziate per leggere la poesia]

 

Poesie come tessere
di un mosaico di F. Flego

 

Note dell’autore


        Il ciclo delle speranze    p.11
Oltre il muro
La mia poesia
La speranza   
diversità)


        Il ciclo dei ricordi e
                             dei ritorni  p. 17

Il ritorno
1944
1946P
A distanza di anni -
Le date
Il tempo nuovo
San Martino
Le misure del tempo
2009 La bianca Trabaria
I ricordi [frammento]
Qui sono in attesa gli amici
Come tu eri
Volgere
I fiori del terrazzo
Le notti zoldane
Le fiammelle
Gli anniversari
Un altro ritorno
La fuga
I fiori
Mutare ragione di vita
Se poi ritornerò
Rimembranze
Ritornare
Riannodi
Il treno
La ricerca   p.45
Via King
Il ritorno alla Trabaria)


          Il ciclo della terra      p.49
La mia strada
La danza
Il bus
La tua terra
La valle
Le soste
Il borgo antico
Acque verdi
Il balcone
Figli del vento
La strada -
Fiori d’arancio
Ulteriore d'Urbino
I sentieri d’erba dorata
Antares
Il borgo
I miei giorni
Urbino ventosa   p. 68
Le altre strade

 

       Il ciclo delle poesie
                 dell’essere profondo
   p. 71

Le illusioni   p.73
La luce
Il punto oscuro
I botti di un altro fine d'anno
La dimensione del tempo
 Ennesimo perché
È così tardi
La sera
Mi accostai
La fretta del tempo
Le immagini [epigramma]
Le idee
La pace
La bellezza

Un ’altra illusione
L'utopia   p.88
Malinconia
Il nostro dolore
Il silenzio
È autunno
Il deserto

La misura dell’essere
La profezia
Le cantiche dell’infinito
Esperienze chiaroscuro
Bozzetto triste
La parola oscura
Le tematiche dell’essere

Il segno
Ancora dell’essere
Ritagli di similitudini
Rimasi senza alibi
Lo sguardo
L'attesa
L’essere schivo
Rimasero sospese
La ragione
Le radici
Le frequentazioni
Il dialetto
Il perché di un titolo
Quest'altro perché

Immagine
La noia
Le variabili
L'anelito

Immagini
Risalire

        Il ciclo delle stagioni
                             e del tempo      p.123

La fine del tempo
 Autunno
Un giorno ventoso   p.127
Il carnevale
Il giorno più lungo
L'ultimo giorno dell’anno
Le luci
L'inverno
Un piccolo spazio di cielo
Ai bordi del frammento

In altro giorno
 

L'alba inutile
La fredda stagione
Marzo
La misura del tempo   p.141
La polvere del tempo
L'altro tempo
l mattino
La calda stagione
Il tempo
Ottobre
Falce di luna
Ilfreddo)

           

             Il ciclo dell’amore             p. 151

Lucilla
Amore   p.154
Attesa
Mia madre
Epigramma

Atrove
 Il giorno di festa
Il silenzio delle ombre
Il sogno materno
Raccordi
Mia madre e il fiume)

        Il ciclo della natura -
                                            elegie     p.  165

Le stelle
Questo è giorno di vento
Acqua di fiume e di mare
Il porto
La quiete
Orme di creta
Schizzo
Armonie
Epigramma senza numero
Le betulle
L ’erba


       
Il ciclo dell’altra ragione
                                    oltre il muro  p. 179

Il giorno
Gli screzi
Incertezze
La solitudine

 
L'ombra d’infinito
Avventura
I paletti
La domanda
I tulipani
Il dramma d'inverno
Il vento
Il ritardo   192
La lunga storia dei perché

Variabili
Le vicende del ritornare
Le foglie d’autunno
I giorni della settimana
L'altro
Il pensiero oscuro
Le grandi feste
Gli intervalli
Sono le nove
Nessun fiore)0

 

 

La Ricerca

 

Cercai e ricercai nella memoria
parole di finiti e infiniti spazi.

Fui sorpreso del loro ripetersi

come d’armonia agli ormeggi del suono.

 

Compresi le ragioni della natura,
quel convenire d’armonia
che è fruscio di fronda,
correre della betulla a me gradita.

 

Non hanno schemi,

né recondite fonti,

quelle che vanno dolcemente

agli accorpi, che sollecite come vestali

raccolgono sensazioni, che mutuano

dai sospiri d’amore ogni segreta illusione

 

 

 

L'utopia

 

Non abbiamo risolto il problema
dell’amore. Rimase incognita.
L’utopia si pose nell’essere
senza ragione, come un pensiero
tra sogno e mistero, una fiaba
per lunga veglia col dolce sapore
dell’andate stagioni. Fu ricordo,
forse raggiro, forse utopia.

 

 

 

Le illusioni


Forse deserti, vasi dilatati
attese senza scopo per sognare;
sono illusioni, macchie senza nome
convertite in sogni per essere
nubi di spazi, di cieli incerti.
Oppure screzi, ritorni di fiabe
per convincere, per non rimanere
astanti sulle soglie di una sera.


Se le rimuovi, troverai il nulla
e sarà il senso dell’ultima noia.


E l’illusione fu ombra più sottile
di un filo di seta così esile
da sembrare inutile sensazione.

 

 

 

 Un giorno ventoso

 

Questo è giorno di vento che odo
d’ogni lato del verone.

Vento di freddo

immigra da pigre valli, da desolate piane.

 

Se mi trovo come d’inerzia
penso alla vita che s’accorcia
nei lembi del divenire
che taglia le spighe ebbre di sole
ed è anelito al sogno
che rinnova illudendo.

 

Ed allora è forse meno dolce la vita
che rimane o forse è un’illusione
come un ritaglio di giornale sgualcito?

 

Forse tutto è nel mistero dell’essere
succinto come cosa

come un lombrico alla ricerca dell’infinito
entro cavi di terra bagnata.

 

 

 

Amore

 

Mi era noto per quelle ragioni
che vanno nelle cose della vita
il tuo amore per i fili d’erba.
Hanno sentore di onde ventose
che vedo nel chinare sulla terra.

 

Non conoscevo l’arte degli accosti
dove prendono forma i pensieri
dove più dolce il sorriso attende.

 

E tu ritorni d’un lieve fruscio
con immagini di fiori e di bimbi
per rinnovare il tempo della gioia,
delle frequenze ed intanto l’ansia
non si avvede di essere ricordo.

 

 

Urbino ventosa

 

È tempo d’aquiloni
che sento dalla tramontana
dal fruscio delle fronde,
dall’invecchiate foglie.

 

Tempo d’ali colorate
al brivido di sottili filamenti.

 

Tempo dell’età fanciulla,

risale per sentieri d’aria

l’aquilone, ritorna, s’allontana,

s’impenna piccolo puledro

ai vaghi pascoli, ai sogni fatti di niente.

 

Urbino ventosa che odo
falena dei miei sogni,
che vedo nel mulinare stanco
d’erbe di siepe.

 

Urbino ventosa sull’incappucciato colle
d’altro colore, con i silenzi di pietra
con i sogni che hanno orizzonti d’eterno.

 

Più dolce è il sogno
che non ritorna
che rimane apparenza

di solo ricordo?
o quello che hai dimenticato
prima di morire?

 

Sono nodi della stessa radice,
immagini che sciogli
dove muore il tempo,
quello delle foglie gialle d’autunno
che non ritornano al ramo

 

 

 

La misura del tempo

 

A che serve la misura del tempo
in queste mie mute soglie?

Forse per un segno dell’essere,
un recondito balzare dei sogni.

Non saprei! Hanno ragioni d’ineluttabile,
così vaghe, così sottilmente inconsce.
 

Si ritorna all’altre frequenze

quelle senza ritorni, impazzite

che oso nel leggiadro ondulare delle betulle

in quell’andare e venire

d’un canto più dolce di sirena

dove l’amore tenta l’ultima sortita.

 

 

 

Il ritardo

 

Sono rimasto all’indietro,
con i rotoli a forma di pietra,
le siepi dai secchi filati.

Sono rimasto con i sapori d’acque
salmastre, sospeso d’attesa
con i gomitoli spenti, i misteri
inventati e i progetti derisi.

Sono rimasto nel mezzo del giorno

al confine dell’ore

come un pellegrino scontento.

È inutile cercare il sollecito dei fiori,
rimani senza luce. Incerto
in attesa d’un sogno, appena
per tentare di non morire spento.

 

 

Presentazione a Pistoia

 

 

 

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