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Mario Agnoli         POESIA             Nati dal vento

Inizio pag. Presentazione
di G.B. Gazzarrini
Indice Presentazione
a Pistoia e Firenze
Alcune Poesie


 

IV di Copertina

Il solstizio d’inverno, con la luce del sole che sembra scomparire, simboleggia da sempre le più profonde angosce umane, e nel contempo, con il progressivo ravvivarsi della luce, si collega a una multiforme mitologia relativa alla rinascita della vita e della speranza. La polarità angoscia-dolore di contro a speranza-riscatto attraversa l’intera opera letteraria di Mario Agnoli, e pervade particolarmente in profondità questa raccolta poetica. In essa infatti sono rinvenibili tratti di profonda malinconia (Siamo astanti senza alibi / tra cornici in attesa di immagini, come insetti nella terra fradicia / come steli abbronzati / travolti dalla piena) unitamente a gioiosi orientamenti verso gli aspetti più vitali e sublimi della realtà umana (Infine un risucchio di idea, una sola parola che sguscia di sotto, improvvisa: Amore), in un complesso sistema psicologico e valoriale nel quale caratteristiche opposte trovano un’interessante e originale composizione, anche in funzione di un’apertura alia trascendenza (Vado nel finito infinito con la stella più lontana / che a stento trattiene il mistero della vita).

   

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Alcune Poesie

 

INDICE

Presentazione

5

I - L’attesa

11

Sensazioni

13

La poesia

14

Lo stelo

15

Mia madre

16

Perché

17

Siamo andati

18

Problemi dell’essere

19

L’ultimo mistero

20

L’inafferrabile leggerezza dell’essere

22

Illusioni

23

La poesia delle illusioni

24

Il tempo

25

Un’altra illusione

26

L’attesa

27

Le fermate

28

La neve

29

La scelta

30

L’indagine

31

Il vento freddo

32

Lavorare con l’anima

33

La fuga dell’io

34

Poesie del nuovo corso

35

Ali d’autunno

36

Se tu vorrai

37

Conchiglie fossili

38

Le locuste

39

Le ultime feste

41

Vorrei

42

La mia vita

43

I simboli

45

Ritorna il perché

46

Le madri

47

Il dolore

48

La bellezza

49

La speranza

50

e i

L’ombra

51

Marina

52

La fuga

53

I simboli

54

L’onda

55

La fatalità di un nome

56

Rinnovare

58

Le idi

59

I volti

60

Le croci

61

Il ritorno

62

I simboli - 2

63

Le parole che ritornano

64

Le convergenze strane

65

Dell’essere

67

Il pianto

68

Questo nostro vivere

69

Infinito

70

L’autunno

71

L’ultimo perché

72

L’arcobaleno

73

Articolato

74

Spezzoni poetici

75

Il senso oscuro

76

Il cortile

77

Questo giorno

78

Ti ho cercata

7y

Dove finisce la vita

80

La libertà

81

I termini dell’essere

82

II - Il rinnovo

83

Il rinnovo

85

Attendere

86

Tristezza

87

La mia città

88

Il tempo

89

Anna Maria

90

Anniversari

91

La mia Patria

92

Le illusioni

93

La strada

94

Anima

95

L’alba

96

Le notizie

97

Profumo di fieno

98

Le fughe dell’anima

99

Roberto

100

Fragilità

101

I sentieri

102

Incontri

103

Sui temi della pace

105

La pace

106

L’attesa - 2

107

L’utopia

108

III - Al di là del nostro tempo

109

Ritagli poetici

111

Ritagli

112

Pensieri di economia

116

Gli altri uomini

117

Le ragazze della Torre

118

Ricordi

119

Mio padre

120

Il mio cuore

121

I miei sentieri

122

Alberi e fiori

123

La psiche ovvero il viaggio dell’anima

124

IV - La poesia dei ricordi per non dimenticare

125

La paura

127

V - Variazioni su temi diversi

129

Il ritorno dei simboli

131

Le variabili

132

Ulteriori variabili

134

Il pensiero oscuro

137

Spezzoni di congetture e rimembranze

139

Rimembranze

140

Edoardo

142

L’ingresso dei ricordi e le previsioni senza accordi

 

L’ingresso

144

Pensare, ripensare e rimanere per guardare,

riguardare

145

Pensieri

146

Devi credere all’amore

148

Parlerò di voi

149

 

 

PRESENTAZIONE

Per la poesia di Mario Agnoli

 

di Giuliana Bonacchi Gazzarrini

 

Ho conosciuto Mario Agnoli negli anni Ottanta in un periodo di empatia poetica. Dopo gli anni di piombo riprendeva vigore l’esigenza di sognare, di dare rilievo ai momenti della mente, agli affetti e alla bellezza dei paesaggi, nell’intento di recuperare i legami con la realtà e le persone.

Nel tempo era tuttavia inevitabile la metamorfosi di soluzioni poetiche perfette e assolute. A facilitare l’opera di decostruzione delle forme metriche e dei contenuti interveniva la percezione mutata di una realtà in divenire da “autunno del Novecento”, secondo Niva Lorenzini “cresciuto tra crisi della razionalità, caso e stupore”, in forza di una “scissura” che segnava le cose. Comunque, a dimostrazione di una tenuta della poesia di fronte allo sgretolarsi di etiche individuali e collettive stavano i libri di Mario Luzi (Per il battesimo dei nostri frammenti, Garzanti, 1985) e di Giorgio Caproni (Tutte le poesie, Garzanti, 1986). Sono opere poetiche che hanno imposto, tra l’altro, il modello dell ’ interrogazione e della caccia. In questo caso alla metafora della pulsione di morte, della perdita di riconoscimento e di individuazione, si oppone l’assoluto lirico delle sublimazioni poetiche, la consapevolezza di un'armonia/'alleanza che presiede alla realizzazione del disegno divino sulla terra.

Ma non basta: la pluralità di strade attraverso le quali si è indirizzata la ricerca di una pienezza del dire giustificava un’anamnesi poetica applicata a scenari territoriali circoscritti come quello di Pistoia. A favorirla era intervenuta la voce poetica di Roberto Carifi e di altre giovani speranze, anche tramite la diffusione della rivista “Altro”. D’altro canto non mancava il pedigree storico da rintracciare in un intreccio ricorrente di relazioni poetiche e culturali che dalle implicazioni ottocentesche tra Niccolò Puccini, Vieusseux e Guerrazzi confluiva nel vincolo intellettuale/epistolare di Louisa Grace Bartolini con Carducci, per rivitalizzarsi negli anni Trenta del Novecento con i contributi di Luzi, Bigongiari, Baldi e Macrì sulle pagine del “Ferruccio” e rinnovarsi, dopo il Settanta, con l’opera di allineamento e di scansione della “nuova poesia” affidata alla “parola innamorata” di Milo De Angelis, Conte, Mussapi e Rosita Copioli. A questo proposito non posso fare a meno di ricordare le nostre riunioni, sotto la guida di Carifi e di Maura Del Serra con la presenza di un folto gruppo di aspiranti poeti, per leggere e commentare le varie mitografie liriche. Nelle riunioni che avvenivano dentro la bottega, abbandonata dal calzolaio, nella vecchia casa di famiglia, in via della Torre, c’era una forma inconscia e ingenua di utopia, di fiducia nel futuro di un nuovo “umanesimo”.

In questo clima di mutamento, che investiva le cose intorno a noi e la sensibilità di ogni individuo singolo, si inseriva la poesia di Mario Agnoli, cadorino immigrato nella provincia toscana, cattolico anomalo, con una partecipazione importante nell’apparato burocratico. Era questa un’esperienza in grado di costituirne l’eccezione, ma anche la premessa di un impegno civile
e sociale, consolidato da studi giuridici e filosofici che insieme alla fascinazione della prosa kafkiana avrebbe evitato alla sua poesia, vissuta giorno per giorno come sofferta analisi interiore, il rischio di cadute ludiche o da autobiografismo eccessivo. Nel tentativo di individuarne la fisionomia autonoma nei primi libri poetici, puntavo l’accento sul “senso di fuoriusciti da un sistema di certezze rimasti al bivio, di intellettuali a confronto con il nodo storico del proprio essere e ruolo sociale, alle prese con le ‘ragioni’ da ridefinire e aggiornare in una sofferta resistenza dell’io all’urto delle cose, sempre in bilico fra una scelta d’amore, di identificazione e una di rifiuto, di isolamento”.

Recensendo nel 1988 Ozi d’agosto, parlavo dello “strano racconto” di Agnoli “dove nulla accade e tuttavia si presentisce un dramma”: da qui la possibilità di essere letto “in chiave di storia d’amore, che è anche storia di un incontro e di una separazione. Diversamente, consente di essere interpretato quale avventura dell’essere e del pensiero, o come metafora della scrittura”. Da allora, come precisavo nella prefazione a Esperia (2010), Mario Agnoli, fedele al rigore interpretativo di una poesia “in sottovoce” senza essere priva della forza e della purezza di una contemplazione metafisica, luogo delle domande estreme, ha intensificato la strategia dello stare fuori dalla mobilitazione generale di una industria culturale sempre più distratta.

Ora che sono chiamata a introdurre il libro postumo delle sue ultime poesie, oscillo tra rimpianto per la perdita di un amico devoto e constatazione che protagonista in poesia, come nella trilogia in prosa, è la sofferenza dell’individuo. Del resto, lo stesso titolo della raccolta poetica, Solstizio d’inverno, allegorizza Xombra nel suo travalicare sulla luce. Di seguito, il percorso poetico dell’estremo viaggio autobiografico di Agnoli è andato incontro alla sua più profonda natura metaforica. Di pari passo, l’affettività è divenuta più esposta e radicale (penso all’imperativo categorico di Devi credere all’amore, quando la speranza è ridotta a “un filo di luce sulle soglie di un capanno lacustre”, V parte, Pensare, ripensare...), mentre la meditazione metafisica assurge a luogo delXoltre, “segno dell’infinito” (La poesia, I parte, Sensazioni, Spigolature dell’essere), ma anche muro che, “come siepe, piega l’orizzonte allo sguardo smarrito”. Non a caso, anche Agnoli, come molti di noi, appare attonito e spiazzato di fronte al corso che sta prendendo il mondo. Ne sono spia i versi amari dedicati alla patria: “è un dire ingenuo/ che rimane imprudente,/al di qua del male prò fondo,/i costumi corrotti, gli idoli delle finzioni,/ l’inerzia che non controlla” (La mia patria, II parte, Il rinnovo). La riaffermazione della funzione sociale della poesia con il mutare delle relazioni umane rende ragione della curvatura dolorosa assunta nelle ultime poesie, dallo stesso autore limitate a “essenze poetiche, sfrondate come alberi d’autunno, da sembrare semplicemente semi o larve. A nessuno interessa se poi diverranno arbusti o lombrichi”.

“Prevalse, per l’appunto - come Agnoli precisa nella didascalia della III parte - Al di là del nostro tempo. Ritagli poetici - la poesia del vissuto, delle lacerazioni sociali; persino il linguaggio relativo si fece strano, tiranno delle espressioni nuove”. A venirne coinvolta è la polivalenza culturale compresi i pensieri di economia
ridotti a “spiccioli” [...] “misura inutile delle cose”, mentre “Cresce a dismisura il senso del mistero incompiuto”. Né si salva il desiderio di pace, rimasta “tra fili spinati, alla ricerca/di un altro perché... Senz’ali/ nella immanenza del nulla” (La pace). Una identica fine spetta all’utopia, incrinata dal dubbio del raggiro (L’utopia), in un’attesa sempre più coinvolta nel dolore e nell’enigma di una “vita che si arrende”, con la luce dell’anima che si fa avara insieme ai lumi della città. Poche sono le eccezioni anche negli spazi del regno naturale, magico, proprio di una cosmogonia metamorfica e classica, di matrice greca, recuperata tramite l’ascolto dei versi di Leopardi, Pascoli, Montale, Ungaretti e Luzi. Da me è sempre stata prediletta per la capacità di innalzarsi a fermentazione poetica di luoghi fisici e metafisici, stagioni, oggetti, spazi nascosti tra mari e monti. Ebbene; proprio nel ricordo dei monti natii si apre uno spazio di libertà creatrice dello spirito: “Sono alberi e fiori che non conosco/che rammento per i colori/per il loro andare di vento/con me, un tratto breve. Sembra infinito./Al ritorno riprovai. Venne a me festosa la betulla/e un fiore così grande da sembrare una magnolia./Lasciatemi andare: ho fretta./ Vi ritroverò altrove, entro le cornici argentate/come le immagini che ritornano ogni sera”. (Alberi e fiori, III parte, cit.). A sparigliare le carte resta la domanda irrisolta che inquieta anche le mie notti insonni: “Perché, Dio tanta sofferenza, male e dolore?” E L’ultimo perché (I parte: I simboli).

Giuliana Bonacchi Gazzarrini

 Firenze, 30 novembre 2017

INIZIO PAGINA

 

 

 

ALCUNE POESIE

 

 

L’inafferrabile leggerezza dell’essere

 

È fasciato questo tempo d’autunno

con le ali di nube, le foglie gialle di luce opaca,

i sentieri dipinti di rosa.

 

Al di sotto sembra un filo dorato,

invece è ombra del tempo.

 

Vado di corsa, ormai non s’aprono i giorni,

gli orizzonti s’accorciano fra le cose,

il passo s’accosta ai minuti spazi.

 

Un ormai di poco conto, forse del nulla apparente

che ha simbiosi strane: come di tulipani.

 

Un ormai che non afferro. Fugge, ineluttabile.

Intanto i fogli dèi mio essere

raccolgono l’ultima grafia: un graffio dell’anima.

Simboli antichi sulla roccia della mia terra

 

INIZIO PAGINA

 

La scelta

 

Forse è indovina, d’arte nuova:

l’uomo non ha tempo,

corre con le immagini.

 

Forse è una scelta convenuta

senza alcuna ragione profonda,

che allenta il senso della vita.

 

Ed allora quale sarà l’ultima risposta?

La sorpresa. L’ineluttabile confluire delle cose.

Ovvero il silenzio, soltanto muto silenzio!

 

La scelta rimane appesa al dubbio

come un setaccio intriso di pece,

un foglio riavvolto dalla risacca.

 

INIZIO PAGINA

 

Infinito

 

Non è di maggio il grido più lento

tra queste siepi di bosso ricurve,

né d’altro tempo intenso di fiori.

Corre il grido sulle cose strane,

sulle anime, sulle arse radure,

sul divenire. Corre sino al muto orizzonte

 

 

Tristezza

 

Quando si attarda nelle ore inutili,

sfilacciata, ombrosa, inquieta

ha sembianze di nube.

Nella notte insonne sembra raggiro,

di fughe all’indietro con le memorie incerte,

così a piegarsi lentamente

su fogli di carta, scolorati, sovrapposti.

Invano attesi l’alba,

furono i segmenti del sogno,

più lungo dell’altro già spento,

nascosto tra le pieghe del lenzuolo

bagnate di pianto.

 

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Le notizie

 

Vengono leste. In alcuni casi

impreviste. Sembrano sfogliate,

come carte pigiate sulle corti

di cotto, sui pensieri incerti.

Fraintese schiantano persino il senso

che dal remoto risale ridendo.

Deviate si nutrono di silenzi

come un dire che non dice. Tace!

Rimangono soltanto gli sfilacci

e pochi fili d’erba superstiti,

come idee sfollate nel nulla.

 

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Ricordi

 

Sempre ricordi in questo scrivere!

Tornano frettolosi come i sogni nell’alba,

gli estri di natura sulle spighe piegate dal vento.

Seguono le regole del tempo: maturano d’autunno,

con i colori sbiaditi, gli spazi accosti alle ombre.

In questo altro tempo della vita faticano a morire.

Ora li rivedo: ineluttabili, senza memoria,

con i veli strappati, le fantasie improvvise.

Sono funzioni del tempo. Relative.

Alcuni hanno appendici striate, rimangono:

impenetrabili, senza raccordi. Inerzie del nulla;

altri sono incompiuti come le frasi smozzicate;

radici divelte, e il completare di essi m’illude:

di essere stato o di avere soltanto pensato di esserlo.

Rimarrò con le incertezze. Può darsi, tardivamente:

quando la notte diverrà attesa sotto la pietra

e i fili d’erba saranno piegati dal vento.

 

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L'autunno

 

È ritto sulle foglie spente. Siepi

di aghi senza foglie, e rotoli

di erbe malate d’ ombra, e viene

meno rapido in questo estroso

tempo. Stagione strana di colori

che non hanno vesti bianche,

solo margini d’acque improvvise

che si tingono di raggi d’un sole

fugace tra le nubi ventilate.

Stagione della Trabaria che schiude

lo  sguardo alle pendici più dolci,

che anelando vanno a ritroso

lungo gli scavi rocciosi del Feltro.

Stagione delle fragili betulle,

di erbe seccate dall’ultimo taglio,

delle ultime pietre e piccoli

rami sorpresi dall’onde di acque

al tracimare su scarne radici.

Intanto scorre anche l’altro tempo,

con i pensieri di nebbia succhiati,

come il tarlo lento alle ultime

trine e lembi di neri mantelli.

Indovino cercando vado l’estro

in questa mia vita che s’arrende.

 

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Incontri

 

Se credi ci possiamo incontrare

all’alba nel solito luogo dove

il  salice disegna l’ultime

chiome, il vento è più dolce: corre

tra le contrade del borgo silente.

Diverso è il venire di sera

con le ombre piegate d’altra luce

con i pensieri grevi, i silenzi

di lunghi spazi, di ordite fughe.

Diverso è il tempo dell’attesa

con le soglie dipinte di azzurro,

i sogni allungati nelle veglie.

 

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