Se è vero che
siamo ciò che mangiamo, si può dire con altrettanta
sicurezza che siamo anche le parole con cui parliamo.
Certe espressioni della lingua sono cucite con
precisione sul vissuto di un determinato luogo, di una
determinata cittadina.
Lo aveva bene in mente Alfredo Zampolini, che questo 10
luglio avrebbe compiuto 100 anni. Lo scorso 11 giugno la
Pro loco di Urbino ha presentato la seconda parte del
suo vocabolario urbinate-italiano Parole nostre, curato
dalla figlia Marina Zampolini, che va a completare il
testo pubblicato nel 2001. L’occasione scelta per la
presentazione è stata la XIX edizione del premio ‘Renzo
De Scrilli’ per la poesia dialettale, nel chiostro di
San Bernardino.
Urbinate doc, Zampolini nella sua vita è stato tante
cose, anche cavaliere dell’Ordine al merito della
Repubblica italiana per il suo grande impegno sociale e
culturale.
Le grandi passioni e l’impegno
Il suo lavoro è stato quello di insegnante elementare:
inizia la sua carriera nelle scuole di campagna di zone
come Schieti e Maciolla, dove implementa una pedagogia
pensata apposta per stimolare l’attenzione di quei
bambini che andavano a scuola, assonati e spossati, dopo
il lavoro mattutino nei campi. È poi diventato direttore
didattico negli Anni 70 a Piansevero, dove ha
partecipato con impegno alle profonde innovazioni
dell’insegnamento dell’epoca: è stato tra i soci
fondatori a livello nazionale del “sindacato autonomo
scuola elementare”, di cui è divenuto anche il
segretario provinciale.
Ma soprattutto Zampolini ha scritto molto nella sua
vita, al ritmo del ticchettio dei tasti di un Olivetti
35. Da esperto di pedagogia per le riviste culturali,
come poeta, saggista, autore teatrale, fino ad arrivare
a redigere e condurre per cinque anni, su Radio Urbino
Montefeltro, una rubrica settimanale incentrata sulla
storia e la letteratura italiana e locale.
“Mi sono innamorato del mio dialetto”
Nato a Urbino nel 1921, non ha mai abbandonato – salvo
gli anni di chiamata alle armi – quella che lui definì,
in una raccolta di poesie omonima, “la mi cità”. In una
lirica interna alla raccolta esprime con chiarezza come,
negli anni della pensione, la sua vita sia cambiata, nel
momento in cui si rese conto di essersi innamorato del
dialetto urbinate.
“En avria mai credut
vicin a sesant’ann
de prenda na pasion
pel mi dialett”
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Decise quindi
di dedicarsi alla riscoperta e alla valorizzazione del
dialetto con cui era cresciuto, tanto da fondare nel
1980, insieme ad un gruppo di amici urbinati,
l’associazione dialettale ‘Renzo De Scrilli’, ricoprendo
la carica di presidente per cinque anni.
L’associazione ha promosso anche la nascita della
rivista I quattre vent, che ha accolto fino al 1986 la
produzione poetica e in prosa degli urbinati, tanto di
quelli rimasti a vivere qui quanto di quelli che si
erano trasferiti ma che volevano mantenere saldo il
rapporto con la propria città d’origine.
Parole Nostre e dei nostri nonni
In mezzo alla sua sterminata produzione, si distingue il
“vocabolario dialetto – italiano di Urbino città e
dintorni” intitolato Parole Nostre: Zampolini non si è
limitato alla semplice stesura e “traduzione” in
italiano di termini del dialetto novecentesco. Il suo
intento era fare “un collegamento fra il lessico e le
tradizioni che fanno parte della storia della città”,
perché quello che contava per lui era trasmettere la
dimensione sociale ed affettiva del parlare la lingua
dei propri nonni e genitori.
Durante la lettura del vocabolario, diventano “parole
nostre” anche termini che all’orecchio suonano molto
lontani da noi, ma che sprigionano, con esempi ben
congeniati, tutta la vitalità che assumevano nei
contesti originari. Come il vocabolo “gambrit”,
(capitombolo), letteralmente “gambe dritte”, che
permette di legare istantaneamente al significato della
parola l’immagine della posizione che si assume quando
si cade improvvisamente a terra. O il termine “chiocon”
(il tappo del tino), spiegato nella frase “chiud la
canella e perd dal chiocon”, per indicare “chi si
preoccupa di piccole falle e trascura quelle grandi”.
Un urbinate che non si può dimenticare
Alfredo Zampolini venne a mancare il 9 luglio 2015,
all’età di 94 anni. La sua “cità” non lo ha mai
scordato, tanto che il suo nome è, dal 2019, ben
visibile a tutti gli urbinati che camminano per Porta
Lavagine verso viale Giuseppe di Vittorio: il tratto di
strada che collega le due vie è intitolato proprio a
Zampolini, uno degli “urbinati indimenticabili”, secondo
il sito della Pro loco della città.
Espressioni come “en me fe tanti manfre” o “gi a
rovastòn” non sono più frequenti, e forse i giovani
urbinati ne conservano solo vaghi ricordi, pronunciate
nella casa dei nonni o di altri familiari. Il meticoloso
lavoro di Alfredo Zampolini fa in modo che non si vada a
perdere quel nesso inestricabile che si è formato tra i
vocaboli dialettali e i gesti più quotidiani.
Cecilia Rossi
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