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Mingon Pansaccia (Domenico)

Urbinati indimenticabili

 

Apparteneva ad una famiglia di grandi mangiatori, così che il podere dove abitavano e loro stessi furono soprannominati Pansaccia. Nei bambini erano frequenti le indigestioni seguite da convulsioni, popolarmente chiamate fantiole, che talvolta portavano a strabismo permanente.

Padiglione Nuovo o Padiglione 2 oppure Pansaccia Nuova o Pansaccia 2 era soprannominata la casa con piccolo appezzamento di terreno coltivato a frutta e ortaggi, ubicata nella destra di via Gramsci di poco fuori Porta S.Lucia.  "Pansaccia vecchia" era la abitazione natale, situata nell'altro versante della vallata del Tirasegno confinante con il Parco Rimembranze di Loreto e abitata appunto da Mingon.

Mingon era rozzo, semplice e povero di spirito. E rappresentava un campione di dabbenaggine. Era facile ascoltare la tara: "Se' piò stupid de Mingon".

 

Anni 1930:  Casato Sani Paolo  (~1850 - 1917)
Mingon forse è in ultima fila e 1° da destra

 

Un giorno di carnevale i famigliari riuniti in "vegghia" con amici si sono messi a ballare ed hanno chiesto a Mingon di stare sulla strada per avvertirli se passavano carabinieri o finanzieri o dazieri, i quali avrebbero fatto una multa per mancato versamento della tassa di concessione (una specie di diritti d'autore).  Mingon ha visto arrivare una pattuglia e tutto contento è corso loro incontro dicendo:

"E' inutil che git a veda ma Pansaccia Vecchia, tant en ballen !"

 

Era anche un gran ghiottolone (balbuziente) e con la luna piena non riusciva a spuntarsi. Quando quelli di casa si lamentavano per le tasse e i balzelli vari che dovevano pagare (mulenda, decima alla parrocchia, dazi ...) anche lui arrabbiato cercava di consolarsi: "E' le .. è le ... è le ...  -(per qualche minuto) e in conclusione di corsa - è le legg del govern".

 

Andava tutto l'anno scalzo, così che la pianta dei piedi era come suola.  Se d'inverno le gelate erano pungenti e persistenti e rincasava con i morsi del congelamento, "i rass", metteva una grossa pietra nel fuoco e quando diventava bianca, la spostava in mezzo la cucina e ci saliva sopra con entrambi i piedi.  Faceva un fumo denso e acre come gli zoccoli dei cavalli a contatto con il ferro rovente del maniscalco.    Ma purtroppo il gran caldo, una volta superato lo strato calloso, penetrava all'improvviso anche nelle parti vitali.  Allora saltava come un capriolo impazzito uscendo nell'aia in mezzo alla neve.  Passato il dolore, sorrideva tutto contento e diceva: "Oramai sto ben fino a st'altra invernata".  I suoi passi nel piancito risuonavano secchi come avesse calzato i zoccoli.

 

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