ATTILIO CELSO GIANOTTI |
Attilio Gianotti, Celso o Celsin,
nato il
24 Agosto 1901 nella Parrocchia di San Cipriano. Non saprei dire con
certezza in quale fondo rustico, probabilmente era un predio di
famiglia; non ho dati sicuri potrebbe essere Fontespina o Ca' Gnagno o, molto
probabilmente, altro. I caratteri
somatici a maturità raggiunta erano: Altezza m 1,68 - Corporatura
robusta - Capelli biondo scuro - Occhi celesti o chiari o cerulei. All'undicesimo anno porta a compimento i 5 anni di scuola elementare superando gli esami finali con esito lodevole (79/90) e dichiarato prosciolto dall'obbligo scolastico (vedi Nota)). Comunque a 17 anni frequenta un corso elementare di complemento di un anno, detto anche "Sesta" elementare, ottenendo l'idoneità con buona votazione (clicca per i Certificati). Nota. Ai primi del 1900 la Scuola elementare, obbligatoria fino all'età di undici anni, aveva durata di 5 anni, ma spesso in molti comuni i corsi non superavano i quattro anni. La legge Orlando (1904) prolungò l'obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età, prevedendo l'istituzione di un "corso popolare" fuori dall'obbligo formato dalle classi quinta e sesta. Impone ai Comuni di istituire scuole almeno fino alla quarta classe, nonché di assistere gli alunni più poveri ed elargisce fondi ai Comuni con modesti bilanci. Dal 1910 abita e lavora sicuramente a Ca' Gnagno un podere di 13 Ha divisibile in due appezzamenti: forse uno di questi gestito a mezzadria e l'altro condotto direttamente. Il 2 -10-1920 muore prematuramente il padre a 52 anni. Nel necrologio si legge "dopo lunga e penosa malattia". Lo scrivente ricorda che si parlava di una paralisi fortemente debilitante. Come figlio unico maschio di madre vedova venne dispensato dal servizio militare.
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Nel 1921 si sposa la sorella Annunziatina con Giovanni Sani di
Ca' Pansaccia, nettamente più anziano ma di aspetto di "signore di
città". Era fattore di Petrangolini e di altre famiglie
benestanti di Urbino.
Celso rimane così solo nella fatica dei campi. Aveva sì la madre Elda, ma questa era propensa alla mansioni di cucina e di gestione, dove dimostrava polso, grinta e capacità, evitando il più possibile i lavori debilitanti e faticosi. Di fronte a questi sacrifici la mamma Elda si commuove e prende la decisione di spostare la famiglia in Urbino dove poter trovare al figlio un lavoro meno faticoso e più remunerativo di quello del coltivatore. Dal 1924 Celso inizia a frequentare il garage di Terzo Sani, cognato di Annunziatina, prendendo la patente di 1° e 2° e iniziando così l'attività di autista. Nel 1925 ottiene la Patente di III grado per poter diventare autista di piazza. Negli anni successivi la mamma Elda vende buoi, manzi e vitelle e gli compra una Fiat nuova fiammante. Dal Settembre del 1925 ha come recapito postale non più Ca' Gnagno ma Urbino prima presso la sorella in Pansaccia Nuova, e poi presso il "Garage Sani". In questo periodo prova anche a mettere in piedi senza successo una piccola fabbrica di sapone per bucato.
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Nel 1923 conosce una brunettina dagli occhioni dolci e s'innamora: è Cesira Basili del Barcone che diventerà la sua adorata moglie, tuttavia solo per brevissimi nove anni. Inizia così un romantico e lunghissimo fidanzamento non privo di crucci non tanto per il suo prolungarsi quanto per gli interminabili giorni che trascorrevano fra gli incontri e che alla fidanzatina reclusa in campagna non passavano mai. Celso era oberato di lavoro e di preoccupazioni per la sua sistemazione in Urbino. Mentre Cesira stava benissimo al Barcone, dove fra genitori, zii, fratelli, cognate, nipoti, braccianti, psigni, ospiti, poveracci, prelati... a tavola erano sempre più di una trentina. Ma, dopo il pesante lavoro dei campi per gli uomini e di cucina, aia e telaio per le donne, si trascorrevano dei bellissimi giorni di festa pieni di allegria e di buona tavola. Per considerare la sua situazione perfetta a Cesira mancava solo la presenza del suo amato Celso in tutte quelle occasioni di baldoria... e così il fidanzamento durò ben 7 anni, inimmaginabili per i tempi e per le consuetudini campagnole. Non era facile per Celso raggiungere il Barcone, podere alla riva sinistra del Metauro a livello delle Baracche di Urbania, avendo disponibilità di auto propria solo negli ultimi tempi del fidanzamento. Quando abitava a Ca' Gnagno doveva percorrere in qualche modo, forse in bicicletta, 5 - 6 Km per raggiungere la stazione ferroviaria di Urbino. Qui prendere il treno per Fabriano, fermarsi alla stazioncina delle Baracche e da qui percorrere poco più di un Km a piedi passava il fiume Metauro, campi e un fosso per infine poter stringere la sua amata. Il Metauro si attraversava sulla "passarella", un ponte primitivo ciondolante fatto di funi e assi sconnessi che diventava molto pericoloso in caso di piena. Il fosso si guadava saltando sui ciottoli, che però la pioggia sommergeva obbligando così a procedere a piedi nudi. All'inverso procedeva al ritorno che spesso faceva di notte con la preoccupazione di non tardare, perchè la mamma Elda lo aspettava con ansia. In una di quelle notti, camminando al lume della luna su un fresco tappeto neve, nei pressi della casetta della Tugnina, vedova sola che si lamentava di essere perseguitata da spiriti maligni, un figuro dalla parvenza umana gli attraversò velocemente la strada tagliando per i campi. Passato lo sgomento, Celso si sincerò con assoluta certezza che non era rimasta alcuna traccia del passaggio sulla neve fresca. Questo fatto diventò argomento di gustose discussioni durante le veglie attorno al camino. La paura attirava quella gente, specie i bambini più in preda all'istinto, come il fuoco attira le falene, ma passata la paura rimaneva una strana sensazione di essere cresciuti per quel contatto con il soprannaturale e forse col divino. Di quei 7 anni di fidanzamento è conservato un epistolario di un centinaio di lettere botta e risposta. Il tema comune era alimentato dalle continue lamentele di Cesira per non essere visitata in ogni giorno di festa, rafforzate da un tantino di gelosia per il suo uomo che viveva in città e girava per il mondo con l'automobile. lamentandosi di dicerie che la sposina forse ingrandiva per saggiare la reazione dell'amato. Dall'altra parte gli scritti di Celso contenevano interminabili scuse per aver avuto contrattempi di lavoro imprevisti e inderogabili. Si sforzava di rassicurarla che non aveva nessuna per la testa oltre che lei e che non ne avrebbe neanche avuto il tempo e addolciva l'aridità delle argomentazioni con altisonanti dichiarazioni di amore: «Adorata, io t'amo con amore immenso, più di ogni altra cosa, innalzerò su di te un altare d'amore...» Nessun accenno allo sposalizio, neanche nell'ultima lettera scritta quindici giorni prima del matrimonio, dove si dilunga sul prezzo della sementina da comunicare al futuro suocero. Finalmente arrivò il 23 Ottobre 1930 giorno delle "fauste nozze" fra Cesira e Celso nella chiesetta di San Bartolo della Parrocchia di San Lorenzo in Farnetella officiante l'arciprete Don Enrico Rossi. Non mancò il viaggio di nozze con la Fiat cabriolet rossa fiammante. Le mete furono Gubbio e Roma. Con gioia e con vivacità di particolari Cesira ne parlò tutta la vita ai suoi figli. Provò un grande spavento nei tornanti del passo appenninico dove le strade erano imbrecciate e strette. Ad ogni curva il lungo muso della 503 si protendeva sul baratro all'argine della strada e la sposina tremante si aggrappava allo sposo supplicandolo di ritornare indietro. Ma poi la prima notte a Gubbio le svuotò il cuore di ogni tremore riempiendolo di dolcezza. Cosa successe non è facile da far capire con il freddo italiano ma mi è riuscito bene con una vivace rima in dialetto (clicca poesia). Dopo la prima e le altre notti non ha saputo più raccontare dove era stata e che cosa aveva visto: era semplicemente allucinata d'amore.
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Figli Luisa: nata Urbino il 08-08-1931, morta a Montefelcino il
19-02-1993 maestra elementare
Era grande curiosona la Cesira, l’ occhialona, e da migna ha trovat, e nisciun j aveva imparat, che chel strani gran gonfion ch’ j omin ci hann ti pantalon, era propi chel sacton che i tor tengne a spindolon e sa gran soddisfasion tor, cunill, gall o momton monten dietra tel groppon Dacsè, la prima nott, da sposata, pans’ all’ aria s’ è piasata tel materass ben’ aggrapata, dicend so’ mal maritin: « T’ en m’ arbiri birichin, lascme stè la passarina vergin fin’ a domattina.»
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